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L’uomo di carta
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E-book457 pagine5 ore

L’uomo di carta

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Info su questo ebook

Trascinato in una spirale di errori e intrighi di corte, il tenente Astrov viene dichiarato morto per decreto ed è costretto ad abbandonare l’alta società, la carriera militare e la donna amata. Per contro, il tenente Che - un personaggio tanto utile quanto inesistente, nato dai gorghi della burocrazia e dall’audace fantasia collettiva di ministri e ufficiali per placare le ire dell’imperatore - inizia una brillante carriera. Astrov vagabonda come un cavaliere errante d’antiche fiabe tra un governatorato e l’altro della Russia Settecentesca. Dopo molteplici avventure, alcune ilari, altre drammatiche, l’ennesima piroetta del destino lo riporta al punto di partenza, imponendogli un’ultima, straordinaria metamorfosi.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2017
ISBN9788856785678
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    Anteprima del libro

    L’uomo di carta - Eleonora N. Volpe

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2017 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatrosilfilo.it

    ISBN 978-88-567-8567-8

    I edizione elettronica settembre 2017

    Una volta che abbiate conosciuto il volo,

    camminerete sulla terra guardando il cielo,

    perché là siete stati e là desidererete tornare.

    Leonardo da Vinci

    A mo’ di introduzione

    Una volta, quand’ero ancora una studentessa, mi ritrovai a dover chiedere un documento agli uffici dell’anagrafe. Davanti a me, nella fila, c’era una deliziosa coppia di coniugi anziani. Lei doveva essere un po’ nervosa e lui la teneva per mano. Quando arrivò il loro turno allo sportello, la vecchina, la cui voce tremula tradiva un accumulo di ansia, disse: Sono quattro mesi che non m’arriva la pensione, mi hanno detto di rivolgermi qui per chiarimenti. L’impiegato non batté ciglio. Com’è il nome?, chiese. Taldeitali Anna, rispose per lei il marito. L’impiegato si allontanò per qualche minuto e tornò con un librone (gli uffici pubblici non erano ancora passati ai computer). Lo aprì, lo scorse col dito. Anna Maria Taldeitali?, chiese. Sì, sì, rispose la vecchina ingoiando aria, e il marito aggiunse Anna Maria è il nome completo. L’impiegato fece una smorfia, continuando a guardare nel librone. Qui dice che Taldeitali Anna Maria è deceduta. I due vecchi si guardarono attoniti e la fila dietro di loro li sostenne con esclamazioni di stupore. Ma io sono viva!, esclamò la donna, incerta tra il piangere e il ridere, Ecco la mia carta d’identità, vede? L’impiegato sospirò. Signora, disse paziente, lei deve passare la visita medica e farsi dare un certificato di esistenza in vita. Solo così si potrà correggere l’errore… E sopportò stoicamente l’ilarità della gente assiepata al di là del suo sportello.

    Questo episodio mi tornò in mente quando, nel corso di alcune ricerche, inciampai in un aneddoto storico riportato dal medico militare ed etnografo russo Vladimir Dal’ (1801-1872). Narrava di come l’imperatore Paolo I, partendo da un errore di trascrizione commesso da uno scrivano, letteralmente creò un sottoufficiale inesistente e continuò a promuoverlo nel corso di alcuni anni, fino a farlo colonnello. In cima all’ultima ordinanza, Paolo scrisse "Chiamarlo a rapporto da me, subito". I responsabili della cancelleria militare cominciarono a cercare questo colonnello e, non trovandolo, esaminarono con più attenzione tutte le carte che lo riguardavano, risalendo, finalmente, all’errore iniziale. Ma, per timore della reazione dello zar, gli riferirono che il colonnello era improvvisamente passato a miglior vita. Alla notizia, Paolo commentò: Peccato, era un buon ufficiale.

    Nella sua realistica assurdità, l’aneddoto sommava non solo tutti gli errori che avvenivano con esasperante frequenza nei documenti del passato, in altri paesi, ma anche in epoca moderna, nel nostro. Decisi di usarlo per un progetto cinematografico/televisivo e, nello stendere la sceneggiatura e costruire il personaggio di Paolo I, mi ispirai a un gran numero di documenti e fonti storiche e letterarie, tra cui un racconto e un filmato intitolati Podporučik Kiže (1927) del critico letterario russo Yurij Tynjanov (1894-1943), il quale aveva usato lo stesso episodio storico. Stesi, dunque, la sceneggiatura e, qualche anno più tardi, decisi di provare a trasformarla in romanzo. L’Uomo di Carta è il risultato di un esperimento, ma anche e soprattutto un omaggio alla storia e alla letteratura russa. E alla memoria di una coppia di vecchietti italiani…

    Ho scelto di ricorrere alla traslitterazione inglese dei nomi russi, perché mi sembra di più facile lettura per chi non conosca la lingua russa e non abbia molta dimestichezza con la traslitterazione consueta.

