Doppio gioco. L’ombra dell’attore
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Gloria Deandrea, laurea magistrale in Architettura e specialistica in Scienze e Tecniche del Teatro. Affronta i diversi argomenti delle arti visive e, nello specifico, delle arti spettacolari con rigore ed osservazione scientifica, attingendo a continui riferimenti storici. L’autrice considera la storia del teatro come parte integrante alle pièce scritte, inserendola in parallelo all’interno dei testi, così da focalizzare l’attenzione dello spettatore al contesto.
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Anteprima del libro
Doppio gioco. L’ombra dell’attore - Gloria Deandrea
Sinossi
La vicenda si svolge nella contemporaneità, con brevi rimandi all’epoca medievale in cui l’Amleto è contestualizzato, e mette in luce l’incontro/scontro tra due attori che si relazionano per la messa in scena della pièce shakespeariana. Tali figure, di età diverse, differenti obiettivi sul teatro in generale e, nello specifico, sul mestiere d’attore, presentano una visione contrastante e conflittuale al tempo stesso, ponendo in evidenza amare riflessioni sulle difficoltà, trepidazioni, nervosismi, ma anche gioie, esultanze, trionfi, di un mestiere tanto complesso quanto transitorio. Nella vicenda sono presenti, in forte contrapposizione, la mutevolezza dell’allievo, evidente nei cambi di ruolo, quindi nell’assunzione, e successiva esposizione al pubblico di personaggi differenti, e la fissità del maestro, ancorato a un ruolo prestigioso quale l’Amleto di Shakespeare sa essere, e al suo personale, testardo e infantile senso di possesso del personaggio medesimo, che, con ostinazione, vuole mantenere fino all’ultimo, offrendo aridamente, al suo più giovane e prestante allievo, ruoli minori. Grazie all’evoluzione drammaturgica dei personaggi, la pièce presenta una trasformazione sostanziale nel momento in cui il maestro, successivamente a problematiche fisiche legate all’età, e alle considerazioni fatte tra attori, decide di abbandonare il personaggio amletico, svincolandosi da quest’ultimo per favorire sia il lavoro del suo paziente allievo, che la distensione cercata negli ultimi momenti di libertà a lui rimasti, coincidenti anche con la fine della propria vita. Per concludere, le considerazioni sul mestiere d’attore presenti nella pièce, e suddivise in tematiche rimarchevoli, quali: ruolo/personaggio, verità/falsificazione, aspetto esteriore/interiore (voce, gesto, trucco/emotività del personaggio), valore della parola, tragedia/commedia, ambiguità, trasformazione, metamorfosi, si presentano non solo come un’esposizione delle questioni prettamente spettacolari, ma come un caloroso omaggio rivolto agli operatori dell’arte per eccellenza: il teatro.
Il testo sopra descritto appartiene al genere dramma. È importante porre in evidenza il fatto che, all’origine del termine (la parola drama, utilizzata prima da Aristotele nella sua Poetica, poi da Orazio, nell’Ars Poetica, è coincidente con l’azione scenica), appartengono i tipi: commedia e tragedia. Di conseguenza, per una buona riuscita della pièce, gli attori sono tenuti a compiere azioni sceniche ben definite; a mantenere, quindi, linguaggio e gestualità leggeri, in contrapposizione a più gravi manifestazioni, utilizzando le loro capacità ironiche, graffianti e canzonatorie, necessarie a sostenere i temi citati, tipici del mestiere d’attore.
