Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La casa nel bosco
La casa nel bosco
La casa nel bosco
E-book223 pagine3 ore

La casa nel bosco

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Quale potrebbe essere l'incubo peggiore per uno scrittore? Che i suoi personaggi prendano vita cominciando a portarlo sull'orlo della pazzia. Cosa si può trovare in un vecchio cimitero? Sicuramente il passato, ma se questo è il nostro passato di cui eravamo all'oscuro? Carlo e Maria, nella loro storia niente succede per caso o per fatalità.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2017
ISBN9788867826025
La casa nel bosco

Correlato a La casa nel bosco

Ebook correlati

Gialli per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La casa nel bosco

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La casa nel bosco - Luigi Squillante

    Tavola dei Contenuti (TOC)

    PREFAZIONE

    PROLOGO

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    22

    23

    24

    25

    26

    27

    28

    29

    30

    31

    32

    33

    34

    35

    36

    37

    38

    39

    40

    41

    42

    EPILOGO

    Appendice

    Luigi Squillante

    La casa nel bosco

    Editrice GDS

    Luigi Squillante

    La casa nel bosco

    Editrice GDS

    Via Pozzo 34

    20069 Vaprio D’Adda-Mi

    www.gdsedizioni.it

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Ogni riferimento descritto in questa opera a cose,

    luoghi, persone e altro sono da ritenersi del tutto casuali

    "Dedicato a mio fratello, ispiratore della storia.

    Lui vive in quei luoghi splendidi e misteriosi...

    Forse è in quei boschi che ci siamo persi di vista..."

    PREFAZIONE

    A cura di Katia Amadio

    Una ventata di aria fresca, un incontro, una coppia, Carlo e Maria. Un grande amore.

    Entriamo così, di pagina in pagina, nella vita di questa famiglia, intenta a far fronte ad un periodo stressante per lui, scrittore horror di successo: i personaggi dei suoi libri sembrano voler uscire dal testo, fronteggiandolo viso a viso e questo fa sorgere diverse domande nella mente di Carlo, confuso e impotente. Urge prendere provvedimenti e questa coppia, nella sua serenità e semplicità ci accompagnerà fra boschi e montagne, per conoscere paesaggi suggestivi e ambientazioni dimenticate da tempo, fra pagine che si fanno brio, spumeggianti di buona cucina, umorismo e voglia di vivere. Dietro le quinte, lontano dai loro occhi, una vita sconosciuta e parallela si annida, tessendo brame e progetti scabrosi ai loro danni.

    Sarà la voglia di scoprire la verità, di liberarsi di un passato che sembra opprimere ma saprà anche liberare, assieme al loro grande amore, a farci conoscere la strada per tornare a casa.

    Peccato che talvolta la verità sia la peggiore dannazione.

    Una donna che scoprirà parti di sé nascoste, un uomo che scoprirà quello che vale, quello che valgono insieme. Contro tutto, contro tutti, dove ciò che sembra sarà più forte di ciò che è e ogni passaggio si farà scoperta.

    Un romanzo per sorridere, un romanzo da gustare e da attraversare, con uno stile semplice e giocoso, in una ritmica che si fa tensione e colpi di scena inaspettati.

    Un romanzo che si fa promessa. Per una vita che valga la pena di essere vissuta. Appieno.

    PROLOGO

    Si conobbero in una splendida mattina di primavera a Porta Palazzo, una grande piazza mercato che fa da spartiacque tra la Torino bene e quella operaia. Ci si può trovare la signora in pelliccia di visone e il barbone che vive alla giornata, rovistando tra le cassette in cerca di avanzi di frutta e verdura: un mercato vivo, pieno di gente e di energia.

    Carlo, da poco laureato, vi girovagava serenamente, circondato dai banchi pieni di mercanzia. Gli piaceva trascorrere di tanto in tanto parte del suo tempo tra gli stretti vicoli formati dalle bancarelle, dal contatto con la gente e il vociare continuo dei passanti o le grida degli imbonitori che descrivevano esaltando la propria mercanzia mentre i dialetti e le lingue più disparate si mescolavano, incuriosendolo e affascinandolo. Non aveva un lavoro fisso e non era certo un benestante: dalla sua aveva tanta buona volontà e molta fiducia in se stesso, convinto che sarebbe riuscito ad emergere prima o poi: sarebbe certo diventato un grande scrittore. Per lui osservare la gente era fondamentale e spesso riportava nei suoi scritti gli atteggiamenti, le pose, e gli alterchi di cui era spettatore.

