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Racconti di Vita
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E-book196 pagine2 ore

Racconti di Vita

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Info su questo ebook

Una raccolta di racconti a quattro mani. Cinque sono il frutto di Veronica Sgrulloni e dodici di Gian Paolo Marcolongo. Quelli al femminile sono erotici, visti da una donna, quelli al maschile descrivono i conflitti uomo-donna.
La raccolta inizia con Asia di Veronica Sgrulloni. Un racconto lungo, dove la protagonista, Asia, vive un fine settimana all'insegna del sesso insieme a un vecchio amore. Il racconto seguente, Mario, opera di Gian Paolo Marcolongo, narra il tradimento virtuale del protagonista, che si è lasciato invischiare in una relazione sul web con Antonella. Tuttavia la storia finisce male e Mario si pente di avere tradito la moglie.

LinguaItaliano
Data di uscita28 gen 2017
ISBN9781370287611
Racconti di Vita
Autore

Gian Paolo Marcolongo

Un giovane vecchio con la passione di scrivere. Amante delle letture cerca di trasmettere le proprie sensazioni con le parole. Laureato in Ingegneria. In pensione da qualche anno, ha riscoperto, dopo gli anni della gioventù, il gusto di scrivere poesie e racconti.Non ha pubblicato nulla con case editrici ma solo sulla piattaforma digitale di Smashwords e su quella di Lulu.

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    Anteprima del libro

    Racconti di Vita - Gian Paolo Marcolongo

    Asia

    Immagine10

    «Ciao».

    Una voce familiare era riapparsa dall’oscurità del tempo. Rimasi interdetta. Non ricordavo nemmeno più il suo viso.

    «Ci sei Asia?» continuò imperterrito quel tono vagamente pieno di ricordi.

    «Sì» risposi laconica, stringendo le gambe. Sentì bagnarmi gli slip. Imprecai mentalmente. Quel fantasma doveva materializzarsi proprio oggi? pensai con rammarico. Avevo appena litigato con Diego, che era uscito di casa furibondo. Un tempismo perfetto.

    «Di poche parole, signorina» fece quella voce calda. Mi innervosiva quando mi diceva ‘signorina’ ma non potevo farci nulla. Era il suo modo di chiamarmi, di prendermi in giro.

    «Sì» risposi, corrugando la fronte. «Oggi non è giornata per parlare».

    «Perfetto». Sentì la sua risata, che conoscevo bene. «Venerdì mattina passo a prenderti alle dieci. Prepara la valigia. Ho per te un week end da sogno».

    Guardai il display incuriosita e sorpresa. Non poteva sapere che Diego se ne fosse andato, dicendo che non sarebbe tornato. Non era la prima volta ma avevamo fatto sempre pace qualche giorno dopo. Guardai il calendario appeso alla parete della stanza. Mercoledì. Venerdì era dopo due giorni. Bene mi dissi. Quando torna, trova la casa vuota.

    «A venerdì» e udì il tono di libero.

    Non ebbi il tempo di dire nulla. Lui era fatto così. Decideva e basta. Io accettavo e basta. Però ero felice e le mutandine erano il muto segnale. Adesso dovevo pensare a venerdì. Cosa portare con me.

    Mi sedetti in poltrona. Avevo la necessità di fare sesso, di sfogarmi tra le braccia di un uomo. L’invito arrivava a puntino. Solo che dovevo aspettare due giorni. Avvertì che la vagina voleva coccole ma non c’era nessuno. Così ci pensai io. Devo passare dal sexy shop pensai, mentre con due dita massaggiavo con cura il clitoride. Mi servirebbe un toy in questi casi.

    Ultimamente Diego era strano. Come se avesse un’amante. Da sei anni vivevamo in questa casa. Da un anno nicchiava a fare all’amore. Dovevo sollecitarlo e talvolta mi girava la schiena. Lo amavo, perché lo ritenevo l’uomo giusto per me. Sempre cortese e attento. Però ultimamente era distratto.

    Emisi un gemito che spaventò il gatto, che si rifugiò sotto il divano. Risi. Oggi ero riuscita a svegliarlo. Rimisi gli slip a posto e abbassai la gonna. Mi dovevo preparare per uscire. Mi aspettavano in centro per l’aperitivo.

