Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Perfettamente inconsapevole: Perfect Series Vol. 1
Perfettamente inconsapevole: Perfect Series Vol. 1
Perfettamente inconsapevole: Perfect Series Vol. 1
E-book311 pagine4 ore

Perfettamente inconsapevole: Perfect Series Vol. 1

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Cameron Bates (Cam) potrebbe avere quasi tutte le ragazze della Franklin High School... tranne quella che vuole. Sfortunatamente, Bebe sembra essere immune al suo fascino e al suo bell’aspetto, il che può significare due cose: o lei è del tutto ignara dei suoi sentimenti; o non è interessata a lui. E, in quest’ultimo caso, dichiararle il suo amore sarebbe un vero disastro per la loro amicizia.
Bianca Barnes (Bebe) ha un grosso problema: l’universo la odia. Ogni volta che ammette di provare dei sentimenti per un ragazzo, questi finisce per innamorarsi della sua dolce, famosa e bella sorella Beth.
Pur di non avere il cuore spezzato, Bebe si è imposta di non rivelare mai il suo segreto. Nessuno saprà cosa prova per Cam... Mai!
Entrambi non vogliono confessare i propri sentimenti, ma l’universo ha un suo piano.
Quando Bebe verrà corteggiata da un ammiratore segreto, a Cam non resta che farsi avanti. A questo punto lei dovrà scegliere: non correre rischi e accettare le attenzioni dell’ammiratore misterioso o sfidare il destino e tentare la fortuna con il ragazzo che ama?
LinguaItaliano
Data di uscita14 giu 2019
ISBN9788855310369
Perfettamente inconsapevole: Perfect Series Vol. 1

Correlato a Perfettamente inconsapevole

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Perfettamente inconsapevole

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Perfettamente inconsapevole - Robin Daniels

    Perfettamente inconsapevole

    The Perfect Series Vol. 1

    Robin Daniels

    1

    Titolo: Perfettamente inconsapevole - The Perfect Series Vol. 1

    Autrice: Robin Daniels

    Copyright © 2019 Hope Edizioni

    Copyright © 2017 Robin Daniels 

    Published by arrangement with Hershman Rights Management

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    ISBN: 9788855310369 

    Progetto grafico di copertina a cura di FranLu

    Immagini su licenza Bigstockphoto.com

    Fotografo: Phongphan | Cod. immagine: 200002435

    Fotografo: Denisfilm | Cod. immagine: 245951815

    Fotografo: Hannamariah | Cod. immagine: 15285218

    Traduttore: Francesca Salin

    Editing: Serena Evangelisti

    Impaginazione digitale: Cristina Ciani

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale. 

    Nessuna parte della presente pubblicazione può essere riprodotta, archiviata o introdotta in un sistema di ricerca, o trasmessa in qualunque forma e con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro) senza previa autorizzazione scritta dal detentore del copyright del presente libro.

    Questo libro è riservato a un pubblico adulto. Contiene linguaggio e scene di sesso espliciti. Non è adatto a lettori di età inferiore ai 18 anni. Ci si rimette alla discrezionalità del lettore.

    Tutti i diritti riservati.

    Indice

    Prologo

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    15

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    Epilogo

    Ringraziamenti

    Hope edizioni

    Per Alan, 

    perché continuavi a dirmi che dovevo scrivere un libro… 

    finché non l’ho fatto. 

    Prologo

    1

    BIANCA

    Inizio del primo anno

    Una nuova famiglia si stava trasferendo dall’altro lato della strada, nella casa accanto a quella dei Perkins, rimasta vuota per più di sei mesi. La coppia che ci aveva vissuto prima non aveva figli, non erano quasi mai a casa, e stavano per conto loro. Quindi, quando l’abitazione venne messa in vendita, non mi si spezzò esattamente il cuore. Ero seduta alla mia finestra, a guardare i traslocatori scaricare scatola dopo scatola, quando un SUV nero e scintillante si fermò nel vialetto.

