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Opere 1886-1921
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E-book5.037 pagine78 ore

Opere 1886-1921

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Edizioni integrali

Tutte le opere freudiane della giovinezza e della piena maturità vengono qui proposte allo scopo di addentrarsi nella genesi e nell’evoluzione di un pensiero filosofico, psicologico e scientifico di rara e articolatissima complessità. Dalle prime ardite considerazioni di natura psicofisica sulle motivazioni profonde delle patologie nevrotiche e isteriche, fino ai più maturi approfondimenti delle dinamiche inconsce della psiche singola e collettiva, attraverso l’analisi dei processi della vita onirica, delle radici della sessualità, della psicopatologia quotidiana, e l’approccio all’interpretazione critica dell’arte, emerge un corpus unico, straordinariamente ricco di ipotesi e modelli scientifici. Sostenuti da un’ampia casistica, essi hanno rivoluzionato la cultura moderna e l’immagine consueta che l’uomo aveva di se stesso e, influenzando l’arte, la letteratura e la scienza, sono entrati prepotentemente a far parte non solo del patrimonio della psicologia, ma della nostra stessa esperienza quotidiana.

• Scritti sulla cocaina
• Scritti su ipnosi e suggestione
• Studi sull’isteria
• Il sogno
• L’interpretazione dei sogni
• Psicopatologia della vita quotidiana
• Tre saggi sulla sessualità
• Il motto di spirito
• I casi clinici
• Sulla psicoanalisi
• Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci
• Psicologia della vita amorosa
• Totem e tabù
• Metapsicologia
• Il Mosè di Michelangelo
• Al di là del principio del piacere
e altri saggi


Sigmund Freud
nacque a Freiberg, in Moravia, nel 1856. Autore di opere di capitale importanza (tra le quali L’interpretazione dei sogni, Tre saggi sulla sessualità, Totem e tabù, Psicopatologia della vita quotidiana, Al di là del principio del piacere), insegnò all’università di Vienna dal 1920 fino al 1938, quando fu costretto ad abbandonare l’Austria in seguito all’annessione alla Germania nazista. Morì l’anno seguente a Londra, dove si era rifugiato insieme con la famiglia. La Newton Compton ha pubblicato tutti i saggi in volumi singoli e la raccolta Opere 1886/1921.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854125612
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    Anteprima del libro

    Opere 1886-1921 - Sigmund Freud

    Indice

    Nota biobibliografica

    SIGMUND FREUD, OPERE 1886/1921

    Scritti sulla cocaina (1884/1887)

    Prefazione alla traduzione delle Lezioni sulle malattie del sistema nervoso di Charcot (1886)

    Osservazione di un grave caso di emianestesia in un isterico (1886)

    Isteria (1888)

    Scritti su ipnosi e suggestione (1888/1893)

    Prefazione alla traduzione delle Lezioni del martedì della Salpêtrière di Charcot (1892)

    Qualche indicazione per uno studio comparato delle paralisi motorie organiche e isteriche (1893)

    Il meccanismo psichico dei fenomeni isterici (1893)

    Le neuropsicosi di difesa (1894)

    Studi sull’isteria (1895)

    Ossessioni e fobie (1895)

    Opportunità di distinguere dalla nevrastenia una particolare sindrome con il nome di «nevrosi d’angoscia» (1895)

    Risposta alle critiche alla «nevrosi d’angoscia» (1895)

    Ereditarietà ed etiologia delle nevrosi (1896)

    Ulteriori osservazioni sulle neuropsicosi di difesa (1896)

    Sull’etiologia dell’isteria (1896)

    La sessualità nell’etiologia delle nevrosi (1898)

    Meccanismo psichico della dimenticanza (1898)

    Ricordi di copertura (1899)

    L’interpretazione dei sogni (1900)

    Nota autobiografica (1901)

    Il sogno (1901)

    Psicopatologia della vita quotidiana (1901)

    Il metodo psicoanalitico di Freud (1904)

    Recensione a I fenomeni psichici di coazione di Leopold Löwenfeld (1904)

    La psicoterapia (1904)

    Tre saggi sulla sessualità (1905)

    Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905)

    «Il caso di Dora». Frammento di analisi di un caso di isteria [1905 (1901)]

    Le mie opinioni sulla parte svolta dalla sessualità nell’etiologia delle nevrosi (1905)

    La psicoanalisi e l’accertamento dei fatti nei procedimenti legali (1906)

    Delirio e sogni nella Gradiva di Jensen (1907)

    Comportamenti ossessivi e pratiche religiose (1907)

    L’istruzione sessuale dei fanciulli (1907)

    Risposta ad un questionario sulla lettura e sui buoni libri (1907)

    Prospetto per la collana «Scritti di psicologia applicata» (1907)

    Il poeta e la fantasia (1908)

    Fantasie isteriche e loro rapporto con la bisessualità (1908)

    Carattere ed erotismo anale (1908)

    Prefazione a Stati d’angoscia nervosa e loro trattamento di Wilhelm Stekel (1908)

    La morale sessuale «civile» e il nervosismo moderno (1908)

    Teorie sessuali infantili (1908)

    Il romanzo familiare del nevrotico (1909)

    Osservazioni generali sull’attacco isterico [1909 (1908)]

    Prefazione a Psicoanalisi: saggi nel campo della psicoanalisi di Sándor Ferenczi

    «Il caso del piccolo Hans». Analisi di una fobia in un bambino di cinque anni (1909)

    «Il caso dell’uomo dei topi». Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (1909)

    Sulla psicoanalisi. Cinque conferenze (1910)

    Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (1910)

    Prospettive future della terapia psicoanalitica (1910)

    Significato antitetico delle parole primitive (1910)

    I disturbi psicogeni della vista nella concezione psicoanalitica (1910)

    Contributi a una discussione sul suicidio (1910)

    Lettera al dottor Friedrich S. Krauss su Anthropophyteia (1910)

    Due casi di fantasie patogene rivelate da nevrotici (1910)

    Recensione a Lettere a donne nervose di Wilhelm Neutra (1910)

    La psicoanalisi «selvaggia» (1910)

    Contributi alla psicologia della vita amorosa (1910-1918)

    Precisazioni sui due princìpi dell’accadere psichico (1911)

    Il significato della successione delle vocali (1911)

    «Grande è la Diana degli Efesini» (1911)

    «Il caso di Schreber». Osservazioni psicoanalitiche sul resoconto autobiografico di un caso di paranoia (dementia paranoides) (1911)

    Consigli di tecnica psicoanalitica (1911-1912)

    Modi tipici di instaurarsi delle nevrosi (1912)

