Il palazzo delle emozioni
Di Mat Marlin
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Il palazzo delle emozioni - Mat Marlin
Pubblicazioni
DISCLAIMER
I nomi dei personaggi e i personaggi stessi sono solo frutto della fantasia dell'autore e qualsiasi possibile confronto con la realtà è pura coincidenza; ogni vocabolo è stato scelto per non essere mai offensivo e ogni frase rappresenta esclusivamente il pensiero dell'autore; l'intento è di trasmettere emozioni e partecipazione nel modo più idoneo mentre si affronta la lettura.
Buon proseguimento.
Uno
Ogni volta che passa per quella strada il rumore e il profumo del cemento frollato che veniva gettato sulle barre tonde di ferro per armare le colonne portanti lo conduce a tempi passati, trent’anni prima di oggi e in bocca gli si forma una certa acquolina come se il cemento stesso fosse un cibo di delicata prelibatezza; tutte le volte la sensazione non cambia, non può cambiare, oramai i suoi ormoni sono pronti ed eccitati solo all’idea di attraversare quella strada dove sorge quel palazzo, quell’immenso insieme di materiali che lui stesso ha preparato e forgiato; ancora rammenta i suoi venti anni, il sole che gli scuriva la pelle mentre con la pala impastava la calce, i colleghi con i fazzoletti annodati sulla fronte, le canotte bianche con gli aloni del sudore, la fatica e i sorrisi, la voglia di finire, di arrivare, di lasciare il segno.
Giovanni non era solo il muratore, si occupava di tutto, di controllare le consegne, gli arrivi della merce, i bisogni del gruppo, era preciso anche se irruento, un fisico ben scolpito con i muscoli che si gonfiavano durante gli sforzi, le mani forti e possenti, le braccia di acciaio e poi era bello, davvero un bel vedere, le ragazze gli stavano intorno, lo cercavano e lui non disdegnava mai di fare nuove conoscenze, i suoi colleghi ed amici lo ammiravano perché era uno che non lasciava nulla, prendeva quello che gli si offriva e le donne si offrivano, calde e frementi, ragazze spigliate ma anche donne formate piene di stimoli da smorzare, di voglie che andavano saziate.
Un sorriso compare su quel viso che è rimasto piacevole, l’età ha avuto i suoi effetti ma non così disastrosi da modificare troppo il tessuto, è un uomo che ancora oggi avrebbe la sua fortuna ma qualcosa è cambiato, quel giorno, l’ultimo prima della definitiva chiusura dei lavori, il palazzo era meraviglioso nel suo nuovo abito di intonaco colorato e con i balconi in ferro battuto, Giovanni sentiva il cuore colmo di soddisfazione eppure quell’ostacolo di ferro, quel pezzo di tubo non doveva stare li, era stata eseguita la pulizia , tutto era stato tolto e riposto, anche il piazzale era perfetto nel suo ordine, neanche una mente fervida di immaginazione poteva pensare che mentre il ragazzo passava accanto alle mura fresche di colore quel tubo sarebbe rotolato da un balcone al quinto piano e caduto nel vuoto, libero e leggero, incapace di rallentare o di fermarsi e che l’obiettivo finale era la testa del povero Giovanni.
Il rumore non era stato forte se non quando l’asta aveva rimbalzato sul cemento, una eresia minima da fare sorridere, uno scherzo prima di andarsene e lasciare ai nuovi proprietari la loro conquista, Giovanni era stramazzato al suolo senza neanche un urlo, niente, si era accasciato di fretta e rapido e ancora non connetteva, non capiva cosa stava accadendo, steso sull’asfalto blu scuro aveva gli occhi spalancati ma nessuna ferita, neanche sulla testa, non un rivolo di sangue; i suoi colleghi ci avevano messo un po a capire, a comprendere che nessuno stava giocando o scherzando, lentamente perché era un giorno di festa e tutti erano rilassati, avevano preso a muoversi cercando di capire e guardando verso il corpo a terra.
