Tifavamo tutti per l'Olanda
Di Carlo Mia
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Anteprima del libro
Tifavamo tutti per l'Olanda - Carlo Mia
633/1941.
CAPITOLO 1
Campionati del Mondo di calcio del 1978, undicesima edizione della manifestazione, denominata Coppa FIFA, da quando nel 1970, il Brasile si aggiudicò, a spese dell’Italia, la Coppa Rimet, avendola vinta per tre volte.
La finale è Argentina-Olanda, si gioca davanti a spalti gremiti, 71.483 cuori che battono all’unisono passione e speranze, nello stadio Antonio Vespucio Liberti, più comunemente conosciuto come Estadio Monumental, nel quale abitualmente gioca il River Plate, squadra storica della città di Buenos Aires e conosciutissima a livello planetario.
La capitale argentina, oltre al River Plate, ha un’altra grande formazione, il cui prestigio è pari a quello dei cugini ed è famosa in tutto il mondo, il Boca Juniors, che gioca all’Estadio Alberto Josè Armando, meglio conosciuto come la Bombonera
.
In occasione dei derby, le due squadre disputano partite sempre agonosticamente tirate e perdipiù sono accomunate da tifoserie molto calde, che di frequente si scontrano tra di loro, provocando incidenti e danni, a cose e persone.
Non ultimo, la finale della Copa Libertadores 2018, che proprio a causa dei disordini avvenuti in città, durante la gara di andata, la finale di ritorno, è stata giocata in campo neutro a Madrid, anziché a Buenos Aires.
Invece la differenza tra le due società, sta nella loro classe sociale
.
Il River Plate, fu fondato dagli inglesi e sono i cosiddetti Millionarios
, fanno parte della zona ricca e benestante del tifo della città, mentre il Boca Juniors fu fondato dai genovesi, dai quali prende il soprannome di Xeneizes
.
Fa parte della zona povera della città, quella dove vivevano gli emigranti, nella quale le case venivano dipinte, per far dimenticare, con un tocco di vivacità, la povertà del quartiere della Boca, rendendolo così il più colorato della città.
Curiosa fu, la scelta del colore della maglia del Boca Juniors.
I soci non riuscendo a mettersi d’accordo, si affidarono alla sorte, ovvero decisero, che il colore delle maglie, sarebbe stato quello della bandiera della prima nave, che avrebbe fatto il suo ingresso nel porto.
La nave che approdò per prima, era svedese e pertanto i colori che vennero scelti, furono quelli della bandiera dello stato scandinavo, il giallo ed il blu.
Ma, cenni storici a parte, la domanda che da 40 anni gira per la testa e’ sempre la stessa, ma se il pallone calciato da Rensenbrink al 91esimo minuto, invece di colpire il palo fosse entrato in porta?
Erano i Mondiali argentini, o meglio il Mundial Argentino, che aveva come gingle Argentina… alè Mundial!
.
Quello fortemente voluto dal Generale Vileda, che da due anni, aveva instaurato una feroce dittatura militare nel paese.
Quello della Guerra sucia
, la Guerra sporca, ammesso che ce ne sia o che ce ne sarà mai una pulita.
Quella Guerra sucia, che reprimeva con violenza i sovversivi, di chi si opponeva all’ennesimo regime militare.
Era il famoso Processo di Riorganizzazione Nazionale e la sua conclusione fu la Guerra della Falklands, o Islas Malvinas, un arcipelago sperduto nell’Oceano Atlantico, a sud-est dell’Argentina, vicinissimo alla Terra del Fuoco, nelle quali vivono circa 3.500 abitanti falklandesi e che probabilmente i più, hanno conosciuto proprio in quell’occasione.
Anche in un posto così sperduto, non poteva però mancare il campionato di calcio.
Al torneo partecipano 4 squadre, che si incontrano tra di loro, in un girone all’italiana, per quattro volte.
Viene giocato da novembre a marzo, periodo che in Argentina, coincide con la fine della primavera e l’estate.
Persino alle Isole Falkands c’e’ il campionato!
E’ incredibile come il calcio trovi terreno fertile ad ogni latitudine del globo, dalla Groenlandia, dove, anche in un paese coperto dai ghiacci, esiste un campionato di calcio, fino alle Falklands, ovvero agli antipodi.
Le Falkands, sono un gruppo di isole e isolette, dedicate perlopiù alla pastorizia, contese tra inglesi ed argentini, in un’ulteriore inutile guerra.
Inutile, perché nonostante il patriottismo scatenato come arma dal potere governativo, per far leva sul popolo, al fine di attenuare la protesta e far così fronte alle rivolte contro la giunta militare, venne miseramente persa contro un esercito, quello britannico, che era nettamente superiore, in mezzi e uomini, tanto che conservò il dominio dei territori e li conserva tuttora.
La crisi argentina era soprattutto economica, una crisi devastante, che aveva portato l’inflazione al 566%!
Tutto questo dissesto, provocava la contestazione di un popolo, che era ormai stremato e giustamente esausto.
Sono passati 40 anni, da quando le forze armate argentine, comandate dal Generale Videla, prendevano il comando del governo del paese, mediante l’arresto dell’allora Presidente argentino, Isabel Martinez de Peròn, soprannominata Isabelita.
Fu l’ultima Presidente dell’Argentina, prima del golpe dei Colonnelli, che instaurò una dittatura durata fino al 1983.
