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Il petrolio di Alarico
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E-book273 pagine4 ore

Il petrolio di Alarico

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Il petrolio di Alarico: In un futuro non troppo lontano l'umanità - e precisamente quella che abita le terre a nord dell'Equatore - si trova ad assistere a un insolito e inspiegabile innalzamento delle temperature che, complice la siccità, sta mettendo a dura prova l'intero ecosistema. Come se non bastasse, in Italia si stanno verificando strani episodi che coinvolgono le donne in procinto di partorire e che, se generalizzati, potrebbero minare dalle fondamenta la sopravvivenza della specie umana. Nella penisola, però, l'attenzione dei cittadini è rivolta alla delicata situazione politica che si sta vivendo: la tanto invocata Secessione del Nord sta per essere attuata e sta portando con sé un'ondata di rivendicazioni indipendentiste mai vista prima; non più solo le regioni, ma piccoli comuni e perfino singoli quartieri chiedono di staccarsi dal governo centrale. Al Sud questo movimento rivoluzionario è capeggiato da Lello Capitani, ex professore e giornalista, attorno al quale si raccoglie un nutrito gruppo di accoliti. Sarà lui a muovere le fila di una trama intricata, capace di coinvolgere poteri forti e muovere straordinarie quantità di denaro, arrivando perfino a rintracciare il famigerato tesoro di Alarico... 
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2019
ISBN9788830616806
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    Anteprima del libro

    Il petrolio di Alarico - Rocco Donato Alberti

    cover.jpg

    © 2020 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 9788830616806

    I edizione digitale marzo 2020

    La pubblicazione del romanzo è stata curata da Roberta Alberti, sorella dell’autore.

    A te.

    Grazie per il grande insegnamento

    di vita che ci hai lasciato.

    Tua sorella Roberta

    Cap. 0

    La donna che non c’è

    Quando si ama solo se stessi si finisce per uccidere tutto ciò che ci circonda. E tutto ciò che ci circonda, una volta reso inanime, non può fare a meno di ucciderci.

    L’asse terrestre aveva leggermente ripiegato verso destra, ritornando verso lo zenit. Per le terre ed i mari di tutto l’emisfero nord iniziava una stagione intermedia: l’autunno. A partire dalla Groenlandia e poi man mano verso l’Islanda, le isobare andavano formandosi in un vasto e lungo quadrante fin verso il Mediterraneo, ove, le linee ideali dei punti di pari pressione venivano ricacciate continuamente a nord dall’Anticiclone delle Azzorre. Era inutile anche il continuo formarsi di perturbazioni atlantiche che, appena nate e non ancora forti, si infrangevano sdegnate contro il medesimo poderoso muro calorico. Nel bacino del Mediterraneo veniva così ad instaurarsi uno strano prolungamento dell’estate e un caldo sole, ormai usuale, irradiava un clima piacevole dalla Grecia fino all’est della Spagna, passando per lo Stivale… insomma su quella specie di stivale che conosciamo col nome di Italia. Anche a nord-est non v’erano sintomi dei primi rigori dell’autunno come avveniva ormai da millenni negli anni precedenti. Neanche a San Pietroburgo, che solo qualche anno prima, in questo preciso periodo, aveva visto imbiancare di neve i tetti dei propri edifici già per la seconda volta. Tutto questo era dovuto all’inarrestabile riscaldamento del Pianeta. Sì, insomma, dagli stessi umani che abitavano la Terra. L’immissione continua di anidride carbonica dovuto principalmente all’utilizzo di combustibili fossili, pur tuttavia in diminuzione dalla fine degli anni Dieci del XXI secolo, stava rendendo la Terra un pianeta problematico alla sopravvivenza di parecchie specie. Questo piacevole clima nell’Europa meridionale, prima di essere completamente spazzato via da un misero inverno, in questa stagione era sotto attacco da continue incursioni di bombe d’acqua e missili di grandine, ormai più che frequenti lungo i numerosi litorali di tutto il Mare Nostrum.

