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Pazza di te: Un amore ad alta quota vol. 2
Pazza di te: Un amore ad alta quota vol. 2
Pazza di te: Un amore ad alta quota vol. 2
E-book285 pagine3 ore

Pazza di te: Un amore ad alta quota vol. 2

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Info su questo ebook

Il mio salvatore non è il Principe Azzurro.
Non sono così fortunata.
Lui è il mio peggior incubo.
La mia avventura di una notte, di due anni fa.
E non si ricorda di me.

Quello che succede in vacanza non sempre resta in vacanza. E questo vale soprattutto per una località come Aspen. Mi sono trasferita tra le montagne per svolgere il lavoro dei miei sogni, come veterinaria. Non mi sarei mai aspettata di imbattermi nell’uomo dei miei sogni. Di nuovo.
***
Non avrei mai pensato di rivederla.
La mia Cenerentola non mi aveva lasciato nessuna scarpetta affinché la potessi ritrovare.
Non che mi sarebbe servita una calzatura per riconoscerla.
Il suo bacio è stato qualcosa che non dimenticherò mai.

Lavoro duro. Gioco duro. Vengo pagato per fare il mio dovere sulle piste, ma ciò che faccio nel mio tempo libero non è sempre... la scelta migliore. È questo il bello di vivere in una città sciistica. Io resto, mentre le donne vanno e vengono.
Pazza di te è una commedia romantica autoconclusiva ambientata ad alta quota.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ago 2019
ISBN9788855310697
Pazza di te: Un amore ad alta quota vol. 2

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    Anteprima del libro

    Pazza di te - Daisy Prescott

    Daisy Prescott

    USA Today Bestselling Author

    Pazza di te

    Un amore ad alta quota Vol. 2

    1

    Titolo: Pazza di te 

    Serie: Un amore ad alta quota Vol. 2

    Autore: Daisy Prescott

    Copyright © 2019 Hope Edizioni

    Copyright © 2017 Crazy Over You by Daisy Prescott

    Published by arrangement with Bookcase Literary Agency. 

    ISBN: 9788855310697

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    Progetto grafico di copertina: Angelice Graphics

    Immagini su licenza Depositphotos.com

    Fotografo: Gstockstudio  | Cod. immagine: 183863048

    Fotografo: Byheaven  | Cod. immagine: 7716617

    Traduttore: Paolo Costa

    Editor: Cleo

    Impaginazione digitale: Cristina Ciani

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale. 

    Nessuna parte della presente pubblicazione può essere riprodotta, archiviata o introdotta in un sistema di ricerca, o trasmessa in qualunque forma e con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro) senza previa autorizzazione scritta dal detentore del copyright del presente libro.

    Questo libro è riservato a un pubblico adulto. Contiene linguaggio e scene di sesso espliciti. Non è adatto a lettori di età inferiore ai 18 anni. Ci si rimette alla discrezionalità del lettore.

    Tutti i diritti riservati.

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Epilogo

    Nota dell'autrice

    Biografia

    Hope edizioni

    Alla mia famiglia del Colorado.

    Capitolo 1

    1

    MARA

    Mi sforzo di inspirare a fondo e con calma.

    Chiudendo gli occhi, cerco di immaginare il mio posto felice.

    La mia mente vaga per le montagne. Maestose cime frastagliate, coperte di neve.

    Pessima idea. Invece di rilassarmi, continuo a iperventilare.

    Mi serve un nuovo posto felice.

    Con gli occhi chiusi, posso giurare che qualcuno o qualcosa di grosso sia in piedi sul mio petto.

    Ascolto il suono del respiro pesante di un orso. Questo spiegherebbe la mia incapacità di respirare. Mentre resto bloccata e sdraiata su un cumulo di neve, col gelo che filtra attraverso i miei pantaloni da sci, un orso mi è salito addosso furtivamente.

    A essere onesta, ho sempre pensato che gli orsi, specialmente quelli selvatici, avessero un odore migliore.

    Non posso nemmeno essere Riccioli D’Oro nella mia versione distorta dei Tre Orsi. Figuratevi.

    Con un brivido, riesco a succhiare abbastanza aria nei polmoni da espanderli, portando ossigeno al sangue e al cervello. Avvertendo almeno il quaranta per cento in meno di probabilità di svenire, apro gli occhi.

    Non c’è nessun orso.

