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Quando le parole rimangono nel tempo. Lettera a Sofia
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Quando le parole rimangono nel tempo. Lettera a Sofia
E-book163 pagine2 ore

Quando le parole rimangono nel tempo. Lettera a Sofia

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Info su questo ebook

Un testamento spirituale, verso mia nipotina Sofia, che mi fa vivere, ogni giorno, una storia favolosa ed emozionante, chiamata nonno.
LinguaItaliano
Data di uscita18 dic 2019
ISBN9788831653183
Quando le parole rimangono nel tempo. Lettera a Sofia

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    Anteprima del libro

    Quando le parole rimangono nel tempo. Lettera a Sofia - Carlo Mia

    Inizio

    Carlo Mia

    Quando le parole rimangono nel tempo

    Lettera a Sofia

    Titolo | Quando le parole rimangono nel tempo. Lettera a Sofia

    Autore | Carlo Mia

    ISBN | 9788831653183

    Prima edizione digitale: 2019

    © 2019 - Tutti i diritti riservati all’Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

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    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    Dedicato a Sofia.

    La vita è quello che ti succede, mentre sei impegnato a fare altri progetti

    (John Lennon)

    Mia cara Sofia,

    una sera d’ottobre, dopo cena, tua nonna ed io ricevemmo un whatsapp via cellulare, da tua mamma Sara e tuo papà Iacopo, che ci invitavano ad andare da loro, per un caffè.

    Era la classica frase, che ci rivolgevano in queste occasioni.

    Però, specifichiamo, nonni in linea puramente teorica, poichè, quelli che saranno poi, i tuoi futuri nonni, non conoscevano ancora il motivo di quell’invito, che sembrava, uno di quelli, che ci venivano fatti dai tuoi allora, futuri genitori, come tante altre volte era successo, per fare quattro chiacchiere, anche se l’aria in quei tempi, era piuttosto frizzantina.

    Una volta arrivati a casa loro, superati i convenevoli di rito, ci sedemmo al tavolo e dopo aver bevuto il caffè, Sara, ci dette LA notizia, quella che in fondo aspettavamo di sentirci dire e che in cuor nostro, pensavamo proprio che ci venisse finalmente detta, in quella serata, all’apparenza, non diversa da tante altre.

    Nel tragitto per arrivare a casa loro, il sospetto era venuto soprattutto a nonna Franca, il classico sesto senso della mamma.

    Seduta in braccio a Iacopo, a capotavola, spalle al muro, forse perché l’unione fa la forza, Sara esclamò, guardandoci negli occhi, un quanto mai laconico, diretto, senza tanti giri di parole e principalmente tutto d’un fiato: siamo in tre, non potendo però con ciò, mascherare in entrambi, una certa emozione, che a Sara traspariva dalle sue parole, che nascondevano un leggero balbettio, velate da una sottile vibrazione e da un sorriso appena abbozzato sul suo viso ed a Iacopo, con un’espressione contratta, direi quasi forzata.

    Tutto ciò naturalmente, era normalissimo.

    La gioia che provai, in quelle tre parole, profuse da Sara, siamo in tre, fu come quando la bomba esplode, allorchè la miccia accesa, tocca l’esplosivo.

    Una deflagrazione interna, che non so neppure come spiegare, tanto mi scosse.

    Per un attimo ebbi una sensazione ovattata, come nel momento in cui si tappano le orecchie, quando si sale in alta quota.

    Ed io in quel momento, era come se fossi salito sull’Everest!

    Baci, abbracci, congratulazioni, le due immancabili lacrime da parte della futura nonna, le prime raccomandazioni a Sara, per questa nuova condizione, l’interesse per come si sarebbe evoluto il percorso che avrebbe dovuto fare, la data presunta della nascita e di conseguenza un pensiero al mio coinvolgimento, essendo l’unico disponibile, in quanto a casa dal lavoro, una bella fortuna, associata ad una grande responsabilità, della quale mi resi conto immediatamente.

    Per un attimo, mi ritrovai a rivivere me stesso, quando nonna ed io, comunicammo ai nostri genitori, che eravamo in attesa di tua mamma Sara, anche se, come per te, il fatto che fosse maschio o femmina, era dato dai bookmakers al 50%, direi ovviamente.