    Contributi a una discussione sulla masturbazione (1912)

    Nota sull’inconscio in psicoanalisi (1912)

    Totem e tabù (1913)

    Prefazione a Il metodo psicoanalitico di Oskar Pfister (1913)

    Prefazione a I disturbi psichici dell’impotenza maschile di Maxim. Steiner (1913)

    Due bugie infantili (1913)

    La disposizione alla nevrosi ossessiva (1913)

    Osservazioni ed esempi desunti dalla pratica psicoanalitica (1913)

    Un sogno come mezzo di prova (1913)

    Materiale fiabesco dei sogni (1913)

    Prefazione a L’elemento scatologico negli usi, costumi, credenze e abitudini dei popoli di J. G. Bourke (1913)

    Il motivo della scelta degli scrigni (1913)

    L’interesse per la psicoanalisi (1913)

    Nuovi consigli sulla tecnica psicoanalitica (1913/1915)

    Psicologia del ginnasiale (1914)

    Falso riconoscimento (Déjà raconté) nel trattamento psicoanalitico (1914)

    Il Mosè di Michelangelo (1914)

    Storia del movimento psicoanalitico (1914)

    Introduzione al narcisismo (1914)

    Pulsioni e loro vicissitudini (1915)

    La rimozione (1915)

    L’inconscio (1915)

    Un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica della malattia (1915)

    Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (1915)

    Parallelo mitologico di una rappresentazione ossessiva plastica (1916)

    Sulla precarietà (1916)

    Una relazione tra simbolo e sintomo (1916)

    Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico (1916)

    Lutto e melancolia (1917)

    Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno (1917)

    Una difficoltà della psicoanalisi (1917)

    Sulle trasformazioni pulsionali in particolare nell’erotismo anale (1917)

    Un ricordo d’infanzia da Poesia e verità di Goethe (1917)

    «Il caso dell’uomo dei lupi.» Dalla storia di una nevrosi infantile [1918 (1914)]

    La psicoanalisi deve essere insegnata nelle università? (1918)

    Vie della terapia psicoanalitica (1919)

    Il rituale. Prefazione a Problemi di psicologia religiosa di Theodor Reik (1929)

    Un bambino viene battuto. Contributo alla conoscenza dell’origine delle perversioni sessuali (1919)

    Il perturbante (1919)

    Introduzione a Psicoanalisi delle nevrosi di guerra (1919)

    Necrologio di J. J. Putnam (1919)

    Necrologio di V. Tausk (1919)

    Il dottor Anton von Freund (1920)

    Psicogenesi di un caso di omosessualità in una donna (1920)

    Associazioni di un bambino di quattro anni (1920)

    Nota alla preistoria della tecnica analitica (1920)

    Al di là del principio del piacere (1920)

    Psicologia collettiva e analisi dell’Io (1921)

    Titoli originali e prime pubblicazioni delle opere di Sigmund Freud raccolte in questa edizione

    219

    Traduzioni di: Delia Agozzino, Celso Balducci, Leonardo Breccia, Aldo Durante, Cecilia Galassi, Alessandra Ozzola, Antonella Ravazzolo, Jean Sanders, Pietro L. Segre, Pietro Stampa

    Prima edizione ebook: aprile 2013

    © 1992, 2009 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-2561-2

    www.newtoncompton.com

    Edizione digitale a cura di geco srl

    Sigmund Freud

    Opere 1886/1921

    Scritti sulla cocaina, Scritti su ipnosi e suggestione, Studi sull’isteria, Il sogno, L’interpretazione dei sogni, Psicopatologia della vita quotidiana, Tre saggi sulla sessualità, Il motto di spirito, I casi clinici, Sulla psicoanalisi, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, Psicologia della vita amorosa, Totem e tabù, Metapsicologia, Il Mosè di Michelangelo, Al di là del principio del piacere e altri saggi

    Edizioni integrali

    Nota biobibliografica

    Benché tutta risolta all’interno di una borghesia della quale seppe esprimere e interpretare le inquietudini, la vita di Sigmund Freud si identifica nel tempo con lo sviluppo della sua rivoluzionaria concezione dell’uomo, e con la diffusione del movimento psicoanalitico stesso, del quale egli fu fondatore e capo carismatico.

    E d’altra parte, l’evoluzione di quello che veniva considerato al più il «pensiero» freudiano fu accompagnata dal silenzio e dal disprezzo di poca critica scientifica, dagli svantaggi accademici, economici e sociali comportati da tutta la situazione, e, per di più, fu caratterizzata da una specie di progressivo intestardimento da parte di Freud, convinto d’essere sul punto di trovare, ad ogni nuovo stadio, o d’aver trovato, con sempre maggior sicurezza la pietra filosofale, come dire, la chiave psicologico-psichiatrica, che gli avrebbe permesso di risolvere il problema delle nevrosi, ed al tempo stesso, finalmente, gli avrebbe offerto la possibilità di ottenere la sua rivincita pratica e morale, risollevando anche in senso economico le sorti della propria famiglia.

    E tutto questo con forti conflitti, ogni volta, pro e contro lo stesso vantaggio d’un nuovo pubblico spostamento in avanti delle tesi, in base ai nuovi dati dell’esperienza, per non scoprire il fianco alla critica altrui, che immaginava si sarebbe aggiunta disfattisticamente alle sue necessarie motivazioni evolutive circa le posizioni antecedenti già difese con tanto calore.

    Nato il 6 maggio 1856 da modesta famiglia israelitica, a Freiberg (Moravia), Freud attribuiva a questa sua condizione – l’essere ebreo e austriaco – la propria capacità di sopportare il peso di una posizione impopolare, il misconoscimento, la solitudine, le accuse, le calunnie che gliene derivavano: quasi una predestinazione.

    A Vienna, dove la famiglia si era trasferita quattro anni dopo la sua nascita, si iscrisse dapprima alla facoltà di Scienze, dedicandosi, con alcuni successi, alla ricerca pura. Sua guida era in questo periodo lo psicologo Brücke, portavoce di quel fervore scientifico, di quella positivistica fede nella scienza che dominava allora la maggior parte degli studiosi. Questo atteggiamento penetrò fortemente il giovane Freud.

    Lasciò la facoltà di Scienze per problemi economici e si iscrisse a Medicina. Nel 1881 si laureò. Quattro anni dopo ebbe la libera docenza in neuropatologia e una borsa di studio; ne approfittò per andare a Parigi, alla Salpêtrière, da Charcot, il più grande neurologo europeo di allora; questi, studiando i fenomeni isterici da un punto di vista neurologico, era giunto alla conclusione che l’isteria, come le altre nevrosi, è un’affezione funzionale, esente da lesioni organiche. Freud accettò questa concezione, che significava il superamento di secoli di ricerche su una «sede» fisica dell’isteria, da quando Ippocrate aveva creduto di localizzarla nell’utero (donde, appunto, il nome).