    Solo un ripido precipizio mortale che si estende sotto di me. Dare a qualcosa di così orribile il nome di un gioiello costoso è un terribile abuso di linguaggio. Una grande, immensa bugia creata apposta per ingannare. Double Black Diamond sembra il nome di un paio di bellissimi orecchini.

    Non una bianca e gelida bocca della morte.

    Scioccamente, guardo oltre i miei piedi ricoperti dagli scarponi ancora agganciati agli sci. Sotto di me c’è uno strapiombo coperto di neve e costeggiato da audaci sempreverdi. Niente di che.

    Sono sopravvissuta alla corsa tra la scarpata di basalto e la morte certa. Che sciocco da parte mia lasciarmi attirare dalla falsa fiducia che ripongo nella mia sopravvivenza verso una deliziosa panca di legno, appollaiata al limite della sicurezza, con vista sulla bellezza innevata del Monte Daily che brilla al sole come in una cartolina.

    Non dovrebbe esserci un’incantevole panchina da parco, se questa corsa fosse una pericolosa minaccia per la vita e per gli arti. Un posto in cui sedersi in genere implica sicurezza e comfort, un luogo in cui si riuniscono nonne e bambini. O vecchi che giocano a scacchi.

    Anche se, a volte, le persone sole vanno nei parchi a contemplare le loro vite e a ripercorrere tutte le scelte sbagliate che hanno fatto. In tal caso, la panchina sarebbe posizionata perfettamente.

    Se questo fosse un film potrei riavvolgere il nastro e tirarmi indietro dallo sciare oltre la sicurezza di una panchina. Potrei evitare di prendere un’altra decisione avventata.

    Continuiamo a riavvolgere il nastro fino a quando non riempio un rimorchio e saluto Boston. Un ultimo bacio al mio dolce e noioso ragazzo, Geoffrey, mentre ignoro le sue allusioni sul venirmi a trovare in Colorado.

    Cavolo, andiamo avanti e cancelliamolo del tutto. L’avido e insulso Geoffrey, amante della posizione del missionario seguita dal cucchiaio, che è quasi svenuto quando gli ho parlato della mia prima sterilizzazione di un gatto. Benedetto lui e il suo amore per l’optometria.

    «Gli occhi sono le finestre dell’anima» era solito dire. «Quindi questo mi rende un medico dell’anima

    No, Geoffrey, non è proprio così.

    È questa la parte in cui la vita mi passa davanti agli occhi?

    Mi serve qualcosa di meno deprimente a cui pensare.

    Mi torna in mente la discesa a picco.

    Così come gli arti spezzati, le costole ammaccate, il cranio rotto, la perdita di coscienza e le lacrime, tante lacrime.

    E valanghe. Pareti giganti di neve omicida che corrono giù per la montagna. Perché la morte è quello che succede nella natura selvaggia.

    È una lunga lista di cose orribili.

    Davanti a me, attraverso una valle scoscesa, c’è l’adorabile vista di una collina color ruggine. Una sottile strada nera si snoda lungo il fondo. Il vento freddo ulula nel canyon e fischia attraverso i rami spogli dei pioppi che abbracciano le colline. Alla mia destra c’è un boschetto di pini e neve profonda. Penso di arrampicarmi fin lì, scavare nella neve alla base di un tronco e andare in letargo fino a quando non riuscirò ad andare giù per la montagna, nel fango primaverile.

    Il rovescio della medaglia è che questo piano richiederebbe un qualsiasi movimento.

    Un paio di sciatori volano giù per la pista, spostando l’aria alle mie spalle e atterrando in soffici nuvole di polvere, prima di scivolare giù dalla Montagna del Destino in un flash di attrezzature da sci costose.

    Mi viene in mente l’immagine di una rana che attraversa un’autostrada a cinque corsie.

    Vi farò uno spoiler: per la rana non finisce bene.

    Splat.

    «Attenta!» grida la voce di un uomo da sopra di me, che è anche alle mie spalle.

    Penso che voglia mi sposti. Come se fossi finita nel bel mezzo del percorso di slalom alle Olimpiadi e avessi organizzato un picnic, tipo l’Orso Yogi.

    Quanto vorrei essere un orso felice e fortunato, con un cestino da picnic rubato. Ovviamente, ho gli orsi per la testa.