    Il clima piacevole induceva alla calma degli animi ma era ripetutamente scosso, al pari della meteorologia, da inspiegabili, continui, improvvisi e violenti disordini degli abitanti. La Russia aveva rioccupato le Repubbliche Baltiche, gli imprenditori della Germania Ovest finanziavano disordini per la ri-separazione dalla ex-DDR; in Francia le lontane periferie rivendicavano più potere rispetto a Parigi, riesplodevano i disordini e le banlieue in fiamme, provocate soprattutto da un’ondata xenofoba della destra; in Spagna la Catalogna aveva dichiarato l’indipendenza col consenso di Madrid e la Scozia s’era rassegnata a rimanere nella Repubblica Unita di Gran Bretagna, da anni orfana di regnanti capaci.

    Il tutto, che a prima vista può apparire un immane disordine, era comunque contenuto dai rispettivi governi i cui poteri centrali avevano la forza di controllare i processi che, manco a dirlo, rafforzavano le identità statuali… tranne nello Stivale ove stava dissolvendosi l’unità nazionale. Qui, più che di questioni politiche e storiche, era il malloppo che stava distruggendo il sogno romantico risorgimentale. Era l’interesse che stava dilaniando quel po’ d’amore che aveva tenuto insieme identità e comunità. E questo piccolo amore, o sentimento, o affetto che dir si voglia, si stava prendendo una strana rivincita sulle malvagie nature di quegli abitanti senza più vergogna e senz’amore. Su quelle persone inutili, perché vuote e così poco straordinariamente idiote, per dirla con la magica parola del Sommo poeta russo, stava calando un’oscura tenebra mai vista prima.

    Le prime ombre di questa nuova tenebra portarono sconosciuti disagi a tutte queste genti. E questo travaglio dei tanti era vissuto talmente male dai pochissimi puri di cuore da snaturarne le loro stesse candide nature. In varie città, per esempio, alcune brave persone che avevano vissuto una vita generosa e onesta, iniziarono a rubare. Altri, bravi imprenditori, iniziarono a non pagare le tasse né i dipendenti e c’erano addirittura alcune donne gravide che avevano desiderato per tutta la vita un bambino, che non riuscivano a partorire.

    In molte città, ad esempio in quella laggiù, Bergamo, c’erano delle cliniche in cui per settimane alcune puerpere erano ricoverate nei reparti di rianimazione in quanto non riuscivano a dare alla luce, in modo naturale, il proprio figlio. Molte di queste sale intensive erano state riconvertite in nursery per permettere al personale medico di intervenire perentoriamente in qualsiasi momento. Erano stati effettuati numerosi parti cesarei ma la percentuale di decessi dei bambini appena staccati dalla madre, e delle stesse madri, era enorme ed inspiegabile. Altre notizie ufficiali non v’erano tranne quei passaparola sui social che si ingigantivano di informazioni errate.

    In Italia, e solo in Italia, questo fatto, divenuto epidemico nonostante la sua drammaticità, non era ancora scioccante. Ma in Italia, dimenticavo, le coscienze erano oramai moribonde. Si attendeva, inermi e continuando a tirare a campare, l’aumento imminente di un altro paio di gradi della temperatura media atmosferica – mentre il continuo scirocco e l’anticiclone africano frantumavano ogni perturbazione fresca in via di formazione – a conferma che quella era l’ineluttabile sorte che attendeva quel malandato Stivale: il deserto.

    In una di queste neonursery una giovane donna, Chiara, tenta un sofferto riposo…

    Il sorriso plumbeo della donna prova con energia a sopprimere il proprio dolore. Trafigge l’oscurità di quella stanzetta d’ospedale messa là tutta per lei. Una sala di terapia intensiva arredata con strumentazioni spaziali e monitor che bippano ad intermittenza visualizzando grafici incomprensibili solo ai profani. Il sofferto sorriso della donna non è che un imberbe gesto tendente ad attenuare lo sferzante dolore che pervade quel suo corpo stanco e disteso. Quel corpo, unito come in simbiosi al lettino bianco, pare un’isola circondata da faraglioni.

