Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il palazzo del freddo. Un'indagine dell'ispettore Sangermano
Il palazzo del freddo. Un'indagine dell'ispettore Sangermano
Il palazzo del freddo. Un'indagine dell'ispettore Sangermano
E-book233 pagine2 ore

Il palazzo del freddo. Un'indagine dell'ispettore Sangermano

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Una bellissima ragazza cinese è uccisa, nei giardini di piazza Vittorio, a Roma. L'assassino ha sparato con un fucile di precisione da uno dei palazzi che circondano la piazza stessa. L'omicidio ricorda molto da vicino un altro delitto, avvenuto a Milano, in Largo Tel Aviv, soltanto tre mesi prima. Entrambi i casi sono affidati all'Uocs, la squadra per i crimini seriali e l'ispettore Marcello Sangermano, tralasciando per un po' i propri impegni spirituali e la cura dei ragazzi affidati alla parrocchia del suo amico don Pietro, inizia le indagini, coadiuvato dai suoi consueti collaboratori Silvia Fedele e Gigi Placidi. Tutto lascia pensare, in un primo momento, a una questione interna tra le potenti mafie cinesi operanti in Italia, anche se uno strano personaggio, Ascanio Palombara, che abita in uno dei palazzi della zona, riferisce notizie misteriose in merito alla cosiddetta Porta Alchemica che si trova al centro dei giardini e che fu costruita nel 1680 dal suo avo, il marchese Massimiliano Palombara di Pietraforte, famoso esoterista dell'epoca.
LinguaItaliano
Data di uscita25 gen 2018
ISBN9788868511739
Il palazzo del freddo. Un'indagine dell'ispettore Sangermano

Leggi altro di Marco Di Tillo

Correlato a Il palazzo del freddo. Un'indagine dell'ispettore Sangermano

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il palazzo del freddo. Un'indagine dell'ispettore Sangermano

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il palazzo del freddo. Un'indagine dell'ispettore Sangermano - Marco Di Tillo

    Marco Di Tillo

    Il palazzo del freddo

    Un’indagine dell’ispettore Sangermano

    Prima Edizione - ottobre 2017

    ISBN 9788868511739

    © arkadia editore

    Prologo

    Il sey kow jay indossava il solito giaccone borchiato e guidava il motorino senza portare il casco, come sempre.

    Passava lentamente davanti alle vetrine dei negozi e controllava.

    «Ma che controlla?», aveva chiesto Lucia, una delle nuove insegnanti volontarie alla Casa dei Diritti Sociali di piazza Vittorio.

    «Tutto», aveva risposto Macchi. «Lui è uno dei quarantanove, così si chiamano le sentinelle del laoban e prima che mi chiedi chi è il laoban, ti rispondo subito che è il padrone, il capo.»

    «Ma il quarantanove controlla soltanto oppure fa qualcos’altro?»

    «Controlla, riscuote il pizzo, vede quanta gente entra nei negozi, che margine di guadagno c’è e, all’occorrenza, tira pure fuori il coltello. Un quarantanove che si rispetti ci mette poco a tagliarti la gola, se hai fatto solo un semplice sgarro al suo laoban.»

    «Ah», aveva bofonchiato Lucia, toccandosi istintivamente il collo e poi arretrando verso la porta, per uscire.

    Macchi era rimasto affacciato alla finestra, a guardare giù, verso quella vecchia piazza senza più mercato e forse senza più storia.

    Era ormai quasi sera quando il taxi si era fermato davanti all’ultima colonna del portico. La ragazza cinese era scesa in fretta, dirigendosi subito verso i giardini. Aveva tacchi alti, una piccola borsetta alla moda e un vestito molto aderente che ne metteva bene in risalto le forme perfette.

    Sul marciapiede il giovane venditore di fiori le aveva rivolto una domanda e lei aveva scosso il capo, in segno di diniego. Allora lui le aveva regalato un fiore rosso, lei lo aveva preso e poi era andata via, entrando velocemente nei giardini.

    1

    Erano due le cose che gli facevano più paura nella sua ora di catechismo settimanale: le domande a bruciapelo e la partita a calcetto del dopo merenda, quando i piccoli giocatori si avventavano sulla palla con tale determinazione che spesso lui ci aveva rischiato entrambe le caviglie nonché tibie, peroni e menischi vari. Ma, per il momento, i ragazzini che quell’anno avrebbero ricevuto per la prima volta il sacramento della comunione erano tutti seduti tranquillamente ai banchi e sembravano essere davvero molto concentrati, mentre lui continuava a commentare il brano del Vangelo scelto per quel giorno.

    «Come avete sentito dalla lettura, i pescatori, cioè quelli che poi diventeranno apostoli, erano rimasti letteralmente incantati da Gesù.»