    Una donna uscì dal posto del passeggero e corse attraverso il prato. Gli operai stavano trasportando in casa un orologio a pendolo dall’aspetto costoso. Era ben impacchettato, ma lei ronzò comunque dietro a loro, come se la sua sola presenza potesse sollevare l’orologio se fossero stati così sbadati da farlo cadere. Un uomo uscì velocemente dal posto del guidatore e la rimproverò, dicendole di lasciare che i traslocatori facessero il loro lavoro.

    «Ottimo.» Sospirai profondamente. «Un’altra coppia di sfigati rampanti.» Aprii una lattina di Coca Diet e mi domandai che cosa avesse contro di me l’universo. Era troppo chiedere che si trasferisse qualcuno con dei figli, magari gente simpatica? Vivevamo in una via da cartolina in un quartiere borghese appena fuori Orlando, in Florida. Avrei dovuto avere tonnellate di amici vicini con cui passare il tempo. Purtroppo, la mia via era piena di giovani rampanti e anziani. I Perkins avevano tre figli, ma il più giovane era andato all’università l’anno prima, lasciando me e mia sorella Beth come uniche ragazze giovani nell’isolato.

    Rassegnata alla sconfitta, mi alzai per chiudere le imposte quando la porta posteriore del SUV si aprì. Bene, bene, bene, che cosa abbiamo qui? Scese un ragazzo con degli auricolari nelle orecchie e un cellulare in mano. Era alto, ed era difficile vedere che aspetto avesse perché portava un cappello da baseball calato sul viso. Tirando a indovinare, avrei detto che aveva la mia età, ma ero troppo lontana per essere sicura.

    Visto che ero un’impicciona, dovevo darci un’occhiata più da vicino: non avrei ottenuto nulla sbirciandolo come una stalker dalla finestra della mia camera. Dovevo spiarlo da un posto più comodo. I Perkins avevano un canestro appeso sopra il garage, e la signora Perkins diceva che potevo usarlo ogni volta che volevo. Perciò afferrai la mia palla da basket, mi infilai le infradito e scesi di sotto.

    Speravo di attirare l’attenzione del ragazzo nuovo facendo qualche canestro nel vialetto di fianco al suo, ma dopo cinque minuti di tiri perfetti, il suo viso era ancora nascosto sotto il berretto e i suoi occhi non si erano mossi da quello stupido telefono. Non ero abbastanza disperata per andare a parlare con lui – ok, lo ero quasi – quindi mi inventai un piano per attirare la sua attenzione in un modo un po’ più discreto.

    Al tiro successivo, colpii intenzionalmente il tabellone in modo che la palla rimbalzasse e rotolasse verso di lui. Se avesse visto quel tiro, sarei stata parecchio imbarazzata. Non avrei mai voluto che qualcuno pensasse che facevo così schifo a basket. Ma la fortuna volle che l’imbarazzo non fosse ciò che mi aspettava. Mortificazione sarebbe un termine più appropriato per quello che accadde. Il tiro sbagliato che avrebbe dovuto rimbalzargli vicino era stato pericolosamente preciso. Lo colpì sul lato della testa, facendo volare via il cappello.

    «Ma che cazzo?» brontolò mentre si massaggiava e lanciava un’occhiataccia nella mia direzione. Oops. Non era proprio quella la prima impressione che speravo di fare. Alla faccia della discrezione.

    «Scusa.» dissi velocemente, poi corsi a recuperare la mia palla dalla strada. Ritornai al vialetto e lui si avvicinò a passi leggeri. Ora che era senza il cappello da baseball, potevo vedere che era proprio carino. Aveva capelli castano chiaro lunghi abbastanza da essere scompigliati dal berretto, ma corti a sufficienza da non sbucare dai bordi. I suoi occhi blu luccicavano – sì, sembrava sdolcinato, ma non c’era altro modo per descriverli – e aveva un naso carino a patata. Dovevo averlo ammirato troppo a lungo perché si schiarì la gola e fece un sorrisino, rivelando delle fossette adorabili.