    La cospirazione, ovvero: come andò a finire

    11 Marzo 1801

    Pietroburgo. Strade adiacenti al Castello Mikhàilov

    Notte

    La luna si affacciò improvvisamente su Pietroburgo e rischiarò i giardini, i vicoli e i ponti attorno al palazzo nuovo dell’imperatore. Il conte von der Pahlen, seguito dagli ufficiali e dai soldati del battaglione Preobrazhènskij, si arrestò all’ombra di un cespuglio. La sosta improvvisa creò scompiglio nella fila al suo seguito che, come un bruco trovatosi davanti a un ostacolo, si contorse e si arrotolò su se stessa, non sapendo che fare.

    TUTTI Shhh! Zitti! Piano!

    Delle cornacchie, disturbate dall’inconsueto tramestìo, si misero a gracchiare. All’entrata del palazzo, solo due uomini stavano di guardia, sollevando ora un piede ora l’altro per il gelo. La neve scricchiolava sotto i loro stivali (ben lucidati, come imponeva il regolamento) ed essi non vedevano l’ora che finisse il turno.

    1a SENTINELLA Uh!

    Il suo compagno, un vecchio soldato coi baffi induriti dalla brina, gli lancio’ un’occhiata. L’altro si guardava intorno con aria cupa, borbottando.

    2a SENTINELLA Che hai?

    1a SENTINELLA Non so. L’ora sembra passata e quelli del cambio non si vedono ancora...

    Intanto, la luna si era di nuovo nascosta dietro le nubi. Von Pahlen e i suoi uomini ne approfittarono per avvicinarsi al palazzo. Uno dei portoni laterali, non a caso sguarnito di sentinelle, si aprì pian piano e il volto pallidissimo dell’ufficiale di guardia emerse dall’ombra. I soldati si infilarono nel palazzo uno a uno, seguiti in silenzio dagli ufficiali. Pahlen entrò per ultimo e, con un’occhiata intorno, si chiuse il pesante portone alle spalle.

    Castello Mikhàilov

    Notte

    I cospiratori si immersero nell’umida oscurità del castello, attraversarono saloni immensi e si addentrarono nei corridoi odorosi d’intonaco fresco, inciampando nei tappeti, urtando la mobilia, impigliandosi con le baionette nei lampadari abbassati per la notte. Due lacchè messi di guardia alla stanza dell’imperatore, insospettiti dall’insolito tintinnio e da un lieve cozzar di sciabole, sbirciarono nel passaggio di servizio, ma in quel buio pesto non avrebbero potuto vedere neanche la propria mano. C’era un vago effluvio di vodka nell’aria e uno dei due uomini fece un passo avanti, annusando.

    LACCHÈ Chi passa?

    In un attimo, venne imbavagliato e legato, mentre il suo compagno scappava nella direzione opposta. I congiurati si avvicinarono alla stanza da letto dell’imperatore. Un silenzio mortale era sceso dall’uno e dall’altro lato della porta. Il nobile Beningsen, un tipo alto e comm’il faut, girò piano la maniglia, ma era chiusa a chiave. Uno dei sottufficiali introdusse una forcina nella serratura, ma gli tremava la mano e neanche quest’espediente funzionò. Allora il principe Nicola Zùbov, irascibile e impaziente come suo solito, sferrò una pedata formidabile all’uscio e, spinto dall’onda umana alle sue spalle, si ritrovò nel bel mezzo della stanza di Paolo.

    Reggia. Camera da letto dell’imperatore

    Notte

    La luna stendeva una luce fredda sulle pareti e sul letto da caserma, sfatto, vuoto. Una voce si levò dal gruppo dei congiurati:

    UN UFFICIALE L’uccellino ha lasciato il nido!

