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Vicino a te
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E-book263 pagine3 ore

Vicino a te

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Info su questo ebook

«Se vuoi uscire con me, tutto ciò che devi fare è dirlo. Non ti lascerò mai.»
Ho aggiunto il nome di Sage alla mia lista annuale del rugby club sulle “donne off limits”, pensando di proteggerla dagli scimmioni con cui gioco. Durante la bassa stagione, Aspen è una cittadina piuttosto calma e le possibilità di avere un appuntamento sono pari allo zero. Non avrei mai pensato che sarei stato proprio io a infrangere le regole e a uscire con lei.
Anche se è tutto per finta. Anche se si tratta di una scommessa tra amici. Anche se è solo una scusa per passare più tempo con lei.
Niente più di questo.
Giusto?
***
Chi è che accetta di uscire con il proprio migliore amico dopo avergli appena servito un frullato verde? A quanto pare, la sottoscritta.
Ora, il dio del rugby sudafricano con lo chignon, mio vicino di casa, è il mio finto fidanzato.
Ho bisogno di ritrovare un po’ di sicurezza in me stessa dopo alcune pessime decisioni in fatto di appuntamenti. E chi potrebbe coccolare il mio ego meglio dello scapolo più sexy di Aspen?
È una situazione vantaggiosa per tutti.
Giusto?
LinguaItaliano
Data di uscita18 lug 2019
ISBN9788855310628
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    Vicino a te - Daisy Prescott

    Daisy Prescott

    USA Today Bestselling Author

    Vicino a te

    Un amore ad alta quota Vol. 1

    1

    Titolo: Vicino a te 

    Serie: Un amore ad alta quota Vol. 1

    Autore: Daisy Prescott

    Copyright © 2019 Hope Edizioni

    Copyright © 2016 Next To You by Daisy Prescott

    Published by arrangement with Bookcase Literary Agency. 

    ISBN: 9788855310628

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    Progetto grafico di copertina: Angelice Graphics

    Immagini su licenza Depositphotos.com

    Fotografo: Gstockstudio  | Cod. immagine: 175619252

    Fotografo: SergeyIT  | Cod. immagine: 6217564

    Traduttrice: Barbara Cinelli

    Editor: Cleo

    Impaginazione digitale: Cristina Ciani

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale. 

    Nessuna parte della presente pubblicazione può essere riprodotta, archiviata o introdotta in un sistema di ricerca, o trasmessa in qualunque forma e con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro) senza previa autorizzazione scritta dal detentore del copyright del presente libro.

    Questo libro è riservato a un pubblico adulto. Contiene linguaggio e scene di sesso espliciti. Non è adatto a lettori di età inferiore ai 18 anni. Ci si rimette alla discrezionalità del lettore.

    Tutti i diritti riservati.

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Epilogo

    Ringraziamenti

    Biografia

    Hope edizioni

    Alle mie lettrici,

    che si sono innamorate dell’affascinante barista con lo chignon.

    Capitolo 1

    1

    STAN

    Sento lo schianto di osso contro osso ancor prima che il dolore si irradi dalla caviglia, e poi crollo a terra in preda all’agonia.

    La montagna è stata ufficialmente chiusa tre settimane fa, ma provate a dirlo a un branco di rugbisti selvaggi che si credono invincibili. Niente può fermarci né abbatterci, una volta che ci prefiggiamo di fare qualcosa.

    Niente ski-lift? La scaleremo fino in cima con indosso gli scarponi e gli sci legati agli zaini. E se la neve ha la consistenza di un margarita ghiacciato? È comunque neve. Neve significa sciare o fare snowboard non appena possibile. Chi se ne frega se ci sono rocce che spuntano e zone scoperte. Sii uomo. Sciaci sopra.

    L’ironia della cosa è che sono riuscito a scendere senza problemi. Dopo essermi tolto gli scarponi da sci, mi sono infilato quelli da arrampicata. Quelli hanno un’ottima trazione. 

    Trazione che non mi ha impedito di inciampare su una roccia e cadere dritto sul sedere.

    Un cavolo di sasso.