    Merda, merda, merda-merdina. Si è reso conto di sicuro che lo stavo squadrando. Mantieni la calma, Bianca, mantieni la calma…

    «Ehi» fu tutto quello che riuscii a dire. Gli feci un cenno con la testa. Ottimo, tentando di non sembrare una disperata, ero riuscita invece a sembrare una perdente.

    «Giochi a basket?» domandò, un ghigno strafottente spiaccicato sul viso.

    «Così sembra. Sono qua, sotto un canestro, con in mano una palla da basket.» Va bene Bianca, fa’ la sarcastica. Forse così dimenticherà che ti ha beccato a fargli gli occhi dolci.

    Il ragazzo nuovo sbuffò, poi il suo ghigno si trasformò in un sorriso strafottente. «Beh, allora, ti propongo un accordo. Ti sfido a una partita di Pigs: se riesci a battermi, prometto di far finta di non sapere che hai sbagliato di proposito quel tiro per avere una scusa per parlare con me.»

    I miei occhi e la mascella si spalancarono per un momento prima che riuscissi a riacquistare un minimo di compostezza. Quindi era così che se la voleva giocare?

    «Mmmh...» Feci finta di pensarci mentre mi portavo un dito alle labbra. «Allora se vinci tu, prometto di dimenticare che sei un coglione arrogante.»

    In nessun modo gli avrei lasciato pensare di poter avere il sopravvento in quella conversazione. Mi stavo mentalmente congratulando con me stessa per la mia risposta fantastica quando mi fregò la palla dalle mani e palleggiò verso il canestro, facendo un layup. Fece rimbalzare il pallone e me lo passò. Bene, Signor Esibizionista, si può giocare in due a questo gioco. Feci facilmente un layup anch’io e gli ripassai la palla.

    Il suo canestro successivo arrivò da dove avrebbe dovuto esserci la linea del tiro libero. Di nuovo, tirai anch’io. Mi guardò, sopracciglia alzate, e portò la palla alla fine del vialetto per mettere a canestro un tiro da tre punti, senza problemi. A giudicare dalla sua espressione, pensava che questo sarebbe stato un tiro difficile per me. Non sapeva che avevo giocato da guardia sia per la squadra del club locale sia, negli ultimi tre anni, per la squadra scolastica. Mi passò la palla e camminai impettita verso la fine del vialetto. Lanciai un perfetto tiro da tre punti che passò l’anello mentre la rete frusciava.

    Mi stavo godendo il suo shock quando la donna ficcanaso di prima mise fuori la testa dalla porta d’ingresso. «Cam, tesoro. È ora di entrare e cominciare a portar su in camera tua qualche scatola.»

    «Arrivo!» le urlò di rimando, senza togliermi gli occhi di dosso. «Dovremo finire la partita un’altra volta, allora.»

    «Infatti!» lo sfidai.

    «Sono Cameron Bates, ma di solito mi chiamano solo Cam.»

    «Bianca Barnes, ma di solito mi chiamano Bee.»

    «Bee? Come Bumble Bee?»

    «Sì, idiota. I miei genitori mi hanno chiamato come Bumble Bee.» Alzai gli occhi al cielo. Ovviamente non era molto più vecchio di me, o non avrebbe risposto come uno stupido ragazzino delle medie. Lo corressi. «B, come la prima lettera del mio nome.»

    «Che razza di soprannome è B? Sembra qualcosa con cui chiameresti una vecchia signora burbera.» Il sorrisetto era tornato. Per quanto fosse adorabile, volevo farlo sparire dalla sua faccetta carina.

    «Beh, siccome il mio nome è Bianca, penso la scelta fosse tra il chiamarmi Bee o Anca. Solo un genitore terribile chiamerebbe la propria figlia Anca. Penso che Bee fosse la scelta migliore.»