    I

    La giostra degli errori, ovvero: come cominciò

    15 maggio 1797

    Pietroburgo. Ufficio della Cancelleria Imperiale

    Mattina

    La cancelleria era uno stanzone freddo in tutte le stagioni, con un soffitto irraggiungibile, verde di muffa. Tavoli e scaffali affondavano sotto montagne di incartamenti e nella lama di luce che scendeva dal finestrone galleggiava la polvere. Un orologio decrepito, posto accanto al ritratto di Caterina la Grande, si sforzò di battere le ore. Sette colpi arrochiti, ma ancora precisi. Lo scrivano, passato proprio quel mattino da una magra adolescenza al primo giorno d’impiego, considerò la pila di fogli puliti che aveva davanti e un’altra, ancora più alta, di ordinanze e dispacci da ricopiare con urgenza. Il suo predecessore era stato fustigato quasi a morte per aver compiuto troppi errori di trascrizione e, nell’accingersi a quel delicato e pericoloso compito, il ragazzo sentì il bisogno di affidarsi alla protezione divina. Si fece, dunque, il segno della croce e intinse la penna d’oca nel calamaio. La prima ordinanza riguardava il reggimento Preobrazhènskij e sembrava abbastanza semplice.

    Stretta la lingua tra le labbra, tracciò diligentemente, con bella grafia: "Siano elevati di rango i sottotenenti Antònov, Bàbushkin, Cermadov, che…". Il che, pronome relativo, era finito un po’ troppo vicino al bordo del foglio e lo scrivano già stava per strappare tutto e ricominciare daccapo, quando la porta si aprì ed entrarono tre impiegati. Due trasportavano un grosso quadro, il terzo una scala. Quest’ultimo ci salì sopra e, fattosi il segno della croce, tolse dalla parete il ritratto della defunta imperatrice, sostituendolo con quello di suo figlio Paolo, al trono ormai da oltre sei mesi. La dipartita della zarina, dopo trentaquattro anni filati di regno, si era rivelata una vera manna per i fabbricanti di colori e per gli artisti di ogni qualità e nomea. Perfino gli imbrattatele delle province più remote ebbero il loro bel daffare per soddisfare le commissioni, cosicché la sostituzione di tutti i ritratti negli uffici pubblici dell’impero non fu ultimata che dopo un anno abbondante.

    Il quadro di Paolo I non voleva saperne di stare dritto e i tre impiegati armeggiarono a lungo finché, soddisfatti, ripiegarono la scala e se ne andarono. Il ragazzo era rimasto a guardare a bocca aperta le operazioni di scambio e le fattezze del nuovo zar di tutte le Russie che, col suo naso corto, gli occhi tondi e l’aria infelice, contrastava con la possanza del trono sul quale era seduto.

    L’orologio scandì un quarto alle otto e lo scrivano si gettò a capofitto sul lavoro. Era ormai troppo tardi per ricominciare, così continuò sullo stesso foglio, tracciando un altro che a capo del secondo rigo, scordandosi del primo. Andò avanti sempre più in fretta, al punto che, verso la fine del documento, gli occorse un altro incidente, stavolta puramente tecnico. Una piccola, piccolissima macchia d’inchiostro cadde tra due parole e, dove prima c’era una virgola, si formò un puntino. Una cosa da nulla, ma bastò a paralizzarlo. Nell’attimo in cui la pendola cominciò a battere le otto, la porta si aprì e l’aiutante di campo di sua maestà entrò come una folata di vento, raccolse i dispacci – incluso quello che lo scrivano aveva ancora tra le mani – e lasciò la stanza. La porta gli sbatté dietro, facendo inclinare il ritratto. Lo sventurato ragazzo fissò il quadro con terrore e vi vide dipinto se stesso nell’atto di arrancare in catene tra le nevi della Siberia, mentre Pietroburgo, alle sue spalle, diventava sempre più lontana e fioca, inghiottita dalle brume del Baltico.

    Reggia. Studio dell’imperatore. Finestre e giardino sottostante

    Mattina

    Paolo sedeva dritto in una massiccia poltrona di legno, proprio come nel ritratto, ma con gli occhi chiusi. Nelle ultime settimane gli capitava sovente di assopirsi così, durante il giorno, poiché, da quando era stato incoronato imperatore, la notte dormiva male e faceva sogni sgradevoli. In quel momento, per esempio, sognava di avere indosso un kaftàno strettissimo che gli impediva di respirare, mentre la sua corte stava a guardare senza aiutarlo¹. Annaspò con la mano, cercando di slacciarsi il colletto, ma non si svegliò.

