Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Al cuore... si comanda (Parte II°)
Al cuore... si comanda (Parte II°)
Al cuore... si comanda (Parte II°)
E-book419 pagine5 ore

Al cuore... si comanda (Parte II°)

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Se pensate che innamorarsi di un soldato burbero e arrogante come il tenente Matthews sia un’impresa semplice, vi correggo subito. Siete completamente fuori strada.
E il fatto che l’uomo che amo sia tornato da me non implica necessariamente che non possa più fuggire a gambe levate per colpa di un gatto prepotente, di un gruppetto di amici strampalati e di una manciata di parenti un po’ fuori di testa. Perché volente o nolente, il “pacchetto-Natalie Parker” include anche loro.
Ma non finisce qui, perché in agguato c’è sempre l’esercito.
Gran brutta bestia l’esercito...
Perché contro di lui è difficile gareggiare e ancor più difficile vincere.
E così, il sentiero che conduce alla felicità diventa un saliscendi di cadute imbarazzanti e di conquiste coraggiose, di amare sconfitte e di sudate vittorie.
Ma sapete cosa vi dico? Che con gli alleati più folli, con un pizzico di sano ottimismo e una valanga di sesso più rovente di una fornace, si arriva sempre dove si vuole.
Sempre.
Parola di Natalie Parker.
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2018
ISBN9788827546369
Al cuore... si comanda (Parte II°)

Correlato a Al cuore... si comanda (Parte II°)

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Al cuore... si comanda (Parte II°)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Al cuore... si comanda (Parte II°) - Lexie Nicholls

    633/1941).

    Sinossi

    Se pensate che innamorarsi di un soldato burbero e arrogante come il tenente Matthews sia un’impresa semplice, vi correggo subito. Siete completamente fuori strada.

    E il fatto che l’uomo che amo sia tornato da me non implica necessariamente che non possa più fuggire a gambe levate per colpa di un gatto prepotente, di un gruppetto di amici strampalati e di una manciata di parenti un po’ fuori di testa. Perché volente o nolente, il pacchetto-Natalie Parker include anche loro.

    Ma non finisce qui, perché in agguato c’è sempre l’esercito.

    Gran brutta bestia l’esercito...

    Perché contro di lui è difficile gareggiare e ancor più difficile vincere.

    E così, il sentiero che conduce alla felicità diventa un saliscendi di cadute imbarazzanti e di conquiste coraggiose, di amare sconfitte e di sudate vittorie.

    Ma sapete cosa vi dico? Che con gli alleati più folli, con un pizzico di sano ottimismo e una valanga di sesso più rovente di una fornace, si arriva sempre dove si vuole.

    Sempre.

    Parola di Natalie Parker.

    A tutti quelli che si prendono troppo sul serio

    e vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto:

    ogni tanto fatevi una sana risata…

    vedrete che la vita vi sembrerà migliore.

    L’ironia è l’occhio sicuro

    che sa cogliere lo storto,

    l’assurdo, il vano dell’esistenza.

    ( - Sören Kierkegaard - )

    Capitolo 1

    È dannatamente umiliante soffrire per una storia d’amore che non è mai stata tale, né di nome né di fatto.

    Perché quello che Logan Matthews ed io abbiamo condiviso per una manciata di giorni è stato solo del sesso fantastico senza il minimo trasporto emotivo. Almeno da parte sua, perché il coinvolgimento che ho mostrato io si è rivelato profondo e inopportuno fin dal principio.

    Motivo per cui sono tre giorni che ho l’aspetto di un orso polare appena uscito dal letargo. Tre giorni in cui il mio sexy e ingiusto vicino di casa non si è mai fatto vivo, nemmeno con un misero messaggio sul cellulare. Tre giorni in cui le mie amiche hanno tentato inutilmente di farmi svagare a suon di shopping sfrenato, lunghe chiacchierate telefoniche e, dulcis in fundo, una serata in discoteca con l’unico obiettivo, molto stupido per quanto mi riguarda, di farmi rimorchiare uno straccio di uomo.

    Proprio quello che sarebbe dovuto succedere ieri sera, tanto per fare un esempio.

    «Buongiorno» appena entro in cucina, ovviamente con la verve di una lumaca perché è domenica mattina, Tara ricambia il mio saluto sorseggiando una tazza di caffè bollente.

