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Il sogno e la ragione: Da Harlem a Black Lives Matter
Il sogno e la ragione: Da Harlem a Black Lives Matter
Il sogno e la ragione: Da Harlem a Black Lives Matter
E-book257 pagine3 ore

Il sogno e la ragione: Da Harlem a Black Lives Matter

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Il sogno è quello dei neri d’America di liberarsi dalle catene del razzismo, dalla discriminazione, dalla repressione e la violenza degli apparati dello Stato. La ragione è quella messa in campo nel corso della Storia da una parte consistente del popolo americano nero e bianco, attraverso la protesta. Dal primo conflitto razziale del 1935 ad Harlem alla rivolta di Filadelfia del 1964, ai fatti di Watts del 1965, all’insurrezione di Detroit del 1967, alle marce di Martin Luther King e alla sfiorata guerra civile successiva alla sua uccisione, fino alle sommosse della Kitty Hawk del 1972, di Miami del 1980, di Los Angeles del 1992 e alle grandi manifestazioni del movimento «Black Lives Matter», in America e in tutto il mondo, seguite all’uccisione di George Floyd. Un secolo di storia dei movimenti di protesta che si battono per i diritti civili e la loro influenza sui cambiamenti degli assetti della politica americana.
LinguaItaliano
EditoreJaca Book
Data di uscita25 feb 2021
ISBN9788816802681
Il sogno e la ragione: Da Harlem a Black Lives Matter
Autore

Daniele Biacchessi

Giornalista e scrittore, già caporedattore di «Radio24», ora collaboratore fisso. Ha vinto il Premio Cronista 2004 e 2005 per il programma «Giallo e nero», il Premio «Raffaele Ciriello» per il libro Passione reporter (2009), il Premio UNESCO 2011 con Gaetano Liguori per lo spettacolo «Aquae Mundi», il Premio «Macchina da scrivere» per il libro Storie di rock italiano, pubblicato da Jaca Book nel 2016. Con la stessa casa editrice sono anche usciti La fabbrica dei profumi. Seveso 40 anni fa (2016); Una generazione scomparsa. I mondiali in Argentina del 1978 (2016, libro + DVD 2017); L’altra America di Woody Guthrie (2018, libro + DVD 2019); Radio On. I ragazzi che fecero l'impresa delle radio libere (2019); L’Italia liberata. Storie partigiane (2019, libro + DVD 2020). Dirige la collana «Contastorie» della stessa casa editrice. È autore, regista e interprete di teatro narrativo civile e presidente dell’associazione ARCI «Ponti di memoria».

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    Il sogno e la ragione - Daniele Biacchessi

    UN LIBRO DI STORIA E MEMORIA

    Anche se in America siamo i migliori per ciò che riguarda il razzismo, la gente non può solo dire: Beh, guarda come stanno male in America e poi chiudere gli occhi di fronte al razzismo nel loro Paese. Non sarei onesto se non dicessi che ciò succede anche in Italia. Quindi non accade solo in America, ognuno deve guardare la propria nazione, la propria città, il proprio quartiere, e cercare di sconfiggere il razzismo. Il razzismo è in tutto il mondo.

    Spike Lee

    La prima donna nera che resta al suo posto a bordo di un autobus durante la segregazione razziale negli Stati Uniti d’America del Sud è Claudette Colvin, studentessa della scuola Booker T. Washington di Montgomery, in Alabama.

    Viene arrestata il 2 marzo 1955.

    È il primo atto conosciuto di disobbedienza civile pubblico e plateale di un nero contro le regole dei bianchi in era moderna.

    Prima di Claudette Colvin c’erano state Harriet Tubman, Sojourner Truth e mille altre donne e uomini dimenticati che, tra il 1619 e il 1865, avevano affrontato il Middle Passage.

    La politica di segregazione nelle regioni meridionali degli Usa resta un’eredità dello schiavismo in vigore fino all’abolizione definitiva grazie all’entrata in vigore del XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, nel 1865.

    Né la schiavitù né il servizio non volontario – eccetto che come punizione per un crimine per cui la parte sarà stata riconosciuta colpevole nelle forme dovute – potranno esistere negli Stati Uniti o in qualsiasi luogo sottoposto alla loro giurisdizione¹.

    Gli Stati del Nord diventano così i paladini dell’abolizionismo, ma quelli del Sud non ci stanno e introducono alcune norme locali, le leggi Jim Crow (un dispregiativo che identifica gli afroamericani), in base alle quali i neri vengono considerati Separate but Equal (separati ma uguali), confinati ovunque, in appositi settori e in ogni luogo pubblico.