    Lo studio era angusto e buio. Al centro stavano una larga scrivania e due pesanti sedie di legno bruno intagliato, privo di doratura. A destra, uno scaffale carico di volumi che l’imperatore trovava noiosi e non leggeva mai, ma che teneva per decoro. A sinistra, un suo ritratto in marmo che concentrava, nel proprio candore, la poca luce della stanza. Alle sue spalle, una finestra che egli teneva sempre socchiusa. Un’abitudine, quella dell’aria fresca, impartitagli dalla bambinaia che gli aveva fatto da madre e da padre nella sua regale infanzia solitaria.

    Mentre Paolo sonnecchiava, cullato dal mormorio della pioggia, il tenente Alexàndr Pàvlovich Astrov era seduto a cavalcioni sul davanzale della finestra al piano soprastante e prendeva commiato dall’amante. La giovane contessa Lèrmontova, Maria Serghèevna (Masha per l’innamorato) era la più fresca e graziosa delle dame di corte dell’imperatrice e non c’era da sorprendersi che il giovane ufficiale fosse restio a separarsene. Ma il tempo stringeva e il dovere chiamava, così, a malincuore, si accinse ad abbandonare il suo paradiso e a tornare, letteralmente, sulla terra. Masha indicò la finestra sottostante (quella dell’imperatore) e avvicinò un dito alle labbra, affinché il tenente stesse attento a non far rumore. Egli annuì e cominciò a scendere lungo la grondaia che, arrugginita e coperta qua e là di muschio, era ancor più scivolosa per la pioggia. Difatti, Astrov venne giù come un sasso. Nel cadere tra i cespugli, si lasciò sfuggire un’esclamazione ad alta voce:

    ASTROV Maledizione!

    Colui che c’era…

    Maledizione? Paolo aprì gli occhi e rimase in ascolto, ma non sentì altro che il ticchettio delle gocce sul vetro. Ancora turbato dal sogno del kaftàno, aprì la finestra e si sporse con cautela. In giardino non c’era nessuno, ma uno dei cespugli sembrava danneggiato. Guardò in alto e notò una finestra chiudersi con prontezza sospetta. Maledizione...

    Quando l’aiutante di campo entrò coi documenti sotto il braccio, l’imperatore tamburellava con le dita sul davanzale, inarcando minacciosamente un sopracciglio. Ma l’aiutante compiva il suo dovere con granitica flemma, qualunque fosse la posizione delle sopracciglia dello zar. Depose le carte sulla scrivania e indietreggiò di un passo, mettendosi sull’attenti.

    AIUTANTE Le ordinanze per quest’oggi, maestà.

    L’imperatore lo squadrò con un certo fastidio. Così alto e ben fatto, quell’ufficiale lo metteva sempre a disagio, costringendolo a guardare da sotto in su e non viceversa, come si addiceva a uno zar. Per un attimo lo sfiorò l’idea di mandarlo in Siberia, ma presto altre e più gravi considerazioni tornarono ad agitargli la mente. Si sedette alla scrivania con studiata lentezza e cominciò a firmare uno a uno i documenti. Finché…

    PAOLO Scribacchini! D’ora innanzi, bontà loro, i cognomi si scriveranno con la lettera minuscola.

    La frase incriminata diceva:

    "Siano elevati di rango i sottotenenti Antònov, Bàbushkin, Cermàdov, che

    che prestano servizio nel primo reggimento Preobrazhènskij…"

    Paolo intinse la penna nel calamaio, tracciò una grassa C maiuscola sopra il che del primo rigo, trasformandolo così in nome proprio. Lo sottolineò due volte, con rabbia, quasi che la colpa dell’errore fosse di quello strambo cognome.

    PAOLO Il tenente Che sia messo di sentinella.

    … Colui che non c’era…

    L’imperatore apportò qualche altra correzione, calcando la penna.

    PAOLO Deceduti? Troppi soldati muoiono prima ancora di aver visto un campo di battaglia. Bisogna porre fine a questa moria, o presto non avremo più gente da mandare in guerra.

    L’aiutante si guardò bene dal ricordare al sovrano che, nelle ultime settimane, molti erano deceduti in seguito alla consunzione e alle punizioni esemplari che sua maestà elargiva a destra e a manca. Se alla giubba mancava un bottone, o il codino della parrucca non corrispondeva alla lunghezza standard, frustate, bastonate e Siberia erano garantite a tutti.

