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Lo Chalet
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E-book366 pagine2 ore

Lo Chalet

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Info su questo ebook

Claudio, figlio di un noto industriale, a un certo punto si stufa e decide di cercare la sua strada, la sua vita. Se ne va di casa, all'avventura, e da lì parte un libro denso di umanità, sentimenti e fatti storici.
Claudio nel suo travagliare incontrerà l'amore vero, l'omicidio, le comuni, l'amore di convenienza, il lavoro, le delusioni, le BR e una vita – forse – serena, con un finale amaro e inaspettato.
Una prova d'autore per Danilo Bottiroli, che ha vinto l'edizione 2018 del Premio Prunola nella sezione romanzi inediti.
“E' un romanzo che tiene il lettore con il fiato sospeso, conducendolo nei meandri di una storia d'amore travagliata, affrontando anche gli ostacoli del fallimento di un'impresa e del tradimento, oltre ad agganciarsi al rapimento di Aldo Moro”
Valter Garatti
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2018
ISBN9788893781220
Lo Chalet

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    Anteprima del libro

    Lo Chalet - Danilo Bottiroli

    intenzionale.

    PROLOGO

    Lo chalet in legno che sormontava la stalla in calcestruzzo grezzo e gettato con approssimazione si trovava sulla dorsale del monte che guardava a Ovest, tra la mulattiera in basso e la vetta lassù.

    Il paesaggio era mozzafiato: le catene degli Appennini si rincorrevano lasciando giù in fondo vallate dimenticate dal tempo e dagli uomini, nelle quali si poteva spesso udire solo il suono del vento che si infiltrava nelle gole e lo scroscio delle acque piene di torrenti e rii.

    Fitti boschi di rovere, faggio e castagno coprivano i pendii fino quasi alle sommità nascondendo le poche case solitarie o i piccoli paesi sopravvissuti dove, solo di rado, era possibile scorgere in inverno il fumo di un camino amico.

    Appena prima delle guglie dei monti, il bosco si apriva per lasciare spazio ad ampi prati, testimoni di una pastorizia antica, terre del ginepro e della genziana.

    Claudio raggiunse lo chalet con un po' d'affanno dovuto all'età che avanzava e alle sigarette fatte con il tabacco sfuso e le cartine alle quali non era mai riuscito a rinunciare.

    Salì su una passela legnosa e traballante facendo attenzione a non poggiare il peso sulle parti ormai marcite dall'umidità e dal tempo.

    Cercò la chiave giusta e fece scattare un antico lucchetto arrugginito prima di spingere il pesante uscio ed entrare.

    Anche all'interno le pareti erano rivestite di legno: assi grezze e non sempre ben piallate mostravano fessure più o meno ampie causate dall'inevitabile ritiro della materia; le finestre, con le cornici stranamente blu, erano prive di imposte e molti vetri erano rotti; una tramezza di legni e fango divideva l'interno in due ampie stanze: in quella più grande, al centro, c'era un'antica stufa a legna di quelle basse con quattro bocche che un tempo si usavano anche per cucinare, e il tubo attraversava mezzo soffitto fino a uscire da un vetro rotto, senza comignolo.

    Faceva freddo nonostante fosse solo ottobre, e giù in pianura le temperature non fossero ancora scese sotto i dieci gradi: Claudio, allora, uscì per raccogliere un po' di legna, fascine, poi pezzi molto secchi un po' più grandi e infine un paio di ceppi che sarebbero durati a lungo.

    Accese la stufa che sbuffò fumo fino a far bruciare gli occhi, poi pian piano la fiamma iniziò a crescere spazzando via la nube grigia e mentre lui continuava a sfregarsi le mani sopra il piano, il calore cominciò a diffondersi, prima accanto alla stufa e lungo il tubo, poi in tutto lo chalet.

    Su una mensola Claudio notò una bottiglia mezza piena di liquido incolore, la prese e lesse l'etichetta: Grappa.

    Per quanti anni possa avere, è sicuramente ancora buona, pensò prima di stapparla e sorseggiare.