    Per la cura degli isterici Charcot si serviva dell’ipnoterapia, ed in quegli anni l’interesse di Freud per l’ipnosi divenne vivissimo. Questa dunque la ragione dell’altro suo viaggio, del 1889, a Nancy, dove Bernheim, con Liébeault ed altri, praticava la terapia ipno-suggestiva.

    Dell’ipnosi si serviva, a Vienna, il dottor Joseph Breuer, per la terapia dei casi isterici. Già dal 1880-82 egli era riuscito a curare un’isterica (è il caso famoso di Anna O.) inducendola a rievocare nell’ipnosi le circostanze precorritrici dei sintomi e le emozioni concomitanti; era quello che egli definiva «trattamento catartico». Fu Freud a spingere Breuer, medico generico e non psicologo, ad approfondire e a pubblicare le sue scoperte. Dal lungo periodo – 1887-1895 – di collaborazione con Breuer, Freud ricava alcune acquisizioni che resteranno essenziali per la terapia dell’isteria e più tardi delle altre nevrosi: l’importanza terapeutica dell’abreazione – lo «sblocco» – di una carica emotiva rimossa e dell’affioramento alla coscienza di quanto prima era inconscio; e soprattutto la convinzione che «l’isterico soffre di reminiscenze» (come ebbe a dire negli Studi sull’isteria Studien über Hysterie – pubblicati nel 1895 con Breuer, in cui sono riassunti i risultati del lavoro comune). Motivi teorici e pratici, e in massima parte una sostanziale diversità d’interessi, provocarono il graduale allontanamento, che si compì poco dopo la pubblicazione degli Studi. Freud si mette decisamente sulla strada della psicoanalisi.

    Già il «trattamento catartico» di Breuer conteneva in germe alcuni fondamenti della teoria psicoanalitica; si trattava, come primo passo, di sostituire alle rievocazioni ipnotiche le «associazioni libere». Quanto al rapporto tra psicoanalisi e terapia ipno-suggestiva, Freud lo descrive icasticamente, paragonando la prima alla scultura (in cui si procede per via di levare, secondo Leonardo da Vinci: il materiale portato alla coscienza è «levato», eliminato dall’inconscio), ed il secondo alla pittura (in cui, sempre secondo Leonardo, si procede per via di mettere: le suggestioni impartite dal terapeuta si sovrappongono, senza eliminarne le cause, al sintomo).

    Ma Freud aveva fatto un’importante scoperta: che la chiave della nevrosi è nella psicologia. E questo voleva dire una netta rottura con il passato, comportava il problema di una nuova impostazione della psicologia: significava la necessità di inventare una scienza nuova. Questa preoccupazione appare spesso – in quel periodo 1895-98 – nelle lettere scritte all’amico Fliess.

    Intanto, dal ’95, Freud aveva cominciato la propria autoanalisi. Punto di partenza fu il famoso sogno dell’iniezione di Irma; egli giunse alla conclusione che tutti i sogni hanno un significato, cui si può arrivare, anche per autoanalisi, attraverso le associazioni libere, e che essi rappresentano la realizzazione di un desiderio del giorno prima. Dal punto di vista personale, scoprì di essere perseguitato da sentimenti di colpa nei confronti della famiglia, di amici, di pazienti e colleghi. A quei tempi egli era marito e padre – apparentemente – felice, e già neurologo di un certo successo.

    In questa situazione di ambivalenza scoppiò, nel ’96, il fulmine della morte del padre, che egli definì come «l’avvenimento più importante, la perdita più straziante della vita di un uomo». Ma la crisi che ne seguì non era sofferenza pura; i suoi sogni di allora gli rivelarono quei conflitti interiori, quell’inevitabile violenta ostilità del figlio contro il padre, pure amato, che sono propri di ogni uomo, e che, per lui, erano alla base dei sentimenti di colpa già dedotti dal sogno di Irma; egli stava sperimentando su di sé quel «ritorno del rimosso» e quella «ambivalenza affettiva» che ebbero tanta parte nella sua impostazione di pensiero. L’autoanalisi, con il sostegno dei sogni, strumento di cui egli diveniva sempre più padrone, continuò e si approfondì, dilatandosi nello spazio psichico e nel tempo e aprendogli la strada a fondamentali scoperte scientifiche e personali: l’inconscio e la censura, la libido infantile ed il complesso edipico.

    Durò cinque anni; il suo compimento segnò anche la fine di un lungo periodo estremamente critico; Freud fu più calmo e più sereno; ma la fine dell’autoanalisi coincise anche, nel tempo, con la rottura dell’amiciziadipendenza con Wilhelm Fliess.

    Del sogno parlò nel libro a lui più caro, L’interpretazione dei sogni (Die Traumdeutung), scritto nel 1899.

    Nella sua autoanalisi Freud aveva anche scoperto che il nevrotico differisce dall’individuo normale per una questione di grado, non di «genere». Il sogno è, come il sintomo nevrotico, una manifestazione del materiale che giace rimosso nell’inconscio; e questo era vero anche per le azioni dette «sintomatiche casuali» dell’individuo «normale», lapsus, amnesie passeggere, sbadataggini, smarrimenti di oggetti. Da questa idea nacque quell’altra opera fondamentale che è la Psicopatologia della vita quotidiana (Psychopathologie des Alltagslebens), scritta nel 1901.

    Approfondendo le intuizioni elaborate nel corso dell’autoanalisi e confermate, per quanto possibile, nella pratica medica, Freud scrive, nel 1905, i Tre saggi sulla sessualità (Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie): sulle aberrazioni sessuali, sull’importanza della sessualità infantile, sulla tendenza alla perversione, che egli ritiene essenziale nell’istinto sessuale.

    Intanto va via via (1901-1914) preparando la raccolta dei cinque Casi clinici, ciascuno dei quali si sarebbe rivelato fortemente esemplificativo.

    Questi anni straordinariamente fertili, all’incirca tra il 1895-1905, sono quelli che egli definisce di «splendido isolamento», quelli in cui, perso in Breuer l’ultimo maestro, non aveva ancora seguaci. Anche i riconoscimenti che via via riceveva – la libera docenza nel 1885, la carica di professore straordinario all’Università di Vienna nel 1902, e, in seguito, nel 1920, di professore ordinario – erano dovuti al suo prestigio di neuropatologo; la psicoanalisi era ignorata, fraintesa o ritenuta scandalosa, causa ed oggetto di accuse e di polemiche.

