Onore e sacrificio. Lucca, le donne, la Guerra del ’15-’18
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Anteprima del libro
Onore e sacrificio. Lucca, le donne, la Guerra del ’15-’18 - Simonetta Simonetti
Woolf
CAPITOLO 1. Alle donne d’Italia
Alle donne d’Italia senza alcuna distinzione sociale si chiede di non fermarsi a piangere gli uomini lontani, si chiede loro di mantenere la quotidianità in ogni modo possibile a prezzo di altissimo sacrificio, che le vedrà coinvolte in nuovi e sconosciuti compiti verso i quali si troveranno impreparate, impaurite ma decise a proseguire.
A partire dall’estate 1914 la prospettiva che anche l’Italia entrasse in guerra a fianco delle potenze dell’Intesa aumentò e confermò nel cuore dei nazionalisti l’idea che era giunta l’ora del compimento del fato nazionale. La popolazione ne sentiva i presagi e già si preparava ad affrontare giorni difficili che avrebbero colpito più duramente le parti deboli della società. Cresceva giornalmente il timore di non poter più reperire i generi alimentari, di dover limitare i consumi, e questo sentimento fu il primo a crescere e a indebolire gli animi. Già nell’agosto del 1914 si verificarono nelle città episodi spiacevoli di cattivo comportamento, che a Lucca portarono la Giunta comunale ad istituire prontamente una Commissione annonaria con il compito di vigilare sui mercati e sugli spacci di commestibili al fine di prevenire e reprimere quanto era accaduto agli inizi del mese. Un fatto increscioso, funesto di quanto sarebbe avvenuto e che «La Gazzetta di Lucca» aveva riportato sulla cronaca locale con un titolo di effetto: Contro i corvi affamatori del popolo
:
Contro i corvi affamatori del popolo
, non vi può essere azione più turpe e più delittuosa di quella che vanno compiendo taluni commercianti, grossi o piccini, quali si sono affrettati ad approfittare di questo momento critico per trarre infami guadagni da abominevoli speculazioni. […] Tutti abbiamo diritto di difenderci e di reagire […]. Sappiamo che il grano, specialmente quest’anno non difetta di noi, e che per conseguenza l’Italia può bene per nove o dieci mesi – più che sufficienti oltre ogni pessimistica previsione, a spazzare via l’uragano di sangue che si è abbattuto sul continente europeo – far fronte ai bisogni della sua popolazione. Erbaggi, polli e uova, di cui l’esportazione presso di noi era assai forte, rimangono ora entro le frontiere. Non è possibile quindi che i viveri debbono difettare o mancare¹.
I nazionalisti lucchesi che sostenevano l’intervento dell’Italia in guerra alzavano le loro voci e reclamavano la presenza italiana a fianco delle potenze dell’Intesa:
I partiti hanno avuto la chiara visione della situazione che si va formando e della missione che spetta all’Italia in questo momento supremo della sua storia e tutti si sono convinti che la neutralità non può perpetuarsi se non a danno irreparabile del nostro interesse e del nostro avvenire².
Poche saranno nella città le manifestazioni di piazza organizzate per lo più da studenti, mentre le discussioni e i confronti avvengono nei numerosi caffè del centro, luoghi tradizionali di incontri dove le idee si scontravano e si incontravano. I rapporti dei prefetti, intesi a sondare e a rilevare l’umore delle popolazioni, sono concordi nel constatare che non tutte le classi sociali hanno nei confronti della guerra lo stesso sentire. Contro la ferma ostilità verso la guerra degli operai e dei contadini c’è la posizione delle classi abbienti, degli industriali e dei professionisti:
[…] Arezzo, Siena, Pisa, Livorno e Massa Carrara ci restituiscono un’immagine quanto mai lineare degli umori che percorrevano e permeavano di sé la società toscana. […] solo le classi più evolute, […] le classi colte e quelle abbienti si dimostravano favorevoli ad una scelta giudicata indispensabile per appagare le aspirazioni e garantire gli interessi nazionali, ma poco propense a premere sul governo con manifestazioni pubbliche per affrettarne e condizionarne le decisioni. […] Mancano purtroppo – e non è mancanza di poco conto – le risposte di Grosseto, di Lucca e di Firenze, bloccate in sede o nella penna del potenziale estensore dal drastico intervento con cui Salandra pose termine, non appena ne fu informato³.
Nel novembre 1914 anche a Lucca verrà istituita una sezione della Trento e Trieste che si proporrà da subito come un’unità patriottica interclassista e organizzerà nel febbraio dell’anno seguente una prima importante manifestazione chiamando a Lucca l’irredentista Cesare Battisti. La componente clericale, contraria in un primo momento a schierarsi contro l’Austria cattolica, come i liberali fu propensa a seguire la politica giolittiana di neutralismo pur ritenendosi pronta ad intervenire: "se dovesse suonare l’ora", ed invitava la popolazione ad attendere con fiducia la decisione del Governo.⁴ L’umore del popolo era regolato dalla maggiore influenza delle diverse correnti, tra le quali la Chiesa aveva il peso più forte per il consolidato ruolo di guida e di sostegno che da sempre deteneva. Pur avendo inizialmente assunto una posizione neutrale verso la partecipazione alla guerra, anche i Parroci si rivolgevano ai fedeli esortandoli a non frenare lo spirito patriottico nel caso in cui il Governo avesse deciso per l’intervento. La Curia arcivescovile esortava i fedeli a cooperare religiosamente:
Oggi che l’Italia decide di affidare alle armi la rivendicazione dei suoi diritti […] noi cattolici siamo tutti al nostro posto, col cuore e col braccio, pronti agli ordini della Patria. Viva l’Italia⁵.
