Anna
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Anteprima del libro
Anna - Luigi Angelino
ragazza
INTRODUZIONE
di Massimiliano Bertolla
Conobbi Anna in una assolata domenica pomeriggio di fine inverno di qualche anno fa.
Ricordo ancora quando, per la prima volta, i nostri occhi si incrociarono e si scrutarono vicendevolmente. Quei profondi ed intensi occhi neri si aprirono ai miei svelandomi la bellezza della loro anima. Mi sembra ancora di sentire la sua voce, di ascoltare le sue parole, di percepire la sua apprensione di madre nei gesti, nelle attenzioni, nelle raccomandazioni, nei consigli. Ne conservo un ricordo indelebile nel mio cuore.
Così quando Luigi Angelino mi ha proposto di scrivere l’introduzione al suo nuovo libro, conoscendo il legame che mi univa alla madre, ho subito provato un forte sentimento di gioia e al tempo stesso anche una certa dose di preoccupazione, perché non è mai semplice mettere per iscritto le emozioni del proprio cuore.
Del resto anche la lettura di questo libro è stata per me molto appassionante e commovente. Un vero concentrato di emozioni forti. In questo omaggio alla madre, l’autore ripercorre le tappe più importanti della vita di Anna, dalla nascita negli anni Trenta, fino alla morte avvenuta in una notte di fine agosto di quattro anni fa.
Come emerge dalle pagine del libro, Anna è una donna dal forte temperamento, sensibile, dolce, premurosa, protettiva, talvolta ingombrante ma sempre pronta ad annullare sé stessa per amore dei propri figli come solo una madre sa fare.
Il legame tra madre e figlio viene definito dallo stesso autore un profondo groviglio
sentimentale ed intellettuale, una definizione direi esaustiva che non lascia spazio a dubbio alcuno.
Il libro è suddiviso in decenni, inizia con la narrazione della nascita di Anna: siamo nella Napoli degli anni Trenta, una città piena di contraddizioni, sempre alla continua e difficile ricerca della propria identità. La metropoli partenopea avrà un ruolo centrale nella narrazione del romanzo, essendo non solo la città natale della protagonista ma anche il luogo dove la stessa vivrà per tutta la vita. Anche le descrizioni dei luoghi, dal Borgo Marinaro a Mergellina, da Santa Lucia al Vomero, dal parco della Floridiana al bosco di Capodimonte, arricchiscono il susseguirsi degli avvenimenti descritti con uno stile fluido ed esperto, senza mai appesantire la struttura del romanzo.
Il ripercorrere dal punto di vista cronologico i momenti più significativi della vita della madre permette all’autore di delineare anche una panoramica degli avvenimenti più importanti che, nel corso di questo ottantennio, hanno segnato la storia del nostro Paese, sia dal punto di vista storico-politico, sia dal punto di vista sociale e culturale. Ne emerge uno spaccato di Italia genuino e fiero come i suoi abitanti, sempre pronti a lottare e a non perdersi d’animo nonostante le innumerevoli avversità.
Il susseguirsi degli avvenimenti che hanno contrassegnato la vita della protagonista, dalle gioie ai dolori più devastanti, ci calano in un turbine di emozioni forti e la bravura dell’autore è stata anche quella di saper descrivere con dovizia di particolari gli stati d’animo e le sfumature del cuore di sua madre al punto che al lettore sembrerà di gioire con lei, soffrire con lei, amare con lei, morire con lei.
Leggetelo perché è davvero emozionante!
CAPITOLO 1 - ANNI TRENTA
1.1 La nascita
Anna nacque una mattina di inizio giugno, nel periodo più luminoso dell’anno, quando le giornate non sembrano avere fine ed il caldo della stagione estiva non ha ancora bruciato i sogni primaverili. Una bambina del popolo come tante, una storia che si sarebbe intrecciata ad altre storie, per crearne altre, in una catena infinita.
«È bellissima...» sua madre con orgoglio la mostrava ad una delle sue cinque sorelle, Concetta, che non era sposata e sarebbe stata la candidata perfetta per aiutarla nella prima fase di crescita della piccola.