    All’inizio, in effetti, parve a Freud si trattasse d’un lavoro isolato, atemporale, senza problemi di concorrenza, di priorità. Sotto questo aspetto, egli lo potrà ricordare perfino come un momento felice. I saggi, più spesso, venivano respinti dalle riviste specializzate, ma non c’era fretta. L’interpretazione dei sogni, come il Caso di Dora, poterono essere pubblicati solo quattro o cinque anni dopo essere stati già perfettamente formulati nella mente del loro autore, senza che questo creasse motivo di ansia o una qual che difficoltà nella loro collocazione storica. Altrimenti, di pericoloso per l’ambizione prioritaria di Freud, c’era solo la ovvietà degli argomenti che si trattavano. Tanto ovvi che ciascuno in cuor suo non aveva potuto non sperimentarli, direttamente o indirettamente: medici, nurses, genitori; e tuttavia, con tanta intensità, da non osare d’esprimerli pubblicamente, con tale urtante evidenza d’averli perfino negati a se stessi.

    Intanto, l’atteggiamento di rifiuto dell’ambiente circostante si prestava, per sua consolazione, ad essere spiegato negli stessi termini in cui egli stesso tendeva a spiegarsi la resistenza d’un nevrotico di fronte al materiale rimosso che gli veniva presentato. (O forse, al contrario, era stato proprio quell’ambiente a sollecitare il tipo di razionalizzazione ch’egli avanzava!)

    Di diverso c’era, comunque, che nel primo caso l’universale resistenza avrebbe certo reso impotente l’azione del singolo, a meno che questi non si fosse affidato, saggiamente, all’azione rivendicatrice del tempo. E difatti la diffusione della psicoanalisi iniziò a realizzarsi lentamente ma con sempre crescente successo, anche se non senza pesanti polemiche e malintesi esterni né senza vivacissimi dissensi e contrasti interni.

    Alcune date rimasero maggiormente impresse nella mente di Freud.

    Nel 1902 si costituì un primo gruppo di Vienna, con segretario Otto Rank, nel quale si ebbero già le prime ripicche per questioni di priorità.

    Nel 1907 si strinsero i primi rapporti con il Bürghölzli, la clinica psichiatrica di Zurigo, e cioè con Bleuler ed i suoi assistenti Eitington e Jung, che dovevano ben presto dar luogo alla pubblicazione d’una rivista di studi comuni, lo Jahrbuch für Psychologie und Psychopathologie. Questa convergenza ebbe degli aspetti positivi e degli aspetti negativi. Un aspetto nettamente positivo lo ebbe per quel che riguarda la diffusione pratica della psicoanalisi, grazie alla istituzione di una associazione privata, ed all’insegnamento che pubblicamente se ne faceva da una clinica di così grande risonanza. La valutazione di un suo aspetto negativo poteva invece essere giustificata, secondo Freud, dall’evidente sottovalutazione che esisteva, sia in Bleuler che in Jung, del fattore libidico come elemento unitario per l’interpretazione della patologia psichica in generale, ed in certo senso dai loro pregiudizi organici. (A proposito di Jung, Freud citava il suo intervento al congresso di Salisburgo del 1908.)

    Nel 1909, Freud e Jung furono invitati da Stanley Hall alla Clark University of Worcester (Boston). Freud vi andò accompagnato da Ferenczi. Queste conferenze furono molto utili, con le discussioni che seguirono, per gettare il seme psicoanalitico sulla terra vergine d’America, nella quale perfino Havelock Ellis era riuscito a pubblicare i suoi volumi di studi sessuologici. Il seme fruttò le prime adesioni: Jones, Brill, Putnam.

    Nel 1910, il Congresso di Norimberga tenta finalmente una prima organizzazione della psicoanalisi. Si fonda una Associazione ufficiale con un suo capo nella figura di Jung e con uno statuto ordinativo centrale e periferico.

    Dopo il Congresso di Weimar (1911), e quello di Monaco del ’13, la psicoanalisi esce ormai definitivamente dalla sua preistoria, e da tecnica terapeutica ch’essa era si sforza d’apparire come una vera e propria carta culturale, con una collocazione ancora non del tutto precisa nel difficile giuoco ideologico internazionale. Intanto, si propone nel suo aspetto di puro ma necessario momento di chiarificazione; e, in questo senso, quale momento pienamente umano, momento superpolitico di coscienza radicale.

    Intanto continuava la sua attività di scrittore. Il progressivo estendersi del suo interesse alle varie scienze dell’uomo, la sociologia e l’antropologia, si rivela in Totem e tabù (Totem und Tabu), del 1913, in cui dimostra che i processi inconsci riscontrati in una data forma di società non sono in realtà dissimili da quelli che si riscontrano in altre, che esistono conflitti basilari comuni a tutta l’umanità, in qualunque forma societaria.

    In Al di là del principio del piacere (Jenseits des Lustprinzips) del 1920, introduce, in antitesi agli istinti libidici, il concetto di «istinto di morte». Ne L’Io e l’Es (Das Ich und das Es) del 1923, stabilisce la divisione della psiche in Es, Io e Super-Io.

    Nelle opere di questi anni affiora altresì, in modo talvolta sotterraneo, talvolta assolutamente esplicito, il disagio dell’animale-uomo posto, dalla Grande Guerra, di fronte alla rivelazione della sua natura più vera, della sua natura «rimossa», il suo sconvolgimento nel pacifico possesso di quei beni, portati dal progresso e dal benessere, che credeva definitivamente acquisiti.

    Nel febbraio del ’23 si presentarono i primi sintomi di un male che poi si rivelò un cancro alla mascella. Ernest Jones, amico, seguace ed ottimo biografo di Freud, descrive dettagliatamente il lento decorso della malattia, i disagi e le sofferenze cui il malato fu sottoposto.

    Freud conservò la sua straordinaria vitalità; continuò il lavoro di analista e di scrittore; volle rimanere sempre consapevole e presente a se stesso, rifiutando ogni pietoso inganno; nonostante i dolori, non prendeva calmanti, per non ottundere la propria usuale chiarezza intellettiva. Aveva continuamente accanto, in un rapporto sempre più stretto, la figlia Anna, cui era legato, dice Jones, da «una reciproca, profonda, silenziosa comprensione e simpatia ». Anna era la sua compagna, la segretaria, l’assistente, la collaboratrice. Seguiva il lavoro del padre e spesso lo sostituì a riunioni e congressi.