La sollecitazione del clero ebbe così una pronta risposta con la partecipazione dell’opera persuasiva dei parroci sia nella zona cittadina che in quella rurale, ed ebbe come primo risultato la formazione di comitati civili pronti e intenzionati ad unire le forze.
L’entrata in guerra dell’Italia venne festeggiata a Lucca in Piazza Napoleone con grande assembramento di gente, la piazza era gremita dalle più svariate umanità: studenti, professionisti, funzionari e cittadini, tutti quanti catturati da un comune spirito patriottico. Ma l’impatto della guerra portò anche al
Frantumarsi del movimento socialista lucchese. I problemi pratici posti dalla mobilitazione, la partenza dei primi scaglioni e la trepidazione dei successivi squagliano come presenza organizzata tutto il circolo socialista e la sua diramazione giovanile. […] Di fronte al fatto compiuto della guerra i dirigenti lucchesi del movimento socialista, umanitari per formazione e cultura, imboccano con pragmatismo la scelta di tamponare i disagi delle classi subalterne. […] In genere la scelta dei socialisti di Lucca sarà la scelta di tutto il movimento operaio organizzato nell’intera provincia⁶.
Tutto il territorio provinciale partecipava alla mobilitazione. Nelle zone rurali della vasta campagna lucchese, Capannori contava già da soli due mesi dell’entrata in guerra trentaquattro comitati su quaranta frazioni rurali, che operavano in stretta collaborazione con quelli cittadini. La provincia lucchese nelle sue diverse realtà sociali conseguirà negli anni di guerra risultati inaspettatamente lunghi e penosi oltre le previsioni, una fitta rete organizzativa che riuscirà a coprire e a contenere al meglio nuovi e vecchi bisogni. Tra i problemi che si resero ancor più urgenti ci furono quelli alimentari e la cura degli orfani e delle vedove dei soldati. La provincia fu efficientissima nel portare avanti un’opera capillare di interventi, cercando di rispondere a tutte le esigenze sorte per l’eccezionalità del momento, e di questo la storia locale ci è testimone.
La città di Lucca aveva da tempo tessuto una fitta rete di forme assistenziali che servivano a gestire la povertà di quella parte della popolazione bisognosa e che viveva in stato di miseria, occupandosi dei minori, delle donne e degli ammalati. Forme assistenziali gestite per lo più da associazioni e realtà clericali che cooperavano con altre similari di gestione laica. Con l’avvento della guerra la macchina assistenziale continuò a procedere arricchendosi di nuove forme, nate per l’eccezionalità del momento e portate avanti dalle associazioni preesistenti che ne cambiarono soltanto i nomi.
Arrivano a Lucca i nuovi contingenti di truppa, un battaglione di bersaglieri e due batterie di artiglieri; i primi si stabiliranno presso l’Istituto di S. Ponziano e i secondi nell’ex concento di S. Giuseppe. Comincia la requisizione dei locali che vedrà gradatamente la trasformazione degli usi originali a vere e proprie caserme improvvisate, e si sceglieranno di preferenza le scuole⁷.
CAPITOLO 2. Pane di guerra: anno 1914
Comincia così la lunga serie delle proteste, degli scioperi, delle accese rimostranze che avranno il loro culmine quando, nel 1917, l’animo degli italiani arrivò al massimo della sopportazione. Nel febbraio 1914 ci fu a Lucca una prima dimostrazione di protesta contro il rincaro del prezzo del pane e il Comune dovette ricercare una prima soluzione a quello che si prospettò un forte problema sociale.
[…] L’aumento del prezzo del pane ha provocato gravi malumori anche nei paesi industriali dei dintorni della nostra città. Infatti, ieri mattina gli operai degli stabilimenti di Ponte a Moriano, Marlia, Piaggione e Acquacalda si astennero in massa dal lavoro e vennero a Lucca per protestare contro l’aumento del pane. Le autorità avevano predisposto un largo servizio d’ordine, la Prefettura, il Municipio, la Manifattura dei Tabacchi, i Molini Giurlani e Lazzareschi erano custoditi da truppa, carabinieri ed agenti di P.S. Verso mezzogiorno malgrado la pioggia, una folla di operai, circa 1500 persone, in gran parte donne e fanciulli, si recò alla Manifattura tabacchi per tentare di far uscire le sigaraie.
La forza pubblica impedì il contatto con il personale della Manifattura e l’uscita delle sigaraie non avvenne.
