Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Sulla soglia
Sulla soglia
Sulla soglia
E-book292 pagine3 ore

Sulla soglia

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il saggio affronta le tematiche dell’identità e dell’accettazione di sé all’interno della cornice storica e sociale dell’antica Grecia. Gli strumenti educativi utilizzati dai Greci per preparare i giovani al loro futuro ruolo attivo di cittadini nella polis e alle tappe fondamentali che scandiscono una vita segnata dalla finitezza sono i miti. L’autrice ha individuato una nuova categoria mitica, quella dei miti di “non passaggio”: esempi di come il cattivo comportamento del singolo sia portatore di vendetta divina non solo ai suoi danni, ma a lungo andare anche ai danni della società in cui vive. All’interno di questi particolari miti non si troveranno quindi imprese eroiche, anzi: i protagonisti sono empi che, negando il corso naturale degli eventi e dell’esistenza, cercano di emulare l’eternità di figure immutabili come gli dei e, per questo, verranno puniti.
Dalla quarta di copertina: Adone, Ippolito, Atalanta, Orfeo. Cos’hanno in comune questi protagonisti di miti dell’antica Grecia? Sono incompiuti, sono uomini e donne che si rifiutano di accettare le tappe della vita. Ida Basile ne studia le storie, segnate dall’incapacità di oltrepassare un dato limen, e crea una nuova categoria: i miti di “non passaggio”.
LinguaItaliano
Data di uscita25 giu 2019
ISBN9788834145203
Sulla soglia

Correlato a Sulla soglia

Ebook correlati

Scienze sociali per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Sulla soglia

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Sulla soglia - Ida Basile

    uno

    Dal rito di passaggio alla soglia

    1.1 Una breve introduzione ai riti di passaggio

    Tra i Bemba, in Africa, il complesso di rituali chisungu prepara al mondo adulto le giovani che raggiungono la pubertà. Dopo la prima mestruazione, viene loro mostrato il fuoco e una levatrice le accompagna in una capanna, dove sorveglierà la costruzione di figurine di cera e la pittura di disegni simbolici; in seguito, le ragazze si chiudono nella capanna per poterne uscire, successivamente, pronte al nuovo ruolo che assumeranno in ambito domestico¹. In altre tribù africane viene chiesto alle giovani di saltare con abilità e destrezza su cerchi di rami intrecciati². Questo atto è significativo in quanto evoca visivamente l’introduzione della giovane dalla dimensione di fanciulla a quella di donna.

    Analogo scopo hanno gli Heraia, agoni sportivi della Grecia antica tenuti ogni quattro anni a Olimpia, in onore della dea Hera. Qui le ragazze avevano modo di dimostrare alla comunità sia la propria prestanza fisica sia l’abilità nell’ambito domestico con agoni atletici e gare musicali, in vista del ruolo di mogli e madri che la società si aspettava ricoprissero³.

    In alcune tribù australiane, invece, per segnare il passaggio dall’infanzia all’età adulta i giovani fanciulli vengono rapiti alle loro madri (nascoste sotto delle coperte) e portati nella foresta, sotto la tutela dei loro istruttori, per un periodo di isolamento in cui affronteranno diverse prove, al fine di tornare uomini ai propri villaggi⁴.

    Tali cerimonie costituiscono di fatto il passaggio da una situazione determinata a un’altra, diversa ma ugualmente determinata.

    Il passaggio viene ufficializzato agli occhi della società tramite il rito, collante tra l’individuo e il gruppo, che divide in tappe la temporaneità della persona e la sua mortalità, scandendo così il costante riavvio dell’esistenza. Il soggetto, in quanto divenuto altro, non perde gli effetti acquisiti con il rito, restando così configurato dal complesso di qualificazioni culturali che la prospettiva rituale e l’azione concreta del rito, hanno creato⁵. Pertanto, una volta divenuto adulto agli occhi della società, quello che ormai è un uomo non potrà più tornare a essere fanciullo.

    Gli esempi riportati, tuttavia, rappresentano soltanto una piccola parte dei riti di passaggio, ovvero il complesso di pratiche che include nascita, maturazione, iniziazione alle società segrete, matrimonio, morte⁶, caratteristici di tutte le civiltà, siano queste primitive o superiori, le cui origini storiche si confondono con quelle della coscienza umana in generale.