    «Come gli indiani che incantano i serpenti?», domandò all’improvviso il rosso e lentigginoso Piero Mazzoni, facendo sbellicare dalle risa i suoi compagni.

    Bordata numero uno.

    «No, Piero. Non è così», aggiunse lui con voce calma, cercando di contenere la leggera irritazione che gli stava salendo. «Gli incantatori di serpenti, infatti, ipnotizzano gli animali, con la loro musica. Gesù, invece, non ipnotizzava proprio nessuno. Anzi. Per tutta la sua vita ha sempre evitato di costringere gli altri alle proprie parole e ha lasciato porte aperte soltanto a chi voleva seguirlo, senza alcuna costrizione o forzatura. E gli apostoli si sono fidati di lui, hanno rinunciato a tutto ciò che avevano e lo hanno seguito.»

    «Però Giuda, invece di seguirlo, lo ha fatto inseguire dalle guardie che poi lo hanno pure arrestato», continuò imperterrito il roscio, senza un briciolo di pietà. «Quindi Gesù almeno un serpente velenoso lo ha incantato: Giuda, il traditore.»

    Bordata numero due. E di nuovo tutti giù a ridere.

    «Stavolta hai proprio ragione. Le parole di Gesù, infatti, qualcuno decise proprio di non ascoltarle. Un po’ come quello che tu stai facendo oggi, con le mie di parole. Però alla fine chi ci rimette?»

    «Chi ci rimette?», domandò di contro balzo Piero.

    «Giuda alla fine si è impiccato», disse subito la saputella Laura Terzi, occhiali alla moda e apparecchio tra i denti.

    «Be’, Lauretta, adesso non esageriamo. Mica lo dobbiamo impiccare Piero, solo perché fa lo spiritoso. Però…»

    «Però?», domandò il ragazzino, assai preoccupato.

    «Però?», domandarono in coro tutti i suoi ventitré compagni.

    «Però adesso il nostro Pierino, se vuole giocare a pallone dopo la merenda, una cosetta per me la deve fare.»

    «Che cosa?», chiese il Mazzoni.

    «Chi è un pubblicano

    «Lei vuol dire un repubblicano?», commentò il ragazzo. «Come Donald Trump?»

    «Errore. Intendevo proprio un pubblicano, come nella parabola del fariseo e del pubblicano raccontata dal Vangelo di Luca. Te la ricordi questa parabola, non è vero, Piero? L’abbiamo letta e commentata la settimana scorsa.»

    «Certo che me la ricordo», bluffò clamorosamente il lentigginoso.

    «E quindi, se te la ricordi, adesso apri il tuo bel quadernetto e scrivi cinquanta volte in bella grafia la parola pubblicano, così poi te la ricordi ancora meglio.»

    «Cinquanta volte?», esclamò il roscio, stupefatto.

    «Hai ragione. Cinquanta sono troppo poche, Facciamo cento volte, è meglio», aggiunse lui, chiudendo il discorso con un perfido sorriso.

    La partita a pallone andò nel solito modo. Tante grida, tanti goal e tanta fatica per le sue gambe di attempato cinquantenne. L’unica cosa positiva fu quel passaggio al volo perfetto che mandò Mazzoni solo davanti al portiere a realizzare la rete della vittoria che gli valse i complimenti del ragazzo, il quale aveva subito dimenticato la noiosa punizione appena subita in classe.

    «Grazie, professò. M’hai fatto fa’ un goal da favola», disse il roscio, battendogli il cinque con il palmo della mano.

    Il fischio alla pecorara, con il pollice e l’indice ficcati in bocca, li fece girare entrambi verso la persona che si trovava in piedi, a bordo campo. Era il modo assai esplicito che il parroco don Pietro usava sempre per richiamare l’attenzione.

    «Embé?», gli disse lui, avvicinandosi.

    «Bel lancio, complimenti. Però adesso sali in camera a lavarti e poi esci subito fuori. Il tuo autista ti aspetta in macchina.»

    Fu esattamente quello che fece. Si diede una sistemata nel suo microscopico appartamento che si trovava al primo piano della parrocchia, indossò giacca e cravatta e poi scese giù in strada.

    L’agente Pasquale De Santis, detto Paco, l’aspettava seduto in macchina. Stava ascoltando le ultime notizie del giornale radio.

    Il corpo della ragazza è stato trovato proprio lì, di fianco alla panchina. E questo è tutto dal GR Lazio. Prossimi aggiornamenti nell’edizione della sera., furono le uniche parole che l’ispettore Marcello Sangermano riuscì a sentire, mentre si sedeva all’interno, vicino all’autista.

    «E dove si troverebbe ‘sta panchina con cadavere?», domandò, allacciandosi la cintura di sicurezza.

    «A piazza Vittorio», rispose Paco, mettendo subito in moto.

