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DI Chi La Colpa dell'arretratezza del Mezzogiorno?: Parte I
DI Chi La Colpa dell'arretratezza del Mezzogiorno?: Parte I
DI Chi La Colpa dell'arretratezza del Mezzogiorno?: Parte I
E-book1.713 pagine27 ore

DI Chi La Colpa dell'arretratezza del Mezzogiorno?: Parte I

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Info su questo ebook

Di chi la Colpa dell'arretratezza del Mezzogiorno? questo l'argomento del presente saggio. L'excursus attraverso la storia é propedeutico a dimostrare che dal punto di vista economico e sino alla conquista del regno delle due Sicilie da parte del Piemonte, il Centro-Sud della Penisola non ha nulla da invidiare al Centro-Nord; quanto alla Cultura, spesso é all'avanguardia; filosofi e storici sono spesso meridionali. L'arretratezza del Mezzogiorno inizia con la Riunificazione della Penisola sotto un Savoia, il quale, depredando erario e beni personali dei Borboni, pareggia i disastrati bilanci del proprio Stato e, da Re di Sardegna, si trasforma in Re d'Italia. Distruzioni della guerra e comprensibili ribellioni a parte, da questo momento i territori conquistati passano da una fiscalità fra le minori d'Europa a una fiscalità massima; molte le imprese che per avvicinarsi ai mercati di sbocco si trasferiscono al Nord. Dopo la parentesi, retorica ma operosa del ventennio fascista, seguono nel primo dopoguerra  mafia di ritorno, elargizioni clientelari a pioggia che riducono il Mezzogiorno a vivere in parte inoperoso, confidando nei sussidi spesso finiti all'antistato. L'opera é prevista in 3 volumi, di cui pubblico ora il primo, che analizza la storia d'Italia dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente al Rinascimento.
LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2017
ISBN9788827533062
DI Chi La Colpa dell'arretratezza del Mezzogiorno?: Parte I

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    Anteprima del libro

    DI Chi La Colpa dell'arretratezza del Mezzogiorno? - Concetta M.A. Malcangi

    DI CHI LA COLPA DELL’ARRETRATEZZA DEL MEZZOGIORNO?

    PARTE I

    Dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente al Rinascimento

    Idos in opere est, idea extra opus, nec tantum extra opus est, sed ante opus

    Seneca, lettere a Lucilio, I, 58, 21-22

    INTRODUZIONE

    Colpa della dominazione spagnola l'arretratezza attuale del mezzogiorno? E’ questa la verità o si tratta semplicemente di luogo comune? O forse le cause dell'arretratezza vanno ricercate altrove e magari in tempi molto più recenti? Questo il quesito che da tempo mi arrovella.

    Il mio innato spirito di contraddizione - bastian contrari mi chiamavano alla mia verde età - mi indurrebbe istintivamente a rifiutare ciò che i più accolgono passivamente e vanno ripetendo. Purtroppo or non è più quel tempo e quell'età; pertanto, con il solo intento di giungere ad una conclusione obiettiva, senza alcun preconcetto e senza partire da una tesi precostituita, desidero effettuare una puntigliosa analisi storiografica comparativa dell'avvicendamento delle dominazioni straniere nell'area del meridione e del milanese a partire dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente.

    E' possibile essere obiettivi, quando si parte da una tesi istintivamente non accettata posto che, anche se con intenti onesti, si intende discuterla?

    Infinite le possibili risposte a questa domanda, risposte, che potrebbero fornire tema di interessante discussione tra filosofi. Nelle loro mani, meglio alle loro menti, lascio la diatriba mentre, con le più oneste intenzioni, mi accingo all'analisi che mi sono prefissa.

    Fecit aliquid et materia; ideo eligenda est fertilis, quae capiat ingenium, quae incitet

    Seneca, lettere a Lucilio, I, 46, 2

    …il passato è la cassaforte dell’anima e custodisce i nostri veri tesori…

    Marcello Veneziani: da il Giornale del 19 giugno 2011

    Noi siamo, perché siamo stati

    a Nonno Alberto,

    al mio carissimo Nonnone;

    con la sua vasta ed eclettica cultura

    e la sua ricchissima biblioteca,

    ha donato ad una ragazzina di dodici anni

    l’amore per la storia

    e per i libri

    Ho la percezione dell’universalità di un mondo trascorso che in toto mi appartiene.

    Sento rivivere nel mio intimo – e nella sua essenza –

    quel mondo di pensiero e d’azione che nel trascorrere di un tempo infinito,

    ed attraverso il trascorrere del tempo,

    sino a me è giunto ed ha forgiato, in me, la mente e l’anima.

    Sento la mia vita nei secoli; sento in me la Storia

    Sono, perché sono stata

    ...fieri autem potest, ut recte quis sentiat et id quod sentit polite eloqui non possit; sed mandare quamquam litteris cogitationes suas, qui eas nec disponere nec inlustrare possit nec delectatione aliqua adlicere lectorem, hominis est intemperanter abutentis et otio et litteris... Cicerone, Tusculanae disputationes, I, 6, 3

    Augurandomi di non finir relegata nella seconda categoria, mi accingo all’opera

    Per quanto riguarda gli Imperatori Federico I e Federico II di Hohenstaufen, personaggi di rilievo storico fondamentale oltre che eminente, la scelta di attingere le notizie non direttamente dalle fonti storiche, ma dalle biografie, forse parrà discutibile. Il Barbarossa e lo Stupor Mundi sono personaggi di tale importanza e spessore che - nell’ottica di questo saggio – l’attingere alle fonti storiche dirette avrebbe comportato un eccessivo dilungarsi dell’argomento. D’altra parte le fonti biografiche cui prevalentemente attingo – Franco Cardini per il Barbarossa ed Ernst Kantorowicz per Federico II sono di indiscutibile serietà e prestigio

    PARTE I

    Dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente al Rinascimento

    Forse discutibile, purtuttavia importante al fine di rendere più vicini al lettore eventi lontani, la scelta del presente storico

    DI CHI LA COLPA DELL’ARRETRATEZZA DEL MEZZOGIORNO?

    CAPITOLO PRIMO

    LA SITUAZIONE DELL'ITALIA ALLA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO D'OCCIDENTE

    CAPITOLO SECONDO

    I REGNI ROMANO BARBARICI E L’ESARCATO

    CAPITOLO TERZO

    L’ITALIA FRA IL SETTIMO E L’OTTAVO SECOLO

    CAPITOLO QUARTO

    L’ITALIA TRA IL IX E IL X SECOLO

    CAPITOLO V

    L’ITALIA TRA L’XI E IL XII SECOLO

    CAPITOLO VI

    L’ITALIA NEL XIII SECOLO

    CAPITOLO VII

    L’ITALIA NEL XIV SECOLO

    CAPITOLO VIII

    L’ITALIA NEL XV SECOLO

    CAPITOLO  IX

    GLI STATI ITALIANI DALL’ALTO MEDIOEVO AL RINASCIMENTO – SINTESI  RIEPILOGATIVA

    CAPITOLO PRIMO

    LA SITUAZIONE DELL'ITALIA ALLA CADUTA DELL'IMPERO ROMANO D'OCCIDENTE

    1. La situazione dell'impero alla fine del quarto secolo

    A partire dalla riforma di Diocleziano, le cui finalità (1) purtroppo non vengono raggiunte, l'Impero Romano pur rimanendo nominalmente Stato unitario, di fatto si divide in due entità distinte dal punto di vista sia politico che spirituale: l'Oriente, essenzialmente di cultura greca con capitale Costantinopoli; l'Occidente di cultura latina con capitale Milano. Sono due entità a volte anche in contrasto, ma l'Impero rimane uno.

    Costantinopoli, la nuova capitale, ha un suo Senato, una sua magistratura, una sua burocrazia; esattamente come Roma che gradatamente perde importanza rimanendo semplicemente sede dei Papi. Il centro dell'Impero si sposta verso Costantinopoli. Persino il cristianesimo contribuisce alla divisione spirituale dell'Impero. Mentre l'Occidente resta saldo nell'ortodossia dell'editto di Nicea (anno 325), l'Oriente accetta la dottrina di Ario (2).

    L'Impero si ricongiunge temporaneamente nel 394. Dopo l'assassinio di Valentiniano II il suo generale, Arbogaste, nomina imperatore d'Occidente il retore Eugenio. Entrambi, sconfitti da Teodosio imperatore d'Oriente, periscono nella battaglia di Aquileia e Teodosio diventa quindi, anche se per un solo anno, Imperatore unico.

    Alla sua morte, avvenuta nel 395, l'impero viene nuovamente diviso; eredi sono i suoi due figli. Al maggiore, Arcadio, l'Oriente sotto la tutela di Rufino, Prefetto del Pretorio; al minore, Onorio, l'Occidente sotto la tutela del Maestro delle Milizie Stilicone.

    Nel 395, poco dopo la morte di Teodosio II, i Visigoti, condotti da Alarico invadono Macedonia e Grecia. Stilicone, che già si trovava nell'Illirico, accorre prontamente in Grecia ma viene fermato da un ordine di Arcadio (Imperatore d'Oriente) che gli ingiunge di ritirarsi, di cedere il comando a Rufino e di uscire dalla Grecia area non di sua giurisdizione.