    La prima a sapere che nonna era in lieta attesa, fu mia mamma, la tua bisnonna, che era presente in auto con noi, al ritiro dell’esito, un sabato pomeriggio, alla Casa di cura Major, in via Santa Giulia e che mentre lei ed io, aspettavamo che tornasse nonna Franca, non stava più nella pelle, continuando a tempestarmi di domande, poiché anche lei aveva non solo intuito, ma già capito, cosa sarebbe successo da li a poco, quel qualcosa che sa di meraviglioso e che avrebbe cambiato, non solo la nostra vita.

    D’altra parte, erano già quattro anni che eravamo sposati, quindi la pera era ormai matura, per essere raccolta.

    Poi la sera la comunicazione agli altri nonni, gli altri tuoi bisnonni, il tutto condito come sopra da abbracci, baci ed anche da loro, con qualche inevitabile lacrima, a rigare il viso.

    Quando arrivano queste notizie, credo che nelle famiglie come la nostra, dove regnano, armonia ed amore, si inizi già a pensare al futuro del nascituro, facendo incredibili voli pindarici, progetti, come se il nascituro, fosse già presente, mentre la strada per arrivare a tagliare i traguardi, che ognuno di noi si prefigge, siano sempre il meglio, è ancora lunga, ma soprattutto ripida e questa strada, sarà fatta più di dure salite, che di dolci discese.

    Come dicono a Napoli, la vita è come la scala di un pollaio, corta, ripida e…

    Comunque, lì per lì, mi sono sentito un po’ Nonno Emilio e questo mi riempiva di orgoglio, sperando ovviamente di esserne poi, alla prova dei fatti, alla sua altezza.

    Il pensiero di aiutare Sara, anche se ovviamente, non stava vivendo una malattia, ma una gravidanza, mi pervadeva e mi sarei messo a sua completa disposizione per le sue necessità, visite mediche, corso preparto, la spesa al mercato, un caffè al bar, un piatto di pasta a casa mia e tutto quanto fa spettacolo.

    Bastava chiamare ed io come il 113, per la mia Pallina, sarei arrivato in un battibaleno, a sirene spiegate.

    Il 113 era il numero di emergenza, con il quale si chiamava la Polizia di Stato, oggi sostituito per tutte le emergenze dal 112, una sorta del 911 nordamericano.

    E devo dire, ora che è passato quel meraviglioso periodo, vissuto accanto a tua mamma, che ce la siamo proprio spassata, facendo morire di invidia, nel senso buono del termine, papà Iacopo e nonna Franca, quando dal nostro bar-tour, inviavamo foto con cappuccini, brioches e tanti sorrisi compiaciuti, pollici alzati, mentre loro stavano lavorando, ma che in fondo erano felici per noi, di questo nostro godimento, comunque continuato anche dopo la tua nascita, le buone abitudini, non si abbandonano mai.

    Ora eri un’entità, piccola, piccola, tua mamma l’avevamo battezzata millimetro, perché quella era la misura, quando la vedemmo nella prima ecografia, tu invece eri già un po’ di più, ben tre millimetri!

    Mamma Sara stava crescendo, nell’amore di sua mamma o di tua nonna, vedi tu e non penso che al mondo, in assoluto, ci sia nulla di più bello, che sentire vivere e crescere dentro di te, una cosa tua, che più tua di così, non si può, che nessuno ti potrà mai portare via, la vita della tua creatura, il frutto dell’amore, che sta germogliando, fino a diventare maturo, per essere colto.

    Il papà, vive questo periodo meraviglioso, da esterno, cercando di poter condividere le stesse emozioni, di chi sta costruendo un qualcosa per entrambi, ma non sarà mai equiparabile a ciò che vive la mamma.

    E’ come il contadino che a settembre semina il chicco di grano, nutrito dalla terra, che dopo nove mesi, lo farà diventare una spiga gialla e matura, pronta per la mietitura a giugno.

    L’emozione più grande che provai, fu quando, dal ginecologo, sentii battere il cuore di tua mamma, che per la frequenza, sembrava quello di un cavallino, mentre corre libero, a perdifiato, nelle verdi praterie.

    A volte mentre vedevo la pancia di tua nonna crescere, anche se in realtà, quella che cresceva era tua mamma, cercavo di immaginare cosa volesse dire, cosa si provasse, quando mi diceva che ti aveva sentito muovere, anche perché, inizialmente, lo sentiva solo lei.

