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Il principe senza corona
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E-book284 pagine4 ore

Il principe senza corona

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Info su questo ebook

Bad Boy Royals

Dall’autrice bestseller di USA Today

Scotch non è abituata a svignarsela quando le cose si mettono male. Ma stavolta è diverso. Dopo aver tirato fuori la sua migliore amica da un guaio con dei tizi poco raccomandabili, la sua vita è cambiata. Perché ha fatto arrabbiare qualcuno di davvero potente. Qualcuno che adesso la vuole morta. L’unica speranza che ha di sopravvivere è rappresentata dall’uomo più pericoloso e più affascinante di tutto il mondo criminale: Costello Badd. Un tempo il sangue blu della famiglia Badd avrebbe potuto regnare su una nazione. Invece oggi sono una delle dinastie più potenti della malavita e il loro nome è pronunciato con cautela da chiunque frequenti i bassifondi. Quello che Costello sta rischiando per proteggere Scotch va oltre ogni immaginazione. Ma vale davvero la pena di tradire la sua famiglia e voltare le spalle al passato per salvare una cameriera? Non importa quanto lui la desideri, Scotch non è la donna per lui. E deve smettere di desiderarla. 

Innamorarsi potrebbe essere la cosa più pericolosa che entrambi abbiano mai fatto

«Un perfetto mix di passione e tenerezza. I protagonisti hanno una marcia in più.»
RT Book Reviews

«Se amate gli intrighi, i tradimenti e una storia d’amore intensa, Nora Flite è quello che fa per voi.»

Nora Flite
Vive nel sud della California, dove il clima è sempre mite e non occorre imbacuccarsi, cosa che odia fare. I suoi romanzi hanno un enorme successo oltreoceano. La Newton Compton ha pubblicato Hard Love e Il principe cattivo.
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2019
ISBN9788822735133
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    Anteprima del libro

    Il principe senza corona - Nora Flite

    Capitolo uno

    Costello

    In un’altra vita sarei stato un re.

    Il primogenito.

    Di sangue reale.

    Una famiglia ricca e potente, e tutto quello che si potrebbe sognare. Avrei regnato con giustizia, mi sarei preso cura dei miei cari e avrei fatto del mio meglio per occuparmi del mio Paese. Ma è tutto al condizionale.

    I principi moderni come me? Uomini con un passato legato alla mafia, che rimangono al potere grazie alle minacce e non alla discendenza. Spesso siamo etichettati come cattivi.

    Io sicuramente lo sono.

    Ecco perché stavo controllando la pistola sotto la giacca: non avevo bisogno di guardarla per sapere che era carica. Ed ecco perché stavo fissando la giovane donna che non voleva avere nulla a che fare con me.

    «Aspetta», disse, con voce acuta. «Non è necessario… Thorne mi conosce, chiediglielo!».

    Thorne è uno dei miei fratelli. Aveva preferito uscire dai camerini quando gli avevo chiesto di controllare tutte le ragazze – ballerine e non – per assicurarci che nessuna avesse addosso una cimice. Mi aveva guardato negli occhi e aveva detto: «È una stupida riunione con i Deep Shots per presentare i nuovi membri. Non è necessario essere così prudenti, nessuno parlerà con la polizia».

    Gli avevo chiesto pacatamente una cosa: «Vuoi perquisirle tu o lo faccio io?».

    Mio fratello se n’era andato prima che iniziassi con le ragazze.

    Thorne si fida della gente che lavora nel nostro locale, ma io no. Non potevo. E la cicatrice sul mio volto me lo ricordava ogni giorno. Chiunque può fregarti… soprattutto i tanti sbirri corrotti della città.

    Io odio i poliziotti.

    E sono quasi certo che tutte le ballerine che stavano lavorando al club quella sera mi detestassero. Ognuna di loro mi aveva rivolto un’occhiata stupita – ci sono abituato – mentre le facevo mettere con le mani al muro per poterle perquisire. Se fossi stato chiunque altro, mi avrebbero sicuramente insultato.

    Ma nessuna di loro oppose resistenza… nessuna tentò di dissuadermi.

    Tranne lei.

    «Ehi, ehi, aspetta», mi gridò la bionda. «Rallenta. Non devi controllarmi, lavoro qui, non per la polizia».