    2

    L’auto di servizio si fermò a bordo marciapiede, proprio davanti al chiosco del fioraio. I vice ispettori Gigi Placidi e Silvia Fedele lo aspettavano lì. Il primo sembrava diventare ogni giorno più americano, con il taglio dei capelli a spazzola e i Rayban a specchio, lei ogni giorno più bella, con quei lunghi capelli biondi e gli occhi verdi, anche se aveva sempre lo sguardo un po’ triste e lui sapeva molto bene il perché.

    «È proprio in mezzo al giardino, Marcè», esordì Placidi, continuando a masticare il suo chewing gum. «Gizzi e i suoi capoccioni stanno già lì da un pezzo.»

    «Nel giardino?», domandò lui, guardandosi intorno.

    «Sì, dietro a quel coso», aggiunse Gigi, indicando il grosso rudere che sorgeva imponente subito dopo la cancellata d’ingresso.

    «Che cos’è quello?», domandò l’agente Paco.

    «Quel coso, come lo chiama con grande proprietà il nostro Gigi, è un avanzo di fontana monumentale con trofei marmorei che adesso, però, non ci stanno più. Il suo nome esatto è Trofei di Mario», spiegò Silvia che, nell’attesa, aveva avuto modo di leggere il testo sulla targa.

    «Rui Mario, il giocatore di calcio? Non mi ricordo che abbia mai vinto qualcosa in vita sua», sbottò, scherzando Paco.

    «Caio Mario. L’imperatore romano», sottolineò la Fedele con un sorrisetto. «Ma è un errore. Pare che non fosse lui il vero festeggiato, ma Alessandro Severo, un altro boss del duecento dopo Cristo. Vuoi che ti racconti tutto nei dettagli?»

    «Grazie, no. La storia romana mi fa venire il mal di testa a grappolo», rispose l’agente, scuotendo la testa.

    Era la solita scena del delitto.

    Gli investigatori della sezione scientifica, con le loro belle tute sterili, i guanti, le cuffiette, gli occhiali e i copri scarpe, si aggiravano frenetici intorno al corpo della donna che si trovava steso di fianco alla panchina di legno. C’era chi rilevava impronte, chi scattava foto, chi girava video, chi raccoglieva oggetti, chi prendeva misure e chi si grattava la testa, come appunto stava facendo in quel momento il responsabile del gruppo Sandro Gizzi.

    «È la seconda in tre mesi, Marcello. Anche se l’altra volta il cadavere è stato trovato a Milano e se n’è occupata la mobile del posto.»

    «Me lo ricordo. Era una bellissima ragazza cinese», disse l’ispettore.

    «Cinese anche qui e particolarmente bella anche lei. Comunque l’hanno uccisa nello stesso identico modo», bofonchiò Gizzi.

    «Per questo hanno chiamato noi», aggiunse subito Placidi. «L’Uocs interviene alla seconda volta, no?»

    «È morta subito?», domandò Sangermano, evitando di rispondere alla domanda del suo collaboratore.

    «Io dico di sì. Al massimo qualche secondo di sofferenza, non di più», fece Gizzi.

    «Ma non potrebbe essere un semplicissimo problema di mafia cinese? Questi si ammazzano tra di loro, regolano i conti e non vanno tanto per il sottile», esclamò Placidi.

    «Forse. Ma, poiché la tecnica è la stessa, bisogna prima escludere l’ipotesi serial killer, no?», rispose Gizzi.

    «Non mi convinci, Sandro, però proviamoci pure a escluderla quest’ipotesi», continuò il vice ispettore, scuotendo la testa.

    «E comunque il nostro direttore Apuzzo è già partito come un treno. Secondo lui questo è un serial killer che ha deciso di ammazzare tutti i cinesi sparsi nelle nostre città, punto e basta», aggiunse Gizzi.

    «E quindi competenza nostra», annuì Placidi.

    «Lo conoscete il capo, no? Ha già preso contatto con il suo amico PM Aniasi per chiedere il trasferimento delle indagini dalla squadra mobile di Milano a noi. Vuole tutti gli incartamenti, le foto, i video. Tutto quello che hanno dalle parti del Duomo. E li vuole tra mezz’ora. Se arrivano tra quaranta minuti, s’incazza», aggiunse ancora il responsabile della scientifica, prima di raggiungere di nuovo il gruppo dei suoi collaboratori. «Passate al setaccio la panchina e anche il terreno circostante», gridò, mentre si allontanava.

    Sangermano, invece, si rivolse a Placidi e alla Fedele.

    «Voi invece fatevi un giro della piazza, controllate anche se ci sono telecamere puntate da queste parti.»

    Poi l’ispettore si fece dare una tuta dall’agente Valesani, indossò guanti, cuffiette, occhiali e copri scarpe e si avvicinò al cadavere, inginocchiandosi per guardare meglio.