    Da questo momento la divisione dell'Impero diventa definitiva e autentica. D'ora innanzi avremo due Imperi autonomi: un Impero d'Occidente che si avvia, a breve, allo sfacelo e un Impero d'Oriente che vivrà, con alterne vicende, per altri mille anni.

    2. la condizione dell'impero d'Occidente nel quinto secolo

    Alla vigilia della sua caduta la situazione dell'Impero Romano d'Occidente può essere così riepilogata:

    Britannia:

    abbandonata nel 401 da Stilicone, impegnato contro Alarico, viene in un primo momento occupata dai Celti, popolazione proveniente dalle zone non romanizzate dell’isola. Successivamente subentrano Angli e Sassoni, tribù di origine germanica mentre una parte della popolazione autoctona si trasferisce nella zona della Gallia oggi chiamata Bretagna.

    Gallia:

    invasa, all'inizio del quinto secolo, da varie popolazioni di origine germanica, vi si formano vari Regni: quello dei Franchi, degli Alemanni, dei Burgundi, degli Svevi, dei Visigoti e, nella regione della Senna, quello di Siagrio (piccolo regno gallo-romano) che rimane comunque fedele a Roma

    Spagna:

    invasa inizialmente dai Vandali; quando questi si spostano in Africa ove fondano un loro Regno subentrano, provenienti dalla Gallia, Svevi e Visigoti. Nascono così il Regno degli Svevi - che occupa una regione corrispondente a Galizia e Lusitania (attuale Portogallo) - ed il Regno dei Visigoti che si estende anche ad alcune zone della Gallia meridionale.

    Africa:

    le zone dell'Africa, inizialmente assegnate all'Impero d'Occidente, fanno parte ormai del Regno dei Vandali che comprende pure Baleari, Sardegna e Corsica.

    Provincie Danubiane:

    occupate da vari popoli di origine germanica. In Pannonia - area dell'alto Danubio comprendente le attuali Croazia, Serbia e Ungheria - si forma il Regno degli Ostrogoti che rimane federato a Roma. Così, all'inizio del quinto secolo, l'Impero Romano d'Occidente domina ormai solo: Italia, Sicilia e Dalmazia

    3. La caduta dell'Impero Romano d'occidente

    Nel 401 Alarico con le sue orde Visigote scende in Italia e invade la pianura Padana. Stilicone lo sconfigge sul fiume Tanaro e poi a Verona costringendo Alarico a ritirarsi nell'lllirico. Onorio fugge da Milano e si rifugia a Ravenna che diventa la nuova capitale dell'Impero d'Occidente. Respinto Alarico, Stilicone deve affrontare l'invasione dei Goti che sbaraglia a Fiesole ma Onorio, geloso della sua gloria, nel 408 lo farà assassinare. Già nel 406 è pronta una serie di nuove invasioni: Franchi, Svevi, Vandali, Burgundi e Alani occupano le Gallie e si dirigono verso la Spagna. Avuta notizia della morte di Stilicone, Alarico torna in Italia, attraversa con le sue orde la penisola e, nel 410, mette a sacco Roma. Scende nel meridione ma presso Cosenza muore e viene sepolto nel Busento il cui letto viene deviato. Il suo successore Ataulfo torna al nord, entra nelle Gallie e forma il Regno dei Visigoti che si estende a buona parte della Spagna.

    Nel 423 muore, senza discendenti, Onorio e gli succede Valentiniano II, un fanciullo di pochi anni figlio di Galla Placidia sorella dell'imperatore defunto e reggente per il minore. A causa della rivalità tra Ezio e Bonifazio, i due maggiori generali dell'Impero, nel 429 Genserico, capo dei Vandali, proprio su invito di Bonifazio parte dalla regione della Spagna oggi chiamata Andalusia (3), attraversa lo stretto di Gibilterra, occupa Cartagine e l’intera zona africana sotto la giurisdizione dell’Impero Romano d’Occidente (corrispondente in linea di massima alle odierne zone costiere di Marocco, Algeria, Tunisia e Tripolitania) e fonda il Regno dei Vandali.

    Vent'anni dopo Attila, re degli Unni - un popolo di origine mongola - con le sue orde barbariche attraversa il Danubio, poi il Reno ed occupa le Gallie. Sconfitto da Ezio, l'ultimo grande generale romano, nel 451 si ritira. Ma l'anno successivo, assente e senza esercito Ezio, Attila invade l'Italia e, secondo quanto narra la tradizione, viene fermato da papa Leone I che prospettandogli il castigo divino lo induce a ritirarsi (4). Nel 453 Attila muore ed il suo impero si disintegra.

    Valentiniano II, ricevuta la notizia della morte di Attila - ritenendo ormai sicuro da pericoli il proprio Trono, se non l'Impero - condanna a morte il generale Ezio della cui gloria è geloso.

    Nel 455 Genserico parte dall'Africa, approda sul Tevere, saccheggia Roma e, indisturbato, torna a Cartagine dove espone trionfalmente le spoglie di quella che fu Caput mundi.

    Dopo la morte di Valentiniano II avvenuta nel 456, governa dispoticamente per circa venti anni il Magister Militum Ricimero che, ad libitum, elegge e depone imperatori. Con la morte di questo autentico despota, avvenuta nel 472, scompare non certo un grande generale ma, sicuramente, l'ultima figura di un certo rilievo dell'Impero d'Occidente.

    L'anno successivo sale al trono Giulio Nepote. Osteggiato dal patrizio Oreste - che lusinga con promesse di donativi di terre il proprio esercito formato da eruli e sciti - l'Imperatore abbandona Ravenna nel 475 e si ritira in Dalmazia mentre l'esercito acclama Imperatore Romolo Augustolo, il giovane figlio di Oreste. Delusi dalle promesse non mantenute – evidentemente abitudine antica - eruli e sciti, al comando del loro re Odoacre, sconfiggono e uccidono Oreste nella battaglia di Pavia. Così, nel 476, Romolo Augustolo, ultimo Imperatore Romano d'Occidente, viene deposto e si ritira, incolume, in Campania.

    Odoacre non cerca la dignità Imperiale ma si accontenta dell'autorità del comando. Invia le insegne Imperiali a Costantinopoli e sarà grato a Zenone, Imperatore d'Oriente, quando questi non gli contesterà il titolo di Patrizio di cui si era autonomamente fregiato e che gli consente di legittimare, di fronte ai Romani, il governo d'Italia. Così, ingloriosamente, cade nel 476 l'Impero Romano d'Occidente.

    4. Osservazioni

    Alla fine del V secolo – dal nord al sud – l’Italia è occupata da popolazioni barbare di origine prevalentemente germanica che si sovrappongono alla popolazione latina autoctona.

    Note al Capitolo I

    (1) a) regolare la successione all’impero mediante l’ascesa del Cesare ad Augusto e la nomina del nuovo Cesare; b) evitare i disordini e potenziare le difese contro le invasioni barbariche.

    (2) La divisione permarrà e, nei secoli seguenti, diventerà anche materia di trattazione fra Impero d’Oriente e Papato

    (3) Andalusia - da Vandalusia, terra dei Vandali

    (4) in realtà i motivi del suo ritiro sono non solo diversi, ma molteplici. A Governolo, sulla linea del Po, Attila incontra un’ambasceria formata dal console Avienno, dal prefetto Trigezio e da Papa Leone I il quale, tenendo in una mano - come narra la tradizione - il crocefisso, offre ad Attila, con l’altra, un’ingente somma di denaro che, da sola, non avrebbe sicuramente scongiurato il pericolo dell’invasione, ma che, unita ad altri fattori, per Attila sicuramente più pressanti quali: fame ed epidemie che hanno ormai decimato il suo esercito e le truppe romane inviate oltre il Danubio, lo convincono a ritirarsi

    CAPITOLO SECONDO

    I REGNI ROMANO BARBARICI E L’ESARCATO

    1.Struttura giuridica dei regni romano-barbarici

    Come si è visto, già dalla fine del quarto secolo le popolazioni barbare, che da tempo premevano ai confini dell’Impero d’Occidente, avevano iniziato le invasioni e, al momento della caduta dell’Impero, ben poco rimaneva dell’antica potenza.

    Nel corso del quinto secolo molti regni si sono formati nelle Gallie, nella Spagna e nella zona dell’Africa dipendente dalla giurisdizione dell’Impero d’Occidente; molti di questi regni rimangono alleati a Roma ma sono comunque regni del tutto indipendenti che non divideranno le sorti dell’Impero ma avranno vita autonoma e fortune alterne; dopo il 476 continueranno ad esistere e se, e quando cadranno, questo avverrà per conflitti fra popolazioni barbare di diversa etnia e provenienza o, come avverrà per il regno dei Vandali, con l’Impero di Costantinopoli.