Forse qualche passante o qualche anziano che curiosava per la zona, forse uno dei colleghi, qualcuno chiamò i soccorsi, forse con un telefono fisso o in una cabina telefonica, una chiamata rapida, un incidente, un uomo a terra ma si muove?
, non lo so, no non mi pare!
, ne è sicuro?
, si, no, non lo so…
.
Il rumore della sirena spiegata dell’ambulanza sembrava voler rompere il muro del suono, le luci blu lampeggiavano vorticose mentre l’autista faceva manovre spericolate che poteva anche evitare ma il piacere della precedenza era troppo eccitante per non approfittarne.
Il dottore aveva rivelato , a mano, un bozzo sulla testa, un bernoccolo, un esame più approfondito infatti non aveva dato esiti diversi o complicati, una semplice botta che in un paio di giorni sarebbe scomparsa con tutte le proprie conseguenze; Giovanni non era stato trattenuto e poteva tornare a casa con le gambe proprie, in testa era stato fasciato e tra la botta e la garza c’era acqua ossigenata, giusto per non correre rischi di infezioni gli avevano assicurato ma poteva stare tranquillo, era tutto a posto.
I vecchi genitori si erano spaventati nel vederlo conciato in quel modo ma il giovane aveva sorriso e tranquillizzato la coppia, la sera a cena un brodo caldo di pollo , saporito nel suo colore giallognolo dovuto alla carne del ruspante e poi a letto, il giorno dopo non aveva impegni e poteva rilassarsi.
Era tornato al lavoro, la ditta per cui lavorava era oberata di impegni e tra costruzioni di abitazioni, strade e loculi cimiteriali non c’era tempo per fermarsi; Giovanni aveva ripreso i suoi compiti, tutto era nella norma, gli altri erano gli stessi e lui per loro era lo stesso eppure il giovane vedeva il mondo in una prospettiva diversa dopo l’infortunio; il problema più gravoso era nei periodi di tranquillità, quando era in pausa o magari dormiva, in quei momenti la sua mente iniziava a fare strane cose, gli sparava immagini e suoni che lui non capiva e non poteva gestire, inerte e inerme di fronte a pensieri non suoi.
Il tempo non era stato un grande aiuto, questa specie di allucinazioni non erano scomparse ne si erano affievolite, la sua mente lavorava quando il corpo riposava e Giovanni non trovava soluzioni adeguate per combattere, subiva tutto ciò come se qualsiasi atto di ribellione fosse un rischio troppo grosso da affrontare.
Grazie ad un collega che spesso si dichiarava malato, aveva avuto un nome e un indirizzo di un medico e un pomeriggio, dopo il lavoro, si era deciso e recato presso lo studio ambulatoriale; aveva fatto la fila, prima di lui una donna con un bambino piccolo, una donna con un velo sul capo e una donna con una mano fasciata poi era toccato a lui, l’ultimo paziente del giorno.
Lo studio era come tutti gli studi medici, una cattedra, una sedia dietro e due avanti, un lettino, un armadietto di metallo e una piccola vetrina piena di medicinali in parte scaduti e tutto omaggio delle aziende produttrici, il dottore stava seduto, i capelli bianchi e arruffati, in un certo modo ricordava un importante chimico storico, Albert Einstein se Giovanni rammentava bene, solo che il dottore indossava anche degli occhiali con la montatura di metallo dorata e non sorrideva ne aveva un espressione goliardica, era serio e muto, in attesa chissà di quale miracolo della medicina e della scienza che avrebbe magari cambiato la sua vita; Giovanni era rimasto in piedi e guardava il medico che aveva la testa abbassata e stava scarabocchiando qualche cosa di illeggibile su un foglio bianco; si sieda
aveva pronunciato e il giovane si era seduto, composto con le mani poggiate sulle cosce nascoste dalla scrivania e stava in attesa.