    «Non ti chiedo com’è andata la serata in discoteca, perché per te il massimo del divertimento è stato oziare su un divanetto, per poi sgattaiolare via non appena mi sono distratta un attimo.»

    «E invece ti sbagli, perché il momento più emozionante della serata è stato quello in cui Phoebe ed io abbiamo respinto quei delinquenti che ci hai mandato tu a tradimento.»

    «Cosa gli avete detto per farli scappare via in quel modo?» appoggia la tazza sul tavolo con un tonfo sonoro.

    «Semplice, che non eravamo interessate.»

    «Ma come? Io vi fornisco un’occasione per spassarvela e voi la sprecate in questo modo... roba da matti!»

    «Mi stupisce che tu abbia avuto tempo per pensare a noi, visto che Mister Tatuaggio ti stava infilando la lingua così in profondità da lucidarti le pareti dello stomaco.»

    «Oh, non esageriamo. Garrett ed io ci siamo solo divertiti un po’. Quello che avresti dovuto fare tu» mi rimprovera Tara con finto cipiglio.

    «Certo, come se ne fossi capace» borbotto senza farmi sentire.

    Perché, indipendentemente da Logan, non sono comunque il tipo che salta addosso al primo che capita. E lei lo sa benissimo.

    Tara si alza in piedi e va ad appoggiare la sua tazza sul lavandino. «Ah, mi sono dimenticata di dirti che ieri pomeriggio è passato il nostro vicino stronzo.»

    «Quale vicino?»

    «Quello che combatte per il suolo americano. Il responsabile del tuo malumore negli ultimi tre giorni.»

    E sgancia la bomba così, come se niente fosse.

    «Cosa? Quando?» la mia voce sembra isterica.

    «Saranno state le sei, suppergiù, tu eri a fare shopping con Phoebe e io stavo uscendo di corsa per andare in redazione.»

    «Perché me lo dici solo adesso?» i miei toni stanno superando la barriera del suono.

    «Perché se te l’avessi detto ieri, ti saresti rovinata la serata e non ti saresti goduta nessuna conquista. Speravo davvero che rimorchiassi qualcuno e ti facessi sbattere come una coperta impolverata al cambio stagione, ma niente. Con te la tecnica del chiodo-schiaccia-chiodo evidentemente non funziona.»

    «E cosa ti ha detto?» L’ansia, unita a un pizzico d’impazienza, mi sta letteralmente correndo fino alla gola.

    «Mi ha chiesto di poter parlare con te ed io gli ho spiegato che non c’eri, ma nel caso ci fossi stata non avresti voluto comunque rivolgergli la parola, perché è un grandissimo stronzo. Di quelli col diploma certificato e timbrato dal governo americano.»

    «E lui? Che ha risposto?»

    «Niente. Sembrava che fosse sul punto di dire qualcosa, ma poi ci ha ripensato e ha lasciato perdere.»

    Tara sogghigna. «Ma non potevo lasciarlo andare via senza un pizzico di sana vendetta perciò, prima che si allontanasse troppo, ho sferrato il mio colpo a tradimento. E gli ho casualmente accennato che dopo cena saresti uscita con un uomo per spassartela alla grande per l’intera nottata.»

    Strabuzzo gli occhi.

    «Cos’hai fatto? Ma sei pazza?» sto urlando talmente tanto, che tra un po’ mi risponde direttamente Alvin Drake dall’appartamento vicino.

    «No tesoro, si chiama psicologia maschile. Anche se analizzare la mente di un essere che ragiona a malapena con due neuroni scollegati, di cui uno giace inerte dentro il cranio e l’altro molto più attivo dentro le mutande, non la chiamerei propriamente psicologia. Comunque fidati, l’unico modo per svegliare un uomo dal letargo è piantargli nel cervello il seme della gelosia. Che lentamente germoglia, mette le sue radici e poi cresce a livelli esponenziali fino a diventare un gigantesco albero.»

    Si alza e mi dà una pacca sulla spalla. «Molto presto mi ringrazierai. Perché la faccia che ha fatto Logan è stata davvero impagabile» il suo ghigno diventa quasi malefico.

    «Perché, che faccia ha fatto?»

    Mi sento frastornata, non so se ridere o piangere…

    «Quella di un orso a cui qualcuno ha appena soffiato il pasto succulento da sotto il naso» fa un passo verso la porta e poi si gira di nuovo. «Ricordati dell’albero della gelosia, tesoro, e aspetta con pazienza la tua dolce vendetta.»