    Romano-barbarici si chiamano questi regni proprio per la loro particolare struttura. Ad un substrato preesistente, formato dalla popolazione latina, si sovrappone la presenza dei popoli invasori che, al di là delle poche consuetudini, conoscevano solo la legge del più forte. Tuttavia, non appena lo stanziamento tende ad assumere un aspetto permanente, si rende necessaria una particolare legislazione che regoli i rapporti tra la popolazione romana ed i barbari invasori. Il principio romano della territorialità del diritto viene, nei regni Romano-Barbarici, completamente rovesciato a favore dell’opposto principio della personalità per cui ogni popolo, che occupi un nuovo territorio, porta con sé le proprie leggi. Ne consegue la necessità, per i Regni Romano-Barbarici, di una doppia legislazione: quella dei vinti e quella dei vincitori; già all’epoca della Roma Repubblicana i Consoli, inviati al Governo delle Provincie, regolavano i rapporti tra Romani e popolazioni autoctone con l’Edictum Tralaticium (1).

    Già all’inizio del sesto secolo abbiamo - fatta compilare da Alarico II per i suoi sudditi romani di Spagna e di Aquitania - la più importante di queste compilazioni: la lex Romana Wisigothorum denominata anche Breviarium Alaricianum per noi particolarmente importante in quanto ci permette di conoscere testi altrimenti perduti. Si tratta di un riassunto delle Istituzione di Gaio; di ampi estratti dal Codice di Teodosio, dalle Novelle post-Teodosiane e dalle Receptae sententiae di Paolo; vi troviamo inoltre qualche estratto dai Codici Gregoriano ed Ermogeniano.

    La collezione non è ordinata sistematicamente ma secondo le fonti da cui le norme provengono; spesso accanto ai testi troviamo l’interpretatio, una parafrasi delucidativa. Non è certo che l’interpretatio sia opera originale dei compilatori Visigoti; sembra più probabile che essi si siano anche serviti di glosse che accompagnavano i testi originali a volte magari rielaborandole onde adeguare il testo romano alle esigenze degli occupanti. E’ certo comunque che l’interpretatio aveva carattere ufficiale in quanto voluta espressamente da Alarico II come provato dal cappello introduttivo.

    Sempre agli inizi del sesto secolo troviamo altre due importanti compilazioni: voluta da Gundobaldo Re dei Burgundi, la lex Romana-Burgundionum e l’edictum Theodorici pubblicato dal Re Ostrogoto Teodorico. A differenza della più importante lex Romana Wisigothorum la prima raccolta cita, a volte, le fonti; l’edictum non le cita mai. Un riscontro con la lex Romana-Wisigothorum ci dimostra però che le fonti sono le medesime anche se, nelle due ultime citate compilazioni, i testi latini vengono spesso stravolti, a volte perchè fraintesi, altre volte per poterli meglio adattare alle esigenze di Burgundi ed Ostrogoti. Va inoltre notato che, mentre il Breviarium Alaricianum - pur mancando di un ordine sistematico, tuttavia raccoglie la normativa in base ad un preciso criterio, quello della fonte - nell’Edictum Theodorici i testi si susseguono ad libitum, senza alcuna coesione logica. Inoltre nella lex Romana Burgundionum troviamo pure frequenti infiltrazioni di diritto barbarico.

    Queste due ultime compilazioni presentano comunque un interesse molto inferiore rispetto alla lex Romana-Wisigothorum molto più ampia, meglio organizzata e più rispettosa delle fonti.

    2. Struttura socio-politica ed economica dei Regni Romano-Barbarici

    Nell’antica Roma il Console esercitava sia il potere militare che quello civile ma nel tempo i due poteri andarono man mano separandosi sino a che, nel cosiddetto Basso Impero (IV e V secolo), si arrivò ad una netta separazione delle competenze; separazione che permarrà nella struttura dell’Impero di Costantinopoli. Nei Regni Romano-Barbarici i due poteri si riuniscono nuovamente nella figura del Conte, l’amministratore delle province, il cui potere viene esercitato sia in ambito civile che militare.

    Va osservato che le società barbariche, pur nella semplicità della loro costituzione originaria, non erano esenti da distinzioni gerarchiche anche se le medesime erano determinate unicamente dal coraggio nell’affrontare il nemico; ma con l’avvento dei Regni Romano-Barbarici, con lo stanziamento stabile sul territorio ed il conseguente possesso permanente della terra non è più solo il valore in battaglia a determinare una gerarchia; ma sopra tutto l’estensione dei possedimenti. Così l’adalingo (il nobile guerriero barbarico) che essendo il più valoroso ha ottenuto la maggiore assegnazione di terre, si trasforma nel grande latifondista, categoria che appunto caratterizza l’epoca.

    Da un punto di vista sociale va inoltre osservata una netta mancanza di coesione tra le due componenti dei Regni Romano-Barbarici: l’originaria componente latina, i vinti, e la componente barbara, i vincitori. Quale la condizione dei vinti? Possiamo affermare con certezza che non erano schiavi dei vincitori, anche se la condizione dei vinti dipendeva molto spesso dalle tradizioni peculiari del popolo invasore; in sostanza la mano dei vincitori poteva essere a volte più, a volte meno pesante. Comunque la popolazione autoctona anche se perde i diritti politici, conserva i diritti civili: libertà personale, diritti ereditari, diritti reali (2).

    Al momento della conquista i Re barbari si appropriano del Fisco imperiale, ossia di tutto ciò che costituisce proprietà pubblica. Tali beni vengono suddivisi tra i vincitori in parti proporzionali al rango ma, quando il Fisco imperiale non è sufficiente per soddisfarne l’appetito, viene rispolverato un vecchio istituto latino il diritto di ospitalità; in altri termini i vinti sono tenuti a cedere parte delle loro proprietà ai vincitori. L’ospitalità non viene applicata sempre né in misura sempre uguale; inoltre per esigenze di carattere politico-militare che sconsigliano una diaspora eccessiva delle popolazioni barbare, ci sono zone più e altre meno colpite dal diritto di ospitalità.

    Per quanto riguarda il campo economico va osservato che il periodo dei Regni Romano-Barbarici è effettivamente un periodo di crisi da attribuire in parte alle distruzioni connesse alle guerre di conquista purtroppo succedutesi con ritmo serrato, ma in parte anche al periodo precedente.

    La crisi economica era già più che latente in tutto il così detto Basso Impero; sia per effetto delle ingenti spese militari necessarie per la difesa dei territori dalle invasioni; sia per sopperire alle distruzioni derivanti dalle continue guerre; sia per compensare gli eserciti che, fedeli al loro generale, lo eleggevano Imperatore e sia, infine, a causa del caotico susseguirsi degli Imperatori eletti, costretti a ricompensare eserciti sempre più ingordi di ricompense. Non va poi dimenticato che già nel quarto secolo, connesso con l’aumentare dell’estensione delle proprietà agricole, si era verificato un declassamento delle coltivazioni che da specialistiche si erano trasformate in estensive.

    In altre parole: se possiamo senza dubbio affermare che la crisi economica è sempre presente in tutto il periodo dei Regni Romano-Barbarici, dobbiamo comunque riconoscere che tale crisi fonda le sue origini nel periodo precedente.

    Di fatto per ciò che concerne l’agricoltura non si verifica un sostanziale cambiamento tra Basso Impero e Regni Romano-Barbarici. La proprietà agricola rimane sostanzialmente quella tradizionale: la villa, ossia un latifondo normalmente suddiviso in due distinte unità: una di minore estensione abitata dal padrone e dai servi che direttamente provvedono alla coltivazione, in genere specialistica; l’altra, di più vasta estensione e divisa in lotti, affidata al lavoro di coloni; le culture sono per lo più di carattere estensivo e normalmente il compenso al dominus viene pagato in natura (3).

    Inizialmente il colono è senza dubbio un uomo libero che rimane sul fondo per il periodo liberamente contrattato ma, con il passare del tempo, la scarsezza sempre maggiore di schiavi muterà la condizione dei coloni che, obbligati a rimanere sul fondo, si trasformeranno, in servi della gleba.

    Anche il commercio segue sostanzialmente invariato rispetto al periodo del Basso Impero. Già dalla fine

    del quarto secolo Costantinopoli rappresentava l’emporio del mondo e le sue navi portavano in occidente le merci più preziose. Tra i barbari solo i Vandali riescono ad armare una flotta di poche navi senza però mai riuscire ad attivare un commercio di un certo valore; ben presto, comunque, il Regno dei Vandali cadrà sotto il dominio dell’Impero d’Oriente.

    Durante tutto il perdurare dei Regni Romano-Barbarici il commercio con l’Impero d’Oriente continua sostanzialmente invariato, anche perché nessun Re barbaro avrà l’ardire di battere moneta e sui mercati continua a circolare l’unità monetaria romana il soldo d’oro di Costantino.

    3. Sintesi storiografica dei Regni Romano-Barbarici

    a) Regno dei Vandali

    Costituito da Genserico nel periodo che intercorre tra il 429 e il 439, raggiunge il suo massimo splendore in due occasioni: nel 455 e nel 468; nel 455 quando Genserico, partito dall’Africa e approdato sul Tevere, saccheggia Roma e, indisturbato, torna a Cartagine ove espone le spoglie strappate a quella che fu Caput mundi; nel 468 quando ottiene la vittoria – l’unica - sulle flotte riunite degli Imperatori d’Oriente ed Occidente. In tal modo Genserico diventa il solo Sovrano barbaro in possesso di una flotta in grado di contendere a Costantinopoli il dominio del Mediterraneo.