    Essi fanno parte del processo di formazione della memoria, individuale e collettiva, che in base ai riti conosciuti cataloga e archivia le esperienze, trovando così i propri punti di orientamento⁷; rappresentano, riprendendo le parole di Brelich, la presa di posizione della coscienza umana che, non accettando di essere in balìa dei processi naturali/casuali, cerca di dar loro un significato attraverso una ritualizzazione capace di renderli conformi all’ordine istituzionale⁸.

    1.2 Lo studio dei riti di passaggio

    È impossibile parlare di riti di passaggio senza far riferimento all’omonima opera di Van Gennep, edita per la prima volta nel 1909⁹. Vi è raccolto il materiale accumulato nel corso degli studi al fine di porlo in una cornice teorica, uno schema generale da applicare a differenti campi d’indagine. Partendo dal presupposto che

    in qualsiasi tipo di società la vita dell’individuo consiste nel passare successivamente da un’età all’altra e da un’occupazione a un’altra. […] È il fatto stesso di vivere che rende necessario il passaggio successivo da una società speciale a un’altra e da una situazione sociale a un’altra, cosicché la vita dell’individuo si svolge in una successione di tappe nelle quali il termine finale e l’inizio costituiscono degli insiemi dello stesso ordine: nascita, pubertà sociale, matrimonio, morte¹⁰.

    Van Gennep, dunque, individua tre categorie di riti di passaggio: i riti di separazione, di margine e di aggregazione. Esempi di queste tre categorie sono rispettivamente i riti funebri (separazione), il fidanzamento (margine), la nascita e il matrimonio (aggregazione)¹¹.

    Tuttavia, questi tre momenti non sono soltanto un criterio di classificazione dei riti, bensì anche le fasi del rituale stesso. Ogni rito di passaggio comporta, infatti, tre momenti: separazione dalla situazione esistente o pre-liminale; sospensione, margine o liminale; aggregazione al nuovo territorio o post-liminale.

    L’esempio più chiaro che Van Gennep fornisce in proposito e da cui sviluppa la sua terminologia è quello più materiale del passaggio della soglia: laddove la soglia costituisce il margine, le azioni che si compiono in vista del passaggio e dopo rievocano l’immagine della separazione dall’ambiente precedente e l’aggregazione in quello successivo, passando per un confine specifico.

    Di queste tre fasi è opportuno soffermarsi sul concetto di margine, punto cardine della riflessione sul rito di passaggio: una specie di zona franca, laddove avviene la totale separazione dei due punti, di partenza e di arrivo. L’importanza del margine ai fini della riflessione di Van Gennep risiede proprio nell’immagine sospensiva che evoca: nel margine il passaggio si rallenta, introducendo così la gradualità che è propria del rituale. Viene offerto, quindi, uno spazio di ampio respiro e di riflessione che si offre come percorso dal punto di separazione a quello di aggregazione altrimenti coincidenti. Il margine, dunque, impedisce il trauma di un cambiamento altrimenti troppo rapido. Evocativo in tal senso è il passaggio dalla pubertà all’età adulta, dove vi è l’evidente distacco del giovane dal proprio villaggio, al fine di intraprendere un periodo di solitudine al di fuori della società, in cui poi rientrerà come membro attivo.

    Nei riti di passaggio, inoltre, è chiaro come la crescita sociale cerchi di affiancarsi quanto più possibile alla crescita naturale. In questi processi il ruolo della zona di margine in quanto percorso necessario è ancora più evidente: si pensi ai riti di fidanzamento, margini necessari al periodo che intercorre tra la pubertà e il matrimonio, o alla gravidanza.

    I passaggi su cui si sofferma Van Gennep non rientrano in un unico ambito. Lo studioso sembra indagare proprio il passaggio in quanto tale, al punto da fornire esempi molto differenti tra loro, sia per quanto riguarda società, etnie ed epoche storiche, sia per quanto riguarda il rito in sé: iniziazione, maturazione, nascita, morte sono tutti passaggi analizzati all’interno dell’opera al fine di comprendere la qualità del rituale e i suoi meccanismi essenziali. I riti di passaggio si pone così come una specie di grammatica delle tappe fisiche e sociali dell’individuo.