Allora i dimostranti incaricarono una commissione di recarsi dal Sindaco e dal Prefetto, Commissione che fu condotta da Adolfo Frediani, membro della Commissione Annonaria. Il Sindaco ricevette la Commissione e coadiuvato dall’Ass.re Silvestrini riuscì a calmare i componenti di essa e promise di togliere alcune irregolarità nel servizio del pane municipale e di rivolgersi al Governo per avere delle partite di grano a vantaggio della popolazione. Recatasi alla Prefettura la Commissione ebbe altre assicurazioni per modo che dopo un breve discorso del Frediani alla folla, tutto finì senza incidenti e senza tumulti.
In conseguenza di questa protesta il Comune di Lucca decise di provvedere ad un ulteriore acquisto di grano e alla creazione di un Consorzio Granario. L’intento dell’amministrazione comunale sarà quello di arginare almeno in parte gli effetti della forte crisi nel mercato dei grani, pertanto nella seduta di Giunta del dicembre 1914 addivenne alla decisione di effettuare l’acquisto di farina e di determinare i criteri da seguire per la fabbricazione del pane:
[…] Ritenuto che non sia sentito il bisogno di una immediata larga azione, ma che convenga invece avvisare ai più opportuni provvedimenti per avvicinare, per quanto è possibile, il beneficio del pane a un prezzo modico, alle classi più disagiate. Delibera di entrare in trattative con una o più fornai a seconda del bisogno, i quali si obblighino di fabbricare uno speciale tipo di pane, completamente impastato con farina di marca B, che cederà loro il Comune, ben lavorato e ben cotto in conformità delle istruzioni che verranno loro impartite, contrassegnato con un bollo speciale; e di metterlo in vendita al prezzo medesimo per il quale verrà loro ceduta dal Comune la quantità di farina corrispondente per la produzione. Il Comune si riserba di effettuare la necessaria vigilanza sulla fabbricazione e sulla vendita del pane di cui sopra.
L’osservanza delle regole non venne sempre tenuta di conto. Alcuni forni non acconsentirono a farsi carico di quanto previsto dal Comune e si sparse la voce in città che la farina acquistata da parte del Comune fosse umida e di cattivo sapore. A questa insinuazione rispose sulla stampa il Consigliere comunale Cecchini sostenendo la non veridicità di quell’accusa in quanto la farina era tenuta nella chiesa di S. Nicolao luogo asciutto e sicuro ribadendo che si trattava di una miscela di ottima qualità.
L’argomento pane
sarà oggetto di discussione della Giunta comunale anche negli anni a seguire con frequenza e sarà riportato puntualmente dalla stampa locale.
Nel gennaio 1915 il Comune dette inizio alla vendita del pane di guerra indicando il forno cittadino che ne avrebbe fatto la vendita.
L’inverno del 1915 era stato molto duro, con tante nevicate e ghiacciate, anche i contadini cominciarono a sentirne il peso perché il raccolto del grano fu scarso e cominciava anche a scarseggiare la farina di castagne, grande risorsa alimentare per intere famiglie:
Manca il grano […] perché il raccolto fu scarso, mancano le patate perché furono comprate a buon prezzo da forestieri, molte famiglie hanno già terminato la scorta di farina di castagne, alimento di cui si fa oggi uso e consumo. Ogni persona ne consuma 105 chili all’anno e la popolazione del territorio è di circa 600 ab. che avendo pochi soldi non comprano certamente il grano⁸.
Nel mese di gennaio il Municipio lucchese aveva dato comunicazione alla cittadinanza di un nuovo provvedimento emesso per cercare di contenere il continuo rincaro del grano e il conseguente aumento del prezzo di vendita del pane.
[…] il pane ha subito anche fra noi un nuovo aumento di cent. 4 a kg, e così quello di prima qualità è stato portato a cent. 48 e quello di seconda a cent. 45. Si comunica pertanto che verrà fatta vendita del pane con farina acquistata da questo Municipio al prezzo di cent. 42 al kg. […] All’antico forno Quilici in via di Poggio si vende e si fabbrica pane di ottima qualità a cent. 42 al kg Coll’inibizione però di acquistarne non più di chili cinque a famiglia. […] Facciamo voti perché si provveda all’apertura di qualche altro forno non essendo uno solo sufficiente alle numerose richieste⁹.
Il Comune si rivolse ai principali grossisti e commercianti in grano e ai padroni dei Molini perché si mostrassero intenzionati a contribuire in quel delicato momento abbassando il prezzo per l’acquisto dei 4000 quintali di farina ma l’esito fu negativo.
I presenti alla riunione convocata in Prefettura gli industriali Giurlani, Lazzareschi e i fratelli Mandoli dichiararono di non essere in grado di concedere l’agevolazione richiesta essendo anche per loro impossibile una simile rimessa economica. La notizia di quella riunione venne riportata dalla stampa cittadina con articoli che esprimevano la contrarietà verso l’atteggiamento dei convocati e ne veniva, più o meno pesantemente, biasimato il comportamento.
Gli accusati di aver tenuto un atteggiamento