    Ma i Vandali, a differenza di altri popoli barbarici come Visigoti, Burgundi e Ostrogoti, rimasero sempre e solo accampati sul territorio senza mai amalgamarsi con le popolazioni autoctone; infatti mentre, come si è visto, nasce una Lex Romana Wisigothorum, una Lex Romana Burgundionum e un Edictum Theodorici, non conosciamo legge che regoli i rapporti tra Vandali e cittadini dell’Impero.

    Alla morte di Genserico, avvenuta nel 477, il Regno dei Vandali entra in completa anarchia sino a quando, nel 533, cade preda dell’Impero d’Oriente che estende così il suo dominio su tutti quei territori dell’Africa già appartenuti a Roma.

    b) Regno dei Visigoti

    I Goti, popolo germanico di origine baltica, seguaci di Ario, si suddividono in due grandi gruppi: gli Ostrogoti, che si insediano nelle regioni dell’Est Europa ed i Visigoti che occupano i territori dell’Ovest.

    Il Regno dei Visigoti, fondato da Alarico I all’inizio del V secolo, nel 476 al momento della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, occupava ormai l’intera penisola Iberica – salvo quella limitata zona tra l’Atlantico ed i Pirenei occupata da Cantabri e Vasconi - nonchè quella parte della Gallia che si estende dall’oceano Atlantico alle Alpi e sino all’odierna Narbonne sul Mediterraneo.

    L’arianesimo di Alarico II, nettamente in contrasto con la fede cattolica della quasi totalità della popolazione Gallo-Romana del suo Regno, ben presto gli aliena le simpatie dei sudditi. Sudditi che infatti appoggeranno Clodeveo Re dei Franchi ormai convertito al Cattolicesimo quando questi, all’inizio del sesto secolo, si scontra con Alarico e nel 507, nella battaglia di Vouillé, si impadronisce di tutta quella parte della Gallia che già apparteneva al Regno Visigoto. Solo l’intervento di Teodorico, Re degli Ostrogoti, prezioso alleato di tutti i popoli ariani del bacino del Mediterraneo, consente ad Alarico di conservare la Provenza.

    Nel 526 alla morte di Teodorico, venuto meno l’aiuto del prezioso alleato, il Regno Visigoto attraversa un grave periodo di anarchia e l’Impero d’Oriente ne approfitta per conquistare le coste della penisola Iberica. Solo alla fine del sesto secolo, con la conversione al cattolicesimo del Re Visigoto Recaredo, il Regno riconquista stabilità e nel 615 libera le zone costiere dall’occupazione di Costantinopoli.

    Con la conversione di Recaredo cessa l’antagonismo religioso nel Regno ma si verifica, dopo la serie dei Concili di Toledo, una vera e propria subordinazione del Monarca ai Vescovi. Ciò malgrado il Regno conosce un periodo di relativa tranquillità anche se la mancanza di precise norme regolanti la successione al Trono provoca spesso feroci lotte fra gli aristocratici.

    Ed è proprio una lotta per la successione che determina la fine del Regno Visigoto. Quando nel 710 muore il Re Vitiza i suoi parenti non riconoscono il nuovo Re Roderico e dalla contesa traggono vantaggio gli Arabi che, forse chiamati dai parenti del defunto Re Vitiza, al comando di Tarik attraversano lo stretto di Gibilterra. Roderico affronta in battaglia gli Arabi ma viene sconfitto ed ucciso. Finisce così, ingloriosamente, il Regno Visigoto. Gli Arabi occupano ormai tutta la Spagna fino ai Pirenei. Solo uno sparuto gruppo di Visigoti, che si rifugia sulle montagne delle Asturie, riesce a mantenere la propria indipendenza e pone le premessa della futura nazione spagnola.

    c) Regno dei Burgundi

    I Burgundi sembrano essere, come Angli e Sassoni, una popolazione di origine nordica. Il loro Regno si costituisce, all’inizio del quinto secolo, nella regione della Gallia Romana corrispondente all’attuale Borgogna ai confini con il Regno degli Alemanni e quello di Siagro. E’ uno dei tanti Regni Romano-Barbarici che rimane federato a Roma sino alla caduta dell’Impero d’Occidente.

    Il Regno dei Burgundi viene ricordato sopra tutto per la Lex Romana Burgundionum voluta dal Re Gundobaldo. E’, per importanza, la seconda compilazione di leggi Romano-Barbariche, dopo la Lex Romana Wisigothorum.

    All’inizio del sesto secolo i Burgundi sono alleati di Clodoveo, Re dei Franchi, contro i Visigoti nella conquista della Gallia ma successivamente, nel 532, con i successori di Clodoveo il Regno cade sotto il dominio dei Franchi pur mantenendo una certa autonomia e riconoscimento. Infatti il territorio dell’ex Regno conserverà il proprio nome: si chiamerà Burgundia e darà il nome all’attuale Borgogna.

    d) Regno dei Franchi

    I Franchi, popolo di origine germanica, in origine occupano solo un piccolo territorio a grandi linee corrispondente all’attuale Belgio e rimangono fedeli al patto di federazione con Roma sino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente. A quell’epoca i Franchi erano pagani ed è proprio questa loro caratteristica che imprevedibilmente aiuta la loro espansione verso il sud della Gallia, ossia verso i territori del Regno Visigoto. E’ infatti il malcontento suscitato nella popolazione cattolica gallo-romana dalle prevaricazioni dei conquistatori ariani, i Visigoti, che rende preferibili eventuali occupanti anche pagani. In un periodo che va dalla fine del quinto secolo all’inizio del sesto, con l’avvento al trono di Clodoveo della dinastia dei Merovingi, i Franchi iniziano la loro espansione vittoriosa nei territori del Regno Visigoto, espansione che la conversione al cattolicesimo di Clodoveo, avvenuta per mano del Vescovo Remigio, aiuta fortemente e che solo l’intervento di Teodorico, Re degli Ostrogoti e potente alleato di tutti i popoli ariani, permette di arrestare.

    Sotto il Regno di Clodoveo i Franchi conquistano non solo, come abbiamo visto, la Gallia Visigota ad eccezione della Provenza, ma sottomettono pure il Regno di Siagro. Con i successori di Clodoveo i Franchi estendono il loro potere sul Regno dei Burgundi anche se - grazie ai rapporti di alleanza che già erano intercorsi ai tempi di Clodoveo ed alla conversione al cattolicesimo del Re Gundobaldo - il territorio conquistato potrà godere, nell’ambito del Regno dei Franchi, di un particolare trattamento che consentirà alla regione di conservare la propria identità chiamandosi Burgundia, nome che ancora oggi identifica quella zona.

    Entro la prima metà del sesto secolo il dominio dei Franchi già si estende oltre la Burgundia; occupa il territorio confinante popolato dagli alemanni e si spinge sino alla Turingia e alla Sassonia. Purtroppo il concetto patrimoniale del Regno, proprio dei Merovingi, porterà ad un lungo periodo di anarchia. Alla morte di Clodoveo, avvenuta nel 511, il Regno viene diviso fra i suoi quattro figli. Inizia in tal modo un nuovo, lungo periodo di lotte intestine. Solo le molte eliminazioni fisiche e le rivendicazioni a volte pur acrobatiche, su più o meno discutibili diritti ereditari, consentiranno la riunificazione del Regno all’inizio del settimo secolo con Clotario II ed il suo successore Dagoberto.

    Purtroppo quella concezione patrimonialistica del Regno, che i Merovingi non riescono ad abbandonare, porta nuovamente al frazionamento del Regno fra i figli dei Sovrani e produce nuove e gravi lotte interne. Il potere effettivo gradatamente sfugge dalle mani del Monarca il quale, per conservare il Trono, è costretto ad appoggiarsi alle potenti aristocrazie terriere che, attraverso il Maggiordomo detto anche Maestro di Palazzo, esercitano il potere effettivo. A buon diritto i Re Merovingi si meriteranno dai posteri l’epiteto di Re Fannulloni. Eginardo, storico del tempo di Carlo Magno, nella sua: Vita Karoli Magni, a proposito dei Re Merovingi, così scrive: …Il Re non aveva altra soddisfazione che quella di sedere sul suo trono [...] Tolto il titolo reale, diventato inutile e gli incerti mezzi di sussistenza che il Maggiordomo gli concedeva, a sua discrezione, il Re non aveva di suo che un piccolo dominio di scarsissimo reddito con pochi servitori [...] L’amministrazione e tutte le misure e decisioni da prendere, tanto all’interno quanto all’esterno, erano di competenza esclusiva del maestro di palazzo...

    La storia del Regno dei Franchi si trascina così attraverso gli anni sino a quando, nella seconda metà del secolo settimo, Pipino d’Héristal, Maestro di Palazzo del Regno di Austrasia, conquista la Neustria (4) e

    concentra nelle sue mani tutto il potere formalmente ancora in capo ai Re Merovingi. Alla sua morte gli succede, nell’esercizio del potere effettivo, il figlio naturale Carlo Martello, rimasto nella storia grazie alla vittoria riportata sui musulmani nella battaglia di Poitiers nell’ottobre del 732.