    Rimasi dov’ero, fingendomi rilassato ma sapendo di poterla acciuffare se avesse provato a fuggire. «Niente da fare. Sto perquisendo tutte le ballerine».

    «Non sono una ballerina, sono una cameriera!». Era arrivata per ultima nei camerini. Probabilmente nessuno le aveva detto perché dovesse venirci. «E poi, perché cerchi microfoni e armi sulle spogliarelliste? Sai che il loro lavoro è spogliarsi, come pensi che possano nascondere qualcosa?».

    Quando non aggiunsi altro, la donna sollevò le braccia. Io contrassi i muscoli: stava per attaccarmi o si stava arrendendo?

    Passò la lingua sul labbro inferiore. «Davvero», disse, «chiedi a Hawthorne, mi conosce!».

    «Non importa che ti conosca. Non ti sto chiedendo tanto, devi solo toglierti i vestiti così posso perquisirti».

    Lei arrossì, e quell’avvampare evidenziò alcune lentiggini. Il piccolo piercing sul naso brillò quando lei scosse la testa. «Oh, tutto qui? Dai, allora non c’è problema, mi spoglio e… No! Col cazzo! Chiama Thorne. Lavoro qui da otto anni, ho visto un sacco di casini e non ho mai fiatato. Cosa succede stasera? Perché mi perquisite?».

    La cosa si tirava troppo per le lunghe. I Deep Shots sarebbero arrivati da un momento all’altro.

    Con un gesto preciso infilai la pistola tra noi. Non c’era molto spazio; avevo improvvisato la mia piccola postazione di controllo nell’angolo del camerino più lontano dalla porta. Gli armadietti distrutti e pieni di graffiti in cui le ragazze appendevano i loro abiti bloccavano una via d’uscita alla cameriera.

    Il mio corpo le ostruiva l’altra.

    «Ehi», disse, posando gli occhi sulla pistola, poi su di me. Mi sorpresi che reggesse con tanta fermezza il mio sguardo. In pochi ci riuscivano. «Non possiamo discuterne civilmente?»

    «Ti sembro civile?», domandai.

    «No». Un angolo della sua bocca si incurvò in un sorriso fuori luogo. «E io che pensavo fosse Hawthorne il coglione della famiglia».

    Quando ero giovane una frase del genere mi avrebbe ferito. Ma sono stato apostrofato in modi ben peggiori. «Non sono qui a fare giochetti. Togli i vestiti. Ora».

    Lei si impettì. La maggior parte delle donne non si avvicina nemmeno alla mia altezza, ma lei, con le scarpe da ginnastica – chi indossa le sneakers in un locale del genere? – era alta quasi quanto me. Percepii la dolcezza della sua pelle. Mi sarei aspettato il tipico profumo da spogliarellista, ma lei non odorava di zucchero filato e borotalco. Era, invece, qualcosa di più… intenso. Come l’interno di un forziere del tesoro, metallico, con una nota dolciastra che conoscevo ma non riuscivo a identificare. Era tanto familiare da infastidirmi.

    Il tono della sua voce era basso, ma non gentile. «Se devi vedermi nuda, dovresti almeno sapere come mi chiamo».

    «Non c’è bisogno che tu sia nuda. Mutande e reggiseno possono…».

    Mi interruppe. «Scotch. Mi chiamo Scotch». Il suo piercing brillò ancora una volta quando arricciò il naso. «E tu? Tu sei Costello, vero?».

    La mia famiglia possedeva ogni singolo strip club della città, quindi il fatto che sapesse il mio nome non mi stupì. Pensava di cogliermi alla sprovvista? Per questo mi parlava con tono tanto indifferente? Sta cercando di distrarmi, ricordai a me stesso, chiedendomi se non ci fosse già riuscita. Da quanto eravamo fermi lì? «Se non ti togli i vestiti da sola, lo faccio io».

    Scotch mi osservò con attenzione. Forse non mi aveva preso sul serio. Se fosse stata una donna intelligente, mi avrebbe creduto. Avrei fatto qualsiasi cosa per assicurarmi che nessun poliziotto si infiltrasse alla riunione di stasera e per tenere al sicuro i miei cari. Anche spogliare una cameriera testarda, se necessario.