    Mi fa l’occhiolino e si avvia verso il corridoio, lasciandomi completamente spiazzata e forse persino orgogliosa di lei.

    Ma solo un pochino, sia ben chiaro.

    È a questa paradossale conversazione che penso quasi ininterrottamente mentre guido fino a Rock Hill, alla periferia di Saint Louis, per trascorrere un tranquillo pranzo domenicale a casa dei miei genitori.

    Appena parcheggiata la macchina, all’inizio della solita strada asfaltata, m’incammino a piedi verso la nostra villa, praticamente a passo di lumaca, ripetendomi mentalmente che alcune ore di serrato interrogatorio da parte di mia madre, che tenterà di tirarmi fuori con le tenaglie tutte le informazioni possibili sulla mia non-relazione con Logan Matthews, non dovrebbero rivelarsi così terribili come mi appaiono in questo momento.

    Mentre cammino, ancora assorta nei miei strani pensieri, sento qualcuno pronunciare il mio nome. La vocina arriva dalla villetta in cemento che sto superando proprio adesso, quella dalle pareti giallo canarino.

    «Buenos días, Natalia!» Clara Alvarez, ovvero la vicina di casa dei miei genitori, mi sta calorosamente salutando con la mano alzata e un bel sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra, mentre tiene in braccio un grosso gatto dalla folta pelliccia rossa.

    «Buongiorno Clara!» le rispondo col tono più gentile che conosco, mentre cerco di accelerare il passo, onde evitare che la signora in questione approfitti della mia presenza per attaccare uno dei suoi soliti e interminabili monologhi.

    Clara Alvarez, messicana cinquantenne e zitella per una sua scelta consapevole e ostinata, è la vicina che mio fratello ha crudelmente ribattezzato col soprannome di Buddha.

    Un soprannome che non si riferisce assolutamente al suo credo religioso - dal momento che la stessa Clara si è più volte dichiarata cristiana ortodossa - bensì al suo credo alimentare. Una dottrina un po’ anomala, fatta di ciambelle fritte dalle dimensioni di un salvagente, quintali di pastasciutta ingurgitata come se non ci fosse un domani e, dulcis in fundo, arrosti di maiale così abbondanti da far collassare cinquanta vegani con la sola forza del pensiero.

    Ed ecco che Clara, con i suoi capelli corti, neri e riccioluti, le sue maniglie dell’amore particolarmente generose e la sua stazza piuttosto ingombrante, si avvicina anche troppo all’immagine dell’illuminato più famoso di tutto il buddismo.

    Ma non finisce qui. Perché, anziché dedicare la sua vita alla ricerca di un uomo, ha preferito votarla interamente alla cura e all’amore per i suoi quindici gatti.

    Sì, avete capito bene, ho detto quindici. Ognuno dei quali battezzato col nome e cognome dei principali attori e attrici di Hollywood.

    L’abitazione in cui sono vissuta per ben ventidue anni è una villa indipendente dalle pareti color crema, un ampio portico anteriore in mattoni e, tutt’attorno, un enorme giardino perfettamente curato, grazie alla recente e inaspettata passione di mio padre per il giardinaggio.

    Oggi, a tavola, siamo addirittura in cinque, perché oltre ai miei genitori e a mio fratello, questa volta c’è anche nonna Abbey, la cui presenza ci è stata gentilmente concessa dalla casa di riposo, dove dimora in pianta stabile, per farle trascorrere un tranquillo pranzetto domenicale assieme ai suoi familiari, prima di essere riconsegnata come un pacco postale al personale di quella che, con un pizzico di ostinata crudeltà, lei stessa definisce "la prigione dei Matusalemme".

    Appena la mamma ci serve il cibo nei piatti, iniziamo a mangiare tutti e cinque in rigoroso silenzio, una pace di cui approfitto subito per esaminare meglio i membri della mia famiglia e focalizzare l’attenzione su dettagli che, dopo settimane in cui non ci vediamo, rischiano quasi di passare inosservati.

    Mio fratello David ha iniziato a farsi a crescere i capelli. Prima li portava quasi a spazzola, mentre adesso gli arrivano all’incirca all’altezza delle orecchie. Sempre castani come quelli di papà, ma leggermente più scuri rispetto ai suoi, sono incollati tra loro in una sorta di ciuffo alla Elvis Presley, grazie all’ausilio di un intero barattolo di gel e di circa un quintale di lacca che lui stesso ruba di nascosto dalle riserve infinite della mamma.