    Accostò una seggiola decrepita alla stufa, iniziò a rollare una sigaretta, si sedette e cominciò a pensare alternando gocci di grappa a tiri di tabacco forte.

    Era il posto giusto? Il posto che cercava da sempre per realizzare il suo sogno?

    Rita gli aveva già detto di sì, perché lo amava, lo aveva sempre amato ed era l'ultima e forse l'unica rimasta delle tante persone che aveva incontrato in una storia che iniziò negli anni delle prime ribellioni.

    E, così, la mente iniziò a viaggiare a ritroso: a quel tempo, appunto, e da lì in poi.

    1.

    Di partire, per sempre, alla Kerouac, Claudio lo decise una mattina di marzo del '76.

    Era già in ritardo, rispetto a se stesso, rispetto agli Iuesséi e non aveva il Volkswagen tinto di rosa e imbrattato di dipinti floreali con dentro le brandine e la canna, ma quello sognava.

    I suoi, i suoi ricchi in un paesotto vicino a Cremona, dormivano ancora quando lui si lasciò alle spalle la villa lussuosa, in braccio un fagotto nemmeno troppo pesante, in bocca l'ardere di tabacco mischiato a marijuana: più che Kerouac si sentiva la Piccola Katy, ma aveva giurato di farlo, per se stesso più che a suo padre che lo rimproverava di non saper fare nulla.

    Mentre i lampioni della città borghese, in una quasi periferia di lusso, stentavano a emettere luce degna e i lievi bagliori dell'alba tardavano a tingere il mondo attorno per accendere gli interruttori delle prime frenesie post-moderne, Claudio pensava proprio ai suoi genitori: a sua madre in particolare, a quando avrebbero scoperto il suo letto disfatto, ma vuoto, il suo biglietto scritto in brutta calligrafia: Vado a cercare me stesso. Addio.

    Immaginava suo padre, severo, cedere al dolore, raccogliendo la testa fra le mani, picchiando un pugno di rimorso sul tavolo; immaginava sua madre in lacrime per la perdita del figlio, l'unico.

    Non immaginava la realtà, non sapeva farlo e non si sapeva farlo in quei tempi.

    Non immaginava la madre con il biglietto in mano chiedere semplicemente al marito: Cosa vuol dire? e lui a sorridere: "È un ragazzo, un perdaballe. Tornerà presto, vedrai: appena finiti i soldi busserà alla porta dei vecchi e io non ammazzerò il maiale, un calcio nel sedere e, se non studia, a lavorare! Lo sbatto in catena di montaggio, poi vedi se non impara!"

    Té disi?

    Digo, digo.

    Claudio salì sul primo treno a caso, senza biglietto, senza sapere la destinazione.

    Si sedette in uno scompartimento, apposta davanti a una signora ben vestita e attempata, quasi sua madre; si tolse le scarpe e poggiò i piedi sul sedile vuoto a fianco della donna.

    Lei finse di non vedere e continuò a leggere un romanzo della Fallaci.

    Claudio si rollò un'altra sigaretta e iniziò a sbuffare fumo aromatico; la donna abbassò un poco il finestrino, giusto per fare entrare un po' d'aria.

    Le dà fastidio? chiese lui facendo uscire due fili di fumo dalle narici.

    Un pochino, puoi mica spegnerla?

    Qui si può fumare, commentò il ragazzo sparandole un nuvolone in faccia.

    La vecchia tossì e fece il gesto di alzarsi per cambiare scompartimento.

    Lui cercò di trattenerla, un po' la fuga e un po' l'erba l'avevano reso sicuro, spavaldo: Non se ne vada, signora, disse, potrei essere suo figlio, non mi lasci solo. E se mi succede qualcosa? la irrise.

    Ormai in piedi, con la valigia in mano, la donna lo guardò dall'alto in basso: Non hai nemmeno la chitarra! commentò prima di andarsene.

    Claudio rise forte, ma era troppo tardi: la vecchia l'aveva umiliato.

    Tirò su un paio di braccioli e si coricò occupando tre posti: era ancora stanco, non era abituato ad alzarsi presto la mattina e un sonnellino aggiuntivo ci sarebbe stato bene dopo l'incontro con quella donna aspra.