    Intanto la psicoanalisi stava assumendo una straordinaria diffusione, dagli Stati Uniti (con centro New York) all’Inghilterra, alla Germania. Ma si era anche intensificata la violenta opposizione ad essa. Nell’articolo «La resistenza alla psicoanalisi» (Imago, 1925) Freud spiega questa ostilità anzitutto inserendola nel fenomeno generale dell’ambivalenza che si prova per ogni cosa nuova – il timore e la ricerca ansiosa di essa – ed attribuendola in particolare a motivi affettivi, soprattutto quelli basati sulla repressione della sessualità: la civiltà è legata al controllo degli istinti primitivi, e le rivelazioni della psicoanalisi sembrano in grado di minare questo controllo.

    Da parte sua, Freud aveva raggiunto una notevole fama. Nel 1930 ebbe il premio Goethe della città di Francoforte. Conobbe altre notissime personalità del suo tempo, come Albert Einstein e Thomas Mann. Dei vecchi amici, molti ne aveva perduti col passare degli anni; Adler, con il suo gruppo dissidente, nel 1911; Jung nel 1913, dopo la pubblicazione di Libido. Simboli e Trasformazioni; Otto Rank, che era stato uno dei primi seguaci del movimento psicoanalitico, nel 1922; qualche anno più tardi, Ferenczi; nel ’25 la morte di uno dei suoi più strenui difensori, Abraham. In una lettera scritta in questa occasione, Freud dice tra l’altro: «Noi dobbiamo lavorare a tenerci uniti. Nessuno può colmare la perdita personale, ma per ciò che riguarda il lavoro nessuno è insostituibile. Io me ne andrò presto; è sperabile che agli altri ciò tocchi molto più tardi, ma il lavoro dev’essere continuato: in confronto alla sua mole, siamo tutti ugualmente piccoli».

    Nel 1933 i nazisti prendono il potere in Germania; nonostante i cattivi presagi di un’aggressione all’Austria e le ripetute esortazioni degli amici, Freud non acconsente a lasciare Vienna. Vi si deciderà solo cinque anni più tardi, di fronte all’Anschluss. I suoi libri vengono bruciati.

    Così, nel ’38 la famiglia si trasferisce a Londra. Freud prosegue il suo lavoro; continua le analisi fino a qualche settimana prima della morte; scrive alcuni articoli, lavora al Compendio di psicoanalisi che resterà incompiuto e sarà pubblicato postumo. Nonostante l’intensificazione del dolore fu sino alla fine estremamente lucido e profondamente consapevole e rassegnato.

    Morì a Londra il 23 settembre 1939.

    Sigmund Freud

    Opere 1886/1921

    Scritti sulla cocaina

    1884/1887.

    Sulla coca*

    (luglio 1884)

    1. LA PIANTA DELLA COCA

    La pianta della coca, Erythroxylon coca, è un arbusto alto dai quattro ai sei piedi, simile al nostro prugnolo. È coltivata estensivamente in Sud America, specialmente in Perù e in Bolivia. Alligna meglio nelle vallate calde sulle pendici orientali delle Ande, a 1.500-1.800 piedi sul livello del mare, in un regime piovoso esente da sbalzi eccessivi di temperatura¹. Le foglie, che forniscono un indispensabile stimolante a quasi dieci milioni di persone² , hanno forma d’uovo, sono lunghe circa 5-6 cm, provviste di gambo, indivise e pruinose. Esse sono caratterizzate da due pieghe lineari, specialmente evidenti sulla superficie inferiore che, come nervature laterali, corrono lungo la nervatura mediana dalla base della foglia alla cima, in un arco appiattito³ . L’arbusto presenta dei piccoli fiori bianchi, raccolti sui lati a gruppetti di due e/o più e produce dei frutti rossi a forma d’uovo. La propagazione si può fare coi semi e col taglio; le giovani piante vengono trapiantate dopo un anno e dopo diciotto mesi forniscono il loro primo raccolto di foglie. Queste sono considerate mature quando sono diventate talmente rigide che i piccioli si rompono appena toccati.

    Esse vengono quindi essiccate rapidamente, sia esponendole al sole che ricorrendo al fuoco, e sistemate in sacchi (cestos) per il trasporto. In condizioni favorevoli un arbusto di coca fornisce annualmente quattro ο cinque raccolti e continuerà a dare il suo prodotto per un periodo fra i trenta e i quaranta anni.

    La produzione su larga scala (valutata, pare, sui 30 milioni di libbre annue) fa delle foglie di coca un importante articolo di commercio e di imposta nei paesi di coltivazione ⁴.

    2. STORIA E USI DELLA COCA NELLA SUA TERRA DI ORIGINE

    Quando i conquistatori spagnoli penetrarono nel Perù si avvidero che in quel paese veniva coltivata e tenuta in grande considerazione la pianta della coca, e che essa era strettamente legata ai costumi religiosi di quelle popolazioni. Vuole la leggenda che Manco Capac, figlio divino del Sole, sia disceso agli albori del tempo dalle alture del lago Titicaca, portando la luce del padre ai miseri abitanti del paese; che abbia loro insegnato la conoscenza degli dèi, l’uso delle arti, e donato infine la foglia di coca, questa pianta divina che sazia gli affamati, dà forza ai deboli e fa obliare ai mortali le loro disgrazie⁵. Le foglie di coca erano offerte in sacrificio agli dèi, si masticavano durante le cerimonie religiose, e venivano messe perfino nella bocca dei morti per assicurar loro una favorevole accoglienza nell’ai di là. Lo storico della conquista spagnola ⁶, anch’egli un discendente degli Incas, narra che da principio la coca era diffìcilmente reperibile in quelle terre, e che il suo uso era riservato ai capi; all’epoca della conquista, comunque, la sostanza era già da tempo accessibile a tutti. Garcilasso lottò per difenderla dal bando imposto dai conquistatori. Gli spagnoli non credevano infatti nei meravigliosi effetti della pianta, che sospettavano invece essere opera del diavolo, soprattutto a causa della parte che essa giocava nei riti religiosi. Un concilio tenutosi a Lima arrivò sino al punto di proibire l’uso della pianta bollandola come «pagana e peccaminosa». L’atteggiamento, comunque, cambiò quando fu notato che gli Indios non potevano eseguire i pesanti lavori imposti nelle miniere se veniva loro proibita l’ingestione della coca. Si arrivò addirittura a distribuire ai lavoratori foglie di coca tre ο quattro volte al giorno e a concedere delle pause per far masticare l’amata sostanza. E così per gli indigeni la pianta di coca ha conservato a tutt’oggi la sua importanza, e restano perfino tracce della venerazione religiosa di cui un tempo godeva⁷.