    Secondo la convenzione, che determina la segregazione a Montgomery e nello Stato dell’Alabama, su un autobus i neri siedono sempre dietro (10 sedili disponibili), i bianchi, invece, si posizionano davanti (10 sedili), mentre i posti centrali sono misti (16 intermedi) e si possono utilizzare solo se tutti gli altri sono occupati. In caso di sold out la precedenza spetta comunque ai bianchi.

    Quel giorno una donna bianca entra nell’autobus color oro e verde della City Lines, il mezzo è stipato e non trova posto.

    Così il conducente Robert W. Cleere ordina alla quindicenne Claudette Colvin, salita poco prima alla fermata di Capitol Heights, e ad altre tre studentesse nere nella sua fila, di recarsi nella parte posteriore del mezzo.

    Le tre donne si spostano, ma una ragazza nera incinta, Ruth Hamilton, si siede accanto a Claudette.

    Non mollano, difendono i loro diritti, ed è giusto così perché sono convinte che il posto spetti a loro.

    Il conducente applica le leggi razziste e chiama la polizia. Claudette viene trascinata fuori dal mezzo e arrestata come monito davanti a tutti i passeggeri dagli agenti Thomas J. Ward e Paul Headley.

    Quello di Claudette è un gesto simbolico, ma rappresenta un importante precedente, perché nove mesi dopo la sarta di un grande magazzino e attivista antirazzista Rosa Parks ripete l’atto di disobbedienza sempre a Montgomery ed entra nella Storia dei diritti civili degli afroamericani.

    Il 1° dicembre 1955, anche Rosa Parks sale sul bus 2857 della rete dei trasporti pubblici della città, alla fermata di Capitol Heights, la stessa in cui era salita Claudette Colvin e occupa il primo posto dietro all’area riservata ai bianchi.

    La gente dice sempre che non ho rinunciato al mio posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente, o non più stanca di quanto fossi di solito alla fine di una giornata lavorativa. Non ero vecchia, anche se alcune persone hanno un’immagine di me come se fossi vecchia allora. Avevo quarantadue anni. No, ero stanca di arrendermi².

    Dopo tre fermate, l’autista James F. Blake le intima di alzarsi e spostarsi in fondo all’automezzo per cedere il posto a un passeggero bianco salito dopo di lei.

    Rosa si rifiuta e Blake avverte la polizia.

    La sarta Rosa Parks viene subito arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine sulla segregazione.

    Ma i razzisti dell’Alabama fanno male i loro tristi conti: l’atto di Rosa è infatti concordato con i vertici della rete delle associazioni antirazziste dell’Alabama e nazionali, per far scattare la scintilla della ribellione non violenta.

    Non volevo essere maltrattata, non volevo essere privata di un posto che avevo pagato. Era solo il momento… c’era l’opportunità per me di prendere una posizione. Non avevo programmato di essere arrestata. Ho avuto molto da fare senza dover finire in prigione. Ma quando ho dovuto affrontare quella decisione, non ho esitato a farlo perché sentivo che avevamo sopportato così a lungo. Più cedevamo, più ci attenevamo a quel tipo di trattamento, più diventava opprimente³.

    In seguito all’arresto illegale di Rosa Parks, cinquanta leader afroamericani, guidati dall’allora sconosciuto pastore protestante Martin Luther King e da L. Roy Bennett, presidente della Interdenominational Alliance, avviano la campagna di boicottaggio dei bus di Montgomery.

    Per 381 giorni, i pullman della città restano immobili, come impietriti.

    Vengono stampati 35mila volantini solo a Montgomery, e la protesta dei neri d’America esplode in tutto il Paese.

    Stiamo… chiedendo a ogni negro di restare fuori dagli autobus lunedì per protestare contro l’arresto e il processo… Puoi permetterti di restare fuori dalla scuola per un giorno. Se lavori, prendi un taxi o cammina. Ma per favore, bambini e adulti, lunedì non prendete affatto l’autobus. Per favore, rimani fuori dagli autobus lunedì.

    Martin Luther King, con la scusa di aver superato con l’auto il limite di velocità consentito, viene arrestato e rilasciato circa un paio d’ore dopo.