    Lei, quella che cambiò la sua vita, gli apparve in maniera inaspettata e del tutto casuale: era intento ad osservare una disputa tra una massaia ed un mercante di banane, ambedue marocchini, mentre si scambiavano parole incomprensibili ma sicuramente molto minacciose: la massaia a volto scoperto senza nessun velo a coprirgli il capo, teneva testa al mercante senza indietreggiare; lui, probabilmente poco abituato a farsi redarguire da una donna, oltretutto della sua razza, rispondeva a tono, pur sembrando un poco intimorito e con poche difese. Quando la discussione cominciò a scemare con la resa dell'uomo dietro il banco, Carlo si girò per riprendere la sua passeggiata. La distrazione e la goffaggine erano una sua prerogativa. Una ragazza minuta con alcune borse tra le mani gli si parò davanti d’un tratto. Sarebbe forse riuscito a scansarla ma gli occhi di lei lo rapirono paralizzandolo.

    Maria, una figura semplice ma di pura bellezza, era una ragazza figlia della Torino bene, figlia unica di una famiglia ricca e molto influente. Il padre era morto alcuni anni addietro e lei, appena laureata viveva il presente con noncuranza e nessuna ansia per il suo futuro. Come regalo di laurea la madre gli aveva promesso un giro intorno al mondo. Al suo ritorno, con molta calma sarebbe entrata a far parte nel consiglio amministrativo nell'azienda fondata dal padre molti anni prima. Anche lei in quel mattino era stata attratta da quel guazzabuglio a cielo aperto che era Porta Palazzo. L'aria frizzante della primavera, condita da profumi di spezie e dall'alternanza dei colori dei prodotti esposti, riusciva a rapirla sempre in maniera diversa.

    L'incontro scontro tra i due in realtà, fu piuttosto violento: Maria con la fronte colpì il naso di Carlo. Lui accusò il colpo ma il suo petto robusto resistette all'impatto e lei rimbalzò indietro, cadendo seduta sul selciato, con un’espressione più stupita che di dolore. Le borse della spesa invece si ruppero seminando il loro contenuto in tutte le direzioni allestendo una simpatica vignetta umoristica: Carlo istintivamente si mise una mano sul naso dolorante e il pizzicore lo fece starnutire violentemente. Maria, seduta per terra, lo guardava sorridendo, divertita; il marocchino, fino a poco prima in balia delle angherie, ora si trasformava in carnefice, ridendo in modo sguaiato e mostrando senza vergogna i pochi denti gialli rimastegli in bocca. Rideva e lo indicava con il dito indice. Lui si riprese e lo fulminò con lo sguardo senza ottenere risultato. Rivolse così la sua attenzione alla ragazza e gli tese una mano facendo un passo avanti mentre un pomodoro rosso maturo finiva sotto il suo piede. Il frutto compresso dal suo peso esplose schizzando di rosso la camicetta di Maria.

    Il marocchino, intento a fissare la scena, si sganasciava dalle risate con il rischio di slogarsi la mandibola. Carlo diventò rosso, come il pomodoro.

    Maria che sembrava vittima di un agguato mafioso eseguito con un fucile a pallettoni, si guardò il florido petto e poi guardò lui. Si passo poi una mano sui punti rossi peggiorando la situazione. Per niente arrabbiata guardò la mano e riprese a ridere. Lui rifece il tentativo di aiutarla ma lei, come per difendersi, alzò una mano per bloccarlo.

    Fermo, mi alzo da sola, non preoccuparti.

    Lui si bloccò e tentando di scusarsi, cercò parole che conosceva ma che non riusciva ad articolare.

    Io... Sai, non volevo. É che lui, io...

    Poi si passo una mano tra i capelli e rilasciò un lungo sospiro commentando:

    Che figura di merda che ho fatto. Perdonami.

    Lei a quella confessione poco elegante ma molto veritiera si lasciò andare ad una sonora risata. Il suo sorriso doveva essere l'interruttore dei suoi occhi perché cominciarono a brillare di felicità e di semplicità e Carlo, contagiato, cominciò a ridere con lei. Tornarono seri guardandosi come per studiarsi cercando di capire cosa fosse l'altro e cosa rappresentasse nell'universo. Lei ruppe il silenzio tendendogli la mano.