    Poi c’è nonna Abbey che, tra tutti quanti, resta sempre e comunque la mia preferita. Ottantasei anni portati con un’insolenza senza eguali, una corta chioma di capelli bianchi e ricci, perfettamente cotonati come se dovesse partecipare a un concorso di bellezza, un paio di occhiali dalla montatura rotonda e dotati di lenti così spesse da sembrare il fondo di una damigiana di vetro e, dulcis in fundo, un vestito rosso a maniche corte, audacemente sbottonato sul davanti, per mostrare un décolleté ancora notevole, sebbene più cadente delle stelle che precipitano in cielo durante la notte di San Lorenzo. 

    Insomma, questa vecchina rappresenta un delizioso connubio di sfacciataggine, caparbietà e spirito competitivo, portati ai massimi livelli e conditi con l’arte di seminare zizzania a destra e a manca, che farebbe impallidire persino il serpente del peccato originale di Adamo ed Eva.

    Poi c’è Gyles Parker, alias mio padre, i cui capelli hanno iniziato ad abbandonare il solito colore castano per virare verso un grigio sempre più abbondante. Certo, anche un mese fa era brizzolato, ma non avrei mai immaginato che ora lo fosse così tanto. É come se stesse invecchiando col piede premuto sull’acceleratore e io mi fossi persa una simile e naturale evoluzione per colpa del mio stupido bisogno di indipendenza.

    Infine c’è lei, Martha Tucker, alias mia madre, cha pranza sempre a capotavola, seduta su quello che in teoria dovrebbe essere il posto d’onore dell’uomo di casa.

    Ma non da noi, perché a casa nostra, il capo famiglia è lei.

    In qualunque momento io la guardi, ai miei occhi appare sempre bellissima. Capelli biondo scuro un po’ mossi, le cui onde quasi perfette arrivano all’altezza delle spalle, trucco lievemente accennato, abiti semplici ma indossati sempre con stile ed eleganza. Insomma, mia madre sarebbe capace di mettersi addosso un vestito comprato in una bancarella al misero prezzo di quindici dollari e farlo sembrare un capo d’abbigliamento di altissimo valore appena acquistato a caro prezzo in una prestigiosa boutique del centro.

    «Sai David» esordisce mio padre rompendo il silenzio con finta nonchalance, mentre infila in bocca una cucchiaiata di zuppa di pesce «stamattina mi ha telefonato la signora Martin, la tua professoressa di scienze, e mi ha domandato come stava la mia gamba. Io le ho chiesto quale gamba? e lei mi ha risposto, testuali parole: quella che si è rotto cadendo da un albero di tre metri, mentre soccorreva un povero gattino indifeso, rimasto intrappolato sul ramo più alto. Sì, mi sembra che abbia detto proprio così. Oltre a farmi mille complimenti per il mio gesto eroico, anche se un po’ imprudente.»

    Papà rivolge uno sguardo glaciale a mio fratello, che nel frattempo è diventato più pallido di un lenzuolo. «Tu ne sai qualcosa?»

    Ed ecco che nonna Abbey appoggia il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano. La classica posizione da spettatrice che non vede l’ora di gustarsi l’esibizione esilarante che si verificherà nell’immediato.

    «Parli con me?» mio fratello finge una sorpresa che non incanterebbe nemmeno un idiota, figuriamoci un genitore indispettito.

    «Sì, è ovvio che parlo con te, considerando che sei l’unico che va ancora a scuola.»

    Ed ecco che mia madre, finora rimasta volutamente in silenzio, interviene con la sua solita voce squillante.

    «David, non avrai per caso inventato una scusa così stupida per saltare un’interrogazione?»

    «Ehm... veramente io...»

    Oh oh, sento rumore di unghie che strisciano sui vetri...

    Il mio povero fratellino è consapevole di non avere scampo, perché il cazziatone sta arrivando come un treno in corsa sul primo binario.

    Tre... due... uno...

    «David!» lo strillo di mia madre supera la barriera del suono.

    Nonna Abbey intanto accosta la sua sedia alla mia, per bisbigliarmi all’orecchio: «Per fortuna mi sono scordata la protesi acustica alla casa di riposo, altrimenti Martha me l’avrebbe fatta esplodere.»