    Paolo firmò a svolazzo, spinse la cartella verso l’aiutante e lo licenziò con un gesto della mano. L’ufficiale raccolse le ordinanze e batté i tacchi, facendo tintinnare gli speroni. Pronunciò il consueto Maestà! con quella neutrale deferenza che tanto irritava l’imperatore e indietreggiò verso la porta.

    PAOLO Aspetta… No, non importa, puoi andare. Anzi, no, aspetta!

    A ogni ordine, l’aiutante faceva un passo avanti e uno indietro, come danzando un minuetto. Finì col mettersi sull’attenti e aspettò che il sovrano prendesse una decisione. Paolo camminò su e giù per la stanza e si fermò di faccia al busto di marmo che lo ritraeva.

    PAOLO C’è una questione... Una questione delicata, da risolvere con urgenza. Qualcuno, poc’anzi, ha osato lanciare una maledizione nel nostro giardino.

    Al ricordo, una vaga angoscia gli strinse l’anima in un pugno di ferro.

    … e colui che morì

    II

    Poteri della carta, ovvero: come il tenente Astrov seppe della propria morte e il tenente Che,

    della propria vita

    Pietroburgo. Campo di Marte

    Giorno

    I reggimenti stavano giusto per iniziare le manovre di esercitazione, quando il tenente Astrov raggiunse di corsa il proprio posto tra gli ufficiali e si mise sull’attenti. Uno dei compagni gli tolse una foglia dal cappello, appena in tempo per l’ispezione. Sollevando un polverone, l’aiutante di campo attraversò a cavallo la piazza d’arme, consegnando a ciascun reggimento le ordinanze appena firmate dall’imperatore. Ricevuta la sua, il comandante del Preobrazhènskij, generale Talyzin, l’aprì e lesse ad alta voce:

    TALYZIN Ordine N. 523 di sua maestà imperiale Paolo Primo, in data 15 maggio 1797: "Siano elevati di rango i sottotenenti Antònov, Bàbushkin, Cermàdov, Che…"

    Sostò su una breve pausa, quindi riprese con maggior lentezza:

    "…che prestano servizio nel primo reggimento Preobrazhènskij. Sia quindi messo di sentinella il tenente Che…"

    Sollevò gli occhi sulla fila degli ufficiali, ma non scoprì alcun volto nuovo tra loro.

    … "Siano inoltre elevati di rango i tenenti Savèliev, Bestèltsev, Rosselghoff, Armìdov"… Punto.

    Qui fece una pausa più lunga.

    "Astrov... Mamìlov, Pèstov e Lariònov, essendo deceduti…

    Talyzin fissò con imbarazzo il tenente Astrov, immobile sull’attenti a meno di due metri da lui.

    … saranno cancellati dal libro del reggimento suddetto. L’ordinanza entra in vigore dalla data odierna. Firmato, in fede, Paolo Primo".

    Soldati e ufficiali, obbligati ad ascoltare le ordinanze stando rigidamente fermi, roteavano gli occhi nel tentativo di sbirciare Astrov e il comandante. Come tutti ben sapevano, un documento firmato dallo zar era legge. Non si poteva discutere, né protestare. Si era creata, dunque, una situazione insolita e tutti si chiedevano come avrebbero dovuto comportarsi. Il comandante offrì l’unica soluzione possibile. Come faceva ogni mattina, ripiegò accuratamente l’ordinanza, se la mise in tasca e gridò:

    TALYZIN Si rompano le righe! In marcia!

    Il tenente Astrov fu il solo a restare sull’attenti.

    Regio Archivio Militare

    Al tramonto

    Talyzin trascorse parecchie ore spiacevoli nell’archivio militare, consultando volumi su volumi, starnutendo e grattandosi le mani per la polvere. Al lume di candela, le lettere in oro sulle copertine rilucevano, le scritte tremolavano e i nomi si accavallavano, intrecciandosi e confondendosi tra loro. Seguendo con un dito le righe, il comandante ripeteva:

    TALYZIN Che, Che, Che… Qui non c’è.

    Chiudeva il libro, ne toglieva un altro dalla pila e ricominciava.

    TALYZIN Chersònov, Cheruvìmov, Darmìdov… Niente.

    Sospirava e passava al volume successivo.