    Cam ci pensò per un momento prima di rispondere. «Non posso giocare a basket con una tipa che si chiama come una vecchietta. Mi sa che dovrò inventarmi qualcos’altro. Magari Bebe...»

    «Bebe? Che cosa ti sembro, un barboncino da esibizione?»

    Sorrise, cosciente di avermi irritato. «In realtà stavo pensando che sembrava un po’ da cheerleader figa

    «Che non è molto meglio di barboncino da esibizione...»

    «No, scema. Bebe, cioè la prima lettera del tuo nome e del tuo cognome.» Rise, il sorriso diventò perfido. «Ma, se vuoi mantenere il tema da barboncino, potrei sempre chiamarti Cece o Fifi?»

    «Mi sembra che tu stia rimuginando sull’idea della cheerleader figa» brontolai.

    «Facciamo Bebe, allora.» Compiaciuto di se stesso, si girò e si diresse verso la porta d’ingresso. «Ci vediamo, Bebe» mi prese in giro, chiudendo la porta prima che potessi rispondere.

    Restai lì per un momento, chiedendomi come la mia piccola missione per curiosare potesse essere andata così male. Cam era carino e intelligente, ma anche un rompipalle. Ovviamente ero una rompipalle anch’io, perciò non avrei dovuto fargliene una colpa. Comunque, era interessato alla pallacanestro, e poteva essere un punto di partenza.

    Attraversai la strada e mi lasciai cadere sulla veranda. Cameron Bates era il mio nuovo vicino. Forse l’universo non mi odiava, dopotutto.

    1

    1

    BIANCA

    Inizio della terza superiore

    «Bee, è ora di alzarsi.»

    «Va’ via, tu mostro disgraziato di una persona mattutina» brontolai tirandomi le coperte sopra la testa quando sentii la porta spalancarsi.

    «Alza il tuo culetto carino e preparati per la scuola. Non vuoi sembrare una sciattona il primo giorno. Le persone avranno un’impressione sbagliata di te per il resto dell’anno.» Beth osservò il tornado di vestiti e dozzine di lattine di Coca Zero disseminati sul pavimento della mia camera.

    «Ok, forse avrebbero l’impressione giusta, ma non è l’impressione che vogliamo dare.» Storse il naso. «Vado a scuola fra un’ora, con o senza di te.» La sua voce squillante mi fece male ai timpani. Era impensabile che qualcuno potesse essere così pimpante alle sei della dannata mattina. Ma Beth era così tutto il tempo quindi, ormai, avrei dovuto esserci abituata.

    Bethany era la mia gemella, per modo di dire. La mia gemella irlandese¹. Non ci assomigliavamo per niente: lei era alta un metro e settantacinque, io uno e sessantacinque. Lei aveva gambe lunghe e curve femminili, mentre io ero piccola e sembravo più un ragazzino dodicenne. Le sue coppe C facevano sembrare le mie coppe, che raggiungevano a malapena la B, patetiche. Aveva capelli lunghi, dritti e biondi e la pelle abbronzata che riluceva come se fosse stata baciata dagli dei. L’unico tratto fisico che condividevamo erano gli stessi grandi occhi verdi con le lunghe ciglia scure che avevamo ereditato da nostra madre. Anche il suo nome era più bello. Bethany… Sembrava il nome di un angelo o di una sirena o di una mistica principessa unicorno. Insomma, qualcosa di magico. Il nome Bianca sembrava proprio quello di una vecchietta, come Cameron aveva educatamente affermato.

    Mi trascinai fino alla porta e la chiusi a chiave, in modo da non venire scoperta mentre partecipavo al mio rituale mattutino. Mi affrettai verso la finestra e aprii un poco le persiane. Dannazione, l’ho mancato. Spiavo Cam ogni giorno da quando si era trasferito due anni prima. Ora che eravamo al terzo anno, era passato dall’essere estremamente carino allo stupendamente figo.

