A shared dream (Floreale)
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Anteprima del libro
A shared dream (Floreale) - Ilaria Militello
(Legge 633/1941).
Capitolo 1
La sveglia suona insistente e allungo la mano per spegnerla. Sbuffando mi giro dall’altra parte. Non ho voglia di alzarmi ma non posso fare altrimenti. Devo andare a lavorare, non posso fare tardi.
Mi trascino in bagno mentre sento mia madre trafficare in cucina, l’odore di caffè arriva fino a me. Sorrido e mi preparo, in cucina vedo mia sorella Eleonora e mia madre intente a fare colazione. Prendo posto con loro che mi danno il buongiorno.
La poca voglia che avevo prima è svanita. Succede sempre quando mi siedo a tavola con loro, sono la mia carica per la giornata, la mia forza e di quella, credetemi, me ne serve tantissima.
Scendendo in strada, faccio un lungo respiro per poi salire in auto e gettarmi nel traffico mattutino di Seoul.
Accendo la radio perché la musica accompagni il mio viaggio e il mio abitacolo di riempie delle voci degli 9mmBullet, il mio gruppo di kpop preferito.
Alzo il volume e la mia giornata inizia.
Guido fino a Busan dove c’è la caffetteria in cui lavoro, si chiama CoffiItaly. Un posto tranquillo e affollato da studenti ma anche da molti idol che nelle ore serali cercano pace dall’assalto continuo dei fan.
Lavoro nella caffetteria dieci ore al giorno da ormai cinque anni, quando mi sono trasferita qua dall’Italia. I proprietari sono italiani, come si può intuire dal nome del locale e sono stati ben contenti di offrirmi un lavoro.
Non è di certo il massimo della mia aspirazione; sono venuta qua con ben altri sogni, ma quest’ultimi, alle volte, non si possono realizzare facilmente e, fin quando non arriverà il loro momento, sarò costretta ad arrangiarmi con altri lavoretti che mi permetteranno di sopravvivere. Sì, sopravvivere, perché solo quando realizzerò i miei sogni comincerò a vivere per davvero.
Raggiungo finalmente Busan e il parcheggio del locale, mi spiace spegnere lo stereo, voglio restare ancora in auto ad ascoltare un po' di musica, voglio ascoltare la sua voce. È così bella, mi invade la testa, mi fa perdere la ragione, ha un potere incredibile su di me. Mi basta chiudere gli occhi e lasciarmi andare, la musica mi entra dentro e inizio a muovermi.
È come una droga per me, amo ballare. Non posso vivere senza il ballo e la musica. Ci ho già provato e ho quasi rischiato la depressione, per chi poi? Per un demente con cui ho perso solo del tempo e la mia identità.
Ognuno di noi deve sentirsi libero di seguire i propri sogni, nessuno deve impedirlo, dobbiamo essere noi i soli padroni della nostra vita e non permettere agli altri di manipolarci. Io sono stata una stupida, mi sono lasciata plagiare a suo piacimento. Lui pensava che i miei sogni fossero stupidi, che si sogna solo quando si è bambini e ho messo da parte tutto. Ho tolto a me stessa una parte di me, di ciò che sono. Temevo di essere una delusione, volevo essere perfetta per lui, ma dentro mi sentivo morire. Mi sentivo sempre irrequieta e indossavo una maschera, un personaggio che recitava ogni singolo giorno solo per essere come lui voleva. Mi odiavo, avevo smesso di guardarmi allo specchio se non per vedere come ero vestita, ma non riuscivo più a fissare i miei occhi. Sorridevo con gli amici ma dentro piangevo. Ero bloccata in una vita che non era mia, che non sentivo. Alcune mattine mi svegliavo triste e angosciata, mi sentivo schiacciare da quella realtà che giorno dopo giorno mi stava facendo morire, ma ero brava a fingere, non mostravo nulla a nessuno, ma non puoi sfuggire a vita da ciò che sei, la tua natura cercherà sempre di prevalere su di te. Io sono nata per ballare, la danza fa parte di me, vedevo gli altri arrivare dove volevo arrivare io, realizzare i propri sogni e io ferma in una realtà che non era mia. Da piccola dissi a mia madre che non volevo fare una vita come tutti, diventare una moglie e lavorare per sopravvivere. Avere una vita monotona e priva di sogni, vivere per la casa e il marito… no, volevo girare il mondo e ballare, poi mi sono accorta che invece stavo finendo per vivere quel tipo di vita e così piombai in uno stato di desolazione e depressione. Avevo perso la voglia di fare tutto, l’unica cosa che mi avrebbe reso felice mi era stata portata via. Non riuscivo nemmeno più ad ascoltare la musica, non la trovavo più stimolante e non mi trasmetteva più alcuna voglia, poi un giorno grazie ad Eleonora tutto cambiò.