    Van Gennep estrae il rito da ogni contesto, al punto da rendere trascurabile la distinzione tra struttura ed evento, o tra sincronia e diacronia. Ne emerge una visione del rito di matrice durkeimiana, ovvero come un «fatto universale, transculturale e quasi spontaneo nell’universo generale del comportamento, che, fra i fenomeni collettivi, più direttamente è epifania del Sacro»¹².

    D’altro canto è lo stesso Van Gennep, nelle conclusioni dell’opera, a rendere chiaro lo scopo del volume:

    Non sono i riti nei loro dettagli che ci interessano, ma al contrario il loro significato essenziale e le loro situazioni relative entro insiemi cerimoniali, nonché la loro sequenza. […] La loro tendenziale disposizione è ovunque la stessa e, sotto la molteplicità delle forme, si ritrova sempre, espressa consapevolmente o potenzialmente, una sequenza tipo: lo schema dei riti di passaggio¹³.

    Gli studi di Van Gennep non ebbero immediato successo, specialmente in Francia dove furono condotti. Erano quelli periodi e spazi dominati da Durkheim prima, dal Funzionalismo degli anni ’20 poi. Le domande che si poneva Van Gennep, orientate al meccanismo del rituale e a come l’individuo cambiasse la natura e la struttura delle relazioni sociali attraverso questo, non erano in armonia con la scuola sociologica francese, che gli rimproverava l’assenza di innovazione¹⁴.

    In particolare, Van Gennep dissentiva da Durkheim riguardo al ruolo del rito nella società moderna. Il secondo sosteneva infatti che l’importanza del rituale venisse meno all’interno della società urbana, proprio in quanto il rito, mediatore tra le azioni individuali e il complesso di norme sociali, costruisce il consenso di forze potenzialmente opposte attraverso un linguaggio simbolico. Tale linguaggio trova uno sfruttamento più abile nelle società tribali¹⁵.

    Per Van Gennep, invece, il rito era universale attraverso luoghi e tempi; il suo lavoro trovò terreno fertile successivamente, nell’ambito dell’antropologia anglosassone dei primi anni ’60, con la traduzione di alcuni testi della scuola francese per iniziativa di Leach, Needham ed Evans-Pritchard. Qualche anno dopo, Solon Kimball tradusse in inglese I riti di passaggio¹⁶.

    L’opera non fu esente da critiche, che si tradussero in nuova linfa e nuovi studi per lo sviluppo dell’argomento negli anni successivi¹⁷. In special modo Gluckman, pur conscio dell’enorme contributo dato dall’opera, rimproverava a Van Gennep l’enorme mole di momenti presi in esame, così differenti tra loro da porre il problema di un’eccessiva generalizzazione a scapito dell’analisi di una cultura specifica. Così facendo, la concentrazione sul rituale in quanto tale andava a ledere lo studio sui rapporti sociali, non illustrando come il rito e la cerimonia influissero su questi¹⁸.

    Gluckman nota, infatti, nelle società tribali un alto grado di ritualizzazione dei rapporti sociali, ovvero la tendenza a usare in chiave rituale il proprio ruolo sociale per adempiere alle cerimonie nel modo in cui queste sono state concepite nel corso del tempo per la sopravvivenza del gruppo¹⁹. Da qui, per lo studioso è chiaro che tale ritualizzazione sia particolarmente intensa nelle società tribali piuttosto che in quelle moderne²⁰, dove le relazioni sociali non hanno bisogno di essere filtrate da pratiche rituali che ne rimescolino l’equilibrio. Questo perché i passaggi all’interno delle società moderne comportano, è vero, un cambiamento di status, ma non hanno bisogno di un atto rituale composto da azioni prescritte per il bene della comunitಹ. Nelle società moderne i ruoli di ognuno si articolano in più spazi, più ampi rispetto a quelle tribali. La questione dello spazio non è da sottovalutare, in quanto, ad esempio, nelle società tribali

    i medesimi luoghi e le medesime case vengono usate per scopi molteplici: parte dell’interno di una capanna può essere la dimora degli spiriti degli antenati, i cui corpi giacciono sotto il pavimento della capanna stessa o nel recinto del bestiame. Negli stessi luoghi o nelle loro vicinanze gli uomini si ritrovano per discutere gli affari del gruppo, vengono allevati ed educati i bambini, nello stesso luogo essi giocano e le donne assolvono ai loro compiti domestici²².