    Si voltò verso gli armadietti e si sollevò la camicetta rosa e blu, mostrandomi la schiena nuda. «Facciamo in fretta. Ho dei cocktail da servire di sopra».

    Rimettendo la pistola sotto la giacca, dissi: «Brava». Mi avvicinai e quel maledetto profumo mi avvolse di nuovo, confondendomi e inebriandomi. Cercando di trattenermi, le sfiorai la pelle, spostando le mani sul davanti per controllare anche la pancia.

    Scotch sussultò e sentii rimbombare il suo cuore nella schiena appoggiata al mio petto. Era calda come una perfetta tazza di tè, liscia come l’avorio. Avrei dovuto cercare una cimice, ma non riuscivo a smettere di pensare a quanto mi piacesse sentirla sotto le mie dita. A quanto fosse compatta e al contempo morbida.

    Quando le sfiorai i fianchi con i polpastrelli, scendendo verso la gonna nera, l’orlo si mosse al mio tocco. Lo spazio tra me e le sue gambe divaricate diminuì. Non appena accarezzai l’interno della sua coscia nascosta dal tessuto, Scotch inspirò dal naso. Non era un suono spaventato, era troppo deciso per esserlo. Una scarica d’energia ci percorse ed entrambi ci irrigidimmo.

    Mi chiese: «Perché vai così piano?».

    Il sudore mi bagnò un sopracciglio. «Non vado piano, sono solo preciso».

    «Ah, sì?», chiese sorniona. «E cosa ne dici della mia di precisione?». Mi ritengo uno che va subito al punto, ma quella donna mi aveva sbattuto il sedere contro il pacco prima che potessi scansarmi. Anche se non sono sicuro che mi sarei effettivamente spostato.

    Il mio battito accelerò, così come l’eccitazione che si stava facendo sentire. Com’era possibile che un semplice controllo di routine si stesse trasformando in una vera e propria sfida? Come aveva potuto quella sconosciuta farmi perdere la testa così in fretta? Ma riprenditi!, mi rimproverai. Scotch stava sorridendo. Lo sapevo, anche se mi dava le spalle.

    Voleva giocare.

    Io no. O sì, ma… No. Non volevo. Avevo un lavoro da svolgere. Le afferrai i polsi e le portai le mani sopra la testa, sbattendole contro gli armadietti con tanta forza che il metallo, verde e sbiadito, tremò. Ma riuscii lo stesso a sentire il suo sussulto sorpreso e ne gioii. «Non hai scelto una mossa molto saggia», le sussurrai all’orecchio.

    «Aspetta», disse in fretta, cercando di divincolarsi per voltarsi verso di me. «Aspetta. Cosa fai?». Le bloccai le mani con una delle mie e con le dita libere agganciai il bordo della sua gonna. «Quello che avevo promesso di fare dall’inizio». Abbassai il tessuto di un centimetro, scoprendo il filo del suo tanga nero. Il mio uccello si inturgidì fastidiosamente. «Ti tolgo i vestiti, visto che non lo fai tu».

    Respirava affannosamente. Avevo già l’acquolina in bocca e mi sembrava di non capire più nulla, ma per quanto quella ragazza mi eccitasse – davvero moltissimo – non avevo tempo di giocare.

    Anche se il mio comportamento mi avrebbe portato a farmi odiare… Anche se così le avrei solo fatto paura…

    Ho sempre fatto quello che era necessario.

    In un’altra vita sarei stato un re.

    E ora?

    Sono solo un mostro.

    Capitolo due

    Scotch

    Non mi aspettavo che il mio lunedì andasse così.

    Non mi ricordavo l’ultima volta che qualcuno aveva cercato di palparmi nel locale. Dev’essere successo quand’ero appena arrivata, quando tutti pensavano che fossi una ragazzina ingenua. Sono bastate alcune ginocchiate nelle palle per far cambiare idea a tutti.

    All’epoca, gli uomini che venivano sapevano di non potermi mettere le mani addosso.

    Ma quel tizio – anzi, quella creatura vorace – era diverso. Non lessi paura nei suoi occhi quando lo sfidai, soltanto sicurezza e puro desiderio selvaggio.

    Per l’ultima parte, la colpa fu mia. Decisamente.