È stata lei a farmi ascoltare la prima canzone dei 9mmBullet. Mi sono sentita rinascere.
Ho sentito quella carica e quella forza che da tempo mi mancava. Ho seguito la musica e ho ripreso a ballare, nella sua stanza, senza nemmeno accorgermene. Ricordo ancora l’emozione che mi invase il corpo come un’onda. Quando mi sono fermata Eleonora mi fissava stupita e felice. Ho iniziato a piangere dalla commozione. In seguito ascoltai tutte le loro canzoni, guardai i video e divennero parte della mia vita. Non potevo più fare a meno della loro musica e della voce di Kevin. Ho ripreso a ballare e con la forza di volercela fare, senza permettere a nessuno di dirmi cosa avrei dovuto e non avrei dovuto fare, soprattutto a lui. Imparai che le sue parole potevano scivolarmi addosso, le sue prese in giro e i suoi insulti. Mi sentii libera e soprattutto me stessa. Se nessuno sa apprezzarti per come sei allora non ti ama: non si cambia quello che si ama, si apprezza anche con i difetti. Che poi quale difetto ho? Solo perché ho dei sogni che voglio realizzare? L’essere umano è fatto di sogni. Tutti noi, piccoli o grandi che siano, abbiamo dei desideri per cui vale la pena lottare.
Il mio è quello di trasferirmi in Corea del Sud, incontrare Kevin e diventare una ballerina.
Il primo sono riuscita a realizzarlo, il secondo lo trovo un po’ difficile, quasi impossibile, per quanto riguarda il terzo, invece, ci proverò con tutta me stessa.
Quando ho deciso di trasferirmi in Corea mia madre e mia sorella hanno scelto di seguirmi, non è stato difficile convincerle, Eleonora è subito stata d’accordo. Quella che temevo di dover pregare era mia madre, invece aveva bisogno di allontanarsi anche lei dalla nostra vecchia vita, dopo la morte di mio padre si era chiusa in casa e aveva smesso di fare ogni cosa, anche quello che amava: insegnare musica.
Non avrei mai potuto venire qui senza di loro, sono state le sole a restarmi accanto quando ho deciso che sarei stata la vera Erika.
Ho visto le mie amiche allontanarsi una dopo l’altra, ma non importa, questo mi ha fatto capire che non si trattava di una vera amicizia e la decisione di partire è stata immediata, non avevo nulla da perdere!
Dopo tre anni non mi sono ancora pentita della scelta, certo i primi tempi è stata dura, nonostante sapessi tanto della Corea, studiare la lingua non fu facile, viverla di persona è tutta un’altra cosa che ammirarla da lontano, ma ho tenuto duro e impegnandomi sono riuscita e integrarmi e fare di Seoul la mia nuova casa, la sola e unica. Amo vivere qui, nessuno potrebbe portarmi via, è come se fossi originaria di questo posto, il mio aspetto occidentale dice il contrario sì, ma il mio cuore e la mia anima sono coreane e lo sono sempre state, non m’importa cosa possono dire gli altri, ormai ho imparato a farmi scivolare addosso i commenti di chi parla per cattiveria o invidia.
Non permetterò più a nessuno di spegnere il mio sorriso.
Capitolo 2
Quando finalmente Siwoon chiude il locale tiro un sospiro di sollievo. Sono stanca e non vedo l’ora di andarmene a casa e mi aspetta ancora il viaggio da Busan fino a Seoul.
«Allora a domani», dice Siwoon con il sorriso. Annuisco e saluto lui e Ji-min, poi salgo in auto e accendo la musica. La voce dei ragazzi invade l’abitacolo e quando esco dal parcheggio sto già ballando e cantando sulle note della loro musica.
Attraverso la città senza nemmeno rendermene conto.
Busan, il cui nome è anche Pusan, è una città portuale, la più grande della Corea del Sud, la seconda città più popolata.
Il locale dove lavoro io è situato nell’area di Nampo-dong, dove assieme a Gwangbok-dong e Jungang-dong formano il vecchio distretto del business con uffici, caffè bar, negozi e ristoranti.
Busan ha ben sei spiagge ed è la meta turistica per eccellenza per le vacanze.