    E sghignazza senza ritegno, strappando un sorriso genuino persino a me. Ma non a mio fratello, che è ancora bianco come un cencio.

    «Va bene, lo ammetto. Durante l’ultima settimana di scuola, non ero preparato in scienze e non volevo fare una figuraccia. Allora ho detto che, anziché studiare, ho passato un bel po’ di tempo ad aiutare papà perché non poteva camminare da solo, a causa della gamba rotta. Mi dispiace, dico sul serio» David sembra un cucciolo terribilmente mortificato.

    Ovviamente per chi non lo conosce.

    Perché io, che ho vissuto con lui per quasi diciassette anni, so benissimo che non solo non gliene frega un bel niente della squallida bugia che ha inventato, ma alla prima occasione ne combinerà un’altra delle sue e senza il minimo scrupolo.

    «Mi hai fatto fare la figura dell’idiota, te ne rendi conto?» mio padre è indeciso se strangolarlo con le sue mani o semplicemente metterlo in castigo.

    «Però devi ammettere che questo giovanotto ha proprio una bella fantasia» lo interrompe la nonna, tutta ringalluzzita. «Perché quella del gattino sull’albero è stata davvero una trovata geniale.»

    Così dicendo, fa l’occhiolino a quel monello di suo nipote.

    «Abbey…» la ammonisce papà, già infastidito.

    Poi sospira un paio di volte e finalmente spara il suo verdetto frutto di una lunghissima e sofferta riflessione di… circa dieci secondi. «Quanto a te, David, ti beccherai una punizione bella grossa. Ma solo dopo aver chiamato Johanna ed esserti scusato con lei per la bugia che le hai raccontato.»

    «Ma papà…»

    «Niente ma. E stasera voglio le chiavi del motorino appoggiate sul tavolo del mio studio.»

    Nonna Abbey si schiarisce rumorosamente la voce, attirando così l’attenzione di tutti, prima di sganciare la sua bomba atomica con conseguenze molto più che disastrose.

    «Solo io ho notato che Gyles ha chiamato per nome la professoressa di scienze di David? L’ha chiamata Johanna, se non sbaglio. Vi sembra una cosa normale?» detto questo, le sue labbra si allargano in un ghigno talmente malefico da far tremare in sincronia persino i coperchi delle pentole.

    Ed ecco che il pomo della discordia è stato lanciato a gran velocità direttamente in faccia a mio padre. Con l’unica intenzione di scatenare un vivace battibecco familiare, in grado di rallegrare la monotona giornata di un’ottantaseienne perfida e tremendamente annoiata.

    Infatti, la mamma, che già di suo è piuttosto famosa per possedere una visione pessimistica ed esageratamente complottista in ogni ambito della vita quotidiana, alza di scatto la testa dal piatto.

    «Ha perfettamente ragione…» afferma lei, dopo aver riflettuto bene sulle parole della nonna. «Per quale motivo chiami per nome un’insegnante che, tra l’altro, ti telefona a casa di domenica mattina, quando la scuola è già finita, come se foste estremamente in confidenza?»

    Oh oh... guai in vista.

    Mio padre sembra genuinamente sorpreso. «E io che diavolo ne so? Magari è gentile con tutti i genitori dei suoi alunni.»

    Nonna Abbey scoppia a ridere di gusto, mentre sua figlia ha la faccia di chi sta per uccidere qualcuno.

    «Io non credo proprio, tesoro. Forse ha un debole per te e tu hai alimentato le sue false speranze con la tua smodata gentilezza. Che ne dici?» ribatte la mamma con un tono talmente aspro da far venire i brividi.

    Attento a quello che rispondi, papà…

    «Dico che stai delirando, Martha. Non ho alimentato le speranze di nessuno. Forse la professoressa di David mi è ancora riconoscente per averle dato un’occhiata alla bocca il mese scorso.»

    «Le hai guardato la bocca?» il tono di mamma è ancora più acuto.

    «È ovvio, Martha. Faccio il dentista, non potevo mica ispezionarle le unghie dei piedi!»

    Ecco a voi le parole che non si dovrebbero pronunciare mai.

    «Martha, tesoro» s’intromette la nonna con un ghigno ancora più subdolo e spietato sulle labbra. «Ricorda che, dall’atto di controllare i denti a una paziente, a quello di infilarle la lingua in bocca, il passo è molto breve.»