    Stupida, mi dissi rimproverandomi, anche quando mi strusciai su di lui. Davvero stupida. Il mio obiettivo era distrarlo per poter correre verso la porta. Avevo già provato a urlargli contro, ma senza successo. Chiunque altro si sarebbe intimorito.

    Costello Badd era diverso da tutti quelli che avevo conosciuto fino a quel momento.

    «Aspetta», riuscii a gracchiare. Cercando di ricompormi, strattonai la sua presa sui miei polsi. Non si smosse, le lunghe dita mi bloccavano entrambe le mani sopra la testa senza fatica. L’armadietto contro cui ero schiacciata avrebbe dovuto essere freddo ma non lo era, perché il mio corpo divenne bollente.

    Mi abbassò di nuovo la gonna, scoprendo un po’ di più il mio intimo nero. C’erano sempre stati dei fastidiosi spifferi in camerino? Perché il mio corpo si ricoprì di pelle d’oca, in parte a causa del respiro di Costello sul collo.

    Un rumore lieve echeggiò nel suo petto. Non lo udii davvero, ma riuscii a percepirlo. Conscia della poca distanza tra me e quell’uomo, cercai di stringere le ginocchia; Costello, con un colpo al tallone, inserì la sua gamba tra le mie. «No», esclamò tagliente. Fece una pausa troppo lunga che mi portò a mordicchiarmi un labbro. «Sta’ ferma. Farò in fretta».

    Non sapevo più se volevo che facesse in fretta.

    Fece scorrere le dita lungo le mie cosce, davanti e dietro, cercando una cimice che chiaramente non c’era. Non sono mica tanto matta da tentare di fregare i Badd.

    Ma lui non mi aveva ascoltata.

    Se l’avesse fatto, non avrei sentito il suo tocco rovente sulla pelle, dissi a me stessa. Costello mi palpò come se fosse quella la sua intenzione fin dall’inizio. Il rigonfiamento rigido che sentii premere alla base della schiena non era la pistola. Non poteva esserlo.

    «Hai quasi finito?».

    La voce di Thorne echeggiò nella stanza. Era in piedi sulla porta, con le mani appoggiate allo stipite e ci fissava. Sapevo cosa stava guardando: me mezza nuda, con la gonna abbassata e la camicetta sollevata e suo fratello a cingermi i fianchi.

    Costello si ritrasse come se il mio corpo avesse preso fuoco. Si era reso conto di quanto fosse fuori luogo il suo gesto? Sarei dovuta essere sollevata dal non sentire più il suo tocco deciso ed esperto… ma non lo ero.

    Notai fin troppo l’assenza del suo calore. Fu quello a lasciarmi nuda, ben più dell’avere la gonna alle caviglie. Dopo questo, mi serve un drink. Peccato che non bevessi quando ero in servizio. Avrebbe reso tutto più semplice.

    Thorne ci guardò con le sopracciglia inarcate. «Tutto bene?», domandò.

    Mi tirai su la gonna in fretta e mi sistemai i vestiti andandogli incontro furiosa. Per lo meno sembrava un po’ stupito. «Pensavi davvero che portassi una cimice qui?», sbottai. «Dopo tutti questi anni?».

    Thorne alzò le mani in segno di difesa. Indossò il suo ghigno con facilità, come fosse il paio di jeans preferito. «Costello ha preferito essere prudente. Calmati».

    «Oh, dimmi ancora di calmarmi», continuai dandogli un colpo sulla spalla. «Ma dimmelo mentre tu ti fai oltraggiare».

    Thorne guardò stupito prima me, poi Costello. «L’hai oltraggiata?».

    Il fratello dagli occhi blu non ricambiò lo sguardo. «No». Poi uscì, lasciando me e Thorne da soli. Se non avessi passato svariati minuti a sentirlo sussurrare nel mio orecchio, non avrei nemmeno saputo che Costello era nella stanza. Quell’uomo sa essere un fantasma quando vuole.

    «Mah», commentò Thorne, massaggiandosi il collo. «Si comporta in modo strano. Non trovi?»

    «Non lo so, è la prima volta che mi parla». Che mi parla e che fa ben altro. L’uscita fulminea di Costello mi aveva lasciata senza parole. Incrociando le braccia, chiesi: «Come mai avete così paura della polizia?».