    Non un macigno.

    Quella dannata cosa era allentata per via dello scioglimento primaverile. Si è mossa e sono scivolato.

    Dritto contro la parte inferiore di un tronco d’albero.

    Il mio ego e il mio orgoglio giacciono nel fango, mentre quegli stronzi dei miei compagni di squadra stanno ridendo di me. «Com’è essere buttati giù da Golia?» chiede Logan tra sbuffi di risate. «Ora sai come ci sentiamo tutti noi quando ci troviamo davanti a te sul campo.» 

    «Vokkof.» Prendo un profondo respiro e faccio leva sulla gamba sinistra per alzarmi. Va bene, non è così male stare di nuovo in piedi. Sentendomi spavaldo, testo l’altra caviglia.

    «Vokken kak, naai, vok, moerskont.» Lancio una tempesta di imprecazioni in afrikaans.

    Stelle, strisce, triangoli e un vortice di dolore mulinano dietro i miei occhi quando provo a poggiare il peso sul piede destro.

    «Impressionante imprecazione, Barnyard.» Dannato Easley, crede di essere spiritoso a storpiare il mio cognome, Barnard, in quello stupido nomignolo del tutto privo di originalità.

    «Ek gaan vir jou n poesklap gee.» Minaccio di schiaffeggiarlo a morte. «Thula man

    «Almeno non hai colpito l’albero con la tua bella faccia. Pensa a tutti i soldi che avresti perso.»

    Sì, ho una bella faccia. Fammi causa. O meglio ancora, lamentati con i miei genitori. È colpa dei loro geni. E poi, anche se gioco a rugby da anni, non mi sono mai rotto il naso né ho cicatrici.

    Non mi dispiacerebbe averne una, però, per la reputazione. Direi alla gente che me la sono guadagnata in una rissa dove volavano coltelli o a seguito di un incontro con uno squalo. Qualcosa per rafforzare la mia immagine di belloccio.

    «Lee, stai bene? Sembri un po’ verde.»

    «Onestamente, penso che ora vomiterò.» Vokken kak. Porca merda.

    Logan fa un passo indietro, scivola nel fango e cade sul culo. Bene.

    «Ascoltate, qualcuno di voi mi accompagna in ospedale?»

    «Non ce la fai a camminare?» Easley mi consegna una delle mie racchette da sci.

    Non è una stampella, ma mi dovrà bastare. Logan ed Easley prendono la mia attrezzatura e mi seguono, mentre zoppico giù per il piccolo pendio fino al parcheggio.

    Trovo le chiavi nello zaino e le lancio a Logan.

    «Vuoi direi che mi lasci guidare la Rover? Sei sicuro di non aver battuto la testa?»

     «Sarò sul sedile dietro, ti osserverò e valuterò ogni tua mossa.» Apro la portiera posteriore, dietro il sedile passeggero, e salto goffamente dentro, cercando di non sbattere la caviglia contro qualcosa. Lo scarpone sempre più stretto mi dice che si sta gonfiando rapidamente.

    Logan guida come una vecchia signora, mentre Easley gli rompe le palle in veste di co-pilota. Ogni svolta e ogni sobbalzo, nel breve tragitto da Buttermilk all’ospedale, mi spediscono fitte dolorose lungo la gamba.

    Spero quasi che si tratti di una frattura e non di un legamento lacerato o di una distorsione grave. Le ossa guariscono meglio e più velocemente.

    Come potrei allenarmi per la stagione estiva di rugby se non dovessi riuscire a camminare?

    * * *

    Dato che è l’inizio della bassa stagione, l’ospedale è tranquillo per essere un mercoledì. Il nostro gruppo è piuttosto noto da queste parti per le contusioni, i graffi e le spalle dislocate che ci procuriamo durante il campionato di rugby. Essendo una località sciistica, ossa rotte e legamenti strappati sono eventi comuni per i medici del pronto soccorso.