    Io sono Maria. Dai, aiutami a raccogliere la roba.

    Gli lasciò la mano e sorrise di nuovo accendendo nuovamente gli occhi.

    S'è possibile evita di pestare i pomodori, sono da condire, non per farci il sugo.

    Scusami ancora veramente, mi dispiace.

    Dai non preoccuparti. Recupera un paio di borse e poi aiutami.

    Carlo andò dal marocchino che ancora rideva senza ritegno. Questi gli diede un paio di borse rifiutando gli spiccioli che lui gli porgeva e gli disse con un forte accento nord Africano.

    Dovrei pagarti io per lo spettacolo.

    Carlo gli strappo le borse di mano e con un ghigno gli ricordò:

    "Anche il tuo spettacolo di prima non era male. La signora ti ha sistemato per le feste. Eh?

    La risata del marocchino si arrestò. Le grosse labbra si trasformarono in una linea sottile, uno sguardo truce e assassino accompagnò la schiena di Carlo.

    Alcune patate andarono perse insieme a diverse mele rotolate sotto i banchi vicini. Carlo si offrì di ricomprargliele ma lei rifiutò.

    Stai tranquillo. Non è un problema, davvero. Però per punizione mi porterai le borse fino alla macchina.

    Lui felice di poterle stare ancora accanto accettò di buon grado. Una volta arrivati alla macchina Carlo un po' impacciato ma con coraggio, gli domandò il numero di telefono per poterla invitare una sera a mangiare una pizza e Maria acconsentì.

    A dispetto della madre non andò più a fare il giro del mondo e Carlo pochi mesi dopo pubblicò il suo primo romanzo con un ottimo successo.

    Tra i due giovani nacque un amore puro è sincero senza ipocrisia.

    Due anni dopo si sposarono.

    1

    Aveva perso già molto tempo senza concludere niente. Girava per quei maledetti vicoli senza trovarla. Eppure secondo lo stradario e soprattutto secondo il suo navigatore doveva essere lì intorno, da qualche parte. Imprecò esasperato, forse rivolto a quello strumento di ultima generazione che non faceva il proprio dovere.

    "Dove sta quella cazzo di via? Non puoi dirmi: Cinque metri svolta a sinistra. E mi trovo uno scalino alto venti centimetri! Dove vuoi che vada?"

    Attese un attimo una risposta che naturalmente non arrivò e con un gesto di frustrazione, riprese la sua ricerca infruttuosa.

    In quell’ultimo periodo era un po’ stressato, bisognava ammetterlo. Carlo era un ottimo scrittore: aveva già pubblicato un paio di raccolte e due romanzi lunghi, collaborava con alcune importati testate di giornali curandone alcune rubriche, ottenendo un buon successo di pubblico e ottime recensioni. I critici erano tutti dalla sua parte; l'unico appunto che gli veniva rivolto era che i protagonisti dei suoi racconti a volte sembravano in possesso di un’anima e che aspirassero a fare il salto dalla realtà virtuale a quella reale. Da uno dei suoi racconti era stato tratto un film che riportava quasi totalmente quanto lui aveva scritto, dal titolo CACCIATORI NELLA NOTTE. Alla prima del film la sala si era subito riempita, tutti in trepida attesa della programmazione. Non tutti però riuscirono ad arrivare alla scena finale perché diversi andarono nei bagni per vomitare o abbandonarono letteralmente la sala. Il suo genere era difatti l'horror: non scriveva fiabe per bambini, anche se dalle fiabe, ad esser sinceri, qualche spunto lo prendeva: il lupo che assaliva le vecchiette, la vecchia megera che finiva nel forno, l'orco nel castello che mangiava i bambini, i genitori che perdevano i figli nei boschi. Sì, secondo lui le fiabe erano dei buoni spunti per grandi racconti. Era un suo segreto. Alle poche critiche lui rispondeva con i numeri delle copie vendute, sostenendo che era tutta fantasia e che era il lettore a dover decidere quanto accostare la fantasia alla realtà.

    Un altro punto a suo favore era il suo conto in banca che lievitava costantemente. Ma questa era una cosa molto personale.