    Nel 737, alla morte del sovrano Merovingio ed in mancanza di un successore, Carlo diventa, di fatto, il monarca pur mantenendo la semplice qualifica di Maestro di Palazzo. Alla morte di Carlo Martello, avvenuta nel 741, i suoi due figli Pipino il Breve e Carlomanno si dividono il potere effettivo ma, come il padre, non ardiscono salire al trono sul quale pongono, quale simulacro, Childerico III, la cui origine Merovingia appare fra l’altro discutibile.

    I due fratelli - che hanno il grande merito di aver iniziato una politica di alleanza con il Papato, politica che in breve darà ottimi frutti – governano insieme sino al 747, anno in cui Carlomanno si ritira in Convento. Dopo il ritiro del fratello, il potere rimane in mano a Pipino il Breve il quale lo esercita, sempre come Maestro di Palazzo, sino a quando nel 751, assicuratasi la protezione di Papa Stefano II, depone l’ultimo sovrano Merovingio e, in un’assemblea riunita a Soissons, viene proclamato Re. Pochi anni dovranno ancora trascorrere e con suo figlio Carlo, che passerà alla Storia con il nome di Carlomagno, il Regno dei Franchi raggiungerà il culmine della gloria e con lui avrà inizio una nuova storia: la storia del Sacro Romano Impero.

    e) Regno degli Ostrogoti

    Gli Ostrogoti sono quel ramo del popolo Goto che si era stanziato nei territori dell’est Europa; appare naturale che quest’orda barbarica che preme ai confini dell’Impero Romano d’Oriente abbia sempre costituito, e continui a costituire, un grave pericolo per Costantinopoli.

    Come abbiamo già visto (5) nel 476 l’Impero Romano d’Occidente cade per opera di Odoacre che, nelle terre già estremo dominio dell’Impero, instaura il proprio Regno. In quell’occasione l’Imperatore d’Oriente, Zenone, riceve l’ambasceria di Odoacre, accetta la consegna delle insegne imperiali e non contesta il titolo di Patrizio che il medesimo Odoacre si era attribuito. Formalmente accetta l’omaggio, non si pronuncia e non agisce. Agirà più tardi, con grande astuzia e intelligenza. Invierà Teodorico, Re degli Ostrogoti, alla conquista dell’Italia; riuscirà così, brillantemente, a raggiungere senza costo alcuno l’importante obiettivo di liberare i confini del suo Impero dal pericolo incombente: gli Ostrogoti.

    Teodorico è figlio di Teodemiro, Re degli Ostrogoti. Nel 462, presumibilmente all’età di otto anni, viene inviato come ostaggio a Costantinopoli ed è in questa Corte, ove rimarrà sino al 474, che cresce e viene educato; ha quindi modo di conoscere ed apprezzare cultura ed istituzioni romane. All’età di vent’anni torna in Patria e, alla morte del padre avvenuta nel 474, diventa Re degli Ostrogoti. Le relazioni con l’Impero non sono sempre idilliache ma tuttavia prende parte alle guerre dell’Impero e riceve da Zenone il titolo di Patrizio. Nel 488 Zenone lo indirizza in Italia alla conquista del Regno dell’usurpatore Odoacre che, sconfitto ripetutamente in battaglia, nel 489 è costretto a ritirarsi a Ravenna. L’anno seguente, sconfitto nuovamente Odoacre sull’Adda, Teodorico inizia l’assedio di Ravenna; nel 493, conquistata la capitale e ucciso Odoacre, Teodorico diventa padrone dell’Italia anche se il riconoscimento del suo nuovo Regno da parte dell’Imperatore d’Oriente, gli giungerà soltanto cinque anni più tardi nel 498.

    Accorre in aiuto dei Visigoti di Alarico nella contesa con Clodoveo e riesce ad impedire la conquista della Provenza da parte del Re Franco. Riunisce infine all’Italia la Dalmazia, la Rezia ed il Norico (6).

    Teodorico mantiene, nel suo nuovo Regno, l’antico ordinamento romano affidando ai Romani le cariche civili e avvalendosi di collaboratori di grande valore quali Boezio, Cassiodoro e Simmaco. Riserva ai barbari le cariche militari. Assicura la pace esterna ed interna. Esterna, mediante una politica molto abile che, attraverso i matrimoni, tende a conquistare il predominio sulle altre dinastie barbariche; interna, mediante provvedimenti intesi a favorire la coesistenza pacifica fra Goti e Romani. Nel campo del diritto emana l’Edictum Theodorici la terza, per importanza, compilazione Romano-barbarica. Il suo grandioso progetto incontra però, negli ultimi anni del suo Regno, una forte opposizione sia da parte di Costantinopoli - l’Imperatore non è più Zenone - che mira alla conquista dell’Italia, sia da parte dei sudditi Romani che, Cattolici, mal sopportano l’arianesimo degli invasori; sia, paradossalmente, da parte degli stessi Ostrogoti che, conquistatori, si vedono sacrificati rispetto all’elemento Latino. Inoltre la fine dei lunghi contrasti fra l’Impero d’Oriente ed il Papato costringe in difesa Teodorico, che si sente vittima di una politica di accerchiamento. Inizia così la repressione nei confronti dell’elemento latino. Vengono incarcerati e uccisi Boezio e Cassiodoro e lo stesso Papa Giovanni I morirà prigioniero a Ravenna pochi mesi prima di Teodorico (7).

    Alla sua morte, avvenuta nel 526 all’età di settant’anni, Teodorico lascia comunque un Regno che ha raggiunto un discreto sviluppo agricolo-commerciale ed una capitale, Ravenna, arricchita di monumenti di rilievo fra cui la sua tomba – il Mausoleo – e la Chiesa di Sant’Apollinare. Per opera sua, anche Roma beneficia del restauro di numerosi monumenti fra cui il Colosseo, il teatro di Pompeo e le vecchie mura. Sembra che, morendo, consigli il ritorno ad una politica di pacifica coesistenza con l’elemento latino.

    Gli succede, all’età di soli dieci anni, il nipote Atalarico che, sotto la tutela della madre Amalasunta, regna nominalmente sino al 534 anno in cui, a diciotto anni, muore prematuramente. Amalasunta, figlia di Teodorico, durante la reggenza per il figlio memore del consiglio del padre morente tenta, raggiungendo effetti positivi, di ripristinare l’antica coesione fra sudditi latini ed elemento barbaro. Anche all’esterno, la sua politica è intelligente e proficua; riesce infatti a ripristinare, con l’Impero d’Oriente, il primitivo accordo.

    Alla morte di Atalarico, pur conservando per sè il potere, accetta di dividere il Trono con il cugino Teodato; questi, raggiunto l’obiettivo, dopo averla deposta e rinchiusa in un Castello sul lago di Bolsena, nel 535 la farà strangolare. A futura memoria, monito infausto di comunione del letto e divisione del potere. Giustiniano, Imperatore d’Oriente, coglie il pretesto e, contro l’usurpatore, invia Belisario con un potente esercito. In un primo momento Teodato si rivolge al Papa per ottenere aiuto alla ricerca di un accordo con Costantinopoli, accordo che purtroppo si rivela irraggiungibile. Belisario conquista Napoli mentre i Goti, deposto Teodato, eleggono Re Vitige. Raggiunto, mentre vigliaccamente fugge verso Ravenna ove spera di trovar rifugio, Teodato viene ucciso. E’ il 536 e neppure un anno è trascorso dall’assassinio di Amalasunta.

    Vitige è l’ultimo Re Ostrogoto; valoroso guerriero, già ministro di Amalasunta. Inutilmente si oppone alla potenza dell’esercito di Belisario che lo sconfigge definitivamente nel 540 entrando con l’inganno in Ravenna. Vitige viene portato prigioniero a Bisanzio ove, due anni dopo, molto stimato terminerà i suoi giorni alla Corte di Giustiniano.

    4. L’Esarcato

    Esarcato è il termine che identifica i governatorati in cui vengono riuniti i territori Bizantini d’Italia e d’Africa. L’Esarca è inizialmente solo un semplice Governatore civile il quale - in seguito alle pressioni dei Longobardi ai confini dell’Italia e delle tribù Berbere ai confini d’Africa - acquista man mano poteri militari e un’importanza sempre maggiore. Avviene pure che a volte l’Esarca non sia esente da velleità di indipendenza. L’Esarca d’Italia risiede a Ravenna, la capitale, dove crea attorno a sé una piccola Corte non molto dissimile da quella di Costantinopoli.

    La conquista dell’Italia, da parte dell’Impero Bizantino, assume grande rilevanza storica a livello europeo. Il diritto Giustinianeo, che dall’Oriente viene introdotto in Italia, si diffonde presto in tutti i paesi d’Europa e costituirà le basi del diritto dell’intero continente. Ancora oggi, nelle legislazioni Europee, e non solo Europee, gli istituti giuridici fondamentali traggono le loro origini direttamente dal diritto Romano.