    Viveva sul lato opposto della strada rispetto a me, ma avevo comunque una vista diretta sulla sua camera dato che entrambe le nostre stanze erano al secondo piano e si affacciavano sulla via. Di solito lo spiavo mentre era seduto alla scrivania a fare i compiti o mentre giocava ai videogiochi. Quell’estate, però, aveva cominciato a fare palestra nel suo garage ogni mattina. Voleva essere più muscoloso per l’inizio del campionato di basket. Da quando aveva cominciato ad allenarsi a petto nudo per la maggior parte del tempo, avevo religiosamente passato l’estate a perfezionare le mie capacità da guardona. Supponevo che anche Cam volesse avere un bell’aspetto il primo giorno di scuola, perché non era da nessuna parte quindi, invece di avere la mia dose quotidiana di Cam a petto nudo, entrai nella doccia, immaginandolo senza maglietta mentre mi lavavo via il sonno dagli occhi.

    Entrai in cucina quarantacinque minuti dopo, sperando di essere accettabile per gli standard di Beth. Avevo domato i miei lunghi capelli castani ondulati, indossato i jeans a campana e a vita bassa – nessun jeans schifoso a sigaretta per me – e una maglietta grigia e stretta con lo scollo a V. Mi ero anche presa il tempo per mettermi un po’ di trucco, evidenziando la mia piccola spruzzata di lentiggini. Beth mi squadrò da capo a piedi, annuendo con approvazione finché non vide i piedi. Fissò le mie logore infradito rosse e sospirò, ma non disse nulla. Avevo imparato da tempo che se avessi tenuto lo smalto sulle dita dei piedi, non avrebbe detto nulla riguardo alle infradito. Quel giorno, ogni dito aveva addirittura una gemma scintillante nel mezzo di un fiore bianco. Scusa Beth. Questo è il meglio che avrai da me.

    «Sbrigati e prendi qualcosa se vuoi mangiare, Cam sarà qui a secondi. Non voglio fare tardi il primo giorno» mi istruì Beth.

    «Sì, madre.» La mia risposta standard.

    Beth mi guardò male e tornò a mangiare il suo toast. Odiava quando la chiamavo madre, perché la nostra era morta poco dopo avermi dato alla luce. Nessuna di noi due la ricordava. Era triste ma di solito non mi faceva piangere. Beth era diversa. Si sentiva tradita. La mamma era l’unico argomento capace di rovinare il suo perpetuo buonumore.

    I miei genitori avevano cercato per anni di avere figli, senza riuscirci. I dottori non erano sicuri del perché. Mamma e papà avevano smesso di sperare quando lei rimase incinta di Beth. Dopo così tanti anni, erano stati benedetti da una meravigliosa bambina. Immaginate la loro sorpresa quando scoprirono che mamma era incinta di me. Beth aveva solo quattro mesi all’epoca. Non ero prevista, ma i miei genitori furono estasiati.

    Durante la seconda metà della gravidanza, le fu diagnosticata la preeclampsia. Alla trentaduesima settimana, la sua condizione peggiorò e gli organi vennero compromessi. Papà la portò di corsa in ospedale, dove i medici mi fecero nascere otto settimane prima del termine. Non riuscirono, però, a impedire che i reni e il fegato di mamma smettessero di funzionare, e morì lo stesso giorno in cui nacqui.

    Mio papà mi ha sempre chiamato il suo miracolo. Che Dio avesse preso mia mamma ma risparmiato me era estremamente ingiusto ai miei occhi, ma mio padre non lo aveva mai considerato altro che una benedizione. Beth doveva aver preso il suo continuo ottimismo da lui. Probabilmente quel gene mi aveva saltata.