    Il sorriso di Thorne svanì alla mia domanda. «Te l’ho detto, sono solo precauzioni. Questo non vuol dire che stanotte succederà qualcosa».

    «Stanotte? E allora tutte le altre sere?»

    «Ma dai, lascia stare. Comportati come se fosse un turno qualsiasi».

    Strinsi le braccia al petto. «Non è molto rassicurante».

    Thorne si portò le mani dietro al collo con un sospiro. «Sei arrabbiata perché ti ha oltraggiata Costello e non io?». Lo colpii passandogli accanto; lui rise, seguendomi dentro il locale. «Scotch, devi solo chiederlo in modo carino la prossima volta! Ti faccio quello che vuoi, non essere timida!».

    Il suo comportarsi da coglione era normale e fece sembrare il tutto più ordinario. Dopo il mio incontro con Costello… non vedevo l’ora di tornare alla normalità.

    Il Dirty Dolls andava a tutta birra. A essere sinceri, non proprio una birra, più verosimilmente una gazzosa. Di solito il pubblico del lunedì sera era tranquillo: uomini che arrivavano dopo il lavoro, quelli da ancora un drink e me ne vado a casa.

    Una ballerina si allungava sul corrimano sul quale venivano elargite le mance mentre uno dei clienti le infilava delle banconote nel tanga. Dove sono le altre ragazze?, mi chiesi. Ce ne dovrebbero essere almeno altre sei, inclusa Gina. Sono tutte impegnate nella lap dance? Le vidi in fondo al privé; ciò che notai mi lasciò paralizzata.

    Un gruppo di uomini se la stava spassando con le ballerine sui divanetti riservati ai clienti facoltosi. Uno di loro aveva tirato fuori una pistola e la stava mostrando alla donna che teneva in braccio.

    Quello che mi fece fermare il cuore non fu l’arma, ma l’anello che l’uomo portava al dito: una fascia d’oro con incastonato un proiettile. In un attimo, capii chi fossero quei personaggi. E perché Costello si fosse preoccupato di controllare che nessuno di noi fosse un infiltrato.

    I Badd potevano anche governare lo Stato… ma i Deep Shots erano una gang pericolosa che occupava un posto importante nella catena alimentare.

    Per quello che ne so, pensai sentendomi a disagio, questi ragazzi non sono i benvenuti in questo club. E in nessun locale gestito dai Badd… quindi in tutti i locali. La frustrazione delle gang minori causata dall’incapacità di far girare droghe o prostitute nel territorio dei Badd non era un segreto se facevi parte del giro.

    La gente temeva la famiglia di Costello, ma io la rispettavo. Lavoravo in uno dei loro locali, e grazie a loro nessuna delle ballerine, inclusa la mia migliore amica, doveva ricorrere al sesso per guadagnare. Tutti i club della città erano in regola.

    Cosa ci fanno qui? Avevo mille domande. Il macigno che sentivo nello stomaco crebbe mentre osservavo i membri della gang. Era molto strano: perché mai i Badd avrebbero dovuto farli entrare?

    «Eccoti qui!», esclamò Gina, facendomi sussultare. Avevo camminato nel locale come un automa e per poco non ero andata a sbattere contro la ballerina, seduta a gambe accavallate su uno sgabello. Quando mi portai una mano al petto, la mia migliore amica mi rivolse un’occhiata consapevole. «Oddio. Ha perquisito anche te».

    Seguii il suo sguardo e capii a chi si riferisse. Costello era una sentinella, immobile e rigido nell’ombra, proprio accanto ai Deep Shots. All’inizio non l’avevo notato, proprio perché non si era mai mosso.

    Quando lo sguardo di Costello si sollevò incontrando il mio, io mi voltai di scatto facendo cadere un vassoio dal bancone. «Ah… cazzo», mormorai. Gina me lo porse prima che potessi piegarmi per raccoglierlo. Non ho idea di come facesse a muoversi tanto velocemente su quei tacchi, più alti di molti fusti di birra.

    Appoggiò le mani con le lunghe unghie colorate sul mio avambraccio. «Poverina! Ti ha spaventata così tanto?». Il suo era un gesto gentile, ma mi fece agitare ancora di più.