    Numerosi sono però gli effetti negativi della conquista e fra questi, non ultime, le distruzioni provocate dalla guerra. Come si è visto, Teodorico aveva lasciato al nipote un Regno discretamente sviluppato dal punto di vista agricolo-commerciale ed il periodo della reggenza di Amalasunta era stato positivo. I cinque anni di guerre, dal 535 al 540, lasciano un paese devastato; le case distrutte, i campi incolti, la fame, le epidemie e la morte. Procopio di Cesarea, storico al seguito di Belisario e quindi testimone oculare dei fatti, cosi si esprime in un passo della sua Guerra gotica: …Taluni furono che sotto la violenza della fame mangiaronsi l’un l’altro; e dicesi pure che due donne in certa campagna al di là di Rimini mangiassero diciassette uomini, poiché sendo esse sole superstiti in quel villaggio, coloro che di là viaggiavano andavano a stare nella casa da loro abitata, ed esse, uccisili mentre dormivano, se ne cibavano. Dicono poi che il decimottavo ospite, svegliatosi quando queste donne stavano per trafiggerlo, balzato loro addosso ne risapesse tutta la storia ed ambedue le uccidesse. Così dicesi andasse tal cosa… (8).

    Paradossalmente la conquista da parte dell’Impero Bizantino peggiora notevolmente la situazione delle popolazioni latine; esse si rendono conto di avere semplicemente cambiato padrone; ed in peggio. I Goti rispettavano i sudditi latini di cui apprezzavano la cultura ed ai quali affidavano le cariche civili, ma i nuovi padroni sono Romani e, pur essendo Romani, sono e restano, i conquistatori. L’Impero governa per mezzo di un’amministrazione fortemente burocratizzata con funzionari propri e, in quel sistema già organizzato, i sudditi latini non hanno possibilità di inserimento. Cinque anni di guerra hanno provocato l’abbandono dei campi e l’arresto dell’attività commerciale. Conseguenze naturali sono miseria e fame; aggiungiamoci i Longobardi che premono ai confini, l’esosa fiscalità di Costantinopoli, le conseguenze delle perpetue dispute teologiche tra Impero e Papato ed il quadro dell’Italia, nella seconda metà del sesto secolo, è completo.

    Giustiniano, pur essendo accanito difensore del Cristianesimo come unica religione dell’Impero, nello stesso tempo è convinto che la potestà di legiferare, giudicare e decidere anche in materia religiosa e teologica a lui solo competa (9). Nel 537, approfittando della presenza in Italia delle truppe di Belisario, Giustiniano, deposto Silverio, impone l’elezione a pontefice di Vigilio e nello stesso tempo conferisce ai Vescovi la funzione di supremi controllori dei Funzionari Imperiali. La Chiesa viene quindi a trovarsi integrata nell’ordinamento burocratico dell’Impero.

    Malvisto dai Romani, ambizioso ed avido; debole e al tempo stesso violento, Vigilio chiede ed accetta favori ma non sempre si dimostra docile, riconoscente strumento di Giustiniano all’appoggio del quale deve l’ascesa al soglio Pontificio. Essendosi rifiutato di firmare il decreto Imperiale di condanna dei Tre Capitoli (10), nel 547 viene condotto a Costantinopoli, imprigionato nel Chersoneso (11) e costretto nel 553 a firmare il decreto. Evaso nel 555, morirà nella viaggio verso Roma.

    Nel 565 muore Giustiniano ed i suoi successori, usurpatori a parte, sono solo personaggi inetti. Ne approfittano i Longobardi, popolo barbaro che da tempo preme alle frontiere d’Italia. Guidati dal Re Alboino iniziano l’invasione e, in un periodo che va dal 568 al 572, conquistano la pianura padana e buona parte dell’Italia centrale. Solo grazie alla potenza della propria flotta l’Impero Bizantino riuscirà a salvare buona parte dei territori costieri della penisola.

    Poiché i Longobardi non hanno speranza alcuna di battere la flotta di Costantinopoli nè i Bizantini quella di opporsi, in terra ferma, alle conquiste dei Longobardi, grazie alla mediazione di Papa Gregorio Magno, nel 603 viene conclusa una pace che avrà, come conseguenza, la divisione politica dell’Italia; divisione che si protrarrà per più di dodici secoli dal 603 al 1870. Esattamente 1267 anni.

    In seguito all’accordo l’Italia viene così divisa tra Longobardi ed Impero:

    All’Impero di Costantinopoli:

    oltre ai litorali Ligure, Toscano e Veneto, l’attuale Romagna, le Marche, gran parte dell’Umbria, i Ducati di Roma e di Napoli, la Puglia e le tre maggiori isole: Sicilia, Sardegna e Corsica. Come si è già detto l’Italia Bizantina è governata, per conto dell’Imperatore, da un Esarca che ha sede in Ravenna.

    Ai Longobardi:

    la pianura Padana e gran parte dell’Italia centrale nonché, dotati di una certa autonomia, i Ducati di Spoleto e Benevento. I Longobardi, sono governati da un Re, e stabiliscono la loro capitale a Pavia. Sarà questa divisione - che rende purtroppo difficile e, dopo il 592, assolutamente impossibile per i Bizantini, trasferirsi da una zona all’altra dei loro territori senza passare attraverso le terre occupate dai Longobardi - che promuoverà le autonomie locali delle città costiere.

    Venezia, Genova, Pisa ed Amalfi, città portuali al centro di un attivo commercio marittimo, ormai in grado di difendersi con milizie proprie, accentuano le loro tendenze sempre più autonomistiche.

    Aggiungiamoci le sempre più palesi velleità di indipendenza dell’Esarca di Ravenna; i Longobardi che con l’occupazione di Genova e di parte del litorale veneto, hanno esteso le loro conquiste ai danni dell’Impero; le continue dispute teologiche che l’Imperatore Costante II tenta invano di comporre e che nel 654 condurranno alla deposizione di Papa Martino I che relegato nel Chersoneso ivi morirà nell’anno seguente. Nulla manca, dunque, per descrivere il clima di estrema tensione autonomistica esistente in tutta l’Italia Bizantina che attende solo l’occasione per liberarsi. L’occasione si presenta quando, nel 726, l’Imperatore Leone III emana l’editto sull’iconoclastia (12), editto che scatena ribellioni in tutto il territorio. Nel 751, crolla l’Esarcato di Ravenna e, cacciati i funzionari imperiali, oltre a Venezia ed Amalfi, si rendono indipendenti i Ducati di Roma e di Napoli. All’Impero rimangono le isole maggiori, parte della Puglia e l’estremità meridionale della Calabria.

    5. Osservazioni

    Dal 476 (caduta dell’Impero Romano d’Occidente) al 603 l’Italia, dal nord al sud è sempre unita prima con Odoacre, poi con Teodorico ed infine con la dominazione Bizantina.

    Solo a partire dal 603 abbiamo al Nord, ma anche in Umbria e Campania, i Longobardi; al Sud, ma anche al Nord con Ravenna, Venezia e Genova i Bizantini.

    Dobbiamo poi osservare che mentre al Nord i latini sono dominati dai Longobardi, popolo barbaro nel vero senso del termine, al Sud la dominazione è bizantina, pertanto tutt’altro che barbara.

    Note Al Capitolo II

    (1) il Pretore all’inizio del suo mandato stendeva un editto che regolava il suo Governo nella Provincia; normalmente l’editto si tramandava da un Pretore all’altro e per questo assume il nome di tralaticium

    (2) diritti reali sono: proprietà, usufrutto, uso, abitazione e servitù prediali

    (3) si tratta di una primordiale forma di mezzadria

    (4) L’Austrasia è quella parte del Regno dei Merovingi compresa tra le Ardenne e la Mosa, a grandi linee corrispondente a Belgio e Lorena: la Neustria, alla destra del Reno, verrà poi chiamata Palatinato

    (5) vedi cap. I paragrafo 3

    (6) La Rezia, comprende gli attuali Grigioni, la Valtellina, l’Alto Adige sino alla valle dell’Inn. Norico è la regione compresa fra la Rezia e la Pannonia, regione corrispondente a Ungheria, Serbia e Croazia

    (7) Giovanni I muore nel maggio del 526 e Teodorico muore nell’agosto dello stesso anno

    (8) Procopio di Cesarea, La guerra gotica, ed. Garzanti, libro II, pag. 241

    (9) Cesareopapismo o Cesaropapismo è il termine che identifica questa commistione tra potere civile e potere religioso; commistione, che tante conseguenze produrrà per tutto il Medioevo, ed oltre, in Occidente ed in Oriente.

    (10) La questione dei Tre Capitoli potrebbe ben definirsi, e con ragione, di lana caprina. Infatti l’editto emanato da Giustiniano condanna gli scritti dei Vescovi di Cesarea, di Ciro e di Edessa perché in parte favorevoli all’eresia monofisita di Nestorio. Tale eresia, che riconosce in Cristo una sola natura, la divina, appare apertamente in contrasto con il dogma cattolico della doppia natura (umana e divina). Ma poiché nel 451 il Concilio di Calcedonia aveva riammesso i tre Vescovi, pentiti, in seno all’ortodossia, i Vescovi occidentali – che conoscono gli atti del Concilio ma non conoscono, il testo dei tre documenti - i tre capitoli - si ribellano all’editto di Giustiniano solo perché lo ritengono una implicita condanna del Concilio!!!