    Mando via i ragazzi mentre aspetto visita e radiografia. Non c’è bisogno che mi gironzolino attorno come mamme chiocce. Uno di loro lascerà la mia auto nel garage del condominio. Anche se mi sono solo slogato la caviglia, non sarò in grado di guidare per un po’. Forse mi daranno dei grandiosi antidolorifici e non me ne preoccuperò nemmeno.

    Tre ore dopo esco con un grazioso stivaletto nero, il peggior paio di stampelle di sempre, una ricetta per gli antidolorifici e l’ordine di tenere la caviglia a riposo per sei settimane.

    Numero totale di ossa rotte: due. Senza contare la microfrattura del perone. Ma quello non supporta il peso corporeo. Ho già giocato pur avendo delle microfratture.

    Sono Golia, abbattuto da una roccia.

    L’ospedale chiama un taxi per me. Si presenta Darren il Fattone, e quando apre la portiera laterale del minivan per me, ne esce una nube odorosa di cannabis e patchouli.

    «Grazie, D.»

    «Amico, cos’hai fatto?»

    «Mi sono rotto la caviglia.»

    «Sciando?»

    «Più o meno.» Guardo fuori dal finestrino le montagne brune e i pioppi spogli. Tecnicamente non è estate: la prima settimana di maggio è più vicina all’inverno qui, sulle Montagne Rocciose. Cavolo, potremmo sciare di più se arrivasse una pazza nevicata a giugno o luglio. È già successo che nevicasse il 4 di luglio.

    Sono accadute cose anche più strane.

    Darren si offre di passare in farmacia per ritirare i miei antidolorifici. Il Vicodin che mi hanno dato al pronto soccorso funziona bene, ma presto l’effetto svanirà. Mi dà anche un po’ di sonnolenza. Sento le palpebre pesanti, quindi chiudo gli occhi mentre lo aspetto nella macchina calda.

    Dovrei chiamare mia madre per farle sapere che mi sono fatto male, ma che sto bene. 

    Però poi si preoccuperebbe pensando che sto mentendo, come quando all’università mi sono procurato una commozione cerebrale e le ho detto che era solo una ferita superficiale. È volata a trovarmi il giorno dopo.

    Ed è un lungo volo da Città del Capo ad Aspen.

    L’ho sentita qualche settimana fa per il suo compleanno, quindi le devo una chiamata.

    A mio padre non importerebbe. Mi direbbe di temprarmi e lavorare di più. Se mai dovesse rispondere al telefono. Altrimenti la sua segretaria, simpaticamente, mi invierebbe una cartolina con una firma falsificata, che arriverebbe con settimane di ritardo.

    Non ne vale la pena, anche se è a Chicago invece che a mezzo mondo di distanza.

    Mi sveglio con un sussulto e un po’ confuso, quando Darren mi getta in grembo il sacchetto con le prescrizioni.

    «Dovresti prendere in considerazione l’idea di diventare un’infermiera, Darren. Sei davvero portato a provare empatia con i drammi e le sofferenze della gente.» Mi rizzo a sedere, dimenticandomi della caviglia fino a quando il dolore non mi ricorda perché sto facendo un pisolino nella parte posteriore del suo minivan.

    «Perché pensi che abbia guidato un taxi in tutti questi anni? Per i soldi? No, perché amo le persone. A-m-o, amo tutti.»

    «Tu ami le mance e i soldi, come me. Credi che voglia fare cocktail sofisticati per tutta la vita?»

    «Pensavo fossi una celebrità.» Darren mi fa un sorrisetto dallo specchietto retrovisore. «Atleta, modello, rampollo.»

    Aggrottando la fronte al termine rampollo, sposto accidentalmente la caviglia con una smorfia di dolore. «Hai letto di nuovo i miei comunicati stampa. Sono lusingato.»

    Mio padre, che è anche il mio ex manager, diffondeva comunicati stampa nello stesso modo in cui altri genitori inviavano lettere a Natale per vantarsi di ogni banale traguardo raggiunto dai loro figli nel corso dell’anno. Solo che i suoi erano più impersonali e pieni di mezze verità esagerate. In uno ha sbagliato la mia età di due anni.