    Campo di Marte

    Al tramonto

    Malgrado fosse trascorsa l’intera giornata, il tenente Astrov se ne stava ancora sull’attenti in mezzo alla piazza. Non si era accorto che le manovre erano terminate, che il campo d’arme era deserto e che lui era rimasto solo. Il vento giocava con la polvere e spandeva intorno l’odore del letame lasciato dai cavalli. Uno stormo di piccioni si levò in volo con un rumoroso frullar d’ali e strappò il giovane al vuoto che gli era cresciuto dentro. Solo allora si accorse del palazzo che aveva fissato per ore, e vide le sagome scure degli alberi e dei tetti, le cupole d’oro delle chiese in lontananza e infine il sole che, ormai basso, si scioglieva nel rosso dell’orizzonte. Allora si voltò e si incamminò lentamente.

    Regia Biblioteca

    Giorno

    Come tutti sapevano, il gran favorito di Paolo, il generale e futuro governatore militare di Pietroburgo, Peter-Ludwig von der Pahlen² non solo era un genio di mefistofeliche soluzioni e di passi a fil di rasoio, ma anche un uomo di mezza età ancora attraente e ben curato, il quale andava orgoglioso del proprio aspetto, non meno che del proprio acume. In presenza dell’aiutante di campo dell’imperatore (poiché anche i grandi hanno le loro debolezze) Pahlen aveva preso l’abitudine di guardare altrove con indifferenza. In realtà, sbirciava la propria immagine, vuoi per rassicurarsi, vuoi per mera vanità, dovunque questa fosse riflessa: nello specchio sopra il camino, nello smeriglio della finestra o sul fianco bombato d’una teiera d’argento. Questa volta, mentre l’aitante ufficiale gli riferiva gli ultimi ordini dell’imperatore, Palen si rimirava nel vetro della libreria.

    PAHLEN Una maledizione, dite?

    L’aiutante, che conosceva quest’abitudine del ministro, rispose senza scomporsi:

    AIUTANTE Proprio così, vostra eccellenza.

    PAHLEN Una maledizione contro il sovrano?

    AIUTANTE Proprio così, vostra eccellenza.

    Batté i tacchi e si ritirò. Pahlen, tra sé, gli fece il verso:

    PAHLEN Proprio così, vostra eccellenza!

    Reggia. Stanze e corridoi

    Giorno

    In poche ore, le guardie invasero il palazzo e si misero a cercare il misterioso autore della maledizione in ogni stanza, in ogni nicchia, sotto i letti, dietro le statue e perfino negli armadi e nei cassettoni dell’imperatrice. Le dame facevano croccare i ventagli, annoiate, la servitù tremava nelle cucine senza decidersi a far la cena e l’imperatrice, ribattezzata alla russa Maria Fjòdorovna³, annusava i sali, mentre la sua orchestra semovente suonava Allegri vivaldiani per tenerla su di spirito.

    Al culmine di tanta confusione, l’imperatore in persona si unì alle ricerche. Mentre camminava circospetto lungo il corridoio, gli sembrò che dietro una tenda qualcuno si muovesse. Scostò la cortina con la spada e si trovò davanti un paggio e una servetta in amoroso tête-à-tête. Si guardarono tutti e tre con sorpresa, poi la ragazza scoppiò in lacrime, abbozzò un inchino e fuggì.

    Un frusciar di gonne e un virtuoso sviolinio avvertirono l’imperatore che la regale consorte si avvicinava col suo seguito di musici e damigelle. Paolo assunse un’aria indaffarata e le andò incontro. Maria Fjòdorovna apparve sulla sommità delle scale e scese a ritmo Andante con moto, quasi a passo militare. Quand’era irritata, la sua natura teutonica e il suo accento tedesco riaffioravano con particolare evidenza. Apostrofò il consorte senza fermarsi:

    IMPERATRICE Mein herr Paulkhen! Quando avrà fine questa insostenibile confusione? I vostri segugi hanno osato ispezionare perfino i nostri armadi! Das ist unausstehbar⁴!

    PAOLO Perdonateli, mia cara, sono stato io a dare l’ordine.

    Maria Fjòdorovna, che aveva già quasi raggiunto l’uscita opposta del salone, borbottò:

    IMPERATRICE Ah, queste vostre idee, mein Liebe! Qualcuno ha esclamato maledizione e voi ne fate un affare di stato! Ah, so ein Kopfzerbrechen⁵!

    Le dame e i musicisti quasi le correvano dietro. Masha, che chiudeva il corteo, indugiò per un attimo, guardandosi indietro con apprensione. La musica e l’eco dei passi si affievolirono, spegnendosi in lontananza. Nel corridoio ritornò il silenzio.