    Per King, quella di Rosa Parks è l’espressione individuale di una bramosia infinita di dignità umana e libertà, perché la giovane donna rimane seduta a quel posto in nome dei soprusi accumulati giorno dopo giorno e della sconfinata aspirazione delle generazioni future.

    Nel 1956 il caso di Rosa Parks giunge alla Corte Suprema degli Stati Uniti.

    Dopo la sua storica sentenza la segregazione sui pullman pubblici dell’Alabama diviene incostituzionale.

    Ci sono gesti nella vita delle persone che segnano uno spartiacque nella storia di un popolo. E gli atti di Claudette e Rosa rappresentano un punto fermo nel lungo e travagliato cammino della difesa dei diritti civili dei neri. Il loro rifiuto di omologarsi alle leggi imposte dai bianchi divenne subito Storia.

    Il libro e il film descrivono il sogno e la ragione di quello che il poeta e scrittore nero LeRoi Jones, diventato poi Amiri Baraka, definisce in un cult book Il popolo del blues.

    Il sogno è quello dei neri d’America di volersi liberare dalle catene della schiavitù, dal razzismo, dalla discriminazione, dalla repressione e dalla violenza degli apparati dello Stato.

    La ragione è quella messa in campo da una parte del popolo americano nero e bianco, attraverso la protesta, a volte pacifica, come nel caso delle marce del Reverendo Martin Luther King, di John Lewis and The Big Six, altre volte, portata avanti con ogni mezzo necessario per dirla alla Malcom X.

    Il racconto prende avvio dagli anni della schiavitù e si spinge fino alle manifestazioni (in America e in tutto il mondo) del movimento Black Lives Matter, nato in seguito all’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte di alcuni poliziotti di Minneapolis.

    Si dipana dall’era del Ku Klux Klan e dei linciaggi pubblici dei neri, al primo conflitto razziale del 1935 ad Harlem, agli atti di disobbedienza di Claudette Colvin e Rosa Parks, al raduno di Washington del 1963, alla repressione di Birmingham, alla rivolta di Filadelfia del 1964, alle tre marce da Selma a Montgomery del 1965, ai fatti di Watts del 1965, all’insurrezione di Detroit del 1967, alla guerra civile sfiorata in seguito all’uccisione di Martin Luther King nel 1968, alla morte di Bob Kennedy del 1968, alle sommosse della Kitty Hawk del 1972, Miami del 1980, Los Angeles del 1992, Saint Petersburg del 1997, Cincinnati del 2001, Ferguson del 2014, Baltimora del 2015. E seguendo il filo rosso di questi avvenimenti si sofferma su alcune delle figure, ormai leggendarie, che ne furono protagoniste: Sojourner Truth, Hariett Tubman, Claudette Colvin, Rosa Parks, Martin Luther King, John Lewis and The Big Six, A. Philip Randolph, Bob Kennedy, Malcom X, Angela Davis.

    Oltre quattrocento anni di schiavismo, razzismo, xenofobia, e almeno un secolo di storia dei movimenti di protesta che si battono per i diritti civili e che stanno influenzando gli assetti della politica americana e non solo.

    Un libro e un film di Storia e di memoria viva.

    ¹XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America.

    ²Rosa Parks, My story, Puffin Books, Reprint Edition 1999.

    ³Rosa Parks, intervista alla National Pubblic Radio (NPR), 1992.

    GLI ANNI DELLA SCHIAVITÙ

    Non c’eravamo quando George Washington ha attraversato il fiume Delaware, eppure il dipinto di Emanuel Gottlieb Leutze significa molto per noi. Non c’eravamo quando Woodrow Wilson ci ha fatto entrare nella Prima guerra mondiale, eppure stiamo ancora pagando le pensioni di guerra. Se il genio di Thomas Jefferson è importante, deve esserlo anche il suo possesso del corpo di Sally Hemings. Se George Washington che attraversa il Delaware è importante, deve esserlo anche il suo implacabile inseguimento della schiava fuggiasca Oney Judge. Nel 1909 il presidente William Howard Taft dichiarò di fronte alla nazione che i cittadini bianchi del Sud intelligenti erano pronti a considerare i neri come membri utili della comunità. Una settimana dopo Joseph Gordon, un nero, fu linciato alle porte di Greenwood, Mississippi. L’era dei linciaggi quotidiani è lontana, ma il ricordo di coloro che sono stati depredati della loro stessa vita sopravvive negli effetti persistenti di quelle violenze.