    Questo suo vantarsi ha subìto un rallentamento quando ho scelto di andare all’università invece di giocare a rugby da professionista. I comunicati stampa si sono interrotti più o meno nello stesso periodo in cui mi sono trasferito ad Aspen.

    C’è una ragione per cui vivo qui tutto l’anno. In realtà ce ne sono molte, ma quella che riguarda mio padre è che lui odia le montagne. Odia ogni cosa: il freddo, l’altezza, l’aria tersa. Le strade sono troppo ventose, i voli troppo turbolenti e gli hotel di livello troppo basso. Lui preferisce guardare il resto del mondo dall’alto, senza essere intimidito dalla natura. Lamentele, lamentele, lamentele.

    Se questo lo terrà lontano, vivrò qui per sempre.

    Quando arriviamo al mio appartamento, vedo la Rover parcheggiata davanti al garage. Quelle teste vuote non sanno seguire delle banali indicazioni.

    La neve leggera comincia a cadere mentre scendo dal sedile posteriore con le stampelle e la borsa della farmacia. Ringrazio Darren per il passaggio e gli do una mancia extra. Non importa quanto affermi di amare le persone, quest’uomo se la cava a malapena.

    Si dice che viva in una roulotte nella valle. Probabilmente è una sua scelta. Potrebbe essere un accumulatore milionario o qualcosa del genere. Sono successe le cose più strane a Woody Creek, ex casa di Hunter S. Thompson. Ed è tutto quello che c’è da sapere sulla zona.

    Sto pensando a tutte le droghe di cui probabilmente Hunter si è fatto durante la sua vita. Mi chiedo come faccia sentire il peyote. O l’LSD. O i funghi. O la cocaina.

    Lavorando come barista in un hotel di fascia alta ho visto un sacco di cose. Alcune inimmaginabili per la maggior parte delle persone. Offerte di droghe sintetiche, sesso, inviti a fare sesso a tre, a quattro, orge in piena regola, proposte per fare il mantenuto o essere portati a Dubai. È pazzesco ciò che la gente pensa che i soldi possano comprare. Tutto e tutti hanno un prezzo.

    Wow. Sono davvero fatto e filosofico in questo momento.

    Musica ad alto volume proviene dall’appartamento della mia vicina. Mi accosto al muro tra le nostre porte, appoggiando la spalla sul rustico rivestimento di legno. La trama ruvida mi affascina, quindi passo la mano sopra i dossi e i nodi. La stampella scivola via dalla mia presa, sbattendo contro la porta.

    La musica si ferma e sento dei passi avvicinarsi. Perché c’è qualcuno dentro casa mia? Prendo le chiavi, lasciando cadere l’altra stampella. Ora mi sostengo su un piede solo, con la testa appoggiata all’uscio e la spalla allo stipite, e quasi cado in avanti quando la porta si apre.

    «Sage? Cosa stai facendo a casa mia? Mi stai rubando di nuovo i biscotti?»

    La mia bella, eterea vicina della porta accanto indossa pantaloncini da yoga e una felpa ampia che le lascia una spalla scoperta, rivelando l’assenza di una qualsiasi traccia di reggiseno. Per esserne certo lascio che il mio sguardo si fissi sotto la sua clavicola.

    Niente reggiseno, ma il materiale è troppo spesso per vedere qualcosa in più della piccola sagoma del suo seno. Dovrò levare di mezzo il tessuto per dare un’occhiata. La mia mano si solleva e la guardo muoversi verso la scollatura, come se stessi vivendo un’esperienza extracorporea.

    Forse è così. Sage e io viviamo l’uno accanto all’altra da due anni. È una delle poche amiche donne che ho ad Aspen con cui non sia andato a letto, o che non abbia tentato di sedurmi. Potrei anche dire che è una delle poche amicizie che ho qui. Punto.

    Un lieve colpo di tosse e una mano gentile sul mio braccio mi fanno fermare.

    «Ehi, Stan. Alza gli occhi. Sei fatto?» Si avvicina, ma inciampa su qualcosa. Guardando in basso, chiede: «Cosa sono, stampelle?»

    Sbatto le palpebre un paio di volte. «Stampelle?»