    «Abbey…» l’avvertimento di mio padre tende pericolosamente a sfiorare il terreno dell’insulto. Perché Gyles Parker sa benissimo che una suocera deve essere sempre considerata una creatura intoccabile e degna del massimo rispetto.

    Sì, lo sa fin troppo bene.

    Anche se, talvolta, ci sono circostanze in cui il confine tra l’assoluta sacralità e il pestaggio a sangue risulta estremamente sottile e sfumato. Talmente sfumato che transitare da una condizione all’altra diventa facile come respirare.

    «Mamma, sei impazzita?» interviene mio fratello con una faccia quasi schifata. «Non puoi essere gelosa di Super Mario Bros, è pura follia! Ha i baffi, è alta come uno dei sette nani e ha un buco tra i denti talmente grosso che ci passa in mezzo la nuova portaerei sovietica.»

    Soffoco a stento una risata, ma la mamma mi fulmina con lo sguardo.

    «Chi sarebbe questo Ross?» mi chiede la nonna, sussurrando la domanda direttamente al mio orecchio.

    «No, nonna, hai capito male. Si chiama Super Mario Bros ed è un signore baffuto, protagonista di un videogioco.»

    «Ah, ho capito» annuisce socchiudendo gli occhi vispi, come per riflettere attentamente sulle parole di suo nipote. «Quindi, se questa donna assomiglia a Ross, vuol dire che è un cesso.»

    Oh Santa Maria Vergine.

    «Ecco, vedi? La nonna l’ha capito meglio di voi» borbotta David, alzando gli occhi al cielo. «Se avessi un’ammiratrice come la signora Martin, pagherei un cecchino solo per spararle dal terrazzo di casa.»

    «David!» lo redarguisce papà. «Portale rispetto, è pur sempre una tua insegnante.»

    «Vedi, Martha» nonna Abbey dà una leggera gomitata a sua figlia. «Adesso tuo marito la difende pure. Se fossi in te, analizzerei meglio la faccenda.»

    «Santa pazienza» borbotta papà, prima di iniziare la sua estenuante arringa di difesa.

    E così, da quel momento in poi, e per un tempo indefinito, i miei genitori battibeccano come due adolescenti alle prime armi, ignorando palesemente me, la nonna e mio fratello, come se attorno a quel tavolo non ci fossimo mai stati.

    «Tutto questo chiasso, unito alla pancia piena, mi sta facendo calare la palpebra» mi sussurra nonna Abbey a un orecchio. «Natalie, tesoro, mi accompagneresti di là, così posso schiacciare il mio solito pisolino pomeridiano?»

    «Certo, molto volentieri.»

    Mi avvicino alla nonna e mi lascio prendere da lei sotto braccio come se fossi la sua preziosa ancora di salvezza. Così sgattaioliamo via dalla cucina, in completo e religioso silenzio, seguite immediatamente da David che si volatilizza al piano di sopra, fin troppo felice che i miei genitori abbiano spostato la loro attenzione su un bersaglio di tutt’altro genere.

    Dopo aver accompagnato la nonna in camera per farla sdraiare su quello che fino a tre anni fa era il mio adorato letto, esco nel porticato per prendere una boccata d’aria. Mi siedo sul dondolo in completo relax, ringraziando mentalmente mio fratello perché, se non fosse stato per lui e le sue stupide alzate d’ingegno, a quest’ora la mamma mi starebbe ancora sottoponendo al terzo grado sulla mia ipotetica storia con Logan.

    Non faccio in tempo a formulare questo pensiero, che il portone di casa si spalanca e David esce con un’espressione piuttosto soddisfatta.

    «Mi posso sedere un attimo qui con te sul dondolo?» la sua domanda mi lascia basita, perché di solito mio fratello evita i contatti con i membri della nostra famiglia come fossimo degli appestati.

    «Certo, perché no?»

    Lui si stravacca tutto contento, allarga le gambe e inizia a spingersi con i piedi facendoci dondolare a una certa velocità.

    Un pochino eccessiva per i miei gusti.

    Infila la mano nella tasca dei jeans per tirare fuori un pacchetto di Camel, da cui preleva una sigaretta. La porta alle labbra e, con estrema disinvoltura, l’accende come se io non fossi nemmeno presente.

    «David…» inizio ad annusare meglio l’aria attorno a me, perché sento una puzza un po’ strana. «Cosa stai fumando esattamente? L’odore è diverso da quello di una Camel.»