«È proprio bella...» rispose Concetta con occhi sognanti, già pregustando il suo futuro di affettuosa zia. Giuseppe, il papà di Anna, un venditore ambulante non molto fortunato, aprì la camera da letto, attirando immediatamente l’attenzione delle due donne.
«Ho portato le vongole che ti piacciono tanto, Elvì.» disse, quasi fiero dell’impresa compiuta, alla moglie che stava dondolando la figlioletta.
«Ma avrai speso troppo, quante volte ti dico che hai le mani bucate» rispose al marito con un tono di indulgente rimprovero, come se si rivolgesse ad un altro figliolo un po’ cresciuto. Giuseppe sorrise, aggiungendo: «ovviamente, cena con noi anche Donna Concetta» mimando uno scherzoso inchino alla simpatica cognata.
Elvira e Giuseppe formavano una strana coppia, un’unione dettata dal caso e dalle circostanze. La donna era arrivata al matrimonio sulla soglia dei 35 anni, un’età considerata matura nella loro epoca, dopo una giovinezza in cui aveva brillato per la sua bellezza e perspicacia, nonostante vivesse in uno dei quartieri più popolari di Napoli, la Sanità, ricco di storia e di tradizioni. Nella sua numerosa famiglia era la terza tra sei sorelle e due fratelli, considerata la più intelligente, istruita ed abile negli affari, pur non avendo un titolo di istruzione riconosciuto. Elvira, oltre ad essere un’ottima e stimata sarta, grande lavoratrice e dotata di grandi capacità organizzative, riusciva a farsi voler bene da tutti, perché le sue parole andavano dritte al cuore di familiari, amici, conoscenti e clienti. Per questa sua straordinaria dote empatica, si era guadagnata il titolo di donna saggia
e molto spesso dispensava consigli sui temi più disparati, sempre con il sorriso sulle labbra e con innata generosità.
Giravano tante voci sul fatto che non si fosse sposata nell’età consueta: alcuni dicevano che era stata perdutamente innamorata di un ufficiale di cavalleria che, seguendo le indicazioni della sua ricca famiglia, avrebbe invece sposato una nobildonna del nord Italia; altri un po’ malignamente le attribuivano diverse relazioni amorose; altri ancora sostenevano che Elvira aveva rifiutato tanti buoni partiti, perché innamorata della propria libertà. La verità era forse una delle tre ipotesi, o forse nessuna, o forse in parte erano vere tutte e tre, o semplicemente ancora non era venuto il momento. Nel periodo in cui conobbe Giuseppe, che le era stato presentato dalla sua sorella maggiore Emma, la mamma di Anna pensava sempre con più rammarico al fatto di non aver avuto figli. La gentilezza di quell’uomo modesto, che la guardava con adorazione, rapito dai suoi occhi azzurri e dalla fluente chioma bionda, convinse Elvira a sposarlo. Forse non ne era innamorata follemente, ma si ripromise che sarebbe stata un’ottima moglie, una fedele compagna e soprattutto che avrebbe regalato il suo cuore ad eventuali figli.
La notte avvolgeva i vicoli di Napoli con un insolito silenzio, mentre Elvira adagiava la piccola nella culla dopo che si era addormentata fra le sue braccia.
Erano passati solo pochi giorni da quando era entrata nella sua vita, eppure sentiva che era una parte di sé, a cui non avrebbe rinunciato per niente al mondo. Con quella strana consapevolezza che possono avere solo le madri, Elvira avvertiva che finalmente la sua esistenza aveva un senso e che tutto quello che era avvenuto prima si dissolveva nei grandi occhi scuri di sua figlia.
1.2 Napoli anni ‘30
Quando nacque Anna, la città di Napoli si stava affacciando al nuovo decennio con tutte le contraddizioni dei circa sessant’anni di appartenenza al Regno d’Italia.