Da anni ormai, era un continuo susseguirsi di colpi di Stato, non c’era nel paese una stabilità politica, economica e soprattutto democratica.
Finiva con l’avvento di Videla il peronismo, con il suo ultimo esponente, la terza moglie di Juan Peron, che fu, ricordiamolo, anche il marito di Maria Eva Duarte de Peron, detta Evita
, leader spirituale della nazione dal 1946 al 1952, anno della sua morte a soli 33 anni e padrona incontrastata della Casa Rosada, sede centrale del potere esecutivo della Repubblica Argentina.
La repressione iniziata già con Isabel Isabelita
Peron, continuava in modo ancora più massiccio e cruento, con la nuova giunta militare.
Il controllo dei ribelli, sfociò nel dramma dei desaparecidos
, l’eliminazione degli oppositori, dei quali si stima che le vittime, furono da 9.000 a 30.000, con oltre a 2.300 omicidi, torture fisiche e psicologiche, che erano dei veri supplizi, eseguiti nella Escuela de Mecanica de la Armadada, la ESMA, che era in origine, la scuola dove venivano formati gli ufficiali, che venne trasformata in un centro di detenzione illegale e di sofferenza, verso chi si opponeva al regime.
In questo edificio, nel corso della dittatura negli anni dal 1976 al 1983, furono condotte circa 5.000 persone, delle quali solo 500 uscirono vive.
Questa opposizione al regime, era fatta dalla gente comune, come operai, studenti, professori universitari, operatori umanitari, religiosi.
Le torture alle quali erano sottoposti i prigionieri, erano principalmente, scariche elettriche, ustioni da sigaretta, rottura di ossa del corpo, immersione del viso in escrementi fino alla morte per soffocamento, punzecchiatura con spilli o strumenti simili sulle piante dei piedi, appesi a testa in giù per un tempo indefinito e le più umilianti, quelle compiute di fronte ai parenti, unite a stupri e pestaggi a sangue, che, ove non si volessero lasciare segni sul corpo, venivano eseguiti con i sacchetti di sabbia.
La forbice nel conteggio dei desaparecidos, è molto ampia, perché ancor oggi, non si hanno dati certi sul numero, delle persone scomparse, delle quali solo 9.000 furono accertate, che in ogni caso, è un numero molto rilevante.
Come sempre accade, fu una lotta di pochi, che si sacrificarono, per costruire un futuro di libertà per molti.
L’orrore di queste soppressioni, era il modo in cui venivano eseguite, mediante i voli della morte
, con i quali questi prigionieri, venivano caricati sugli aerei e dopo essere stati messi in uno stato di incoscienza, per mezzo di un’iniezione di tiopental sodico, venivano gettati in mare aperto o nel Rio della Plata.
Nessuno sapeva nulla sia delle detenzioni, sia delle esecuzioni.
L’opinione pubblica mondiale, reagì in ritardo a questi soprusi, quando ormai il danno era fatto.
Fu successivamente un’organizzazione, le Madri di Plaza del Mayo
, fondata dalle mamme dei desaparesidos, che nacque per tenere viva nel mondo l’attenzione sulle atrocità, compiute sui loro figli.
CAPITOLO 2
Ma torniamo, dopo questo breve excursus storico, giusto per inquadrare quel momento, al palo di Rensenbrink.
Chi era questo carneade?
Robert Rensenbrink detto Rob, era un attaccante olandese, oggi settantenne, che giocava nella posizione allora definita di ala sinistra, il famoso numero 11, un campione rimasto... al palo.
Fece parte di quella nazionale olandese, soprannominata i tulipani
o gli orange
, o, per dare ancor meglio l’idea di cosa fosse quella straordinaria formazione, l’Arancia Meccanica
, ovviamente nel senso buono del significato, che rivoluzionò il modo di giocare al football, applicando l’ormai celebre calcio totale
, nel quale ogni giocatore, era in grado, nelle fasi della partita, di ricoprire più ruoli in campo, in quanto non era inconsueto vedere un difensore, che faceva l’attaccante o un centravanti, che difendeva come un terzino o uno stopper.
Scompariva dunque il concetto di ruolo, tanto caro invece al nostro catenaccio ed in generale, al modo di far calcio, di quegli anni.
Probabilmente fu la svolta epocale più significativa, dopo il passaggio dal metodo al sistema, adottato negli anni quaranta dal Grande Torino, il famoso WM
, passando cioè, da un tipo di gioco più difensivo, il metodo, ad uno più equilibrato e dinamico, il sistema.
Per la prima volta infatti, anche il portiere era partecipe alla costruzione del gioco, talvolta era lui stesso a far partire l’azione, cosa che presupponeva una certa dimestichezza con il pallone, che fino a quegli anni, era totalmente sconosciuta.
I portieri paravano con le mani ed al massimo con i piedi, effettuavano il rinvio del pallone da fondocampo, il cosiddetto calcio del terzino
.
L’Olanda, nonostante fosse una compagine molto forte ed in particolar modo spettacolare, non è mai riuscita a vincere un Campionato del Mondo e, pur avendo giocato ben tre finali, nel suo palmares, vanta un solo titolo, quello di Campione d’Europa del 1988, una grande incompiuta del calcio mondiale.
Per due di queste finali, le edizioni dei mondiali del 1974 e 1978, fu anche sfortunata, in quanto giocò l’atto conclusivo del torneo, rispettivamente in Germania ed Argentina, che oltre