    «Sì, una cosa del genere». Cercare di spiegare sarebbe stato uno sforzo inutile. Nemmeno io ero sicura di cosa fosse successo in quello spogliatoio.

    Raddrizzandosi, Gina si sistemò il bikini argentato. Copriva ben poco del suo seno enorme, che entrambe sapevamo essere apprezzatissimo dai clienti. «Comunque, sto andando proprio là».

    «Come? Là?», domandai preoccupata, cercando di osservare il gruppo di uomini pericolosi senza dare troppo nell’occhio. «Perché?».

    Lei aggrottò la fronte. «Perché ci sono degli uomini? Perché hanno i soldi? Hai presente i bigliettoni? Dovresti prenderli in considerazione anche tu, sai? Servono a comprare le cose».

    Stringendo la presa sul vassoio, sussurrai: «Ho l’impressione che quegli uomini abbiano altre cose in mente più che le tette».

    Gina rise sguaiatamente, piegandosi su se stessa. «Se respirano, allora pensano solo alle tette». I suoi occhi blu si fecero rassicuranti come l’acqua di un laghetto. «Scotch, tesoro, ascoltami. Stasera sarà una serata fantastica». Mi rivolse un goffo pollice all’insù. «Non pensare al fatto di essere stata perquisita. E poi, è stato anche abbastanza professionale. Ha fatto in un lampo».

    Professionale? Di nuovo, guardai in direzione di Costello. È l’ultima parola che userei per descrivere come si è comportato con me.

    Thorne aveva raggiunto il fratello e, da lontano, mi ritrovai a paragonarli.

    Nessuno avrebbe messo in dubbio che i due fossero parenti, ma erano molto diversi: gelidi occhi azzurri uno, pozzanghere color dell’inchiostro l’altro; capelli baciati dal sole e una criniera scura come il carbone; quella cicatrice irregolare, così differente dal viso immacolato e ridente dell’altro.

    Mi chiesi come Costello si fosse procurato quello squarcio.

    E come sarebbe stato sfiorarlo con le dita.

    Hawthorne disse qualcosa, dando una pacca sulla spalla a uno dei Deep Shots con un sorriso. Quell’uomo era una canna che, incurante, ondeggiava al vento, ma Costello…

    Costello era il vento.

    Sarebbe sembrata una pazzia se l’avessi detta ad alta voce, ma era la verità. Bastava un suo cenno perché il mondo si muovesse di conseguenza. Il più delle volte era sornione come una brezza invernale, ma non avevo dubbi che potesse trasformarsi in una tempesta.

    O in un monsone tropicale, scherzai tra me e me, ricordando come mi avesse fatta sudare. E non aveva fatto altro che perquisirmi. Ciononostante, tra noi si era creata una forte attrazione in pochi secondi.

    Gina si avvicinò al gruppo ondeggiando i fianchi. Gli uomini esultarono vedendola arrivare; lei fece una piccola giravolta, sedendosi in braccio a un tizio con un bel completo blu notte. Aveva fiuto per il denaro.

    Strinsi i pugni lungo i fianchi. Feci del mio meglio per non intervenire e fermarla. Ma la mia irrequietezza fu così evidente che mi feci notare da Thorne, in piedi accanto al bancone del bar. Nessuno dei Deep Shots aveva le mani libere – erano impegnati con i sederi delle ragazze o con le birre – ma Thorne mi fece lo stesso cenno di avvicinarmi.

    Esitai. Non per Costello, ma perché un brivido mi risalì lungo la schiena e mi fece venire la pelle d’oca, mettendomi in guardia da quegli uomini. Mister Completo Blu stava sussurrando qualcosa all’orecchio di Gina, ma stava guardando me.

    L’espressione corrucciata di Thorne diceva: Porta il culo qui e fai il tuo maledetto lavoro.

    Certo, comportandosi così, non si può dire che mi andasse a genio quella sera.

    Mi sporsi sul bancone e iniziai a riempire il vassoio con delle birre e una bottiglia o due di whiskey molto costoso. La barista – che stasera si faceva chiamare Cindy, ma che cambiava le targhette col nome già da una settimana – mi guardò. «Aspetta,

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