Personaggi del dramma dinamico
due attori in scena, maestro e allievo, interpreti di ruoli distinti
Nota preliminare
Per quanto riguarda le battute di parti dell’Amleto di Shakespeare, si è tenuto conto delle traduzioni incluse nei seguenti testi, riportati in ordine di pubblicazione:
William Shakespeare
Amleto
a cura di Goffredo Raponi,
con traduzione e note di Goffredo Raponi
1999, Edizione Elettronica, tratta da Progetto Manuzio, in www.liberliber.it
William Shakespeare
Amleto
a cura di Alessandro Serpieri,
con traduzione di Alessandro Serpieri
1997, Letteratura Universale Marsilio, Venezia
AAVV
CINQUE MODI PER CONOSCERE IL TEATRO:
WILLIAM SHAKESPEARE, Amleto
a cura di Vittorio Gassman e Luciano Lucignani,
con traduzione di Eugenio Montale
1962, Edindustria Editoriale, Roma
Il testo inglese adottato per la traduzione di Goffredo Raponi è quello dell’edizione curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare, The Complete Works, Collins, London & Glasgow, 1951-60, pagg. XXXII – 1370), con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare quello della più recente edizione dell’Oxford Shakespeare curata da G. Welles & G. Taylor per la Clarendon Press, New York, USA, 1988-94, pagg. XLIX – 1274). In conclusione, Goffredo Raponi riconosce d’essersi avvalso di traduzioni precedenti, in particolare della prima versione poetica di Giulio Carcano, di quelle del Baldini, del D’Agostino, del Lodovici, del Lombardo, del Melchiori, dalle quali ha preso in prestito, oltre all’interpretazione di passi controversi, intere frasi e costrutti.
Si rende noto, inoltre, che alcune delle parti prelevate dalle sopra citate traduzioni, hanno subito un ulteriore adattamento, in funzione della pièce.
Descrizione scena
Scena unica
Lo spazio è determinato dal vuoto del palcoscenico.
L’unico ambiente che compone la scena, individuata dai distinti spostamenti delle figure agenti, è il palcoscenico stesso, rappresentato nella sua essenzialità, e accessibile al pubblico con immediatezza attraverso la raffigurazione a vista degli elementi scenici in uso. Per una buona comprensione del testo, valorizzato dagli attori, si rende perciò necessario utilizzare tali elementi, di supporto agli attori medesimi, e non di ostacolo. Questi materiali si distinguono in:
oggetti di scena mobili e mai fissi, in modo da essere gestiti direttamente dall’attore, che dovrà trattare tali oggetti come elementi di potenziamento alle proprie capacità gestuali, di supporto all’azione scenica
luce diffusa, per evidenziare gli spostamenti degli attori agenti in scena
luce contenuta, concentrata sul singolo attore, nei momenti di recitazione di parti dei monologhi tratte dall’Amleto di Shakespeare
controluce, per l’esposizione al pubblico dei trionfi presenti nel prologo e nell’epilogo. Quest’ultimo uso della luce si presenta, inoltre, come metafora visiva di annullamento della figura dell’attore, in favore della sua ombra, che, nel caso specifico della pièce, offre un’ulteriore lettura, in rapporto alla duplicità dei temi dei trionfi e alla loro contrapposizione: Amore/Morte
parole, è possibile inserire, inoltre, cartelli e/o proiezioni con scritte o parole efficaci, di sostegno al testo e alla scena, possibilmente gestiti dall’attore.
La scena sopra indicata è pensata per potenziare il lavoro dell’attore, che non può essere compromesso da ambienti fastosi o barocchi, indicativi di altre forme teatrali. A tal proposito è importante porre in evidenza il fatto che la scena è, e dev’essere sempre di supporto all’attore, il quale saprà porre, nel modo più consono, l’attenzione sul testo teatrale, grazie all’uso appropriato della parola e del gesto.