    Essere nata a trentadue settimane significava che io e Bethany abbiamo solo undici mesi di differenza, per cui siamo gemelle irlandesi

    La data di inizio della scuola è il trentuno agosto e visto che il compleanno di Beth era il quindici settembre e il mio era il venti agosto, eravamo finite nella stessa classe. Quando le persone che non ci conoscevano vedevano che eravamo entrambe al terzo anno, supponevano che fossimo gemelle. Era più facile non correggerle.

    Beth era chiaramente la sorella maggiore, però, ed era evidente quando diventava una mamma chioccia. Facevo finta che mi irritisse, perché era quello che avrebbe fatto ogni buona sorella minore. Papà non si era mai risposato quindi, senza madre in casa, mia sorella era la cosa che più assomigliava a una figura materna. Amava assumerne il ruolo e, per la maggior parte del tempo, glielo lasciavo fare con piacere.

    «Buongiorno alle non-gemelle più carine che conosco.» Le parole di Cam mi colsero di sorpresa e mollai il toast che stavo imburrando.

    Beth mise in dubbio il suo saluto. «Non so se considerarlo come un complimento, visto che probabilmente siamo le uniche non-gemelle che conosci.» L’abbracciò forte, sollevandola in aria, e lei ridacchiò di rimando. Imbavagliatemi.

    «Cavoli, siamo proprio di buonumore questa mattina?» gli chiese Beth. «Che cosa potrebbe averti reso tutto sorrisi e allegria a quest’ora?»

    «Un ragazzo non può essere felice per il solo fatto di essere nella stessa stanza con due ragazze bellissime?»

    Alzai gli occhi al cielo. Cam era così sfigato. Era uno straordinario sbruffone quando parlava con me, ma era iper dolce quando lo faceva con Bethany. La volta in cui glielo avevo fatto notare, mi aveva risposto che Beth era troppo angelica con lui per non comportarsi da perfetto gentiluomo. Quella risposta gli era costata un pugno sul braccio, al quale aveva ribattuto borbottando qualcosa sul fatto che io fossi la gemella malvagia.

    Cam girò intorno al bancone e afferrò il mio toast, divorandone metà prima che potessi fermarlo. «Ehi, idiota! Stavo per mangiarlo!»

    Lo schiaffeggiai sulla spalla mentre mi passava accanto. Si piegò verso di me, parlando a bassa voce. «Grazie per la colazione, Bebe.» Poi mi punzecchiò il fianco, agitò le sopracciglia e uscì dalla porta per dirigersi verso la macchina.

    Presi il pezzo di toast che restava e lo superai sfrecciando mentre urlavo: «Sedile davanti!» Proprio mentre stavo per raggiungere il posto del passeggero Cam, alle mie calcagna, mi afferrò e mi buttò sulla sua spalla come un cavernicolo. Calciai e imprecai a bassa voce, amando in segreto ogni minuto in cui gli ero vicina. Invece di mettermi giù, mi mise a sedere sul tettuccio della macchina.

    «Scusa, Bebe, conosci le regole.» Si infilò nel posto del passeggero, lasciando che mi arrangiassi nella discesa. Saltai giù e occupai il mio solito posto nei sedili posteriori.

    «Stupide regole. Non so come siano diventate ufficiali, considerando che non sono stata coinvolta quando le avete create» mi lamentai.

    Brontolando, mi allacciai la cintura di sicurezza e mi stravaccai. Le mie ginocchia premevano forte sul retro del sedile di Cam, che lo aveva spostato tutto indietro. Mi scoccò un sorriso maligno nello specchietto retrovisore ma non disse niente. Alla linguaccia che gli feci, rispose mandandomi un bacio.

    Bethany aprì la portiera del guidatore e si infilò con cautela dietro al volante. Anche se non avesse indossato una gonna, Bethany non sarebbe mai stata maleducata a sufficienza da ficcare le sue ginocchia nella schiena di qualcuno. Ma Beth non era divertente come lo ero io, e Cam non la torturava come faceva con me.