    Quando si china, vedo chiaramente sotto la sua maglietta e ho la conferma che di sicuro non indossa un reggiseno. Però il movimento è troppo veloce perché io possa avere qualcosa in più di un piccolo assaggio.

    «Lee?»

    «Mi chiami sempre Stan, non Lee.» Mi concentro sulla sua faccia. La sua fronte è corrugata e le labbra increspate.

    «Stai bene?» Mi piace la sua voce. È dolce e ha un marcato accento americano del Midwest. Credo.

    «Mi piace il tuo accento.»

    «Nessuno ha mai detto una cosa del genere dell’accento del Midwest. Vieni dentro.»

    «Mi sono rotto la caviglia.»

    Le sue braccia sottili mi avvolgono la vita. «Lo vedo dal tuo stivale. E questo spiega le stampelle. L’ospedale ti ha mandato a casa da solo?»

    «Non ho guidato. Darren mi ha dato un passaggio a casa. Landon ed Easley hanno parcheggiato la mia auto nel vialetto d’accesso, anche se gli avevo chiesto di metterla in garage. Fanno abbastanza schifo come amici.»

    Lei ride. «No comment.»

    «Perché sei uscita con Landon? Non va bene per te.»

    «Vieni dentro.» Un po’ mi tira un po’ mi spinge verso la porta aperta.

    «Non finché non mi dirai perché proprio lui.» Landon va bene come amico, ma è un donnaiolo e un coglione. «Non è abbastanza per te.»

    «Le hai già dette queste cose. Dov’eravate tu e il tuo brillante consiglio l’anno scorso quando sono uscita con lui?»

    Faccio un passo e ricordo lo stivaletto. «Ho bisogno delle stampelle.»

    Lei me le porge e io varco la soglia. Mi guida verso il piccolo soggiorno, sprimaccia dei cuscini posati sul divano e dà dei colpetti al punto dove dovrei mettermi. «Siediti.»

    Obbedisco ai suoi ordini autoritari. «Avresti dovuto chiedermi di Landon. Ti avrei detto che è un coglione.»

    «L’hai detto. Ripetutamente. Dopo che ha rotto con me.»

    Mi accascio sul divano e appoggio la caviglia dolorante sul bracciolo. «Hai bisogno di un divano più lungo.»

    «Sei divertente oggi.» Infila sotto il mio stivale un cuscino con una strana fantasia arcobaleno.

    «Sono strafatto. Mi hanno fatto delle punture in ospedale.»

    «Si vede.»

    Ricordo la borsa della farmacia. «Ho altra roba. Darren l’ha presa per me.»

    «Spero che tu intenda le prescrizioni mediche e non altre cose che Darren il Fattone potrebbe procurarti.»

    «Hai mai preso il peyote? Non ho mai provato droghe buone.»

    Con una risatina, si allontana di pochi passi verso il bancone della cucina e poi il lavandino.

    La guardo muoversi. È vokken aggraziata e bella. Landon è uno stupido idiota. «Perché sei uscita con Landon e non con me? Sono molto più bello e più buono di lui.»

    La felpa le scivola più giù dalla spalla mentre mi porta un bicchiere d’acqua.

    Allungo il braccio e tocco la sua pelle esposta. «È davvero morbida.»

    «Io, ehm…» Tossisce. «Ti serve qualcosa? Una minestra?»

    «Non sono malato. Ho un osso rotto.» Sollevo la gamba con lo stivale. «Ricordi?»

    Visto che lei è vicina e io sono curioso, le tocco la pelle della gamba per vedere se è morbida come la spalla. «Anche la gamba è morbida.»

    «Mi fai il solletico.» Ridacchia e si allontana. «Ti preparo un po’ di zuppa. Meglio che mangi qualcosa, con gli antidolorifici che hai preso. E chiaramente li hai presi.»

    Mi sdraio contro i cuscini. Da qui posso vederla muoversi nella sua piccola cucina. I nostri appartamenti hanno la stessa disposizione, solo riflessa al contrario. Il suo ha più l’aria di essere una casa. Il mio è arredato con i mobili che ho

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