    Reggia. Quartieri di von Pahlen

    Sera

    Pahlen aveva appena finito di consumare la cena nel suo studio, quando bussarono alla porta. Mentre un cameriere sparecchiava e un altro serviva il tè, il comandante del reggimento Preobrazhènskij e l’aiutante di campo vennero introdotti dall’usciere.

    AIUTANTE Eccellenza, non siamo in grado di eseguire l’ordine dell’imperatore. Il tenente Che non figura in alcuna lista di reggimento.

    TALYZIN Devo confessarvi che ho trovato l’ordinanza di stamane assai inconsueta. A parte questo sconosciuto tenente Che da mettere di sentinella, annovera tra i deceduti anche il tenente Astrov, uno dei miei uomini migliori. Invece della promozione, ho dovuto annunciarne il decesso, mentre stava proprio sotto il mio naso e tutto il reggimento mi guardava con tanto d’occhi.

    Il generale strinse le labbra, sottolineando il proprio sdegno. Pahlen posò la tazza sul piattino, si asciugò con cura la bocca e gettò il tovagliolo sul vassoio.

    PAHLEN Interessante. Posso vedere questa famosa ordinanza?

    Talyzin trasse di tasca il documento e lo passò all’aiutante, il quale, a sua volta, lo porse al ministro. Questi si avvicinò a un candelabro e studiò il foglio in controluce.

    Il vostro tenente Che non è altro che un che scritto due volte da un impiegato sbadato. E lo zar ha fatto il resto.

    Rise, restituendo l’ordinanza al comandante.

    Quanto al vostro deceduto… Abbiate la cortesia di notare che, al posto della virgola, davanti al nome di Astrov c’è una macchia d’inchiostro che la fa sembrare un punto, mentre il punto che stava dopo il nome è stato corretto in virgola. L’imperatore sarebbe stato un buon maestro di scuola.

    Mentre il comandante esaminava lo scritto con una lente d’ingrandimento, Pahlen fece qualche passo per la stanza a braccia conserte, riflettendo. Si fermò davanti allo specchio sopra il camino e capovolse una clessidra posta sulla mensola, fingendo di osservare lo scorrere dei granelli di sabbia.

    PAHLEN Comunque sia, miei cari signori, sapete bene che anche un pezzo di carta straccia, se porta la firma di Paolo, è legge. Non possiamo farci nulla.

    Spiò la reazione dei due uomini attraverso lo specchio. Amava studiare le persone senza che queste se ne accorgessero, in modo da trarne informazioni utili da usare in futuro, nel caso si fosse reso necessario renderli più malleabili. Talyzin sembrò sul punto di controbattere, ma si trattenne, sconcertato e deluso. L’aiutante rimase impassibile, ma irrigidì le mascelle. Pahlen sorrise, soddisfatto, tornò a sedersi e batté l’indice sul foglio:

    Tuttavia, proprio in questo documento sta la soluzione di un problema più urgente. Ci offre giusto l’uomo di cui abbiamo bisogno.

    Ufficio della Cancelleria Imperiale

    Sera

    L’aiutante di campo guardava il giovane scrivano con minacciosa severità.

    AIUTANTE Capisci quel che hai combinato, sciocco?

    L’infelice tirò su col naso e annuì, senza avere il coraggio di staccare gli occhi dal pavimento. L’ufficiale lo squadrò dalla testa ai piedi: pastrano rattoppato, maniche troppo corte, gomiti lisi. Non era più un ragazzino, ma non si era ancora fatto uomo. Probabilmente, aveva una vecchia madre e dei fratelli più piccoli da mantenere, o forse doveva restituire i debiti che la famiglia aveva contratto per farlo studiare o, magari, veniva da qualche nobile casata in disgrazia. Di storie così ce n’erano quante ne volevi, a quei tempi. In cuor suo, l’aiutante provò pietà per lo scrivano, ma il dovere richiedeva che lo incalzasse.

    AIUTANTE Sai qual è il castigo?

    Più morto che vivo, il ragazzo annuì. L’aiutante batté il pugno sul tavolo, facendo sobbalzare i calamai. Le spalle dello scrivano sussultarono.

    AIUTANTE Lo sai, dico?!

    SCRIVANO Qu-quando devo pa-artire?

    Per l’emozione, gli era venuto il singhiozzo. L’aiutante si alzò. Sovrastava il ragazzo di almeno due teste.

    AIUTANTE Per questa volta, sei fortunato. Devi solo tenere la bocca chiusa, capito? Serrata!