Descrizione costumi
contemporanei e storici
I costumi, fondamentalmente contemporanei, è necessario che rispondano alle caratteristiche di adattabilità alla figura attoriale, perciò, devono presentarsi come supporto all’azione compiuta dall’attore medesimo, e non come ostacolo. Per quanto riguarda i personaggi storici, invece, è possibile stimolare la fantasia dello spettatore attraverso la realizzazione di accessori, dal forte valore simbolico, che caratterizzano visivamente e con immediatezza i personaggi stessi, enfatizzandone la personalità. Tali descrizioni permettono la distinzione tra:
costumi contemporanei neutri, possibilmente monocromatici. La caratteristica principale dei costumi è data dalla duttilità dei tessuti, che provoca una conseguente comodità nella vestizione dell’abito, entrambe doti necessarie per agevolare l’attore in ogni suo movimento. Tali qualità non possono dissociarsi dal trucco che l’attore stesso è tenuto ad eseguire, includendovi anche un’attenzione particolare alla capigliatura, rilevante per il completamento di ogni personalità presente in scena
costumi storici in sostituzione ai costumi di scena storici, nello specifico dell’Amleto e di alcuni personaggi della pièce shakespeariana: Ofelia, il primattore, il fantasma, ciò che determina visivamente ogni personaggio è il gesto compiuto dall’attore, il suo timbro vocale e l’accessorio; quest’ultimo si può distinguere tra un capo d’abbigliamento, es. cappello, mantello, guanto, ecc., o un oggetto: es. teschio amletico
giullare per quanto riguarda questa figura invece, inserita nella scena 4, prima che l’attore compia alcune acrobazie, è possibile caratterizzare il personaggio con l’esecuzione dal vivo di un trucco adeguato. Se necessario, tale trucco può essere integrato a una maschera stilizzata o al copricapo tipico, con sonagli.
Atto I
Prologo
Trionfo d’Amore
Il deuteragonista, illuminato da un unico faro, espone il trionfo d’Amore, solo, in proscenio, a sipario chiuso. L’attore si rivolge al pubblico, senza accompagnamento musicale.
Nb L’azione scenica è libera, a discrezione dell’attore. A tal riguardo, l’attore stesso può esporre il trionfo con registro narrativo, epico, o lirico, a seconda della sua personale interpretazione, alterando, se lo necessita, anche l’ordine dei periodi.
Allievo (presentazione al pubblico)
Di quest’arte transitoria son tenuto a presentare
i caratteri marcati e contrapposti
che noi attori ci apprestiamo a sviluppare
sul palcoscenico: è il mestiere degli opposti.
Qui vedrete ambiguità: falso, vero, e alcune gesta
parola, azione, voce, e la battuta che non ti entra in testa.
Dagli antichi, al medioevo, alle storie di corte
prendon forma, si delineano, relazioni cortigiane
con cui giochiamo a narrare la vita e la morte
d’imperatori, cavalieri, uomini veri e puttane.
Li offriamo a voi spettatori, sempre con Amore
di qualche svista, il difetto, non sia solo dell’attore.
Il regno della Notte dal buio ha generato
le due metà disgiunte dell’Uovo primordiale
che in separata sede, divise hanno formato
la Terra e il suo coperchio: il Cielo magistrale.
Con lui si garantisce continuità e coesione
del mondo è il fondamento, d’Amore, la passione.
Amore è tutto ciò che si volta come il vento
a chi concede toglie, a chi scosta rende
trasforma il pianto in riso, e riso fa il lamento
a tal punto compiuto: ci baratta, gioca e vende.
Quanto vale per noi la figura sì immortale,
di Amore, che Amor non si può dire, se non è tale.
Dal sogno al desiderio, dai poeti è innalzato
assunte, col prodigio, nella tradizione popolare
le sembianze dell’innocente bambino alato
con torcia o frecce, i cuori aspira ad infiammare.
Causa, poi, di ferite crudeli, bimbo apparentemente
è proprio in questo luogo, che s’indovina il Dio potente.
Non senza sua virtù s’acquista, o brama
e ciò dimostra qual sia il metallo finto o il vero
arte, scienza, sapere, onore, e fama
sempre col bianco, ben si conosce il nero.
Comprenderete come, noi attori, per essere immortali
seguendo il vivo Amore, spiegar vogliam le ali.
Il trionfo è una forma specifica di scrittura, il più delle volte non soggetta a versificazione, di matrice carnascialesca. Si sviluppa in epoca medioevale, all’interno di un periodo dell’anno specifico, quello del carnevale, con lo scopo di raccontare vicende realmente accadute, integrate a figure allegoriche, proponendo al narratore la formulazione di una critica cruda, alle volte grottesca, della società del tempo. Nel medioevo, i trionfi venivano solitamente composti in volgare da popolani, conoscitori della trasposizione da lingua parlata a lingua scritta. Nonostante esistano documenti storici che riportano esempi di trionfi dotti, quindi sottoposti alle regole di versificazione, e composti da letterati illustri, uno per tutti Niccolò Machiavelli (che però si può considerare un uomo del rinascimento fiorentino), i trionfi in genere presentano una struttura compositiva libera.