    Arrivai al solito bar, dove Diana e Alba si sbracciavano per richiamare la mia attenzione.

    «Ciao» dicemmo in coro, abbracciandoci.

    «Solito?»

    «Solito» risposi.

    Diana si avvicinò e mi sussurrò qualcosa.

    «Davvero?» dissi sorpresa.

    «Sì, fresca, fresca. Me l’ha detta Sergio, l’avvocato».

    Adesso capivo il senso della telefonata. Questo mi destò qualche pensiero cattivo. Mi ha preso per la ruota di scorta? pensai, senza dire nulla. Avevo tempo due giorni per decidere.

    Rientrata a casa, la trovai desolatamente vuota. Diego non era tornato. Passai la notte a fare zapping sulla TV ma avevo bisogno di sesso. Quello vero. Non il surrogato delle mani. Ero quasi tentata di telefonare a qualcuno ma mi imposi di essere responsabile. In mattinata non ero passato dal sexy shop. Forse mi sarebbe servito.

    Nemmeno il giorno dopo Diego si fece vivo. Decisi che avrei accettato quell’invito. Alla sera preparai il trolley con quello che mi sarebbe servito per il fine settimana. Quella notte ebbi degli incubi. Stavo assistendo Diego che faceva sesso con un uomo. Mi svegliai e toccai il suo posto era freddo. Provai a dormire senza troppo successo. Adesso il pensiero era la mattina alle dieci.

    Il venerdì mattina ero sola in casa e mi trascinavo con il mio pigiamone rosa da una stanza all’altra, tenendo stretta tra le mani una tazza calda di tè. Scansai la tendina bianca dal vetro e un raggio di sole mi accarezzò il viso. Sorrisi, mentre sorseggiavo la mia bevanda, avvertendo che il mio corpo si scaldava nonostante quel freddo gennaio.

    Tutto era pronto. Trolley e vestito da indossare per il viaggio. Era un abito corto, che valorizzava le mie gambe. Però ero ancora incerta tra rinunciare e accettare.

    Posai la tazza sul pianale della cucina. Il gatto, che era raggomitolato lì, sobbalzò per il rumore e, stiracchiandosi con voluttà, si avvicinò alla mia mano, lasciandosi accarezzare. Tirò su la coda e l’arricciò intorno al mio polso.

    Diedi un occhiata all’orologio. Ale mi aveva detto che sarebbe arrivato per le dieci. Adesso erano le nove e trenta. Era tempo di muoversi se volevo essere pronta.

    Mi diressi verso il bagno per prepararmi. In tutta fretta afferrai gli indumenti piegati sulla sedia, posizionandomi davanti allo specchio. Indossai il vestito azzurro, facendo fatica a tirare su la chiusura lampo. Mi tremavano le mani per l’emozione. Era la prima volta che tradivo Diego. Misi gli orecchini e mi feci una coda veloce. Andai in camera a infilare le scarpe rosso lacca. Tacchi vertiginosi. Era pronta. Il trucco non mi serviva. Bastava acqua e sapone per valorizzare il mio viso. Sbirciai l’orologio digitale che segnava le dieci. Giusto il tempo di prendere il trolley e dirigermi verso la porta di casa.

    Il telefono squillò. Ale era arrivato. Era il segnale convenuto. Avevamo fatto sempre così durante la nostra burrascosa relazione. E lui non se ne era scordato.

    Scesi le scale, attenta a non cadere. Quei tacchi mi davano le vertigini. Aperto il portone, lui era lì con la sua Porsche nera e la cappotta alzata. Accennò un sorrisetto malizioso. Arrossì per la vergogna. Forse qualcuno dalla finestra stava sbirciando, chiedendosi chi era quell’uomo. Scrollai le spalle. Ormai il dado era tratto e non dovevo pentirmi. Scese per aprirmi la portiera. Prese il trolley che infilò nel portabagagli.

    Ci sa proprio fare il ragazzo pensai, salendo in macchina. Non ha perso il vizio. Sorrisi. Era come lo ricordavo.

    «Buongiorno Asia» esclamò, sedendosi al posto di guida.