Da Seoul a Busan ci sono 394 km e sono quattro ore di auto, quindi dopo dieci ore di lavoro devo ancora farmi il viaggio di ritorno. È stancante, troppo, ma il più delle volte prendo il treno che ci mette anche un’ora in meno.
Arrivata a casa sono distrutta e mi resta poco tempo per me stessa, ma non rinuncio mai a ballare, non potrei più farlo e comunque prima di addormentarmi voglio ascoltare la sua voce, quella di Kevin.
Quando mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi in effetti mi addormento subito e ascolto ben poco, ma se non sento la musica non riesco a dormire.
Le mie giornate sono queste, musica, danza, lavoro e lui, Kevin. Seguo la sua vita da quando ho scoperto il suo gruppo. So ogni cosa di lui, leggo tutti i giorni il suo profilo Twitter ma oltre al cuoricino non ho mai commentato, non trovo il coraggio e poi di sicuro lui non presterebbe attenzione di certo al mio commento, perché dovrebbe? Non sono nessuno per lui e potrebbe avere mille ragazze coreane, anche famose e più carine di me.
Quante volte guardo il cielo e mi chiedo che cosa sta facendo in quel momento, a cosa sta pensando, sembriamo distanti chilometri, quando invece ci dividono solo pochi distretti e mentre io so tutto di lui, lui di me non sa nulla, nemmeno che esisto.
Che pena la vita, perché innamorarsi di chi non si può avere?
Vorrei solo che lui sapesse che esisto, che la sua voce mi dà forza e che le loro canzoni per me hanno significato tanto. I 9mmBullet sono stati il mio gancio in mezzo a quel mare di nuvole grigie, se oggi sono qui e sogno, vivo e lotto è merito loro. Per me non sono solo belli e bravi, il loro impegno in ciò che fanno sono per me fonte di ispirazione e punto di forza, perché nonostante tutte le loro sconfitte si sono sempre rialzati e hanno continuato a impegnarsi duramente ogni giorno.
Le loro canzoni non sono solo l’insieme di belle parole con il ritmo giusto, ma sono per chi come me sogna, parole di speranza e forza. Loro sono l’esempio che impegnandoti duramente e sempre, otterrai poi dei risultati, non importa quando, quello che conta è arrivarci e continuare a impegnarti anche dopo perché nulla è per sempre e ciò che si è ottenuto lo si deve anche conservare.
Ho imparato molto con loro e ogni mio piccolo successo lo devo alla forza che mi trasmettono anche se questo loro non lo sanno.
Non so se l’incontrerò mai per dire loro tutto questo, ma li ringrazio ogni sera nelle mie preghiere. Sì, ogni sera prego, ringrazio per la giornata trascorsa e per essere arrivata alla fine, poi metto le cuffie e mi addormento e il mio ultimo pensiero è sempre lui, Kevin.
Capitolo 3
«Erika, alzati!», urla mia madre con dolcezza dalla cucina. Sbadiglio e apro gli occhi mettendomi a sedere.
Perché mia madre mi chiama? Di solito mi alzo appena suona la sveglia. All’improvviso un pensiero mi passa per la testa, afferro il telefono sul comodino e sgrano gli occhi.
«Oddio no! Arriverò in ritardo», esclamo. Salto giù dal letto e impreco contro la sveglia che non ha suonato, o forse lo ha fatto ma non l’ho sentita.
Esco dalla stanza e mi infilo prima che lo faccia mia sorella.
«Ehi!», esclama lei.
«Scusa Ele faccio tardi», dico chiudendole la porta in faccia. Se lei entra prima di me è finita, ci passa una vita dentro.
Esco correndo e trovo mia sorella con le braccia incrociate davanti alla porta.
«Tutto tuo», dico correndo nella mia stanza e butto le mie cose dentro la borsa, afferro il telefono e corro in cucina per salutare mia madre.
«Come mai non ti sei alzata?», mi domanda perplessa lei.
«La sveglia non ha suonato», dico anche se non sono sicura che sia andata così.
«Ho preso le ciambelle», mi dice e sorrido afferrandone una con un tovagliolo.
«Scappo», dico dandole un bacio sulla guancia e mentre lei mi saluta chiudo la porta di casa e corro a prendere il treno, oggi non mi va proprio di guidare e poi devo fare colazione, meglio evitare di mangiare mentre guido. Decido quindi di prendere il treno, così almeno mi posso rilassare prima di arrivare a lavoro, sì certo, sempre se riesco a prenderlo.