    Era distesa in terra, piegata da un lato, gli occhi ancora sbarrati, in un’espressione sorpresa, come di chi non si aspettasse proprio ciò che le era accaduto. Era davvero una donna bellissima. Magra, un corpo ben fatto, stile modella. Indossava un vestito alla moda, bello e raffinato, con un soprabito leggero, una gonna corta, tacchi a spillo e delicate calze fumé. Anche il trucco sugli occhi era accurato, niente di pesante, pochi accorgimenti e tutti al posto giusto. Al collo aveva una collana di perle piccole e ai lobi erano appesi due piccoli orecchini a forma di L.

    «Per essere una cinese era davvero molto alta», commentò Gizzi.

    «Che cos’è quella roba rossa che si intravede nelle dita della mano destra?», domandò Sangermano.

    «È un fiore. Lo teneva così stretto che adesso è difficile toglierlo da lì. Il rigor mortis ha fatto rattrappire le dita, come in una specie di pinza.»

    «È un’orchidea», confermò Silvia.

    «Sei sicura?», Sangermano si intendeva poco di fiori.

    «Però non lo so se è diventata rossa per il sangue o se era già così.»

    «Esistono le orchidee rosse?»

    «Sono bellissime. Non le hai mai regalate a nessuno?», domandò lei, guardandolo fisso negli occhi, quasi in un gesto di supplica.

    «Da dove le hanno sparato?», chiese l’ispettore a Gizzi, sfuggendo d’istinto a quel persistente sguardo.

    «Da uno di quei palazzi qui dietro.»

    «Come fai a esserne così sicuro?»

    «Vedi il foro sulla nuca?», aggiunse Gizzi, mostrandogli un proiettile che teneva accuratamente tra le dita dei suo guanti sterili. «Questo cosetto qui è fuoriuscito dalla parte opposta della testa ed era immerso nel sangue. È un calibro 338 millimetri. Roba da fucile di precisione. Ora tocca a te scoprire che ci fa una specie di marines appollaiato su un tetto di piazza Vittorio.»

    «Avete trovato altri proiettili in giro?»

    «Soltanto questo e lo facciamo subito analizzare. Hai visto mai che l’assassino c’ha lasciato sopra l’impronta delle sue dita?»

    «Un colpo solo lo sparano i professionisti», disse Sangermano.

    «Tu che ne dici?», ribatté Gizzi.

    «Chi l’ha trovata?», domandò l’ispettore.

    «L’ha trovata quel signore lì», rispose Gilberto Scotti che si era appena avvicinato, dopo aver abbandonato per un momento il suo laser-scanner a triangolazione, per gli oggetti di piccola dimensione.

    «Quale signore?» L’ispettore non capiva.

    «Lo vedi quello che si intravede lassù, affacciato alla finestra di quel palazzo d’angolo? È stato lui a chiamare un’ora fa.»

    «Abita lì?»

    «Ci lavora. Insegna italiano agli stranieri.»

    «Anche ai cinesi?», domandò Sangermano, continuando a guardarsi intorno e vedendo nella zona circostante soltanto visi dai caratteristici occhi a mandorla.

    «Che avete trovato lì dentro?», domandò ancora, guardando la sofisticata borsa di Hermès poggiata sulla panchina.

    «Le solite cose che portano sempre le donne», rispose Scotti. «Spazzola per i capelli, astuccio per trucchi, deodorante, crema idratante, penna biro, mazzo di chiavi, kleenex e, naturalmente, un portafoglio con dentro un po’ di soldi. Un po’ tanti, in realtà. Duemila euro.»

    «Documenti?»

    «Nisba.»

    «Biglietti da visita?»

    «Nisba.»

    «Cellulare?»

    «Nisba.»

    «Nisba?», domandò Sangermano.

    «Nisba», confermò Scotti, annuendo.

    3

    Davanti alla porta del terzo piano stazionava immobile l’agente Vladimiro Del Bono, campione di sollevamento pesi e gloria sportiva del reparto. Non appena vide il suo capo, scattò subito sull’attenti.

    «Comandi, ispettore.»

    «Comodo, Vladimiro, comodo. Ci sono novità per il ranking?»

    «Sono dodicesimo, dottore. Se riesco a entrare nei primi dieci vado a fare le finali europee quest’estate a Monaco di Baviera.»

    «E noi verremo tutti in Germania a fare il tifo per te», aggiunse Sangermano, spingendo la porta che era già aperta.

    L’appartamento era abbastanza grande, con un lungo corridoio su cui affacciavano varie stanze. Sui muri erano affissi numerosi cartelli che segnalavano i corsi, gli orari e i nomi degli insegnanti.

    Di fianco i vari studenti dovevano apporre il proprio cognome e la nazione di provenienza. Sangermano constatò che, sopra quel lungo muro, era presente praticamente l’intera lista dei paesi del cosiddetto terzo mondo.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1