    Per la prima volta, lo scrivano alzò timidamente gli occhi e si asciugò il naso con un fazzoletto logoro, lottando per trattenere le lacrime.

    SCRIVANO Signore... Ma quell’ufficiale… A-astrov. Tornerà nel suo reggimento?

    L’ufficiale si infilò un guanto.

    AIUTANTE No, mio caro. Il tenente Astrov non esiste più. Tu lo hai ucciso.

    Lo scrivano liberò il singulto che gli opprimeva il petto e pianse.

    SCRIVANO Mi getterò a-ai piedi dello zar! Gli spieghe-erò!

    L’aiutante di campo alzò il braccio, pronto a dargli un manrovescio. Il ragazzo chiuse gli occhi e attese stoicamente la punizione, ma poiché questa non arrivò, li riaprì e vide che l’ufficiale era già sulla soglia, sul punto di andarsene.

    AIUTANTE Ricorda quel che ti ho detto! Silenzio assoluto. E se commetti altri errori, giuro che ti scuoio con le mie stesse mani.

    Uscì sbattendo la porta e il ritratto dell’imperatore s’inclinò di nuovo. Lo scrivano lo raddrizzò con una mano, soffiandosi il naso con l’altra.

    Reggia. Appartamenti imperiali

    Sera

    Centinaia di candele illuminavano la sala quasi a giorno. Un manto di velluto scarlatto, bordato d’ermellino e filigrana d’oro, scendeva dalle strette spalle di Paolo, raccogliendosi in morbide onde ai suoi piedi. La mano gli oscillava leggermente sotto il peso dello scettro, ma lo sguardo, rivolto a un futuro di gloria, era fiero e sicuro. Il pittore di corte si allontanò di qualche passo dalla tela, tenendo alto un candelabro. Studiò il proprio lavoro e scosse la testa.

    PITTORE Maestà, potrei chiedervi il permesso di proseguire domattina? Avrei bisogno della luce naturale per…

    PAOLO Continua. Di giorno ho altro da fare.

    L’artista sospirò e tornò al cavalletto. Il conte Pahlen attendeva con pazienza, fingendo di interessarsi al dipinto. Finalmente, senza cambiare la posizione del corpo, né l’espressione del viso, Paolo gli rivolse la parola:

    PAOLO E così, questo tenente Che sarebbe il responsabile della maledizione?

    PAHLEN Sì, maestà.

    PAOLO Che… Che... Ma certo! Ora me lo ricordo. Durante le esercitazioni cercava sempre di passar di sbieco. Strano tipo. E strano cognome.

    PALHEN Davvero strano, maestà.

    PAOLO Sa d’incompiuto, come se gli mancasse qualcosa. Quaranta scudisciate ed esilio immediato.

    PAHLEN Questo lo renderà compiuto, maestà.

    Si congedò, profondendosi nel suo inchino più fiorito.

    Sotterranei della prigione militare

    Sera

    Sotto le volte affumicate dalle torce echeggiavano dei colpi a intervalli regolari. La voce irata del comandante del Preobrazhènskij contava:

    TALYZIN ...33...34...35...36...

    SOLDATO Eccellenza, signor generale?

    TALYZIN Perché ti sei fermato? L’imperatore ha detto quaranta e quaranta devono essere!

    Il soldato lanciò un’occhiata ai compagni e tornò ad accanirsi con la frusta sul tavolaccio adibito alle pene corporali, come se fosse stato il suo peggior nemico. Sul tavolaccio non c’era nessuno.

    TALYZIN ...37...38...39...40! Alt! Sollevare il detenuto!

    Due soldati alzarono la tavola dalla parte della testa – ovvero dalla parte dove ci sarebbe stata una testa, se ci fosse anche stato un uomo – e un sottotenente lesse la condanna all’inesistente prigioniero:

    SOTTUFFICIALE Tenente Che! Per ordine dell’Imperatore siete condannato all’esilio a vita in Siberia. Siete inoltre privato del rango di ufficiale, del titolo nobiliare e dei beni, mobili e immobili. La sentenza entra in vigore al momento della lettura. (Ai soldati) Si mettano i ceppi al detenuto!

    Quelli si guardarono, incerti. Il comandante ne afferrò uno per la giubba.

    TALYZIN (Infuriato) Ci vuoi finire tu su quel tavolo?!

    Il soldato raccolse le catene e le unì al centro, formando una specie di croce, ai quattro lati della

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