    Aveva vent'anni e si sentiva padrone del mondo: fino alle superiori aveva studiato il minimo indispensabile per passare, complice il suo cognome; si era poi iscritto all'università e collezionava diciotto politici, voleva essere un hippy, ma non sapeva come fare se non fuggire di casa alla ricerca di chissà cosa.

    Ma era vero: non aveva una chitarra e non aveva neppure una destinazione, soprattutto non aveva alcuna idea di cosa e come fare.

    Il controllore spalancò la scorrevole dello scompartimento: Si tiri su, ordinò, non può occupare tre posti.

    Claudio sbuffò.

    Mi mostri il biglietto.

    Non ce l'ho, ma ho il mondo, rispose il ragazzo.

    Il ferroviere estrasse un blocchetto dal buffo borsello delle FFSS e iniziò a scrivere.

    Ehi, ehi, capitano, disse Claudio, è inutile che scrivi: non ho soldi per pagare la multa.

    L'uomo in blu continuò imperterrito, strappò il foglio della contravvenzione e lo porse al giovane.

    Lui rise, lo prese stropicciandolo e lo mise in tasca.

    Lei scende alla prossima stazione, ordinò il controllore.

    Un altro sorriso.

    L'uomo si tolse il berretto, si asciugò la fronte e si chinò verso Claudio: Oppure ti sbatto giù io con il treno in corsa, sussurrò.

    La prossima stazione era di un paese non molto grande, nella pianura, con il nome di qualche santo: Claudio scese dal treno, guardato a vista dal controllore e quando fu solo, sul marciapiede della stazioncina tirò fuori da una tasca i pochi soldi che era riuscito a rubare dal portafogli del babbo prima di scappare.

    Non erano molti: qualche moneta, un paio di milalire e un michelangelo.

    Il bar della stazione odorava di cappuccino e chifferi: Claudio aveva fame, ma non voleva spendere, doveva far durare il piccolo patrimonio, doveva prima trovare qualcosa da fare, per racimolare altro denaro e tenere dei soldi di riserva, perché non si sa mai.

    Era il segreto di Pulcinella, la sua paura: ora che era sguarnito, ora che babbo non l'avrebbe più protetto, quel denaro era il biglietto di ritorno, nel caso avesse pianto, nel caso avesse perso.

    Iniziò a percorrere le strade del paese cercando qualcosa e mentre bimbi con i grembiuli bianchi o neri, i fiocchi rosa o blu e la cartella in spalla si affrettavano al suono della campanella di scuola, Claudio si rese conto che era finito in un postaccio: non era la città, non era nemmeno il suo paesotto e lì non avrebbe certo realizzato i suoi sogni. C'era soltanto una larga strada con ai lati file di case vecchie e poco lontano i primi palazzoni inutili, figli della speculazione degli anni Sessanta.

    Avrebbe potuto andarsene subito, in autostop, ma invece scelse il tentativo più facile e alla prima chiesa, l'unica del paese, cercò la canonica e suonò il campanello con la scritta parroco.

    Aprì una donna secca e piccola, con il velo in testa che incorniciava un viso pallido e rugoso in mezzo al quale si intravedevano due occhietti vispi, un naso adunco e una bocca rossa di antica civetteria.

    C'è il parroco? chiese Claudio.

    La perpetua lo scrutò velocemente e poi rispose No ma era troppo tardi; da dietro, in una vecchia corte, si sentì una voce maschile: Rosina, chi è?

    Claudio scostò il corpicino della perpetua e raggiunse l'uomo vestito di nero che, passeggiando in un porticato fresco, sfogliava un breviario con la copertina in pelle nera e i bordi porpora delle pagine.

    Don! chiamò Claudio avvicinandosi.

    Lui fermò il segnalibro dorato prima di chiudere il breviario e alzò lo sguardo: Sì, chi sei? Non ti ho mai visto in parrocchia. Cosa vuoi?

    Don, ha mica qualche lavoretto da farmi fare, per pochi spiccioli?