    La percezione che provava nonna, era quella di una farfallina, che svolazzava leggera nella pancia.

    Poi con il tempo, bastava appoggiare la mano su quel corpo che si stava piacevolmente deformando, per sentire tua mamma scalciare o il tallone del suo piedino, che si vedeva spuntare dal ventre, arrotondato come una biglia di vetro, che ritraeva subito, appena veniva sfiorata, come fanno le lumache, quando si toccano, quelle che comunemente noi chiamiamo corna, ma che al contrario sono i loro occhi.

    La sensazione bellissima che comunque provavo, nel sentire questo miracolo della Natura, non credo fosse minimamente paragonabile, a quella che stava vivendo lei.

    Era un po’ come vedere un film al cinema o non averlo visto e farselo raccontare.

    Ma come tua mamma, anche tu eri già fin dal primo momento, tutto quanto occupava i miei pensieri.

    Ed ho capito come nonno Emilio potesse amare così tanto tua mamma.

    La mia vita allora come oggi, stava cambiando, ma in un’altra dimensione, che non so spiegare perché, ma l’emozione, era completamente diversa.

    Diventare genitore era stata una gioia immensa, saper di diventare nonno, mi faceva impazzire dalla felicità, ma l’impressione era quella, che potesse essere addirittura più bello, a conferma di quanto ho sentito dire, anche da altre persone, che hanno vissuto la stessa situazione, una su tutte, mia mamma.

    Oltrettutto sarei diventato nonno a 58 anni, una fortuna, essere ancora come Peter Pan, perché quella è la funzione dei nonni, tornare bambini, per poter giocare e far divertire i loro nipotini, facendoli sognare, sull’isola che non c’e’.

    Anche se, devo confessarti, che ripensando al fatto di diventarlo, ma soprattutto che mi avresti chiamato nonno, tutto subito mi diede un po’ di turbamento, cioè quello dell’essere diventato, improvvisamente vecchio.

    Pensai ai miei nonni, che io vedevo vecchi, ma forse, perché loro vecchi lo erano veramente.

    Credo comunque, che un conto sia essere vecchi di età, un conto sia esserlo di testa, perché si può essere vecchi, anche essendo giovani.

    Allora, i sessantenni, non erano come quelli di oggi, sportivi, che frequentano la palestra, giocano a tennis, si vestono in maniera giovanile, indossando scarpe da ginnastica e jeans, magari un orecchino, un tatuaggio, o entrambi, che vanno ai concerti di Vasco Rossi, con la benda sulla fronte o allo stadio a tifare per la loro squadra del cuore, cantando, gridando e saltando, tutta la partita...come faccio io.

    Allora al massimo bocciofila, partita a scopa o tresette, oppure in alternativa, una partita alle bocce.

    Per carità sono cambiati i tempi, i modi di vivere, il modo di pensare e tutto ciò fa si, che la mia vecchiaia, sia diversa da quella, che hanno vissuto i miei nonni.

    Probabilmente è anche per il fatto, che allora ci si stancava di più, soprattutto fisicamente, per il lavoro che si svolgeva e quindi il corpo, alla lunga ne risentiva, comunque lascio alla scienza queste disquisizioni, alla Piero Angela.

    I nonni di oggi, hanno, anzi abbiamo, facendo ormai parte della categoria, una mentalità più aperta, cosa necessaria, anche solo per poter utilizzare le nuove tecnologie, su tutte, il pc e lo smartphone, che ormai fanno parte del nostro vivere quotidiano e non solo di quello delle giovani generazioni, con le dovute ed ovvie differenze.

    Quello del vecchio, fu un pensiero che mi durò poco nella mente, praticamente un flash, perché la gioia di quello straordinario evento, mi portò a considerare, la convinzione della logica conseguenza sequenziale, che era data dalla gerarchia della vita, dove nonno, ne era si l’ultimo anello, ma non era assolutamente sinonimo di obsoleto, ma era semplicemente, un essere diversamente giovane.

    Tempo fa ho ricevuto una foto sul cellulare, dove è ritratto, un uomo di spalle che indossa felpa, jeans, pantalone che fa parte del mio modo abituale di vestire, quasi come una seconda pelle e dove sul retro della felpa, viene riportata una scritta che dice: "alcune persone mi chiamano per nome, ma la più importante mi chiama NONNO".

    Ogni riferimento a te, è puramente voluto.

    Quando

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