    L’Indio, nei suoi spostamenti, porta sempre con sé un pacchetto di foglie di coca (chiamato chuspa) e una bottiglia contenente ceneri della pianta (llicta)⁸ . Messe in bocca le foglie, ne fa una specie di palla, che buca ripetutamente con una spina intinta⁹ nella cenere e infine mastica lentamente sino in fondo con una abbondante secrezione di saliva. Si dice che in altre zone, invece della cenere della pianta, si aggiunge alle foglie una specie di terriccio, detto torna¹⁰. La masticazione giornaliera di tre ο quattro once di foglie non è ritenuta cosa smodata. Secondo Mantegazza, l’Indio comincia ad usare lo stimolante sin dalla prima giovinezza e ne conserva l’abitudine per tutta la vita. Quando deve affrontare un difficile viaggio, quando va con una donna, o, in genere, laddove la sua energia viene ad essere eccessivamente cimentata, non fa altro che aumentare la dose abituale.

    (Non è ancora ben chiaro a cosa serva la miscela degli alcali contenuti nella cenere. Mantegazza, dopo aver masticato sia foglie di coca pure che con l’aggiunta di llicta dichiarò di non aver notato alcuna differenza. Secondo Martius¹¹ e Demerle¹² , l’azione degli alcali sarebbe quella di liberare la cocaina in combinazione con acido tannico. Un’analisi di Uicta eseguita da Bibra ha rivelato la seguente composizione: 29% di carbonato di calcio e di magnesio, 34% di sali di potassio, 3% di terra argillosa e ferro, 17% di composti insolubili di terra argillosa, terra silicea e ferro, 5% di carbone e 10% d’acqua.)

    È ampiamente dimostrato che, sotto l’influsso della coca, gli Indios possono sopportare eccezionali fatiche ed eseguire lavori pesanti senza aver bisogno del nutrimento adeguato¹³ . Secondo Valdez y Palacios¹⁴ l’uso della coca fa sì che gli Indios possano camminare per centinaia di ore e correre più veloci del cavallo senza mostrare segni di stanchezza. Ciò è confermato da Castelnau¹⁵ , Martius¹⁶ e Scrivener¹⁷ , e Humbold, nella descrizione del suo viaggio nelle regioni equatoriali, ne parla come fenomeno universalmente conosciuto. Di frequente citazione è, poi, un resoconto di Tschudi ¹⁸relativo alle prestazioni di un cholo (mezzo-sangue) che ebbe la ventura di osservare personalmente. Il suo uomo eseguì un pesante lavoro di scavo per cinque giorni e cinque notti, dormendo non più di due ore a notte e consumando soltanto coca. Quando il lavoro fu terminato, l’indio accompagnò Tschudi in un viaggio di due giorni a dorso di mulo, correndo a fianco dell’animale, e promettendo solennemente che avrebbe eseguito di buon grado lo stesso lavoro, senza toccar cibo, a patto che gli venisse data abbastanza coca. Quell’uomo aveva sessantadue anni e non sapeva cos’era una malattia. Esempi simili di aumento della forza fisica ottenuto con l'uso della cocaina sono riferiti nel Journey of the Frigate «Novara» (Il viaggio della fregata Novara). Weddl¹⁹ , von Meyen²⁰ , Markham ²¹, e lo stesso Poeppig ²²(che dobbiamo ringraziare per molte notizie diffamatorie) non possono che confermare tale effetto della foglia, il quale, da quando è stato conosciuto, non ha cessato di essere fonte di stupore in tutto il mondo.

    Altri rapporti sottolineano la capacità dei coqueros (masticatori di coca) di astenersi dal cibo per lunghi periodi senza per questo soffrire di alcun effetto dannoso. Secondo Unanuè ²³, durante l’assedio della città di La Paz, nel 1781, quando tutte le scorte di cibo furono esaurite, sopravvissero solo gli abitanti che fecero uso di coca. Stewenson²⁴ riferisce che gli abitanti di molte zone del Perù digiunano anche per alcuni giorni e ciononostante, con l’aiuto della coca, sono in grado di continuare a lavorare regolarmente.

    Ora, considerando la mole delle documentazioni raccolte, e tenendo presente il ruolo che la coca ha giocato per secoli nel Sud America, dobbiamo senz’altro confutare certe sporadiche ipotesi, secondo cui l’effetto della coca sarebbe un puro frutto dell’immaginazione e che sarebbero invece le circostanze ambientali e la gran pratica a mettere gli indigeni in condizioni di eseguire anche senza l’ausilio della coca quelle straordinarie prestazioni che vengono loro attribuite. Si potrebbe anche supporre che i coqueros compensino l’astensione dal cibo mangiando di più durante gli intervalli tra i digiuni, ο che, come conseguenza del loro modo di vivere, vadano incontro a un rapido declino. Per quanto riguarda la questione del cibo, i rapporti dei viaggiatori non permettono conclusioni definitive; il presunto decadimento è stato invece decisamente escluso da sicure testimonianze. È vero che Poeppig ha dipinto un quadro terribile del deterioramento fisico e intellettuale, considerato quale inevitabile risultato dell’uso abituale di coca. Ma tutti gli altri osservatori affermano che un consumo moderato della sostanza con tutta probabilità migliori le condizioni di salute, invece di danneggiarle, e che i coqueros raggiungono età venerabili ²⁵. Weddel e Mantegazza fanno comunque notare che l’uso smodato di coca conduce a una cachessia, caratterizzata dal punto di vista fisico, da turbe digestive, magrezza estrema ecc. e, da quello mentale, da depravazione morale, accompagnata da completa apatia verso tutto ciò che non è connesso all’uso dello stimolante. A tale condizione, che presenta notevoli affinità con la sintomatologia dell’alcoolismo cronico e della morfinomania, soccombono a volte anche i bianchi. Comunque, la sostanza non viene di solito assunta in dosi eccessive e mai con il presunto squilibrio tra cibo ingerito e lavoro svolto, come accade ai coqueros.