    Quel corpo di donna è compresso dal peso di una bambina che sta per nascere ma che da quasi una settimana non vuol venire al mondo. È già scaduto il termine della gravidanza e si chiamerà Eva, ma per una ragione ancora incomprensibile a quella squadra di scienziati che presidiano notte e giorno quella nursery (ed altre nel Norditalia), Eva non vuole nascere. Chiara ha deciso di non farla venire al mondo in modo innaturale, accelerando ed agevolando il suo tempo con l’ausilio di un parto cesareo. Teme i rischi cui abbiamo accennato in precedenza, ed inoltre, per un motivo più profondo e a noi sconosciuto, la vuole benvenuta al mondo come i bimbi di una volta. Soffre, schiacciata dal quel dolce peso, soffocata dalla grandezza dell’ormai bimba, in silenzio materno. Come solo le donne sanno soffrire. Di un dolore che solo le donne-madri sanno sopportare. Soffrire senza un flebile lamento. Cercando di ingannare il proprio corpo, attenua il dolore immaginando che in quel montino che fa capolino dalla sua pancia v’è tutta la felicità dell’Uomo. E sorride imponendosi uno stato di gioia che irradia, inevitabilmente, espandendosi, in ogni angolo di quella stanza che puzza di medicinali e detergenti. Chiara sembra dire ad Eva: «Non scalciare così, non essere arrabbiata oltre ogni ragione. Vedrai il Sole, e di notte le stelle, amore mio.» A questo sta pensando Chiara quando viene sorpresa da un nuovo bip-bip, questa volta consecutivo, proveniente dal monitor che torreggia alla sua destra. Il suono digitale la ridesta da una immersione totalizzante, da un dolce abbandono in cui pare toccare la delicatezza di quel capo glabro, spelacchiato, come di un coniglio bagnato, e le sue carezze, nonostante a separarle ci sia tra loro ancora un brandello di pelle, paiono sfiorare quel capo anziché la sua pancia. Tutto ciò, e non è la prima volta, provoca in lei l’inesprimibile emozione di sentirsi madre. Quelle carezze fantasma, con cui ora pare sfiorare le guance di Eva, le fanno sentire qualcosa di unico; quelle carezze a quel capo che ora pare risponderle: «Mammina, non voglio saperne di venire al mondo: ho paura.» Bip-bip.

    Ora Chiara prova ad aprire le gambe e a sfiorarla la sua felicità e, per la prima volta, s’accorge fisicamente della paura di Eva. Della paura proveniente dalla piccola che è aldilà, di una paura che è come un rifiuto assoluto; poi tenta ancora di darle una carezza. Con le gote Eva sorride e Chiara risponde come se quella felicità proveniente da dentro di sé potesse veramente vederla. Poi, dopo un secondo, è consapevole che neanche oggi Eva verrà al mondo.

    Chiara sembra dire a Chiara: «Sono pronta, purché lei nasca.»

    Poi si risistema: tira su il lenzuolo, si asciuga qualche lacrima e sorride ancora. Stanno per arrivare gli infermieri per il controllo.

    Torna in faccia il suo volto di donna. Dolce dai lineamenti delicati e gli occhi grandi e azzurri. L’ovale pallido ed un sorriso preso in prestito dalla sua educazione.

    Cap. 1

    Strane nuvole nere

    «Guardala, non mi rivolge nemmeno un’occhiataccia. Perché cavolo si è portata dietro questo lestofante di un Big Jim a rovinare le mie poltrone in pelle di vitello? Ma sì, per ingelosirmi. Non sono state progettate per questo tipo di uomini-roccia indelicati, sono sedie da ufficio adatte a persone normali. I palestrati non si seggono mai, non si afflosciano come noi comuni mortali, gli uomini che non devono chiedere mai restano lì in piedi e in eterno come un sacco da box. Si allenano vivendo e riposano solo sotto la lampada abbronzante. Fatti non foste per viver come bruti… Gesummio, ma come ha fatto a presentarlo a nostra figlia? Ma sì, Jennifer l’avrà trovato figo e questo le basta; lei riguardo agli uomini è un tutt’uno con i gusti della madre. Guarda Adriano come mi osserva di sottecchi, è il solo che mi guardi in faccia. Dai parla!»