    Invece sono seduta qui preda di un attacco di panico su una pista da sci.

    Di questo ne sono più che sicura.

    Mi preparo all’impatto, sperando contro tutte le leggi della fisica che chiunque mi stia finendo addosso sia un bel tipo, robusto, intellettuale e amante degli animali, che mi prenda miracolosamente tra le braccia e scii giù per il resto della pista mentre si innamora di me a prima vista.

    Purtroppo non succede niente di tutto questo. Dopo il suo avvertimento il Signor Voce mi passa accanto senza guardarmi due volte.

    Osservo la linea degli alberi e rifletto sulle probabilità di fermarmi con successo, prima di tuffarmi tra gli alberi e finire con l’essere una storia d’avvertimento.

    Non indossava il casco, sarebbe la morale.

    In uno sforzo malriposto di reclamare un briciolo di dignità, mi aggiusto timidamente il cappello rosso acceso e bianco, con un pompon enorme in cima. Non è un’impresa facile mentre si indossano i guanti da sci.

    I miei sogni da coniglietta delle nevi sono distrutti e appoggiati in cima a un mucchio di altre sciocche fantasie che ho avuto nella vita. Tipo prendere la famigerata verginità di Nick Jonas quando ero al liceo. O essere improvvisamente in grado di sciare su una pista Double Black Diamond. O essere il tipo di ragazza da una notte e via, invece di uscire con i sicuri e noiosi Geoffrey di tutto il mondo. Niente di tutto questo è vero.

    Altri sciatori raggiungono la cima della discesa e volano verso di me in una serie di colori sfocati.

    Perché oggi ci sono così tanti sciatori che vogliono morire?

    Chi sono tutte queste persone?

    Anche se è un bel giorno per morire. Metri di candida polvere, dalla tempesta della scorsa notte, rinfrescano il manto nevoso con un bianco scintillante. Il sole splende in un cielo senza nuvole del colore degli zaffiri, grazie all’assenza di ossigeno in alta quota. Sono sicura che le persone che ansimano in cerca d’aria sull’Everest stiano pensando la stessa cosa.

    Un’altra pessima idea.

    Ricordare la percentuale ridotta di ossigeno accelera di nuovo il mio respiro.

    Il cuore mi batte più forte, creando un suono sibilante di sangue nelle orecchie.

    Fa improvvisamente caldo?

    Sento caldo.

    Potrebbe essere il sole cocente. Possibile.

    Quali sono i primi segni di ipotermia?

    Appoggiandomi all’indietro, faccio l’unica cosa che la mia insegnante di scienze della terra, la signora Roe, mi ha fatto giurare che non avrei mai e poi mai fatto. Fisso il sole pallido. Sto vivendo al limite, letteralmente. Cos’ho da perdere?

    Mi ricordo di essere seduta su un mucchio di neve e che la temperatura è sicuramente vicina ai trenta gradi Fahrenheit¹.

    Mi chiedo se ci arriverò mai, ai trenta.

    Altre persone impazzite sciano accanto a me, mentre inizio a scrivere il mio necrologio.

    Dottoressa Mara Keiley, laureata in Medicina Veterinaria, 28 anni, da poco di Snowmass Village in Colorado. Credeva stupidamente di essere sicura e abbastanza esperta da affrontare una Double Black Diamond, dopo anni di sci tranquillo: una combinazione a basso rischio di pendenze blu e verdi. Verrà pianta e giudicata per le sue pessime decisioni nella vita dai suoi genitori, Raymond e Sheryl Keiley, che hanno sempre desiderato un dottore in famiglia, uno vero che cura gli uomini, non un veterinario, e da suo fratello minore Todd, che gioca a calcio alle superiori ed è ancora il figlio preferito. Non era sposata, era single e portava una taglia 44 al momento della sua morte, ma non era vergine. La dottoressa Keiley verrà ricordata da due gatti e un cane di dubbia origine.

    Azzeccato.

    Sembra perfetto, come se l’avesse scritto mia madre. Cattura perfettamente la sua vaga, passivo-aggressiva delusione. Se solo lo sapesse, sarebbe entusiasta di sentire che i miei ultimi pensieri erano su di lei.

    «Ehi» grida un altro uomo da sopra di me. «Stai bene? Tu, col cappello rosso. Ehi?»

    La sua voce, profonda, risonante e il suo tono sicuro mi ricordano il narratore dei trailer di un film.