    Ta-Nehisi Coates, Un conto ancora aperto

    Accade un anno e tre mesi prima dell’arrivo dei Pilgrim Fathers, (21 novembre 1620), alla Roccia di Plymouth, nel Massachusetts, quando prende forma il mito fondativo di quelli che solo tempo dopo si chiameranno Stati Uniti d’America.

    La Mayflower non è ancora salpata con a bordo il gruppo di Padri Pellegrini.

    Nel 1619, la nave di schiavi portoghese São João Bautista lascia il porto di São Paulo de Luanda, un avamposto militare portoghese nell’Africa centro-occidentale, nell’attuale Angola, e salpa verso Veracruz, nella Nuova Spagna (il Messico).

    Il capitano Manuel Mendes da Cunha porta con sé 350 schiavi africani, 200 dei quali imbarcati su licenza (asiento), detenuta da investitori a Siviglia per venderli in Nuova Spagna.

    Manuel Mendes da Cunha raggiunge Veracruz il 30 agosto 1619.

    Consegna però solo 147 africani, inclusi, secondo i registri spagnoli, 24 ragazzi neri venduti in Giamaica.

    Gli stessi registri confermano che Manuel Mendes da Cunha, durante il viaggio, viene assalito da navi corsare al largo della costa di Campeche (lungo l’attuale costa del Golfo del Messico).

    Una di quelle imbarcazioni pirata è inglese con lettere di corsa olandesi di marca ottenute da Maurice, principe d’Orange.

    Si chiama White Lion ed è comandata da John Colyn Jope.

    In mare, durante la rapina ai danni della São João Bautista, incrocia l’ammiraglia Treasure di proprietà di Robert Rich, II conte di Warwick, guidata del capitano Daniel Elfrith.

    La White Lion attracca a Point Comfort sul James River (oggi Fort Monroe National Monument, ad Hampton), e poi raggiunge Jamestown, il borgo di poche centinaia di anime della Virginia, prima colonia inglese in Nordamerica.

    Quattro giorni dopo viene raggiunta dalla Treasure.

    Le due navi si caricano quindici uomini e diciassette donne, tutti africani, sottratti in mare proprio al commerciante di schiavi portoghese Manuel Mendes da Cunha.

    Sono però solo una parte del gruppo: durante il percorso era morta circa la metà degli africani, proprio come milioni di neri perderanno la vita durante il cosiddetto Passaggio Intermedio o Passaggio di mezzo, tra il 1619 e il 1865.

    Siamo nel Middle Passage, quel tratto intermedio del viaggio che le navi compiono dopo essere partite dai porti olandesi, portoghesi e inglesi con merce di scambio per l’acquisto degli schiavi da traghettare nelle Americhe, il punto esatto da dove le navi ripartono rigonfie di materie prime e tornano in Europa.

    Il viaggio degli schiavi inizia nell’interno dell’Africa dove gli intermediari negrieri catturano o acquistano gli indigeni da rapitori o monarchi.

    Sulla costa vengono poi detenuti in fortezze o barracoons (baracche), dove sostano in attesa delle navi per la lunga traversata.

    Il capitano della White Lion John Colyn Jope getta l’ancora a Point Comfort e baratta subito il suo bottino umano in cambio di cibo, come conferma John Rolfe, segretario della colonia della Virginia, in una missiva inviata a Sir Edwin Sandys, tesoriere della Virginia Company of London.

    Verso la fine di agosto 1619, una nave arrivò a Point Comfort. Il comandante era John Colyn Jope, il suo pilota per le Indie occidentali era un certo Mr Marmaduke, un inglese. Non portò altro che venti strani negri che il governatore comprò in cambio di vettovaglie (di cui aveva grande bisogno), alla migliore e più facile tariffa che si poteva ottenere¹.

    Già nel 1501, Portogallo e Spagna erigono le loro colonie in Brasile e Uruguay attraverso il lavoro degli schiavi.

    Li seguono a breve distanza Gran Bretagna (1550), Francia (1570), Paesi Bassi (1590).

    Nel 1502, i conquistadores spagnoli trasportano schiavi africani nell’isola caraibica di Hispaniola (oggi condivisa tra Haiti e la Repubblica Dominicana), in Florida e in Carolina, ma l’agosto 1619 segna l’avvio dell’istituzionalizzazione della schiavitù africana.

    Nel 1620, 520.000 uomini, donne e bambini africani vengono venduti come schiavi da parecchie nazioni europee.