    E Adriano parla.

    «Leo, siete grandi e vaccinati ed io vi conosco bene, sono amico di entrambi ed è una fortuna per voi che il vostro divorzio lo gestisca io, soprattutto in un momento politico come questo, con la Secessione in corso: con leggi italiane che stanno per essere soppresse e con il vuoto legislativo lucano.»

    Serena sorride maliziosamente a Big Jim, che ricambia, hanno una voglia matta di fare innervosire Leo e pare stiano parcheggiati là solo per quello. Nuvoloni neri, oltre che dagli anfratti della mente incazzata di Leo, montano irreversibilmente da ovest. È un po’ strano per quell’autunno soleggiato, ma è la nuova stagione.

    «Adriano, tu oggi sei l’avvocato di mia moglie, anche se sabato ci vedremo come al solito al club. Ma questo, voglio dire il fatto che sei tra i miei migliori amici e che mi conosci almeno quanto me stesso, questo fatto è una cosa che mi preoccupa invece di rassicurarmi. Anch’io conosco te e so che non ci penseresti due volte, non esiteresti a fregarmi per gonfiare la tua parcella. So bene che per i soldi passeresti sul cadavere di tua madre come un rullo sull’asfalto. Tanto più con questa faccenda politica di smembramento dell’Italia in atto e con la legislazione in fase transitoria.»

    Sulla distesa pianeggiante, oltre i caseggiati della città, si spengono i residui fasci di luce del giorno, uno ad uno. In tratti continui e costanti, come l’acqua si dipana sulla carta assorbente; la velocità delle nuvole nere che ha già oscurato i boschi sulle colline di ponente, sta oscurando i pianori incolti che fanno da sponda al Basento. Ai loro lati, quelle valli pianeggianti sono selvatiche da anni, in attesa che la città le ingoi con i capannoni prefabbricati e i caseggiati. È con questi fremiti che il verde attende inerme il cemento. È come se quel verde-vita fosse consapevole della propria sorte, conscio da anni che si costruisce solo là, da lei, in pianura, perché è molto più economico e sicuro. La collina è stata già occupata palmo a palmo da tempo immemore e l’espansione ora è verso la povera valle. Contemplare quei poveri cristi di pianori, distesi al sole, è ancora molto piacevole per quelli dell’infausta città, ma le nuvole che stanno spengendo quel malinconico – destinato a morte certa – sfolgorio di verde lucente, atterriscono come un monito ineluttabile tutto quel mare di verzura predestinato. E quello svanire di luce porta via anche i residui luminosi che accendevano il cuore di Leo.

    «Leo, io sarò corretto con te, ma capisci benissimo che non posso essere dalla tua parte. Né avvocato di entrambi. Posso consigliarti un mio amico» a questo punto Adriano finge di fermarsi a pensarne uno, cerca di individuare un collega adatto, insomma fatto apposta per Leo per poi aggiungere: «Per esempio Gianluca è un ottimo divorzista; anche lui viene saltuariamente a giocare al club.»

    La figura di Serena è ancora illuminata dai raggi del sole morente. È più bella che mai. Ha i lineamenti definiti, aggraziati, di quelli che tratteggiano un profilo dolce, quasi inespressivo. Sembra che non pensi, come un quadro che si pone allo spettatore per essere ammirato. A Leo pare addirittura ringiovanita: truccata a modo e scoperta dappertutto con un vedo-non-vedo per eccitare il suo Big Jim. Dà l’idea però d’una donna superficiale e possibile. Leo sta pensando che deve farlo per forza la poverina, quell’esporre la sua merce, lui è molto più giovane di lei! E non lo pensa per giustificarla ma per disprezzarla… Poi ha un rinnovato moto di attrazione per sua moglie e riflette su quanto Serena gli piaccia ancora: non esiterebbe a prenderla a schiaffi quando fa la cretina così. Quella donna è talmente femmina che stenta ad apparirgli come la madre della sua Jennifer.