    Voltandomi per guardarmi alle spalle mi appoggio troppo a sinistra, spostando il peso del corpo e scivolando lateralmente in discesa. Nel tentativo di raddrizzarmi, sollevo la racchetta da sci sinistra e la infilo nella neve.

    Geniale.

    Adesso sono con la testa in discesa e le gambe aperte ad aquila, in posizione akimbo. C’è un palo a pochi metri di distanza, ma sedersi per afferrarlo richiede muscoli più forti di quelli che possiedo. Avrei dovuto accettare il consiglio di rafforzare il mio baricentro.

    Non riesco nemmeno a pensare a quella zona senza rabbrividire. Do la colpa ai romanzi rosa di mia nonna che leggevo di nascosto da bambina. Il suo cuore tremò mentre Sir Reginald le accarezzava le pieghe morbide. Brividi. Una ragazza può imparare molte cose sull’amore e sulla virilità, leggendo quei libri di nascosto.

    Con il sole negli occhi non riesco a distinguere chiaramente la faccia di chi parla, ma riconosco la sua uniforme rossa e nera. Le croci bianche che decorano il petto e la manica.

    È della squadra di soccorso per sciatori.

    Grazie a Dio.

    «Sei ferita?» mi domanda.

    «Solo nell’orgoglio» mormoro nella giacca.

    «Qualcosa di rotto?» continua, come se non avessi parlato.

    «No, sto bene» alzo la voce in modo che possa sentirmi.

    «Non sembri star bene. Pensi di poterti sistemare e salire su? Arrampicarti fino a me?» Non riesco a vedere i suoi occhi dietro gli occhiali riflettenti, ma sono in grado di sentire il sorriso nella sua voce. Non capisco se sia amichevole o condiscendente.

    «Penso di essermi tipo incastrata qui dentro.» Con la racchetta rimanente indico gli sci che sporgono dalla neve ad angolo retto.

    «Questo lo vedo. Riesci a sganciarti dagli attacchi? Usa il grande, lungo bastone che hai in mano.»

    «Usa il tuo di grande bastone» borbotto mentre colpisco i ganci.

    Se lanciare un pesce in un barile è facile, arpionarlo dev’essere proprio il contrario.

    Fallisco.

    «Non è mai facile come sembra.» Fa un piccolo salto e scivola giù per la montagna come nella pubblicità di un deodorante maschile. O di una birra. Qualcosa di virile e liscio. Tipo i rasoi.

    È come in un dannato spot di rasoi, con le sue mosse leggere. Le sue gambe si muovono a malapena, mentre si volta.

    A circa un metro sopra di me, pianta un palo nero e oscilla fino a fermarsi a pochi centimetri dai miei sci. Senza aggiungere altro fa scattare entrambi i miei agganci. Uno sci decide di finire la corsa senza di me e scivola in discesa da solo. Non posso biasimarlo. Chiaramente non sono più divertente.

    Entrambi i miei piedi scendono verso il basso in un lento volteggiare verso sinistra, lasciandomi parallela al pendio e non più allargata come la modella di un piumino meno sexy del mondo.

    Per chiunque stia tenendo il punteggio da casa:

    Mara Keiley, uno.

    Montagna del Destino, cinque. O dieci.

    Ho perso il conto.

    Il mio salvatore raccoglie l’altro sci e me lo consegna, prima di recuperare quello che prova a fingere di non conoscermi. Mentre si fa strada verso di me, riesco a mettermi seduta.

    «Ecco qua.» Mette in salvo lo sci da me. «Pensi di riuscire a scendere?»

    Siccome indossa ancora gli occhiali somiglia a un astronauta o a un viaggiatore dal futuro. Tutto quello che riesco a vedere della sua faccia è il naso importante e quella barbetta scura che è a metà tra l’avere la barba e non radersi da un paio di giorni, meno di un hipster ma più di Ryan Reynolds. Dalla curva, immagino che il suo naso sia stato rotto almeno una volta. Mi chiedo se la frattura sia dovuta a una rissa o allo sport. Sorprendentemente non ha le labbra screpolate.

    Non so perché mi aspetto che siano screpolate. Le giornate trascorse al sole sulle piste mi farebbero sembrare una che vive nel passato, quando non c’erano balsamo per le labbra o crema solare. Scommetto che è un baciatore straordinario. Le sue labbra sarebbero incredibili, premute contro le mie.