    3. LE FOGLIE DI COCA IN EUROPA – LA COCAINA

    Secondo Dowdeswell ²⁶, i primi consigli sull’uso della coca si trovano in un saggio del Dott. Monardes (Siviglia, 1569), apparso in versione inglese nel 1596. Al pari dei resoconti, in epoca più tarda, del gesuita Padre Antonio Julian ²⁷, e del dottor Pedro Crespo ²⁸, entrambi di Lima, il saggio del Monardes esalta gli effetti meravigliosi posseduti dalla pianta nel combattere la fame e la fatica. I predetti autori peruviani nutrivano grandi speranze sull’introduzione della coca in Europa. E nel 1749 la pianta vi fece il suo ingresso; fu descritta da A.L. de Jussien e classificata nel genere Erytroxylon. Nel 1786 apparve nell’Encyclopédie Méthodique Botanique con il nome di Erythroxylon coca. Rapporti di viaggiatori, tra i quali Tschudi e Markham, fornirono prove che gli effetti delle foglie di coca non si limitavano alla razza India.

    Nel 1859 Paolo Mantegazza, che aveva trascorso qualche anno nelle regioni Sudamericane dove la pianta fiorisce, pubblicò le sue osservazioni relative agli effetti fisiologici e terapeutici delle foglie di coca in entrambi gli emisferi²⁹ . Mantegazza, nella sua entusiasta apologia della coca, ne illustrò la versatilità delle applicazioni terapeutiche in parecchi casi clinici. Il suo lavoro suscitò grande interesse, ma riscosse scarso credito. Per quanto mi riguarda, ho trovato nella pubblicazione del Mantegazza un buon numero di osservazioni talmente esatte da farmi propendere ad accettare le sue asserzioni, anche se non avevo ancora avuto la possibilità di confermarle personalmente.

    Sempre nel 1859, il dott. Schuzer, membro della spedizione della fregata austriaca Novara, portò a Vienna una partita di foglie di coca, e ne inviò qualcuna al professor Wöhler perché le esaminasse. E proprio da quelle foglie l’allievo di Wöhler, Niemann ³⁰, isolò l’alcaloide, la cocaina. Dopo la morte di Niemann, un altro allievo di Wöhler, Lossen³¹ continuò l’indagine sulle sostanze contenute nelle foglie di coca.

    La cocaina cristallizza in prismi quadri ο esalaterali, grandi e incolori, di tipo monoclinico; ha un sapore piuttosto amaro e possiede un’azione anestetica sulle membrane mucose. Fonde alla temperatura di 98°C; è difficilmente solubile in acqua³² , lo è invece facilmente in alcool, etere e acidi diluiti. Si combina col cloruro di platino e col cloruro d’oro formando sali doppi. Riscaldata con acido idrocloridrico si scompone in acido benzoico, alcool metilico e una base poco studiata, detta ecgonina. La formula della cocaina, stabilita da Lessen, è la seguente:C17 H24 NO4. Grazie all’elevato coefficiente di solubilità in acqua, i sali che essa forma con l’acido idrocloridrico e l’acido acetico si rivelano particolarmente adatti ad applicazioni fisiologiche e terapeutiche³³ .

    Oltre alla cocaina, nelle foglie di coca furono rinvenute le seguenti sostanze: l’acido cocatannico, una cera specifica e una base volatile, l’igrina, che ha un odore sul tipo della trimetilamina, e che Lossen isolò sotto forma di un olio giallo, leggero e viscoso. A giudicare da quanto riferiscono i clinici, nella foglia di coca sono presenti altre sostanze che non sono state ancora scoperte.

    Subito dopo la scoperta della cocaina, numerosi ricercatori hanno studiato gli effetti della coca sia sugli animali che sugli esseri umani in condizioni di salute e di malattia. A volte è stato adoperato un preparato definibile come cocaina, mentre in altre ricerche sono state impiegate le foglie di coca sia in forma di infuso che alla maniera degli Indios. In Austria, i primi esperimenti sugli animali furono compiuti nel 1862 da Schroff senior; altri rapporti sulla coca furono forniti da Frankl (1860), Fronmüller (1863) e Neudörfer (1870). Per le ricerche svolte in Germania, si possono citare le indicazioni terapeutiche suggerite da Clemens (1867), gli esperimenti di Von Anrep su animali (1880) e quelli sui soldati esauriti dalla fatica ad opera di Aschenbrandt (1883).

    In Inghilterra, i primi esperimenti su animali si devono ad A. Bennet (1874); nel 1876 i rapporti del presidente della British Medical Association provocarono un vero subbuglio; e quando un corrispondente del British Medical Journal asserì che un certo sig. Weston (che già aveva stupito l’ambiente scientifico londinese per le sue imprese podistiche) masticava foglie di coca, quest’ultimo divenne argomento di generale interesse. Nello stesso anno (1876) Dowdeswell pubblicò i risultati di un esperimento condotto nel laboratorio della University College, risultati per altro completamente negativi, tanto che da allora in Inghilterra nessuno pensò più a intraprendere altre ricerche sulla coca³⁴. Della letteratura francese sull’argomento meritano di essere citati: Rossier (1861), Demarle (1862), la monografìa di Gosse sulla Erythroxylon coca (1862), Reiss (1866), l’Étude sur la coca du Pérou di Lippmann (1868), Moreno y Maïz (1868), che ha comunicato certi aspetti ignorati della cocaina, Gazeau (1870), Collins (1877) e Marvand che ha contribuito col volume Les aliments d’épargne, che è poi l'unico dei saggi di cui dispongo.

    In Russia, Nikolsky, Danini (1873) e Tarkhanov (1872) si sono dedicati particolarmente allo studio degli effetti della cocaina sugli animali. Negli ultimi anni sono apparsi in Nord America molti lavori, tutti pubblicati sulla Detroit Therapeutic Gazette, relativi a successi terapeutici ottenuti con preparati di cocaina.

    Le prime ricerche che abbiamo qui elencato hanno nell’insieme suscitato notevole delusione; e in più la convinzione che non potevamo aspettarci in Europa quegli effetti prodotti dall’uso della coca, che venivano entusiasticamente descritti per il Sud America. Indagini sul tipo di quelle espletate da Schroff, Fronmüller e Dowdeswell non hanno fornito che risultati insignificanti se non addirittura negativi. Ora, per questi insuccessi c’è più di una spiegazione. Sicuramente gran parte della colpa va ascritta alla qualità delle preparazioni adoperate³⁵; in un certo numero di casi, gli autori stessi esprimono dubbi sulla bontà dei loro preparati; e, anche se mostrano di credere ai rapporti di viaggiatori sugli effetti della coca, pensano che questi ultimi siano da attribuirsi a qualche composto volatile contenuto nella foglia. L’idea si basa sulle dichiarazioni di Poeppig (fra gli altri), secondo cui anche in Sud America le foglie conservate a lungo vengono considerate prive di valore. Gli esperimenti di recente condotti con la cocaina preparata da Merk [sic] in Darmstadt bastano da soli a giustificare l’assunto che è proprio questa sostanza il fattore responsabile degli effetti prodotti dalla coca, che essa si può produrre benissimo sia in Europa che in Sud America e che infine si è rivelata benefica in trattamenti sia dietetici che terapeutici.