    Ritorna in sé e risponde ad un basito Adriano: «Ti ringrazio ma ciò già pensato. Mi sono rivolto a Cinzia.»

    Serena ha un sobbalzo, uno scatto improvviso che la fa declinare verso il cono d’ombra che ha appena penetrato l’ufficio, oscurandosi d’improvviso anche di rabbia.

    «Cinzia chi? Cinzia lei?»

    «Cinzia lei» ribatte serafico Leo, soddisfatto per averla tirata dentro al suo stesso livore.

    «Ma è mia cugina! La mia alter ego!»

    «Appunto, io gioco di rimessa cara. Come si vede che non mi conosci neanche un po’. Gioco a scacchi e quando mi capita un avversario pericoloso che deve fare la prima mossa, parto sempre copiando le sue mosse. È un vantaggio ricalcare le mosse dell’avversario, giocare a specchio, specialmente se è velenoso e fa mosse inaspettate. Hai mosso il cavallo? Muovo anch’io il cavallo.»

    «Sei il solito stronzo.» Leo ora gode di cuore. La osserva, ma in fondo con dispiacere perché la trova ancora più attraente; riflette perfidamente che se non lo fosse sarebbe un bel disastro: con tutto quello che gli fa spendere per la palestra, per la dieta, per il chirurgo e per le beauty. Tutto a carico suo, naturalmente, a carico dell’architetto Leo De Bello. Trova però, conoscendo i luoghi di quel corpo, che Serena si mantenga solo virtualmente giovane, come lo specchio di ciò che è lui stesso, del resto. Serena, come lui, impiega molto del suo tempo per apparire bella e giovane e a farsi desiderare. Nonostante tutti gli sforzi profusi però, a lui la vera età – quel bel corpo – non può del tutto celarla. Non si parlano più da anni. Poi comprende irrimediabilmente che sua moglie è stata sempre così, da quando l’ha conquistato: una civetta. E a lui piaceva un mondo la capacità seduttiva di lei che non lo faceva ragionare, la sua fisicità appariscente che lo mandava in visibilio e che lo ha fregato fin dal principio. Se era vero che Serena aveva usato quell’arma letale, lui si volle far bersaglio consapevole, centro di quei languidi dardi. Non sa quanto spende per i capelli, per tingerli continuamente e gabbare la ricrescita; per averli sempre così meravigliosamente mossi. Francamente non gli interessa da tempo. Quello che le invidia – in sostanza – è che Serena ha più di quarant’anni ed è ancora così giovanile, per lo meno esteriormente. Se non sapesse così perfettamente come è vuota, la desidererebbe comunque da matti. Ma anche a lui, oramai, piacciono le più giovani e fresche... Poi, mentalmente, la inonda di epiteti: Quanto sei vecchia mia cara. Big Jim da te s’aspetta solo di farsi mantenere per cornificarti… sai quante ne trova in palestra di pollastrelle? D’altronde anch’io ci vado per acchiapparne. Da quando hai chiesto il divorzio ti odio mia cara stronza, il tuo vivere è stato un continuo fregarmi, ma questa volta ti giuro che perdi, cara la mia vecchia.

    «Basta così ragazzi. Perfetto Leo, rimaniamo d’accordo così: faccio una ricognizione e ti mando i termini dell’accordo. Va bene? Non andrei avanti, sento nell’aria delle sensazioni spiacevoli.»

    «Fai tu, andate pure, ma ti prego, manda tutto a Cinzia, io non voglio veder nulla, quel che fa lei mi sta bene. Minaccia tempesta da ovest. Siete liberi di far ciò che volete. Io sono nelle mani di Cinzia. Adriano, tieniti in contatto con lei.» E si alzò, non per accompagnarli, ma per approssimarsi alla vetrata e scorgere quel nero avanzare nel cielo.

    «Tu mi darai tutto, non solo ciò che mi spetta, Jennifer è con me, mi aiuterà: tu hai già perso Leo.»

    Adriano tenta di frenare la donna che all’improvviso, sentendosi già liquidata, sembra aver perso le staffe: «Serena, dai…»

    «Questo è da vedere. In questi ultimi tempi non sono stato solo a guardare come ti godevi la vita. Ho preso le mie precauzioni, cara.»