    Nelle società urbane, invece, assolvere ruoli diversi in luoghi diversi non rende necessaria la presenza di un margine, di respiro tra la separazione e la riaggregazione, anche in virtù del loro essere più complesse e articolate²³. Nel saggio Les rites de passage, Gluckman distingue quattro tipologie di rituali: magical action, religious action, rispettivamente rituali a base magica connessi all’uso di sostanze dotate di poteri mistici e rituali legati a culti ancestrali; factitive rituals, volti a aumentare il benessere della comunità (ad esempio, riti di purificazione o protezione); substantive o constitutive rituals capaci di esprimere o alterare i rapporti sociali facendo capo a nozioni mistiche, in cui rientrano i riti di passaggio²⁴. Questi ultimi sono fondamentali, essendo il cambiamento (nascita, crescita di un giovane, finanche un cambio di stagione) un momento di squilibrio e minaccia all’ordine naturale. Il rituale serve dunque a confermare l’esistenza di questo squilibrio, ma al contempo lo ridimensiona, andando a sancire un ordine nuovo, nuovi ruoli, nuove relazioni²⁵.

    1.3 Victor Turner e il concetto di liminalità

    Anche Victor Turner riprende i riti di passaggio in quanto portatori di uno squilibrio, di una crisi all’interno dell’ordine sociale:

    qualcuno comincia a spostarsi nell’ambito dell’ordine sociale; questo spostamento è compiuto mediante il rito o bloccato, ma in entrambi i casi scoppia una crisi perché qualsiasi cambiamento di condizione implica un riassestamento dell’intero schema²⁶.

    Entra qui in gioco il concetto di dramma sociale, ovvero l’unità di processo sociale disarmonico che nasce in situazioni di conflitto²⁷, e quello di limen, la soglia tra fasi più o meno stabili del processo sociale.

    La terminologia utilizzata da Turner per descrivere queste situazioni disarmoniche è quella teatrale e gli atti riportati all’interno del dramma non sono più semplici azioni dal momento in cui i soggetti agenti si muovono con funzione dimostrativa, agendo dunque in funzione di un pubblico.

    Per Turner, la forma del dramma sociale ricorre a tutti i livelli dell’organizzazione della società e ha inizio quando l’andamento sociale e le norme che lo regolano vengono interrotti al punto da portare a una vera e propria crisi, che può dividere la comunità in fazioni e coalizioni contrapposte. Per prevenire ciò, i rappresentanti legittimi e più autorevoli della comunità cercano di attuare una compensazione, nella forma di azione ritualizzata²⁸.

    Il dramma sociale ha quattro fasi di azione pubblica: rottura dei rapporti sociali; crisi, in cui la rottura tende ad allargarsi; azione riparatrice o mediazione informale, il cui raggio si estende da azioni pubbliche atte a ripetere in modo distanziato e critico gli eventi cause della crisi (sia attraverso il linguaggio razionale del processo giudiziario, sia nella chiave simbolica del rituale) al fine di legittimarne una soluzione; reintegrazione del gruppo sociale ribelle o riconoscimento del nuovo status.

    Due di queste quattro fasi, secondo Turner, hanno caratteristiche liminali. Si tratta delle fasi di crisi e riparazione, poiché riportano all’idea della soglia tra fasi più o meno stabili del processo sociale²⁹.

    Bisogna chiedersi, però, in quali termini Turner esplora il concetto di liminalità.

    L’autore inglese ha mutuato l’idea di limen da Van Gennep, riprendendo appunto l’idea di fondo di una situazione non determinata, interstrutturale, che trova la sua massima espressione nelle società su scala piccola, in cui il cambiamento è prevalentemente legato ai ritmi e alle ricorrenze biologiche dei suoi componenti piuttosto che alle innovazioni tipiche di una società più complessa e moderna³⁰.