Immagino abbia necessità di un certificato per assentarsi dal lavoro!
aveva detto il dottore senza mai alzare gli occhi e Giovanni non aveva risposto, non subito, si chiedeva se era realmente nello studio di un dottore o vittima di uno scherzo del suo collega di lavoro, non sapeva cosa pensare ma soprattutto cosa dire.
L’uomo canuto in camice bianco aveva sollevato lo sguardo in quanto nessuno aveva risposto alla sua domanda e i suoi occhi si erano spalancati, meravigliati, stupiti, sorpresi; mi perdoni, credevo fosse un altra persona
aveva esclamato per scusarsi e tentare di rimediare alla gaffe; Giovanni aveva abbozzato un sorriso e il dottore aveva aggiunto: prego, dica pure, come posso aiutarla
?
Giovanni aveva preso la parola, titubante e quasi intimorito ma una volta cominciato non si era fermato : dottore, tempo fa sono stato colpito al capo da una spranga di ferro e da allora ho strani pensieri nella testa, ho come delle visioni, vedo immagini che non sono mie, non so spiegarmi, è come se posso vedere cose accadute, ecco.. per farle un esempio le racconto cosa è successo un paio di giorni fa a casa di una amica della mamma, ero seduto sul divano e la figlia dell’amica, una ragazza affascinante sui trent’anni mi ha salutato e si è seduta con noi; a quel punto senza chiudere gli occhi nella mia mente sono giunte una serie di scene incredibili, vedevo la ragazza nuda che faceva l’amore sul divano dove ero seduto con un uomo più anziano, ogni scena era bene impressa e anche i suoni, i mugolii, sembrava tutto reale; ho immaginato che fosse effetto di una mia eccitazione , della mia immaginazione magari nel volere pensare di avere un incontro erotico con la donna, sono giovane e tutto mi stimola; all’inizio non mi sono preoccupato poi , poco dopo, l’uomo che ho visto nel sogno è entrato in casa e ha baciato l’amica della mamma sulle labbra, ha salutato e si è seduto con noi e improvvisamente ho capito che tutto ciò che avevo immaginato era stato reale, poche ore prima si era consumato l’amplesso proprio li, inoltre l’atteggiamento dell’uomo e della ragazza erano tutti segnali che tra loro c’era del tenero ma solo io riuscivo a capirlo perché sapevo, avevo visto
!
Il dottore non aveva detto una sola parola, non prima di aver chiuso gli occhi e pensato a chissà cosa e Giovanni si stava preoccupando poi , finalmente, si era espresso: caro credo che lei abbia bisogno di un psicologo e non di un semplice dottore, le fornirò il nome di un mio conoscente, provveda ad incontrarlo prima possibile
e subito dopo si era alzato per congedare il giovane.
L’incontro con lo psicologo era stato uno dei tanti a seguire negli anni, Giovanni aveva conosciuto esperti e tecnici di ogni stoffa, famosi o sconosciuti, impegnati o meno, tutti con i loro camici bianchi e una certa boriosità dovuta al titolo di studio conseguito, tutti con una soluzione certa e definitiva, sembrava che tutto l’ordine degli psicologhi si stesse adoperando per risolvere il suo dilemma, ogni dottore aveva la soluzione esatta, diversa da quella dei colleghi che non poteva andare bene per Giovanni, assolutamente, la diagnosi dell’ultimo era sempre la migliore; alla fine il giovane che adesso ha cinquant’anni, si è arreso, stanco e stufo di spendere tempo e denari, esausto di visite e discorsi, il suo problema non esisteva, non era guaribile ne giudicabile, vivi e lascia vivere e Giovanni , finalmente, aveva abbandonato ogni ricerca e speranza.