    Il prete lo fissò: Vieni a messa alla domenica?

    Non sono di qui, don, rispose Claudio, ma a messa ci vado tutte le domeniche e ogni tanto accompagno anche mia nonna alla vespertina.

    Di dove sei?

    Di Bologna, mentì il ragazzo.

    Che ci fai qui, in questo paese di campagna?

    Claudio la sparò grossa: Sono scappato di casa, padre, perché credo di avere la vocazione, ma i miei non mi credono e non vogliono farmi entrare in seminario. Io penso che il Signore mi abbia chiamato: mi è apparso in sogno, mi ha detto di seguirlo... Mi aiuti!

    Quanti anni hai? domandò il prete.

    Venti, rispose Claudio.

    Dovresti chiamare i tuoi genitori, saranno in pensiero per te.

    No, mi odiano, disse il ragazzo, e poi sono maggiorenne.

    Questo non c'entra, e poi nessun genitore odia il proprio figlio.

    Allora perché non vogliono che io prenda i voti?

    Vedi, ragazzo, disse il sacerdote prendendolo sotto braccio tu credi di avere la vocazione, ma non è così semplice: bisogna capire davvero se il Signore ti ha chiamato oppure, che ne so, è un tuo momento così, magari la tua ragazza ti ha lasciato e adesso pensi di farti prete, ma allora questa non è la chiamata del Signore; è meglio telefonare ai tuoi, vieni in ufficio.

    No, la prego, don, mi aiuti, lo implorò Claudio, non ho mai avuto una ragazza, non è per questo che voglio diventare sacerdote. Io ho visto la luce!

    Il prete si fermò e iniziò a sgranare pensieroso un rosario di madreperla; Claudio, invece, era quasi stufo di fare la scena: non avrebbe continuato oltre, per pochi spiccioli poi, e aveva fame e voglia di fare un paio di tiri di roba buona.

    Decise di attendere ancora un po', poi si sarebbe dileguato in fretta.

    Ce l'hai, un posto dove dormire? chiese il prete.

    No, rispose il ragazzo.

    Faremo una prova, disse il sacerdote, ma non farti illusioni.

    Grazie, don.

    Aspetta a ringraziarmi, rispose l'uomo, e seguimi.

    Lo accompagnò in una stanza in una cantina sotto la corte: era una camera umida e buia con una brandina e basta.

    Dormirai qui, disse il prete, per un paio di notti. La perpetua ti porterà qualcosa da mangiare, magari soltanto gli avanzi, e dovrai lavorare, dovrai fare tutto quello che ti ordinerò. Servirai tutte le messe e sabato partirai con il gruppo dei giovani della parrocchia: andremo a un ritiro spirituale. Alla fine, se ancora crederai di avere la vocazione, te ne tornerai a casa, andrai dal tuo parroco e gli parlerai; lui ti aiuterà e io metterò una buona parola per te.

    Di soldi, non se ne parlò e Claudio era lì per quello: sperava, comunque, nella generosità del prete e in ogni caso pensò che quella fosse la prima prova di libertà.

    Sì, d'accordo, non c'erano lotte da fare, filosofie da difendere, musiche da schitarrare, ma si sentiva felice, forse solo per essere riuscito, per la prima volta nella sua vita, a ottenere qualcosa unicamente per merito proprio, anche se aveva dovuto mentire: ma non era forse stata fino ad allora una menzogna essere stato sempre favorito solo perché suo padre era un ricco industriale della città?

    Iniziò, quel giorno e da subito, a occuparsi dei lavori più ingrati che il parroco e la perpetua gli comandavano: pulire i candelabri e le statue della chiesa, lavare il pavimento, scopare negli angoli più irraggiungibili tirando fuori gatte di polvere di dimensioni bibliche, rifornire di candele le postazioni votive, cambiare le spugne dei fiori, lavare le vetrate, spolverare l'organo e liberare tutte le centinaia di canne, ordinare i libretti dei canti nei banchi della chiesa, togliere le impronte dagli inginocchiatoi, lavare calici e ampolle, sistemare negli armadi della sacrestia tuniche,

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