    Gli uomini sono così fortunati.

    Ho sempre avuto un debole per le barbe. Da quando ho pomiciato con un tizio alla scuola di veterinaria.

    Sono la mia torta al cioccolato.

    Non riesco nemmeno a resistere.

    «Hai battuto la testa?» La sua voce profonda e tuonante si avvicina.

    Girando il collo, mi rendo conto che adesso è accovacciato accanto al mio fianco.

    «Dovresti indossare un casco. Non sono obbligatori, ma li raccomandiamo. Soprattutto se si ha intenzione di affrontare le piste più avanzate.»

    Accarezzo il pompon sul cappello. «Sto bene. Mi sono seduta prima di cadere.»

    «Mossa astuta.» Si alza per togliersi gli sci, infilandoli entrambi nella neve alle nostre spalle, e poi si siede accanto a me. «Quindi stai solo guardando il panorama?»

    «Mi mancava la panchina, ed è un bel panorama.» Mentre muovo il braccio, riesco a dargli una pacca sulla spalla. «Scusa.»

    «Tranquilla.» Infila gli occhiali sulla visiera dell’elmetto. «Io non consiglierei di passare del tempo su una pista da sci.»

    «Grazie.» Guardo dritto davanti a me. «Io non consiglierei nemmeno di averci un attacco di panico.» A quelle parole, il mio cuore riprende a correre.

    «È questo che è successo?» Una preoccupazione sincera cambia il timbro della sua voce.

    «Stavo bene fino alla cima di questo percorso. Sono sopravvissuta al percorso dell’estinzione assicurata con rocce da una parte e morte dall’altra. Credevo di essere al sicuro. Poi ho raggiunto la parte più alta di questa sezione e l’adrenalina è schizzata alle stelle. Non dovrei essere qui. Non sono questo tipo di ragazza.»

    Alza le spalle, divertito. «Che tipo di ragazza?»

    Il tipo di ragazza che noterebbe il calo della sua voce e il modo in cui le parole gli escono fuori suonando meno come una domanda e più come una lussuosa speranza. Mi chiedo se le donne creino falsi pretesti tutto il giorno solo per incontrare simpatici soccorritori sulla montagna. Quanto lontano potrebbero spingersi certe donne?

    In fondo. Andrebbero fino in fondo.

    Farebbero qualsiasi cosa per incontrare un ragazzo carino.

    «No, non quel tipo di ragazza. Sarei dovuta restare sulle piste blu. Mi sento a mio agio con il blu. È un bel colore. Il cielo, l’oceano, sono entrambi blu. E l’acqua, così come la neve.»

    Le sue spalle tremano. «Grazie per la lezione di scienze.»

    «Smettila di ridere di me. Potevo morire.»

    «Non sotto i miei occhi. Non ho ancora perso uno sciatore. Mi sono svegliato di buon umore questa mattina, quindi so che oggi non è il giorno in cui il mio record sarà infranto da una bella donna a cui piace rischiare.»

    Mi si scaldano le guance, ma lascio che il suo complimento scivoli via senza commentare. Fa tutto parte della danza tra la coniglietta delle nevi e lo sciatore? O mi sta distraendo con dei complimenti?

    Sta funzionando.

    «Immagino non ci sia un modo per allontanarsi da questa montagna che non coinvolga le parole Black o Diamond?»

    «Purtroppo soltanto uno. Hai bisogno dello slittino?»

    Cavolo, no.

    Chino il mento. Sento il gigantesco pompon del cappello che cade in avanti. «Può darsi.»

    «Ho un’altra soluzione.»

    «Implica ulteriori umiliazioni?»

    «No, certo che no. Posso portarti sugli sci fino alla seggiovia. Dovrai risalire per raggiungere il villaggio, ma avrai una scelta di piste verdi e blu fino a Fanny Hill. Oppure posso chiamare lo slittino…» Le sue parole svaniscono mentre afferra la radio legata al petto.

    Le immagini di lui che scia con me tra le sue braccia mi attraversano la mente. «Mi porteresti tu?»

    Fa uscire una risatina sorpresa. «Lo farei se necessario, ma penso che potrai sciare con il mio aiuto.»

    L’immagine di lui che mi solleva tra le braccia come se non pesassi nulla e di noi

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