Due
Il palazzo non è un semplice palazzo, le fondamenta ospitano al piano interrato un grande parcheggio, in parte libero e in parte occupato da garage per i residenti, un ascensore installato dieci anni fa per affiancare le scale che Giovanni e colleghi avevano costruito con tanto amore , conduce al piano terra dove si affacciano una serie di attività commerciali; Giovanni le conosce tutte e conosce anche quelle che hanno aperto e chiuso negli anni perché lui ogni volta che può passa per questa strada per sentire il profumo del cemento frollato; l’interno del parcheggio è stato rinfrescato, una mano di bianco sul soffitto e sulle colonne dove tuttavia la parte inferiore è verniciata di un azzurro intenso, quasi un blu scuro per non fare vedere i segni che le autovetture lasciano quando fanno manovra; le porte dei garage sono le stesse invece, di metallo grigio con la maniglia nera al centro, qualche inquilino ha sostituito la serratura; oltre al piano terra dove sono le attività commerciali, ci sono altri quattro piani di appartamenti privati ed un quinto e ultimo piano dove sono stati realizzati alcuni uffici per professionisti, un commercialista, uno studio legale, un consulente del lavoro, un agenzia investigativa; il tetto non è a spiovere ma ha un balcone che tuttavia non è mai stato utilizzato se non per la notte dell’ultimo dell’anno, la visuale per vedere i fuochi di artificio è unica e incredibile.
Giovanni parcheggia l’auto all’interno di uno dei tanti spazi delimitati da strisce rosse e aziona il telecomando per chiudere le portiere, fa un bel respiro e i profumi di un tempo lo assalgono riempendo le sue sensazioni di ricordi indimenticabili; si volta ancora una volta per controllare che la sua auto non dia fastidio e sia ben parcheggiata poi, le mani in tasca, un fischio sommesso tra le labbra, inizia a salire la scalinata, il marmo chiaro è consumato ma ben pulito, si vedono le venature e i contrasti di colore e presto la mente torna a quei giorni dove , con destrezza i colleghi e lui stavano incastrando il prezioso materiale sopra la gettata di cemento, un ricordo che gli fa salire il cuore in gola e deve ricacciare le lacrime indietro prima che la vista si offuschi; l’atrio dove giunge è uno spettacolo conosciuto ma sempre pieno di emozione, lascia le scale e si ferma sul pianerottolo, intorno a lui le vetrine dei negozi piene di merci e cianfrusaglie, di colori e di luci sempre accese, di rumori; si volta perché ciò che cerca è altro, accanto alla porta dell’ascensore , quasi nascosta si cela la porta dei piani superiori, due battenti in legno di ciliegio, pesantissimi, ancora ricorda lo sforzo degli addetti della ditta che la montò all’epoca, due pomelli colore oro al centro, grassi di mani che toccano, scoloriti dal tempo e dall’umidità ma bellissimi, splendidi, regali, nell’anta destra la serratura per la chiave , quella lunga di metallo dorato che da trent’anni apre quella porta; la fila di campanelli è accanto al battente destro e sopra tutta una serie di targhe che rappresentano gli uffici dell’ultimo piano; le barre del citofono sotto i campanelli sono storte e piegate ma assolvono la loro funzione.
E’ un momento magico, Giovanni fissa il portone enorme e pesante , menefreghista di tutto ciò che è alle sue spalle, i negozi con le loro vetrine che cambiano ogni settimana, il traffico esterno, le puzze della città, la sua mente , i pensieri sono su quella porta e su ciò che cela all’interno; il click della serratura che si sblocca e la ragazza che indossa fuseaux e un berretto di lana che esce e gli sorride, occhi celesti in un viso dolce e la pelle liscia delle giovani ventenni; è la figlia dei signori Brambilla, Katia, la femmina, Giovanni l’ha vista nascere, si fa per dire, non era nella sala parto ma è come se fosse sua figlia, ha seguito il corso della crescita e della giovinezza, la pubertà e l’adolescenza e tutto questo semplicemente passando avanti il palazzo per respirare il profumo del cemento frollato; il fratello, Marco, è un ragazzo con la testa sulle spalle, studia e lavora, uno che ha le idee chiare, lei invece è ancora una sognatrice, una ragazza ancora bambina, spensierata e con tanta voglia di vivere la vita; la famiglia Brambilla era li quel giorno dell’infortunio, erano i nuovi proprietari dell’appartamento del