    Ne La foresta dei simboli, Turner specifica quanto si evince dal lavoro di Van Gennep, ovvero che i riti di passaggio sono molteplici e di natura varia, possono riguardare momenti cruciali della vita dell’individuo così come il mutamento da uno stato all’altro di un gruppo o una società (riti stagionali, riti di accompagnamento alla discesa in guerra). Per tanto, in questo frangente e avendo intenzione di parlare proprio di liminalità, sceglie di concentrarsi sui riti di passaggio dotati di periodi liminali ben sviluppati, quali appunto possono essere quelli di iniziazione o di transizione, entro cui il soggetto attraversa un momento in cui non è strutturalmente definibile bensì strutturalmente invisibile, una persona liminale³¹.

    Quali sono le caratteristiche che descrivono una persona liminale? Sicuramente la duplicità, il trovarsi nel limbo del non appartenere più a una determinata classificazione, ma, al contempo, non rientrare in niente di nuovo³². Questo porta a considerare la persona liminale alla luce sia di alcune caratteristiche negative, che si basano sul non essere (strutturalmente parlando), sia di altre positive.

    Per quanto riguarda il primo gruppo, Turner fa riferimento a una sorta di invisibilità strutturale dell’individuo in questione e, ponendo l’esempio dei riti di iniziazione, mette in luce come, nella fase liminale, questi sopperiscano all’opposizione strutturalmente invisibile/fisicamente visibile o con l’isolamento totale dell’iniziando oppure con il travestimento di questo, o l’attribuzione di un sesso non proprio o di entrambi i sessi. In questo modo è possibile trovare una spiegazione simbolica e materiale che possa rappresentare la non presenza della persona liminale all’interno della società, mettendola in parentesi o rendendola irriconoscibile. Altro elemento tipico e facente capo al gruppo del non essere, per Turner, è la completa assenza di tutto ciò che definisce la persona all’interno della società: possedimenti, posizione nella parentela, abiti, status. Non essendo visibile, non essendo definita, la persona liminale non ha nulla che possa identificarla, distinguerla o delimitarla rispetto ai simili³³. Questo la conduce a una posizione delicata: il passaggio da uno stato all’altro in una società è pericoloso, chi si trova in uno stato di transizione non è più quello di prima e non è ancora al passaggio successivo e determinato. La persona liminale è a rischio ed è pericolosa per gli altri. Parimenti a queste negatività strutturali, vi sono però alcuni aspetti positivi che Turner si preoccupa di porre in risalto, utilizzando un linguaggio puramente simbolico in grado di riunire gli opposti all’interno di un’unica rappresentazione. Ad esempio, l’utilizzo di capanne e tunnel può indicare contemporaneamente tombe, è vero, ma anche grembi; il rifarsi alla figura del serpente in muta evoca il processo di un essere che muore, ma anche il cambio della pelle, l’acquisizione di una nuova vita. Proprio per l’indeterminatezza della persona liminale, Turner ne sottolinea la peculiarità di poter essere «né questo e né quello e tuttavia è sia l’uno che l’altro»³⁴.

    L’importanza della liminalità risiede nel suo essere il punto di contatto con la totalità. In questo stadio individuo e gruppo possono ridefinire la struttura. Per questo motivo la liminalità è sacra e protetta da tabù, controllata dal rito perché operi in senso positivo, non distruttivo. Il rito guida il passaggio dalla struttura alla liminalità e dalla liminalità alla struttura, ovvero incanala il disordine dovuto alla situazione indeterminata per ricondurlo alla determinatezza della società. Il conflitto, dunque permette di ridefinire e confermare l’unità sociale.

    Possiamo quindi capire come, per l’autore, l’espressione del fenomeno liminale e quello relativo del dramma sociale sia la performance: fuori dal tempo, in uno spazio definito (e che definisce simbolicamente), non riservato alle comuni attività, l’indeterminatezza data dal trovarsi nel limen permette di far emergere sia i valori più profondi della società sia lo scetticismo proprio in rapporto a quelli stessi valori.

    Allo stesso tempo, il limen è per Turner il luogo in cui la cultura si scompone dei suoi fattori costitutivi, che sempre al suo interno si ricompongono in qualsiasi configurazione possibile, per quanto bizzarra³⁵.

    1.4 Riti di passaggio e ciclo del contatto

    Bemba, australiani, le giovani donne di Olimpia. Tutti questi individui hanno effettuato un passaggio di livello sociale anche per accedere a una nuova presa di coscienza del sé. Passare da uno status all’altro contribuisce non solo a una crescita nella comunità, ma anche e soprattutto a

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1