    (11) corrispondente alla penisola dei Dardanelli

    (12) iconoclastia, o distruzione delle immagini; Leone III ritenendo idolatria il culto delle immagini ne decreta la distruzione

    CAPITOLO TERZO

    L’ITALIA FRA IL SETTIMO E L’OTTAVO SECOLO

    1. I Longobardi

    I Longobardi detti anche Winnili (1), provenienti presumibilmente dalla regione dell’Elba (2), sono un popolo barbaro di origine germanica; per lingua e per costumi sono affini ad Angli e Sassoni. Verso la metà del sesto secolo occupano la Pannonia (3) e spodestando i Gepidi.

    Per i Longobardi lo Stato si identifica con gli Arimanni ossia l’insieme di tutti gli uomini liberi atti alle armi e riuniti nelle Fare e i grandi nuclei familiari affini (4) in quanto estesi ai legami matrimoniali dell’intero parentado. Esprimono la loro volontà in assemblee generali e riconoscono come loro capo un Re cui viene demandata qualunque decisione ed a cui compete anche il potere militare; agli Arimanni spetta l’elezione del successore al trono di norma, ma non necessariamente, il figlio del defunto Re.

    I Longobardi, originariamente pagani, ed in parte convertiti all’arianesimo, sono inizialmente animati da una forte avversione nei confronti della Chiesa Cattolica, avversione che nel tempo, gradatamente verrà meno.

    Approfittando della debolezza dell’Impero, e guidati dal loro Re Alboino, entrano in Italia nel 568 e, senza trovare resistenza, nella primavera dell’anno seguente occupano Forum Iulii (5); nel settembre sono a Milano; solo Pavia resisterà per tre anni. Man mano che l’occupazione avanza i capi delle Fare più potenti si insediano, col titolo di Duca, nelle città di maggior importanza. Inizialmente l’avanzata prosegue verso la Liguria e la Tuscia (6) e si estende in seguito a sud del Po ove i Longobardi occupano una parte dell’Italia centrale e fondano i Ducati di Spoleto e Benevento; saranno il fulcro dell’espansione Longobarda nell’Italia meridionale ma nello stesso tempo, andranno gradatamente allentando, sino ad annullarli, i vincoli di dipendenza dal Regno. Questo avverrà soprattutto perché, dopo l’assassinio di Alboino e del suo successore Clefi - rispettivamente nel 572 e 574 - inizia un periodo di interregno di circa dieci anni durante i quali i Duchi in totale autonomia governano dispoticamente e spesso anche in contrasto fra loro. Questo decennio è senza dubbio il peggiore della dominazione Longobarda. I Duchi, agiscono ad libitum; spogliano ed uccidono i vinti per impossessarsi delle loro ricchezze e per i sudditi Romani viene purtroppo a mancare qualunque tutela giuridica.

    Le cose migliorano nel 584 allorchè i Duchi eleggono Rex gentis Longobardorum il figlio di Clefi, Autari che - nei sei anni di Regno concessigli (7) - riorganizza e rafforza lo Stato, ne espande i confini, cerca alleanze con altri popoli barbari e migliora i rapporti con il Papato. Sarà sotto il suo successore, Agilulfo, il cui Regno avrà maggiore durata – dal 591 al 615 - e soprattutto fine meno tragica, che verrà stipulato l’accordo con l’Impero Bizantino per la spartizione dell’Italia (8).

    In seguito alla conversione al cattolicesimo della famiglia reale e di un numero non indifferente di Longobardi, la situazione dei sudditi Romani migliora alquanto e viene loro concessa una certa, se pur limitata, libertà d’azione. Questa particolare contingenza determina però un grave contrasto fra quella parte di Longobardi che si sono convertiti al cattolicesimo e gli intransigenti rimasti legati all’eresia di Ario ed alle tradizioni germaniche del loro popolo.

    Questo contrasto - in cui si inseriscono le violente ambizioni dei Duchi - nel 636 determina la deposizione di Adaloaldo, figlio e successore di Agilulfo, da parte del proprio fratello Arioaldo duca di Torino e la successiva elezione regia dell’ariano Rotari già duca di Brescia. Rotari, che regnerà dal 636 al 652, è ricordato sia per aver sottratto ai Bizantini la Liguria ed una parte del litorale Veneto, sia come legislatore del suo popolo. Pubblica infatti, nel 643, l’Editto che porta il suo nome; si tratta di una codificazione di usi longobardi che, attraverso modeste varianti, se pur in maniera rozza e primitiva cerca di acquisire alcuni principi del diritto romano. Gli succede il figlio Rodoaldo e alla sua morte, avvenuta nel 661, Grimoaldo, figlio del Duca del Friuli e già Duca di Benevento; regna dal 662 al 671. Possiamo affermare che solo l’essere stato Duca di Benevento gli consente di possedere milizie, forze e autorità tali che gli consentano di dominare e tenere sotto tutela per nove anni i Duchi Longobardi ribelli. Alla morte di Grimoaldo, dopo un lungo periodo di lotte accanite, si giunge finalmente, nel 712, all’elezione di Liutprando che, nei trentadue anni di regno (712-744), porta i Longobardi al massimo della loro potenza. Malgrado nell’ottavo secolo sia ormai venuto meno l’antagonismo fra Longobardi ariani e Longobardi cattolici, pur tuttavia due fattori negativi continuano a minare l’esistenza del Regno Longobardo: la Chiesa romana, e i Duchi.

    Alla morte di Liutprando viene eletto Rachi che nel 749 si dimette; a lui succede, appoggiato dall’ala intransigente, il fratello Astolfo che regna dal 749 al 756. Nel 751, annesso al Regno il Ducato di Spoleto, invade l’Esarcato e, con l’occupazione di Ravenna, pone fine alla dominazione Bizantina in Italia. Successivamente occupa il Ducato di Roma ormai indipendente e papa Stefano II, sentendosi minacciato, nel 754 chiede aiuto al Re Franco Pipino il Breve da lui stesso riconosciuto Re tre anni prima. Astolfo, sconfitto da Pipino a Pavia e di nuovo nei pressi di Roma, viene da questi costretto a donare al Pontefice tutte le terre sottratte all’esarcato di Ravenna nonché il Ducato di Roma e parte del Ducato di Napoli. Ed è proprio da questa vasta donazione, ottenuta grazie all’imposizione di Pipino il Breve, che trae origine lo Stato della Chiesa.

    Morto Astolfo nel 756, viene eletto Re Desiderio che intende sottrarre al Pontefice le terre a suo tempo obbligatoriamente cedute da Astolfo a Stefano II. Il nuovo Pontefice, Adriano I, sentendosi minacciato, chiede aiuto a Carlo (9) che nel 772 scende in Italia. Desiderio, sconfitto a Pavia, morirà poco dopo nel Monastero di Corbie; con lui finisce il dominio Longobardo in Italia ed il Regno passa ai Franchi.

    Inutile, nel 776, la rivolta di alcuni Duchi prontamente sedata da Carlo. I Longobardi, privi ormai delle loro posizioni di privilegio e ridotti a sudditi dei Carolingi, gradatamente vanno perdendo le loro caratteristiche originarie e finiscono con l’assimilarsi sempre più ai latini formando il substrato di quella che, dopo l’anno mille, diventerà la popolazione italiana.

    Scomparso con Desiderio il Regno Longobardo sopravvivono ancora per qualche tempo i Ducati di Spoleto e Benevento che, sempre più condizionati dalle influenze locali e dalle vicende politiche delle penisola poco per volta andranno perdendo le loro caratteristichr tipicamente Longobarde. Quello che, pur con alterne vicende, avrà vita più lunga è il Ducato di Benevento trasformatosi nella prima metà del nono secolo in Principato. Nell’anno 1077 quando, dopo la morte di Landolfo VI, il Principato - persa completamente la propria autonomia - diverrà parte integrante dello Regno Normanno, delle tradizioni longobarde e della lingua originaria più nulla rimane; neppure il ricordo.

    Dal punto di vista economico - pur dovendo differenziare il periodo di Alboino da quello successivo di ben due secoli e sicuramente meno barbaro di Liutprando, di Astolfo e Desiderio – possiamo affermare che l’Italia Longobarda regredisce ulteriormente rispetto al periodo, già tremendo, della guerra gotica e della dominazione bizantina

    2. I Bizantini

    Come già detto (10), a causa dell’editto sull’iconoclastia emanato dall’Imperatore Leone III all’inizio dell’ottavo secolo, in tutto il territorio dell’Italia Bizantina si scatenano violente ribellioni. Nel 751, quando il Re Longobardo Astolfo conquista Ravenna e crolla l’Esarcato, cacciati gli odiati funzionari imperiali, si rendono indipendenti non solo Venezia e Amalfi ma anche i Ducati di Roma e di Napoli. All’Impero rimangono soltanto: la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, una piccola parte della Puglia e l’estremità meridionale della Calabria.