Atto II
Scena 1
Sul ruolo. Dialogo sull’assegnazione dei ruoli
Maestro: già presente in scena, espone una parte del monologo dell’Amleto di Shakespeare sulla morte del padre – atto I, scena 2.
Allievo: entra successivamente, iniziando un dialogo sull’assegnazione dei ruoli.
Nb Il maestro rimane seduto sopra una poltrona per tutta la durata della scena.
Nb Quando il maestro espone la ‘regola prima’, parla sempre col plurale maiestatis.
Maestro (luce sul protagonista, già in scena, seduto, pronto a recitare parte del monologo dell’Amleto – atto I, scena 2 – dalla traduzione di Serpieri; tra sé, senza volgere lo sguardo al pubblico, con flemma verbale e fisica)
Oh se questa troppo, troppo lurida, solida carne
potesse fondersi, sciogliersi e risolversi in rugiada.
Oh se l’Eterno non avesse fissato la sua legge
contro il suicidio. Oh Dio, Dio,
come consunte, stantie, viete e futili
sembrano a me tutte le usanze di questo mondo!
Schifo, oh schifo! È un giardino non sarchiato
che va in seme; cose marce e volgari
lo posseggono completamente. Che si dovesse
giungere a questo!
(s’interrompe, sfoglia qualche pagina del copione, poi riprende con prolungata pausa sul bisticcio iniziale: lurida/solida; con enfatizzazione delle espressioni declamatorie: oh, oh Dio; con sostituzione della parola: schifo/ribrezzo. Il termine ‘ribrezzo’ è prelevato dalla traduzione di Montale)
Oh se questa troppo, troppo lurida, solida carne
potesse fondersi, sciogliersi e risolversi in rugiada.
Oh se l’Eterno non avesse fissato la sua legge
contro il suicidio. Oh Dio, Dio,
come consunte, stantie, viete e futili
sembrano a me tutte le usanze di questo mondo!
Che ribrezzo! Oh che ribrezzo!
Allievo (entra, guardando il copione con superficialità) Era meglio ‘schifo’. (sollevando il capo, con enfasi, riprende la battuta) ‘Che ribrezzo! Oh, che ribrezzo!’ Vedrai che t’inceppi.
Maestro Quale modo rozzo, ordinario, a tratti privo di pulizia linguistica riesci ad utilizzare nelle tue espressioni. Come al solito dai fiato alle corde vocali, senza pensiero. Hai ancora molto da imparare. Ma almeno sei arrivato.
Allievo (con inchino) Son giunto teco, mio buon signor maestro.
Maestro Sei in ritardo. E anche questa costruzione non è corretta.
Allievo Notavo, guardando il copione, che ho la solita fortuna di rivestire più ruoli nella stessa, identica pièce.
Maestro (all’allievo, con forza) Non è una fortuna. È un onore! (tra sé) O si compone la frase con ‘buon maestro’ o con ‘signor maestro’. Questo inarrestabile uso barocco dei termini, per mezzo di una composizione caotica, indicante la necessità tra i più di voler vomitare addosso agli uni vocaboli senza controllo è assolutamente scorretto. Manca di ordine, organizzazione, orientamento, orecchio…
Allievo …ohèee! L’importante è che ci sia sempre e comunque la parola ‘maestro’.
Maestro Effettivamente, questo è il fondamento.
Allievo Comunque non è un onore. È una gran scocciatura. Vedi che la parola ‘schifo’, va meglio?! Indica la situazione che viviamo. Almeno, la mia.
Maestro ‘Schifo’ e ‘ribrezzo’ sono sinonimi. Regola prima: quando ci si abbandona alla ricerca incessante di varianti linguistiche, almeno che si trovino dei sinonimi redatti nella lingua in uso.
Allievo Come ‘schifo’ e ‘merda’.
Maestro No, merda no.
Allievo Perché no?
Maestro Perché