Corro con la mia ciambella in mano cercando di non urtare nessuno e salgo all’ultimo, cerco un posto anche se è un po' affollato e addento il soffice dolce. È divino, si scioglie in bocca. Immagino che mamma l’abbia preso tornando a casa dalla sua consueta passeggiata mattutina. Ogni mattina si alza per andare a fare una passeggiata attorno al quartiere, poi torna a casa prepara la colazione e quando finalmente resta da sola, comincia con i suoi rituali: mia madre è buddhista, il resto del tempo si concentra sulle sue lezioni di piano. La sua vita è molto più tranquilla della mia ma, purtroppo, visto che mia sorella studia ancora, devo contribuire con le spese, ecco perché mi tocca fare ciò che non mi piace: la cameriera. La mia passione non mi permette di guadagnare quanto vorrei. Non ancora, se non altro.
Quando arrivo al locale Siwoon è già all’opera. Sbuffo entrando di corsa e mi vado a cambiare. Odio arrivare in ritardo, non mi piace, preferisco arrivare sempre alcuni minuti prima.
«Tutto bene?», mi domanda Siwoon quando lo raggiungo dietro al bancone.
«Ha ha! Questa mattina la sveglia non ha suonato», dico mettendomi a lavare le tazze nel lavello.
«Capita alle volte, non te la prendere», mi dice gentile.
Siwoon è dolcissimo, sempre. Lui lavora qui da più tempo di me. Siamo diventati subito amici e mi ha aiutato moltissimo con la lingua. È il mio migliore amico ed è sempre disponibile. È un ragazzo solare, che ti fa sentire sempre a proprio agio. «Ciao, Erika! », esclama Ji-min abbracciandomi. Sorrido e ricambio l’abbraccio. Se pensate che le ragazze coreane siano timide, beh… lei è l’eccezione. Ha solo l’aspetto della dolce e timida ragazza coreana, ma dentro ha un carisma travolgente.
«La sai la novità?», mi chiede sistemando le cose del vassoio nel lavello e spostandosi una ciocca dei suoi lunghissimi capelli neri.
«No, cosa c’è di nuovo?», domando guardando Siwoon intento a servire un ragazzo.
«Sabato un idol darà una festa», dice con entusiasmo. Roteo gli occhi.
«Che bella sorpresa!», esclamo sbuffando. «Significa straordinari».
«Aspetta, non ti ho detto tutto mia cara», dice sogghignando e mi guarda. So che il suo sguardo vuole dirmi qualcosa e la guardo curiosa. Cosa mi sta nascondendo?
«E quindi? Sto aspettando, finisci», dico in trepidazione. Lei mi fissa ancora per alcuni secondi sorridendo, poi finalmente si decide a parlare.
«Ci saranno diversi gruppi kpop… compresi i tuoi amati 9mmBullet e sai cosa vuol dire? Che ci sarà anche Kevin».
Sgrano gli occhi a quelle parole e mi appoggio al bancone. Il mio cuore manca di un battito e il cervello inizia a non ragionare più.
Non ci credo, è un sogno, non sta succedendo. Ora la sveglia suona e io mi sveglierò, arriverò a lavoro e non ci sarà nessun party.
«Allora? Pensavo sclerassi alla notizia», mi dice un po' delusa Ji-min.
«Dimmi che non è uno scherzo», dico fissandola inebetita.
«No, perché dovrei dirti una cosa simile?!», mi dice.
È vero, perché dovrebbe? E poi conosco Ji-min, non sa mentire, nemmeno per scherzo, le verrebbe da ridere.
«Oddio non ci posso credere… vedrò i 9mmBullet, vedrò lui… oddio!», dico mordendomi forte il labbro e Ji-min sorride.
«Mi aspettavo di più ma va bene».
«Che devo fare? Urlare? Non posso!», le dico indicandole il locale. Lei ridacchia e mi afferra una mano.
«Arriviamo!», urla a Siwoon che rimane perplesso. Mi trascina fuori, sul retro.
«Dai fallo ora», mi dice chiudendo la porta.
«Qui? Ma sei matta?!».
«Ma non ti sente nessuno», mi dice indicandomi il grosso cortile sul retro condiviso con altri locali, ma al momento tutti sono a lavoro, nessuno presta attenzione a noi.
«Finalmente avrai la possibilità di vedere i 9mmBullet, di vedere Kevin e magari servirlo e tu che fai? Resti a fissarmi?!», mi dice aspettando con ansia la mai esplosione. Rifletto sulle sue parole e sento dentro di me crescere la voglia di urlare e dare di matto.
«ODDIOOOOO!!! Vedrò il mio idol… OH MIO DIOOOO!!!!». Inizio