    Dal punto di vista economico dobbiamo purtroppo osservare che all’attività commerciale, alla ricchezza e prosperità dell’Impero d’Oriente si contrappone l’aggravarsi continuo della situazione economica delle zone della penisola ancora soggette a Bisanzio.

    3. I Franchi

    Morto, nel 768, Pipino il Breve gli succedono i due figli: Carlo e Carlomanno che si dividono il potere: a Carlomanno il governo dell’Austrasia (11), a Carlo, il maggiore, il resto del Regno. I rapporti fra i due fratelli seguono, tutt’altro che idilliaci (12), sino al 771 anno in cui le liti cessano a causa della tanto improvvisa quanto provvida (per Carlo) morte – all’età di soli vent’anni - di Carlomanno.

    Morto il fratello Carlo unifica a suo beneficio il Regno e ripudia, dopo un solo anno di matrimonio, la sua seconda moglie, figlia del Re dei Longobardi. Desiderata (13) torna in Italia e si rifugia in un monastero di Brescia ove morirà tre anni dopo. Suo padre, Desiderio, accoglie alla sua corte la vedova e i partigiani di Carlomanno attirandosi le ire di Carlo il quale, sollecitato da Papa Adriano I, impone al Re Longobardo di rispettare quanto imposto al suo predecessore da Pipino il Breve; in altri termini: non molestare il possesso del Pontefice su tutte le terre sottratte all’Impero Bizantino da Astolfo. Ricevuto un rifiuto, nel 773 scende in Italia e l’anno successivo, conquistata dopo un breve assedio Pavia e fatto prigioniero Desiderio, lo rinchiude nel monastero di Corbie, in Francia, dove poco tempo dopo, l’ultimo Re Longobardo muore. Alla caduta del Regno Longobardo sopravvivono i Ducati di Spoleto e Benevento che nel tempo andranno gradatamente perdendo le loro caratteristiche originarie.

    Carlo, impadronitosi delle terre già facenti parte del Regno sconfitto, si proclama Re dei Franchi e dei Longobardi e - dopo aver confermato al Pontefice la volontà del padre ed esteso la donazione all’Emilia, alla Toscana, ai Ducati di Roma, Spoleto e Benevento - torna in Francia.

    Quest’ultima donazione non riesce comunque a concretizzarsi a causa della violenta rivolta dei Duchi Longobardi, rivolta, che costringe Carlo a tornare in Italia nel 776. Sedata la rivolta Carlo si vede costretto ad instaurare, in tutti i territori della penisola, il diretto dominio Franco sostituendo, ai Duchi Longobardi, i Conti Franchi; crea inoltre la Marca, territorio di confine che serve da difesa al Regno; le Marche saranno rette da un Margravio o Marchese.

    Le nuove donazioni rimangono però, malgrado le proteste di Papa Adriano I, soltanto sulla carta ed il Pontefice dovrà accontentarsi di ciò che il suo predecessore aveva ricevuto da Pipino il Breve. Malgrado questo screzio l’intesa tra il Re Franco ed il Papa, espressione di una realtà storica contingente, non si interrompe e ben presto produrrà meravigliosi frutti.

    Oltre alla conquista del Regno Longobardo molte sono le imprese militari compiute da Carlo nei 46 anni del suo Regno (768- 814); in questa sede - data la finalità del saggio che tende essenzialmente allo studio delle particolari influenze etnico-storiografiche sulla popolazione della penisola Italiana – ci limiteremo allo studio degli avvenimenti che riguardano l’Italia con brevi accenni, per le implicite e inevitabili correlazioni, a ciò che riguarda il resto dell’Europa.

    Solo dopo circa trent’anni e venti successive spedizioni – dal 772 all’804 – Carlo, ormai Magno, con spietati massacri riesce a soggiogare i Sassoni, popolo pagano e bellicoso guidato da un Re, Vitichindo, audace e geniale guerriero. Con questa vittoria e con l’annessione al proprio Regno del Ducato di Baviera, che Pipino il Breve aveva già reso tributario dei Franchi, Carlo estende il suo dominio in Germania. Si spinge poi audacemente tra i fiumi Danubio e Tibisco (14) nel territorio degli Avari, popolazione mongola presumibilmente discendente dagli Unni di Attila e nel 796 li annienta.

    Impresa sfortunata la spedizione contro gli Arabi. Nel 778 Carlo varca i Pirenei ma, fallito l’assedio di Saragozza, si ritira ed il suo esercito viene annientato a Roncisvalle dai montanari Baschi, per ironia, proprio cristiani. Tra i morti di Roncisvalle ricordiamo Orlando. Risvolto positivo di questa campagna è la creazione di una Marca spagnola, che consentirà la successiva infiltrazione nell’attuale Catalogna

    Alla fine dell’ottavo secolo il Regno dei Franchi, comprende oltre al Regno Longobardo i territori compresi

    fra la Marca spagnola e il Danubio e raggiunge, un’estensione mai più raggiunta dai tempi dell’Impero Romano. Carlo, già potente per l’estensione delle sue conquiste e la gloria delle sue imprese, aumenta il proprio prestigio sia come protettore della cultura, che infatti durante il suo Regno conosce una certa rinascita e sia, sopra tutto, come difensore della cristianità (15).

    Nel 795, alla morte di Adriano I, sale al soglio Pontificio Leone III (16) che tempestivamente informa Carlo dell’avvenuta elezione e ne chiede la protezione. Fuori dubbio che il Papato non solo divenga, ma si identifichi ormai come strumento del Re Franco; e proprio questa posizione di supina soggezione di Leone suscita tumulti e ribellioni nell’irrequieta nobiltà romana. Quando, nell’aprile del 799 il Papa, se pur ferito, riesce a scampare ad un attentato ed a rifugiarsi presso Carlo, questi lo fa ricondurre a Roma dai suoi soldati che lo reinsediano a forza sul trono Pontificio. Pochi mesi dopo lo stesso Carlo torna in Italia e Leone - superate le difficoltà con l’aristocrazia romana per mezzo della purgatio, pubblica espiazione e, almeno a suo dire, spontanea – nella notte di Natale del 799, con una solenne cerimonia nella Basilica di San Pietro a Roma, pone sul capo di Carlo Magno la corona Imperiale.

    La cerimonia dell’incoronazione ha un duplice aspetto simbolico che sembra molto importante rilevare per la serie di implicazioni e conseguenze che nei secoli si produrranno:

    - Il Papa, Vicario di Dio in terra, incorona l’Imperatore che pertanto, traendo la sua autorità dal Pontefice, parrebbe a lui subordinato;

    - Il Papa - rifacendosi al cerimoniale Romano dell’incoronazione imperiale – incoronato Carlo, si prostra innanzi a lui in adorazione; implicitamente, quindi, ne riconosce l’autorità.

    I due riti sono, o quantomeno appaiono, in netta contraddizione. Quale, dei due, il più importante? L’incoronazione o l’omaggio? A chi la supremazia? Al Papato o all’Impero?

    That is the question: questo è il problema che si protrarrà insoluto per secoli e produrrà conseguenze gravissime.

    Per tornare a Carlo possiamo senz’altro ritenere che, nella sua mente, la cerimonia di incoronazione abbia un solo significato: il gradino più alto, nella gerarchia del potere, senza alcun dubbio a lui solo compete e, vivo Carlo, questo è ciò che avviene. Leone III, salvo qualche marginale questione teologica, non discute mai l’autorità imperiale. Morto Carlo le cose, come si vedrà, andranno anche diversamente.

    L’incoronazione Imperiale provoca però reazioni in Oriente dove - dopo la restaurazione seguita alla vacanza Imperiale che si era protratta dal 797 all’802 - Niceforo, nuovo legittimo Imperatore ed a buon diritto unico titolare della dignità Imperiale (17), non può non considerare Carlo un usurpatore. Seguono contatti diplomatici e guerre che si protraggono sino all’812, anno in cui si giunge ad un accordo con il quale Carlo cede ai Bizantini Venezia, l’Istria e la Dalmazia e Niceforo riconosce a Carlo il Titolo di Imperatore dell’Impero Romano-Cristiano d’Occidente. Nasce così il Sacro Romano Impero.

    4. Lo Stato della Chiesa o Stato Pontificio

    Si forma all’inizio della seconda metà dell’ottavo secolo – nel 754 - per volere di Pipino il Breve. Il Re Franco, infatti, dopo aver sconfitto nella battaglia di Pavia il Re dei Longobardi, lo costringe a donare a Papa Stefano II tutte le terre da poco sottratte all’Impero Bizantino. Successivamente, nel 774, dopo la caduta del Regno Longobardo, Carlo conferma a Papa Adriano I la donazione fatta da Pipino il Breve a Stefano II.

    Nel 1051 lo Stato della Chiesa, acquista la città di Benevento, capitale dell’omonimo Ducato; l’acquisto sarà confermato nel 1053 da Enrico III.

    5. Il Monachesimo

    Fenomeno che ha le sue prime espressioni nel IV secolo,

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