L’unificazione del 1861, tanto acclamata e cantata nei mediocri libri di storia scolastici, a scopo auto-celebrativo e propagandistico, se aveva regalato agli Italiani la legittima e sacrosanta soddisfazione di avere un’unica patria, di certo non aveva giovato ai territori del Mezzogiorno ed in particolare alla metropoli partenopea che, per secoli era stata capitale, nonché la città più popolosa della penisola ed uno dei più vivaci centri culturali europei (all’inizio del diciannovesimo secolo Stendhal aveva affermato che vi erano solo tre capitali culturali in Europa: Londra, Parigi e Napoli).
Parlare della Napoli di quegli anni è come scattare fotografie di vita quotidiana, attingendo a documenti e racconti, a volte veritieri, a volte un po’ troppo coloriti, a volte contraddittori. Mi viene in mente un episodio ambientato in quel periodo che narrava di un prete, accusato di mancanze morali ed esposto su un carro al pubblico ludibrio. Mentre il popolo imprecava e lo insultava, il prete non rinunciò a benedire una coppia di sposi di passaggio, riuscendo ad ottenere anche il silenzio della folla in tumulto. Questo racconto la dice lunga su come fosse mutevole l’umore dei cittadini napoletani, sempre in bilico tra il sacro ed il profano, tra i sentimenti religiosi genuini e le applicazioni cultuali paganeggianti. Il Cattolicesimo, tra leggenda e tradizione, ha sempre rappresentato una forma di controllo sociale. Non a caso Napoli diede i natali a S. Alfonso Maria dè Liguori, il santo che riusciva a tenere a bada
delinquenti e prostitute, con la minaccia di castighi severi da impartire durante le confessioni, conseguendo lusinghieri risultati, molto più efficaci delle istituzioni statali.
I viaggiatori degli altri Paesi europei provavano un certo disagio durante i soggiorni a Napoli, come testimoniano alcune testate giornalistiche tedesche in occasione del settimo centenario della fondazione della prima università strutturata del mondo, la Federico II. I cronisti narrano che quella ricorrenza fu celebrata in maniera rumorosa e grottesca, senza alcun riferimento alla grande tradizione esoterica e filosofica della città, perdendosi in un inutile schiamazzo popolare.
La miseria ed il degrado dei quartieri popolari, in contrasto con le lussuose residenze di Via Posillipo o di Via Petrarca, rendevano ancora più sconcertanti le contraddizioni di una metropoli che faticava a trovare, o meglio a ritrovare, la propria identità.
A Napoli nulla era come appariva: case misere e fatiscenti al di fuori nascondevano all’interno tesori, ricchezze e condizioni igieniche precarie; residenze imponenti potevano celare al loro interno, invece, i segni della decadenza non solo strutturale ma anche morale dei propri occupanti, molto spesso isolati in meschini privilegi già allora anacronistici.
Vista dall’alto, in particolare da Castel San Martino, senza la scomposta moltiplicazione di edifici che esploderà dopo il secondo conflitto mondiale, la città aveva un aspetto ancora più roccioso
, solo una striscia lungo la costa si estendeva piatta, con gli edifici scaglionati uno sopra l’altro. La Napoli frenetica e chiassosa sembrava riposare solo sul far della sera, in piccole baie naturali, come le discese a gradoni
di Mare Chiaro, piene di osterie di pescatori, allestite all’interno di grotte di pietra, illuminate da fioche luci ed animate da deboli musiche che portavano la loro melodia verso il mare e verso il cielo.
I punti di riferimento più importanti della Napoli anni ‘30 erano i negozi, le fontane e le chiese, con soprannomi
spesso diversi dalle denominazioni ufficiali, piuttosto che il nome delle strade e delle piazze. Il grandissimo patrimonio architettonico delle chiese del centro storico, in abbandono per decenni e rivalutato soltanto a partire dagli anni ‘80, si presentava strutturalmente molto diverso rispetto alle altre città della penisola. Gli edifici religiosi a Napoli non spiccano in grandi piazze e, pertanto, non sono visibili per l’imponenza della facciata o della cupola, ma sono nascosti ed incassati nei tanti palazzi adiacenti.
I forestieri rischiavano di passare davanti a capolavori storici, senza rendersene conto.
La vita privata dei napoletani dei quartieri del centro si svolgeva pubblicamente
. Questa affermazione potrebbe sembrare un ossimoro, ma riesce forse a far capire