Vi dichiaro marito e moglie “i nostri primi 40 anni”
Di Carlo Mia
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Anteprima del libro
Vi dichiaro marito e moglie “i nostri primi 40 anni” - Carlo Mia
Vi dichiaro marito e moglie
Era il 12 settembre 1981 e tutto ciò, si consumava alle ore 11,40 circa, nella PARROCCHIA SANTO NATALE, in via Boston n. 37, in zona Santa Rita a Torino.
Era la formula che l’officiante della cerimonia, leggeva per confermare quello, che era il nostro desiderio, formare una famiglia e vivere insieme.
Era lo start della nostra vita, da quel momento saremmo stati, uno per l’altra. tu Carlo vuoi prendere Franca come tua legittima sposa ed esserle fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia ed amarla ed onorarla finche' morte non vi separi?
Carlo: si lo voglio e tu Franca vuoi prendere Carlo come tua legittimo sposo ed essergli fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia ed amarlo ed onorarlo finche' morte non vi separi?
Franca: si lo voglio. "vi dichiaro marito e moglie
ora puoi baciare la sposa"
Al bacio dei due sposini, si scatenava, tra lacrime di gioia e sorrisi, un applauso che rimbombava tra le mura della Chiesa.
Il 12 settembre 2021, saranno quarant’anni e, siamo ancora qua, eh già,
come dice Vasco Rossi in una sua canzone.
Quel giorno così importante, iniziato a casa tra un aperitivo, un altro aperitivo ed un altro ancora, con parenti ed amici e prima che la mia capacità di reggere crollasse, la mia cara mamma, mi consigliò di andarmi a lavare la faccia, per evitare danni peggiori.
Poi l’arrivo in Chiesa, l’attesa per aspettare che tu entrassi e quando ti vidi, un groppo in gola per l’emozione.
Eravamo molto giovani, tu avevi vent’anni, io ventiquattro, forse anche un po’ incoscienti, visto che una sera di giugno, arrivando a casa tua, ti trovai in lacrime, perché il posto dove lavoravi, sperduto nelle campagne di Vinovo, accettato per poter avere due soldini in più e poter coronare il nostro sogno, ti aveva licenziato, in quanto la ditta era in crisi.
Io non mi persi d’animo e subito ti dissi, qual è il problema, ci sposiamo lo stesso
.
Ma iniziamo dal principio.
La nostra storia, era cominciata tre anni prima, tra i banchi di scuola dell’Istituto Pogliani.
La scuola era quella idonea al recupero degli anni, che si erano persi in gioventù ed era veramente un’impresa da eroi riuscire a diplomarsi, perché si facevano il primo, il secondo ed il terzo anno, in un annata ed il quarto ed il quinto, con la maturità, nella seconda annata.
Sarebbe stato faticoso, ma visto che avevo 21 anni e lavoravo alla FIAT AVIO, volevo diplomarmi e levarmi dall’ambiente operaio, senza che con questo avessi nulla contro, per carità.
Era un lavoro più che dignitoso, ma lavorare vicino ai motori di aereo, era comunque pericoloso e per il residuo di radioattività che potevano ancora avere, non era molto salutare.
Furono gli stessi miei compagni di lavoro, che avevano già anni di anzianità in officina, a consigliarmi di andarmene appena ne avessi avuta la possibilità.
Oltre a questo motivo, c’era anche la mia volontà di migliorarmi.
Così mi votai al sacrificio, visto che per due anni avrei dovuto dedicarmi più allo studio che al divertimento, non sapendo ancora che quel sacrificio, sarebbe stato più sopportabile, perché al mio fianco ci saresti stata tu, con la quale ho potuto realizzare il mio sogno, che poi era anche il tuo, quello di prendere un diploma, che all’epoca valeva ancora qualcosa.
E’ stata una grande soddisfazione, perché la nostra relazione non ci ha comunque distratti dal raggiungimento del nostro comune, obiettivo finale.
Mai però avrei pensato che oltre al mio futuro lavorativo, stavo preparando un altro futuro, ancor più importante, quello che riguardava la mia vita.
Certo non fu facile soprattutto per te, dire ai tuoi genitori, che oltre a loro ora ci sarei stato anche io, perché soprattutto tuo papà, che non era di così larghe vedute, forse almeno inizialmente, vedeva in me più un avversario, che un affiliato
, quello che finora non c’era mai stato, ossia qualcuno che voleva portargli via la sua bambina
.
D’altra parte tu avevi solo 17 anni e forse specialmente tuo papà, non ti reputava ancora una donna, anche se per i genitori, i figli, rimangono per sempre i loro bambini.
E’ stato un fidanzamento, che proprio per questo modo po’ restrittivo di tuo papà, nel comportarsi verso di noi, ha fatto si che anticipassimo la voglia di starcene da soli, per vivere secondo le nostre voglie di giovani, come d’altra parte facevano tutti i nostri amici e l’unica soluzione, era ovviamente quella di sposarci.
Forse se fosse stato un pò più permissivo nei nostri confronti, magari avremmo potuto sposarci qualche anno più tardi.
Questa, perdonami, è l’unica cosa storta, che mi permetto di rimproverargli, per il resto, una volta assodato, che ero un bravo ragazzo e che comunque non mollavo la presa
, i problemi sono svaniti.
Ma tanto era e comunque ho sempre rispettato i suoi dettami, compreso quello di non fare mai tardi quando uscivamo, proprio per evitarti inutili discussioni, che non avrebbero portato a nulla.