    Azionò il comando di chiusura della cappotta, che si abbassò lentamente, chiudendosi.

    «Oggi e per tre giorni sarai mia» fece Ale, fissandomi. «Solo mia».

    Avevo il viso paonazzo per l’emozione e per i sensi di colpa del tradimento, mentre un debole sorriso increspò le mie labbra, appena disegnate con un filo di rossetto rosso. Due minuscole fossette apparvero sulle mie guance. Non sapendo che fare, imbarazzata spostai la frangia di lato con la mano.

    Ale avviò il motore. Il rombo risuonò per la via. Era cominciato il nostro viaggio verso una destinazione sconosciuta ma qualunque posto sarebbe andato bene per me.

    Mentre la macchina viaggiava sull’autostrada, il silenzio faceva da cornice ai nostri sguardi. Ale passò la mano dal cambio alla mia gamba. La sfiorò con un tocco dolce. Un brivido si fece strada sulla mia schiena.

    Ale rise, avvertendo che mi ero irrigidita. Avevo stretto le gambe. Era stato un riflesso incondizionato, perché in realtà mi aveva provocato una forte emozione.

    «Non fare così» fece Ale con aria divertita, senza smettere di accarezzarmi il ginocchio. «Rilassati. Conosco bene il tuo corpo e so dove toccarti per farti sorridere e arrossire».

    Aveva ragione. Aveva avuto modo di conoscermi a fondo ma anche io conoscevo i suoi punti deboli.

    «Ale» dissi, guardandolo con l’occhio languido. «Sai che mi è difficile lasciarmi andare. Mi conosci da tempo e sai quanto ci metto!»

    «Asia» fece Ale, rimettendo la mano sul volante. «Asia, tu mi farai impazzire».

    Una risata complice chiuse il dialogo, mentre il viaggio proseguiva verso una meta ignota. Le montagne apparvero alla nostra destra con le cime innevate. Un bel sole scaldava la giornata. Tutto procedeva tranquillo.

    La mia mano si posò sulla sua, mentre nella radio echeggiò la nostra canzone.

    Alzai il volume e adagiai la mia testa sulla sua spalla.

    «La ricordi?» mi chiese Ale.

    «Come potrei dimenticarla?» sospirai rapita da quelle melodie.

    Ale mi strinse forte la mano, portandola verso la sua bocca. Sfiorò la mia pelle con le sue labbra.

    Oh! Quelle labbra che mi fanno impazzire pensai, mentre avvertì qualcosa nello stomaco e tra le gambe, sempre strette.

    Erano grandi e carnose quanto basta per perdercisi dentro. Mi incantai nell’osservarlo. Era così bello. Quella carnagione dorata da fare invidia. Quei capelli neri curati e quel pizzetto. Era adorabile e me lo mangiavo con lo sguardo. Quelle mani morbide che sapevano donarmi istanti di piacere. Quegli occhi neri ardenti, dove annegavo guardandoli. Vestito in modo impeccabile con la camicia perfettamente stirata senza un filo fuori posto.

    Rimasi incantata a osservarlo a bocca aperta come una bambina davanti a un negozio di giocattoli.

    «Tutto bene piccola?» spezzò Ale l’incantesimo del mio sguardo, mentre io con rapidità tornai a osservare il finestrino.

    «Tutto bene, amore» risposi con un filo di voce. Amore? pensai appena avevo pronunciato questa parola. Ma cosa ho detto? O santo cielo. Sentì le guance diventare rosse per l’emozione. Il mio corpo si scaldò subito. Mi sistemai meglio sul sedile, che mi apparve scomodo.

    Ale si girò di scatto al sentir pronunciare quella parola e mi guardò, chinando leggermente il capo di lato.

    «Amore!» disse con un sorriso soddisfatto. «Si, mi piace!»

    Mi ero messa in trappola da sola. La sua mano tornò sulla mia coscia. Non reagì chiudendo le gambe ma le allargai quel tanto per consentirgli si risalire all’interno. Avevo avuto l’accortezza di mettere delle autoreggenti, perché prevedevo che avrebbe esplorato il mio cespuglio. Coi collant sarebbe stato tutto più complicato. La sentì proseguire sempre più su, fino a incontrare i miei slip di pizzo. Le dita scivolarono fino al bordo, dove spuntavano soffici peli per poi scendere di nuovo verso il basso. I suoi occhi incontrarono i miei, che d’istinto si abbassarono. Ale insistette, passando più volte le dita in su e in giù con un movimento morbido. Mi sentì bagnare a quel contatto, mentre trassi un profondo respiro.