    «Non è una sigaretta, è una canna» mi rivolge il suo sorriso più insolente. «È il miglior tipo di hashish che io abbia mai comprato. Tieni, vuoi assaggiare?» Si accosta per passarmela.

    «Stai scherzando? No!» arriccio le labbra, come se mi facesse ribrezzo il solo pensiero di sfiorarla.

    «No, cosa? Non la vuoi?»

    «Tu sei fuori di testa. Ti stai fumando una canna sotto il porticato di casa! E se la mamma uscisse e ti beccasse? La morte sarebbe il male minore, fidati.»

    «Tranquilla, la mamma non uscirà prima di un’ora, con la storia della gelosia per la prof di scienze, io e la nonna abbiamo seminato una bella zizzania… quei due litigheranno per un bel po’» ridacchia fin troppo fiero del suo ignobile comportamento.

    Mi verrebbe spontaneo andargli a cercare un grammo di rimorso dentro le tasche dei pantaloni o sotto la suola delle scarpe, ma sono sicura che non lo troverei.

    «Facciamo finta che io non abbia visto nulla. Ok?»

    «Per me va benissimo.»

    Continua ad aspirare il fumo in completo relax, con un atteggiamento talmente snob e sofisticato, che vederlo addosso a un ragazzino di diciassette anni, mi fa venir voglia di prenderlo a sberle sulla nuca fino a fargli cambiare il colore dei capelli.

    All’improvviso il mio cellulare, seppellito nei meandri della borsa che tengo sulle gambe, emette un trillo.

    Appena lo prendo in mano, scopro che si tratta di un messaggio di Logan. E i miei battiti accelerano in un lampo.

    Per un breve istante mi ritrovo indecisa se aprirlo oppure ignorarlo... ma il mio dubbio dura all’incirca tre secondi netti, perché la curiosità, la trepidazione e la smania di sapere cosa possa aver scritto, prevalgono su tutti i buoni propositi.

    Una vittoria di quelle clamorose e schiaccianti… e addio forza di volontà.

    CI SEI ANDATA A LETTO?

    Cinque parole. Non una di più.

    Mister logorrea colpisce ancora.

    Ma continuo a non capire a chi o a cosa si riferisca. Per cui, dimenticandomi per un momento della presenza di mio fratello, che si sta rintronando il cervello con l’hashish, infrango la promessa di non rivolgere mai più la parola a Logan e glielo chiedo per iscritto:

    DI CHE DIAVOLO PARLI?

    La sua risposta arriva immediatamente, come se stesse aspettando il mio messaggio con una certa apprensione.

    DEL TIPO CON CUI SEI USCITA IERI SERA.

    CI SEI ANDATA A LETTO, OPPURE NO?

    Logan ha abboccato all’amo di Tara, convincendosi che sono andata a divertirmi con un perfetto sconosciuto.

    Non ci posso credere…

    Dovrei essere lusingata da un messaggio come questo e invece quella che provo è solo una rabbia profonda.

    QUELLO CHE FACCIO NON TI RIGUARDA,

    PERCHÉ’ IO E TE ABBIAMO CHIUSO.

    La faccia tosta di Logan, tuttavia, supera ogni limite.

    TI HO FATTO UNA DOMANDA. RISPONDI E BASTA.

    Mi ha appena dato un ordine? Con chi crede di parlare, con un subalterno?

    TI HO GIÀ DETTO CHE NON TI RIGUARDA. NON FARMELO RIPETERE.

    Alla mia frase non segue risposta. Probabilmente l’ha capito anche lui. Perché se non stai insieme a una persona, non puoi nemmeno immischiarti nella sua vita privata.

    Ma i miei pensieri ingarbugliati vengono improvvisamente interrotti da una sonora risata.

    Mi volto di lato e trovo mio fratello, con gli occhi leggermente socchiusi, per effetto dell’hashish, che sbircia spudoratamente il mio cellulare.

    «Wow, mia sorella è super richiesta!» sghignazza mentre appoggia di nuovo la canna tra le labbra.

    «Sei un ficcanaso. Non puoi farti gli affari miei» tento di nascondere il cellulare nella borsa, ma ormai il danno è fatto.

    «Chi sarebbe questo Rambo?»

    «Cosa?» mi sento sprofondare.

    «Il mittente del messaggio, l’hai registrato come Rambo. Non dirmi che si chiama veramente così?» scoppia di nuovo a ridere.