Il nostro comportamento a scuola, direi irreprensibile, alla fine gli fece capire, che avevamo preso sul serio entrambe le cose.
Il nostro non fu amore a prima vista o il classico colpo di fulmine, anzi, dovetti penare un bel po’ prima di far breccia nel tuo cuore.
Il tuo carattere, ancor oggi, non da molta confidenza nell’immediato, al contrario del mio che invece sono più aperto, anche con le persone che conosco poco, fin da subito.
Mi ero intruffolato nella tua vita, in maniera che non approvasti del tutto, dapprima autoinvitandomi ad una festa con dei tuoi amici, dove conobbi finalmente tuo fratello Bruno, che inizialmente vedendolo a volte fuori dalla scuola credevo fosse qualcos’altro per te.
Poi con la scusa di algebra e stenografia, venivo alla domenica pomeriggio, a prendere ripetizioni
, anche se obiettivamente non me ne poteva fregar de meno
, come dicono a Trastevere, in quanto algebra non mi è mai piaciuta, fin dalle medie e la conferma era che quando sbagliavo e mi facevi ripetere l’esercizio, facevo sempre gli stessi errori.
Piccolo inciso, questo deve essere un mio tarlo, perché verso la fine della mia carriera lavorativa, l’azienda, insieme ad altri miei colleghi, ci fece fare un corso di inglese.
Per farla breve, il corso era diviso in due parti ed in entrambe, necessitava svolgere una prova di ingresso.Nelle prove, sostenute a distanza di circa sei mesi l’una dall’altra, le domande erano sempre le stesse ed io sono riuscito nell’impresa di fare i medesimi errori in entrambe le schede.
La cosa, certamente non usuale, stupì anche la professoressa, infatti non le era mai capitato, di avere un allievo con così tanta memoria, anche se in negativo.
Certo non è una cosa di cui andare fieri, però da raccontare ai nipotini, per strappargli due risate.
Stenografia mi importava ancor di meno, perché intanto non avevo la mano delicata come la tua, nello scrivere quei segni incomprensibili, somiglianti a dei geroglifici
egizi, poi perché proprio non me li ricordavo ed infine, come per algebra, una frase che, oltre a Trastevere, dicono anche alla Garbatella, non me ne poteva fregar de meno
.
Per stare con te, avrei fatto anche delle ripetizioni di educazione fisica.
Tua mamma aveva già capito tutto ed un giorno me lo disse chiaramente, che con i miei occhi verdi da bel tenebroso, avevo fatto breccia anche nel suo cuore.
Vedeva in me comunque un ragazzo che lavorava e che studiava, con buoni risultati e dunque non potevo che essere un bravo ragazzo.
La domenica quando venivo a studiare, solitamente passavo prima in pasticceria o meglio, le mie preferite erano due, una vicino a casa mia, l’altra vicino a casa tua.
In quella nei pressi della tua abitazione, in via Tripoli, c’era una commessa che poveretta, era strabica, ma di uno strabico da fare arrossire anche a Venere. La prima volta che entrai nella pasticceria, ero solo e lei girandosi mi chiese desidera?
Rimasi come bloccato, perché non riuscivo a capire dove guardasse e tutto d’un fiato, le indicai una torta.
E che torta, una meringata, un mix perfetto di panna e meringhe sbriciolate, che adoro ed al sol pensiero, mi viene ancora l’acquolina in bocca a tanti anni di distanza.
Il dolce poi, veniva accuratamente innaffiato con un vino moscato, della cantina di tuo papà, che era idem come sopra e così buono non ne ho più bevuto, un vero nettare.
Invece con i miei il rapporto fu più aperto, loro erano genitori moderni, più aperti e giovanili e non credo che fosse perché Silvio ed io eravamo maschi.
Tra di noi, c’era il rispetto dovuto, quello che ci deve essere tra genitori e figli, ma c’era anche la complicità degli amici.
Come ben sai, Silvio ed io, non abbiamo potuto godere di nostro padre, quando eravamo bambini, un po’ come è capitato anche a te e Bruno con i tuoi genitori, che avendo un’attività propria, erano molto impegnati.
Mio papà, era il solo a lavorare in famiglia e per poter mantenere la famiglia, si sdoppiava nel lavoro e dopo aver fatto le canoniche otto ore alla FIAT o meglio alla Feroce
, come affettuosamente la chiamava lui, andava ancora a fare una mezza giornata, fino alle 21, in una boita, una fabbrichetta, più un’altra mezza giornata al sabato.
Poi, una volta che anche noi abbiamo iniziato a lavorare, a 18 anni, dopo aver frequentato la Scuola Allievi FIAT, che perlomeno ci dava la certezza di avere un posto in azienda, anche lui ha iniziato a vivere una vita più consona e noi a godercelo come volevamo.
La gioia di quella sera, quando Silvio ed io, portammo a casa il primo stipendio, che gli avrebbe permesso di smettere di fare il doppio lavoro, ce l’ho ancora negli occhi.
Eravamo così ebbri di felicità, che tiravamo i soldi in aria, perché ai nostri tempi, venivamo pagati in contanti, abbracciandoci, come se avessimo vinto al Totocalcio.
Vedere la sua felicità per il ritorno alla vita normale, non aveva prezzo, ma quella felicità era anche la nostra che finalmente avevamo il tempo per stare insieme e goderci finalmente, il nostro meraviglioso