    Quelli sbarcati dalla White Lion sono i primi africani venduti e registrati come schiavi nelle colonie britanniche d’America, e il loro arrivo segna l’inizio di un capitolo orribile della storia degli Stati Uniti: almeno 250 anni di traffici di milioni di esseri umani, seguiti da un lungo periodo di segregazione.

    Tra le righe dei primi documenti del censimento della Virginia gli africani non sono elencati per nome, ma classificati in base alla loro razza: vengono annotati con scrupolo lineamenti del volto e del corpo, comportamenti come nettamente diversi da quelli dei coloni.

    Questa distinzione marcata segna l’inizio di una casta razziale, formalizzata in Virginia nella legge del 1650: i figli delle donne africane ereditano lo status di persona sottomessa e vengono ridotti in schiavitù alla nascita, indipendentemente dall’identità del padre.

    In sostanza, la schiavitù diventa condizione ereditaria permanente.

    Nel 1705, ogni ambiguità viene chiarita da alcune leggi sull’integrità razziale che istituzionalizzano nei fatti la supremazia bianca.

    Perfino la Dichiarazione d’Indipendenza dalla Gran Bretagna del 1776 non estende quei diritti agli africani o agli afroamericani.

    Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori della nuova nazione, rimuove dalla Carta la denuncia della schiavitù nonostante il parere contrario dei delegati dell’Assemblea costituente convinti che i neri rappresentino il cuore dell’economia americana.

    Sono gli anni in cui gli schiavi costituiscono già oltre il 50% della popolazione e il loro lavoro alimenta la coltivazione del tabacco in Virginia, Maryland e Carolina del Nord, e di buona parte delle piantagioni di riso e cotone.

    Ecco perché nel 1861 gli Stati del Sud si dichiarano indipendenti da quelli del Nord impegnati nell’abolizione della schiavitù.

    La sconfitta sudista nella guerra civile di secessione (1861-1865), e la lenta ma progressiva emancipazione dei neri non elimina lo sfruttamento del lavoro degli afroamericani, anzi apre la strada alla segregazione attraverso le cosiddette leggi Jim Crow: ai neri viene proibito di bere dalle stesse fontane d’acqua utilizzate dai bianchi, di mangiare negli stessi ristoranti, di frequentare le loro scuole.

    Per i neri non ci sono forme di parità per oltre un secolo.

    Gli afroamericani vengono esclusi dai posti di lavoro nel Sud, mentre il Nord accende i motori dell’economia.

    Dopo la Prima guerra mondiale oltre 2 milioni di neri abbandonano il Sud in cerca di fortuna, ma, giunti a destinazione, il più progredito Nord non migliora le loro condizioni di vita: i neri devono rispettare un coprifuoco, rientrando dopo il tramonto nei quartieri-ghetto dove sono costretti a vivere, tipo Harlem a New York e Watts a Los Angeles.

    Dallo sbarco delle navi White Lion e Treasure in Virginia sono passati oltre 400 anni e questa terribile ingiustizia non è ancora terminata. Che fare?

    Ta-Nehisi Coates nel suo bellissimo libro The Case for Reparations (Un conto ancora aperto, Codice Edizioni 2016), propone il risarcimento dei debiti di 250 anni di schiavitù.

    Del resto, sono molte le cause legali andate a buon fine nella storia americana.

    Nel 1783 la schiava liberata Belinda Royall presentò allo Stato del Massachusetts una domanda di risarcimento. Belinda era nata nell’attuale Ghana, e da bambina fu rapita e venduta come schiava. Affrontò il Passaggio Intermedio e cinquant’anni di schiavitù in mano a Isaac Royall e suo figlio. Quest’ultimo, però, un lealista britannico, fuggì dal Paese durante la guerra d’indipendenza americana. Belinda, tornata libera dopo mezzo secolo di fatiche, rivolse questa supplica alla nascente assemblea legislativa del Massachusetts: Il volto di chi si rivolge a Voi è oggi segnato dai solchi del tempo, il corpo piegato da anni di oppressione, eppure in base alla Legge della Terra a lei è negato anche un solo boccone di quell’immensa ricchezza che in parte è stata accumulata grazie alla sua operosità, e nell’insieme accresciuta dalla sua schiavitù. Ragion per cui costei vi supplica… affinché a ricompensa della Virtù e in giusto riconoscimento dell’onesta operosità, tale somma le venga concessa. A Belinda Royall fu garantita una pensione di 15 pound e 12 scellini, una somma attinta dalle rendite del patrimonio fondiario di Isaac Royall: fu una

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