    «Certo che no, idiota. È un soprannome.»

    «Allora, chi è? Il tuo ragazzo?»

    «No, è…»

    Come glielo spiego senza scendere nei dettagli?

    «È cosa?»

    «È un tipo con cui sono uscita per un po’, ma le cose non funzionavano, perciò abbiamo smesso di vederci.»

    Spero vivamente che questa misera spiegazione gli basti, perché non ho nessuna intenzione di scendere nei dettagli.

    «È per questo che ti scopi quell’altro?»

    «David!» Gli mollo uno scappellotto sulla testa.

    «Ahi! Che ho detto di sbagliato?» si scansa massaggiandosi la nuca in un modo teatrale, perché in fondo sono stata più delicata di quanto volessi.

    «Si dice fare sesso, non scopare.»

    «Certo, come se quella parola non la usassi pure tu» alza gli occhi al cielo. «Allora? Fai sesso pure con quell’altro?»

    «Quell’altro, chi?»

    «Che ne so, Rambo nel messaggio parlava di un altro tizio.»

    «Non sono andata a letto con nessun altro, è stata solo fraintesa una situazione, tutto qui» mi mordicchio il labbro un po’ insicura. «Quindi... Logan ti è sembrato geloso?»

    «E adesso chi diavolo è Logan?»

    «Scusa, hai ragione, il ragazzo del messaggio si chiama così. Allora, che ne pensi?»

    Mio fratello ci riflette un istante, adottando una stramba espressione del viso che mi ricorda quella del Brucaliffo di Alice nel Paese delle Meraviglie mentre si droga col narghilè, espirando lentamente una nuvoletta di fumo dalle labbra, con gli occhi quasi chiusi.

    Oddio, è già strafatto di hashish.

    Houston, abbiamo un problema...

    «Beh, per scriverti un messaggio del genere, è abbastanza ovvio che a questo tipo gli rode il culo un bel po’» afferma David con convinzione.

    Meriterebbe il Premio Nobel per un pensiero così profondo.

    «Già... anche se non avrebbe nessun motivo per comportarsi così, dato che la nostra frequentazione è stata interrotta per colpa sua.»

    Segue un lungo istante di silenzio durante il quale il fumo dell’hashish comincia a rintronare pure me.

    «Allora, come pensi di risolvere la situazione con Logan? Perché mi pare di aver capito che ti piace un casino.»

    Adesso anche mio fratello s’impiccia della mia disastrosa vita privata. Siamo caduti davvero in basso.

    «E tu che ne sai?»

    «Di ragazze non ci capisco un bel niente, ma quando parli di questo tipo ti brillano gli occhi... o magari è solo il fumo della canna che te li irrita» aggrotta la fronte perplesso. «Cazzo, non ci avevo pensato...»

    Bene, siamo alla fase in cui non riesce nemmeno a formulare pensieri coerenti. Se la mamma uscisse di casa proprio adesso e lo beccasse in queste condizioni, le sue grida si sentirebbero da qui fino in Messico.

    «Non ne ho idea, David. Logan mi piace un sacco, hai ragione tu, ma tra noi le cose non potrebbero mai funzionare.»

    Avevo sperato con tutta me stessa che potesse nascere una storia tra noi. Sì, l’avevo davvero sperato, da brava ingenua che sono.

    «Senti un po’, è sempre valida la tua proposta di prima, di farmi fare un tiro con quella roba?»

    David spalanca gli occhi incredulo, scuote lievemente la testa e mi regala il sorriso più genuino che gli abbia mai visto fare da quando lo conosco.

    Come se per la prima volta in vita sua fosse realmente fiero di me.

    Come se sua sorella avesse appena vinto un premio Pulitzer, oppure il titolo di Miss America, o le elezioni per diventare il nuovo sindaco di Saint Louis.

    «Certo che è valida! Anzi, solo perché sei tu, te ne faccio fumare una intera tutta da sola.»

    Tira fuori dalla tasca il finto pacchetto delle Camel e, un po’ a rallentatore, sfila un’altra canna tutta per me, appoggiandomela in mano con estrema delicatezza, come fosse il regalo più prezioso che un fratello possa donare alla propria sorella.

    Ed è così che, per la prima volta in venticinque anni di vita, la sottoscritta Natalie Parker si fuma una canna, per gentil concessione del suo fratellino teppista ancora minorenne.

    Ma sapete cosa vi dico? Chi se

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1