    Con questa risposta Leo s’impone di mitigare i propri impulsi; più che sferzante è stato quasi affettuoso, in realtà vorrebbe cacciarli a calci come usurpatori. È imbestialito perché ricorda alla sua coscienza che: Mi tradisce, è da tempo che lo fa, e viene qui con il suo ed il mio amico a riscuotere il premio? A chiedermi la casa e il mantenimento per potersela spassare con Big Jim? Ed io dovrei andare a dormire sotto un albero o magari nella casa diroccata del paese? Quanto sei stronza Serena! Ti permettevo di tradirmi perché a me piaceva divertirmi, ma stattene zitta! Togliermi ciò che ho costruito col mio sudore no. Non ti permetterò di rovinarmi. Ti vuoi portare a casa l’Armadio e vuoi anche gestire il mio stipendio? Magari andartene in vacanza tutto l’anno, o con Jennifer a Londra… ma che bel programmino vivere alle spalle di un fesso che lavorerebbe per voi. Fortunatamente gli viene fuori solo una fredda ed educata chiusura.

    «Forza, adesso ho da lavorare, mi aspettano dei clienti.»

    «Ce ne andiamo di corsa da qui.» Poi rivolta al suo legale: «Che ti dicevo Adriano?» Serena pare calmarsi all’invito silente di Adriano. Poi con Big Jim escono in fretta, quasi correndo e tenendosi per mano. A Leo non resta che rubare, con un dolce sguardo, la totalità della schiena della sua donna come se perdesse per sempre qualcosa che gli appartiene ancora, che fosse veramente ancora sua nonostante tutto; nonostante l’alone che avvolge quella donna gli provochi un enorme disgusto.

    «Noi ci vediamo al club, sabato.»

    «Adriano, questa cosa non deve rovinare la nostra amicizia. Io farò tutto il possibile per non farmi fregare da te. Capito?»

    «Farò il mio meglio per tutti. Mi sentirò con Cinzia. Mi terrò in contatto con lei anche per un probabile accordo; ti prometto che non farò più parola del divorzio direttamente con te, tranne davanti al giudice. Manterrò un dialogo esclusivo con Cinzia e son certo che faremo in fretta, prima che entrino in vigore le nuove leggi della Lucania o del Sud. Risolveremo il vostro matrimonio con le leggi vigenti che saranno, per un po’, ancora in vigore dopo la Secessione. Ciao Leo ci vediamo sabato.»

    Serena e Big Jim sono ormai fuori dallo studio di Leo. «Ciao Adriano, salutameli tu quei due piccioncini.»

    «Ciao Leo, a sabato.»

    Leo ora è solo. È deciso a gustarsi l’avvicinarsi di quella specie di eclissi di nuvole appiccicando la fronte ai vetri del balcone in fondo alla stanza. Appoggia, con un riflesso irrazionale, la testa sul tiepido vetro in cerca di una calma interiore che stenta a levitare dalle sue viscere. Sbatte il capo un po’ di volte contro quella superficie trasparente; la serie di colpi gli provoca dolci dolori infantili e un alone di vapore che appanna la trasparenza del vetro, disegnando una ciambella irregolare, traslucida, dove il vuoto sta per la sua fronte.

    Non ci voleva questo divorzio adesso. Con tutto quel che ho da sbrigare di così delicato. Ma dico, che le costava aspettare la definizione della riorganizzazione politica? Il nostro governo lucano?.

    Bussano alla porta. Poi un tuono lontano pare replicare quello stesso rumore.

    «Avanti.» Cerca qualcosa nelle tasche vuote. Cerca affannosamente tra l’attrito delle fodere acriliche dei suoi pantaloni.

    Nel riquadro della porta compare Cristina, la sua assistente. Una ragazza giovane e molto carina, dallo sguardo intelligente e vispo. Appare subito seducente già nel vano appena aperto. Con lei Leo ha avuto ed ha incontri sporadici. Il loro primo contatto è tra i loro

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