    «Il resto dopo» mi sussurrò, avvicinando le sue labbra al mio orecchio.

    Avrei voluto che continuasse ma si concentrò sulla guida, lasciandomi col desiderio insoddisfatto.

    Dopo poco parcheggiammo in un grande piazzale dal fondo ghiaioso. Dietro l’hotel faceva da sfondo un lago dall’acqua cristallina. Ale mi guardò con occhi maliziosi.

    «Eccoci arrivati tesoro» sorrise divertito nel vedere lo stupore dipinto sul mio viso.

    Lo guardai e poi osservai cosa mi stava attorno. Un lago contornato dal bosco e dalle montagne. Un edificio dalla facciata antica e contornato da un giardino ben curato. Un posto da favola, come quelli che si vedevano nelle soap televisive. Ero incantata senza parole.

    Il motore borbottò. Ale lo spense, prima di venire dalla mia parte per farmi scendere. Mi porse la mano per aiutarmi. Posati i piedi sul ghiaino, traballai pericolosamente su quei tacchi troppo alti per me. Rischiavo di cadere a ogni passo. Per fortuna mi teneva per mano.

    «Oh! Asia» fece Ale, scoppiando in una fragorosa risata. «Sei così buffa!»

    Sbuffai stizzita. Avevo capito di avere sbagliato scarpe, del tutto inadatte a quel terreno. Ne avevo con me di più comode ma di certo non potevo toglierle dal trolley per indossarle. Feci altri passi traballanti. Quel terreno infido minacciava di farmi ruzzolare a terra, mentre camminavo. Ale comprese che non ce l’avrei fatta ad arrivare all’ingresso e mi prese tra le sue braccia, salvandomi da una figuraccia.

    «Vieni ti accompagno io». Mi sollevò come se fossi un fuscello.

    Adagiai la mia testa sul suo torace e mi lasciai avvolgere dalla sue possenti braccia. Fatte le scale di accesso, davanti alla porta a vetri mi posò per terra. Mi rassettai il vestito e gli presi la mano per entrare. Se la facciata dava l’impressione di un vecchio albergo, l’interno era sconvolgente per come si presentava. La hall era lussuosa ma le parole non rendevano giustizia al suo splendore. Grandi divani in pelle occupavano la parte sinistra dell’ampia sala. Dal soffitto pendevano lampadari di cristallo, che brillavano. Il mobilio di mogano completava l’arredamento. Grandi piante erano disseminate in qua e in là. Un colpo d’occhio eccezionale. Il mio sguardo mostrava stupore, perché non avevo mai visto tanto lusso. Avevo frequentato per lo più alberghi dall’arredo dozzinale col personale vestito senza pretese ma anche quelli più decenti impallidivano rispetto a questo. Qui tutto era impeccabile: dagli arredi al personale nelle loro divise nere.

    Alla reception ci consegnarono le chiavi della stanza.

    «I bagagli sono in macchina» fece Ale con fare sicuro, prima di avviarsi verso le scale.

    Un ragazzo prese le chiavi dell’auto e disse: «Saranno in camera tra cinque minuti, signore».

    Era tutto così stranamente formale ma degno di hotel di livello superiore. Io non ero abituata a questo, avvertendo una sensazione di inadeguatezza. Ale invece non mostrava segni di stupore. Sembrava che per lui fosse normale frequentare posti come questo.

    Non prendemmo l’ascensore, perché la stanza prenotata era al primo piano. Ale non mi lasciava la mano per un secondo, mentre salivamo per le scale. La nostra camera era l’ultima di un lungo corridoio, posta sull’angolo dell’hotel.

    Spalancata la porta, offrì una vista stupenda e un odore di nuovo, di pulito. Profumo di cannella nell’aria. Su un lato c’era il camino acceso con fiamme scoppiettanti. Di fronte il letto a baldacchino

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