    «Bee, conosci le regole» mi ricordò Beth. «La persona con le gambe più lunghe si siede davanti perché c’è più posto.» Mi faceva la paternale su questo con costanza.

    «Beh, vorrei contestare quella regola» discussi. «Questa è anche la mia macchina. Non dovrei essere costretta a sedermi dietro tutto l’anno perché il Buon Gigante Verde qui non ne ha una.»

    «E penso che tu abbia perso il diritto di contestare la regola quando ti sei beccata una multa per eccesso di velocità solo una settimana dopo aver preso la patente» ribatté Beth.

    Papà mi aveva messo in punizione senza farmi guidare per un mese intero. Quando il mese era finito, Beth continuò a guidare dappertutto, e io continuai a lasciarla fare. Era probabile che la rendessi nervosa. Era una guidatrice molto cauta. Non mi dispiaceva lasciarglielo fare, a patto che io potessi sedermi davanti. Ma sembrava che sarei stata relegata al sedile posteriore per il resto dell’anno. Che sfiga!

    «Qualunque cosa tu dica, madre.» Indossai gli auricolari, scelsi la musica e ignorai lo sguardo di disapprovazione di Beth. Cominciai a premere un po’ di più sul sedile di Cam quando beccavamo qualche dosso sulla strada. Lui ridacchiò e scosse la testa, ma ero compiaciuta per il fatto che non potesse vendicarsi dal sedile anteriore. Direi che ero a mio agio nell’essere la gemella malvagia.

    Entrammo a scuola in anticipo, in modo da avere il tempo per trovare i nostri nuovi armadietti. Casa, puzzolente, sudicia casa per l’anno a venire. Almeno non eravamo più matricole. Tutti gli armadietti venivano assegnati in ordine alfabetico per anno. Quelli del terzo e del quarto anno erano più vicini al corridoio principale della scuola, quindi non avrei dovuto farmi una sudata per correre dal mio armadietto alla classe.

    La nostra scuola non era così piccola, ma non l’avrei nemmeno considerata grande. C’erano circa quattrocento ragazzi al terzo anno. Visto che Beth e io condividevamo il cognome e i nostri nomi iniziavano entrambi con una B, il suo armadietto era sempre stato alla mia sinistra e, a meno che qualcuno di nuovo non si fosse trasferito quell’anno con un cognome che cadesse tra Barnes e Bates, l’armadietto di Cam sarebbe stato ancora alla mia destra. Un grande, felice, panino-Bianca.

    Nonostante tutti i dispiaceri che le davo, Beth era la mia migliore amica. Poteva sembrare strano, perché di solito le sorelle avevano quella rivalità fra di loro. Pensavo che non avere una mamma ci avesse unito in una maniera che molti fratelli e sorelle non sperimentavano. Di certo aiutava anche il fatto che mia sorella fosse la persona più gentile del pianeta. E non stavo esagerando. Era così dolce da farti quasi stare male. Le persone pensavano fosse falsa finché non la conoscevano davvero, perché nessuno era così gentile e buono. 

    Beth era sempre felice e ottimista. Era obbediente, andava d’accordo con gli insegnanti, non diceva mai parolacce, aiutava le persone nuove, si opponeva ai bulli e diceva sì a quasi tutti i ragazzi che le chiedevano di uscire anche se non era interessata. Bethany Barnes era una delle ragazze più popolari della scuola, e non solo perché era una bellissima cheerleader. Era soprattutto, beh, perché era Beth. Io, d’altra parte, ero solo un po’ popolare. Era probabilmente dovuto al fatto che ero sua sorella ed eravamo sempre insieme.

    «Sembra che saremo ancora amanti di armadietto quest’anno, Bebe.» Cam mi fissò con il suo sguardo sexy. Mi stavo trasformando in un pasticcio di sdolcinatezza dentro, ma fuori mi stampai sul viso un sorriso falso. «Come sono fortunata.» Sbattei le mie

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1