    Viveva a Torino, grande città del nord Italia, a cui molti attribuivano più mistero di quel che meritava. L'unico mistero era come avesse fatto la città a perdere le migliaia di posti di lavoro: dal dopo guerra, fin quasi agli anni Ottanta, aveva fornito benessere e prosperità a migliaia di operai che, insieme alle loro famiglie, erano state chiamate dal sud dell'Italia a riempire le grandi fabbriche che sfornavano auto per tutto il paese. La città era diventata un grande dormitorio diviso in quartieri; i terroni intorno alla città, i torinesi al centro. Ci vollero anni ai nuovi arrivati per integrarsi: questo successe quando meridionali, veneti e torinesi trovarono altri su cui riversare la propria indignazione: gli extracomunitari arrivati da ogni dove.

    A risvegliare la città furono le olimpiadi invernali del 2006, dando un'illusione di reversibilità. Unica consolazione che segui a tutta la confusione fu che i Torinesi ripresero possesso dei luoghi degradati del centro e ai cittadini fu regalata una linea metropolitana piuttosto efficiente, anche se incompleta.

    Era da diverso tempo che Carlo non consegnava niente al suo editore; non che fosse a corto di idee, anzi: la sua mente era un vulcano in piena attività che eruttava lava incandescente sommergendo tutti i suoi pensieri. Non riusciva invece a concretizzare sulla carta quello che aveva in mente. Sulla carta no, ma durante il sonno viveva i suoi pensieri in prima persona: di notte, quando dormiva, i suoi sogni si trasformavano in incubi da cui si risvegliava madido di sudore mettendo in ansia anche la moglie Maria, che dormiva inquieta al suo fianco. Aveva pensato quindi di spostarsi nella camera degli ospiti, evitando di disturbarla, ma le insistenze della moglie lo convinsero a continuare a dormire con lei. A essere sinceri Carlo aveva un po’ paura a dormire da solo e il pensiero di risvegliarsi da uno dei suoi incubi, senza nessuno al suo fianco, lo terrorizzava.

    Paure che sapevano tormentarlo e che toccarono il culmine in un mattino qualsiasi, mentre era in centro città, alla ricerca di una via. Un vicolo sperduto che nessuno conosceva; percorreva una stretta via lentamente, alla ricerca di un nome: un poeta, uno statista, un eroe di chissà quale guerra, uno scienziato. Non aveva idea di chi o cosa potesse essere l'intestatario di quella maledetta via. Guardava a destra e a sinistra in ogni laterale che incrociava, mentre dietro di lui cominciava a formarsi una lunga coda con i conducenti parecchio innervositi dalla sua lenta andatura. La sua ricerca venne premiata allorché lo sguardo cadde all'interno dell'androne di un vecchio palazzo fatiscente. Sulla strada era pieno giorno, illuminata da uno splendido sole di fine agosto mentre quell’androne era oscurato da una larga vetrata che permetteva a fatica al sole di insinuarsi, timidamente. Sulla sommità di una scala si notavano delle grandi porte di legno spesse almeno dieci centimetri e quella grande vetrata che le anticipava mostrava i suoi anni, quasi impenetrabile ai raggi del sole anche per lo sporco del tempo e dal guano lasciato a seccare da generazioni di colombi. Incredulo, spalancò gli occhi.

    Era lui.

    Era proprio lui.

    Gladi.

    Lo fissò e mentre la sua mente cercava di rifiutare quella vista, il suo corpo ebbe un fremito.

    Era uno dei suoi personaggi più perversi, uno dei primi. Si era addirittura formato un fan club. Istintivamente pigiò con il piede il pedale del freno, schiacciandolo fino in fondo, disinteressandosi della frizione, inchiodando così la sua vettura: alle sue spalle cominciò un concerto di clacson, condito dalle più svariate imprecazioni e con il violento e osceno gesticolare del dito medio degli improvvisati direttori di orchestra che guidavano i veicoli dietro di lui.

    Carlo non sentì nulla, non vide nulla, all'infuori del suo personaggio. Gladi.

    Lo vide chiaro e lindo nel suo pallore, come lui lo descriveva: completamente calvo, senza né ciglia né sopracciglia, gli occhi grandi e in fuori, contornati da capillari più rossi del dovuto, un naso lungo e adunco come il becco di un rapace, i due denti incisivi lunghi e aguzzi, simili a quelli di un topo che sporgevano interrompendo la sottile linea viola delle labbra; sotto la bocca, si pronunciava un mento

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1