    4. GLI EFFETTI DELLA COCA SUGLI ANIMALI

    Sappiamo come animali di specie diverse – e anche individui della stessa specie – differiscano notevolmente tra loro rispetto a quelle caratteristiche chimiche che determinano la recettività dell’organismo a sostanze estranee. Stando così le cose, non ci dovremmo aspettare che gli effetti prodotti dalla coca sugli animali siano simili a quelli descritti sugli uomini.

    Potremo dichiararci quindi soddisfatti dei risultati della nostra ricerca nella misura in cui saremo riusciti a comprendere da un unico punto di vista standard le modalità con cui la cocaina esercita la sua azione sia sull’uomo che sugli animali.

    Per quanto riguarda gli effetti della coca sugli animali, dobbiamo a Von Anrep³⁶ la messe di esperimenti più esaustivi. Prima di lui si occuparono dello stesso soggetto Schroff senior³⁷ , Moreno y Maïz3³⁸, Tarkhanov³⁹, Nikolsky⁴⁰ , Danikin ⁴¹, A. Bennett⁴² e Ott ⁴³. La maggior parte di questi Autori somministrarono l’alcaloide per via orale ο per via sottocutanea.

    In linea generale si può dire che la conclusione di tali esperimenti fu che, somministrata in piccole dosi, la coca ha un effetto stimolante sul sistema nervoso, mentre a dosi più elevate l’azione si rivela paralizzante. L’effetto paralizzante è particolarmente visibile negli animali a sangue freddo, mentre in quelli a sangue caldo sono più evidenti sintomi di stimolazione.

    Secondo Schroff, la cocaina provoca nelle rane una condizione di sopore accompagnata da paralisi dei muscoli volontari. In pratica, alla stessa scoperta pervennero Moreno y Maïz, Danini, Nikolsky e Ott; a dire di Moreno y Maïz, la paralisi generale conseguente a dosaggi moderati è preceduta da una condizione tetanica; a parità di condizioni, Nikolsky descrive una fase di eccitazione nel sistema muscolare, mentre Danini, per parte sua, non avrebbe mai osservato spasmi di alcun genere.

    Similmente, Von Anrep riferisce come, nelle rane, dopo un breve periodo di eccitazione, la cocaina produca un effetto paralizzante. Dapprima sono interessate le terminazioni nervose sensoriali, in seguito gli stessi nervi sensori; il respiro, in un primo momento diventa accelerato, quindi si arresta, mentre la funzione cardiaca subisce un rallentamento fino ad arrivare al punto dell’insufficienza diastolica. Dosi dell’ordine di 2 mg sono sufficienti a provocare sintomi di avvelenamento.

    Secondo gli esperimenti di Schroff sui conigli (esperimenti che, però, considerati nei dettagli si rivelano pieni di contraddizioni), la coca provoca in questi animali spasmi molteplici, aumento della frequenza respiratoria e cardiaca, dilatazione delle pupille e infine la morte accompagnata da convulsioni. L’azione tossica era in larga misura dipendente dalle modalità di somministrazione. Secondo Danini, negli animali a sangue caldo l’avvelenamento da cocaina produce all’inizio uno stato di agitazione, espresso in movimenti continui di saltare e correre, seguito da paralisi delle funzioni muscolari e infine da crampi spastici (di tipo clonico). In cani sottoposti a dosi di coca, Tarkhanov osservò un aumento della secrezione mucosa oltre alla presenza di zucchero nelle urine. Ma torniamo a Von Anrep: negli esperimenti condotti dall’autore su animali a sangue caldo, l’azione della cocaina si manifestava dapprima con violenta agitazione psichica e con eccitazione dei centri nervosi deputati al controllo dei movimenti volontari. Dopo dosaggi di cocaina dell’ordine di 0,01 g per kg, i cani mostravano evidenti segni di eccitazione euforica accompagnata da coazione «maniacale» al movimento. L’analisi del tipo di motilità fornisce a Von Anrep la prova che la stimolazione interessa tutti i centri nervosi; egli interpreta, poi, certi movimenti oscillatori del capo come conseguenza di un’irritazione dei canali semi-circolari. Altre manifestazioni dell’intossicazione cocainica sono l’accelerazione del respiro, spiccato aumento della frequenza del polso, riferibile a paralisi precoce del nervo vago, dilatazione delle pupille, accelerazione della motilità intestinale, notevole elevazione della pressione sanguigna e diminuzione delle secrezioni in generale. Perfino dopo dosaggi talmente elevati da provocare convulsioni e sintomi paralitici, fino al decesso dovuto a paralisi del centro respiratorio, la sostanza del muscolo striato rimane intatta. Von Anrep non indica la dose letale per i cani; per i conigli essa è 0,10 g per kg e per i gatti 0,02 g per kg⁴⁴.

    Quando si interrompono le connessioni tra il midollo spinale ed il bulbo, la cocaina non provoca né crampi né aumento della pressione del sangue (Danini); quando è sezionato il tratto dorsale del midollo spinale, gli spasmi si producono solo nelle estremità anteriori mentre quelle posteriori sono risparmiate (von Anrep). Danini e Von Anrep ne deducono quindi che la cocaina agisce principalmente sull’area vitale della midolla allungata (bulbo).

    Dovrei a questo punto aggiungere che soltanto Schroff senior considera la cocaina come un narcotico classificandola insieme all’oppio e alla cannabis, mentre quasi tutti gli altri autori la includono nel gruppo della caffeina ecc.

    5. GLI EFFETTI DELLA COCA SULL’ORGANISMO UMANO SANO

    Allo scopo di studiare gli effetti della coca sull’organismo umano in condizioni di buona salute, ho condotto alcuni esperimenti sia su me stesso che su altri soggetti: i risultati che ho ottenuto concordano fondamentalmente con le descrizioni del Mantegazza relative agli effetti delle foglie di coca ⁴⁵.

    La prima volta che ingerii 0,05 g di cocaìnum muriaticum, in soluzione acquosa all’1% fu in occasione di una lieve sensazione di stanchezza. La soluzione è piuttosto viscosa, ha un certo aspetto opalescente ed emana uno strano odore aromatico; lì per lì ha un gusto amaro, cui però fa seguito tutta una gamma di piacevoli sapori aromatici. Il sale di cocaina non dissolto possiede lo stesso odore e sapore, ma in grado più intenso. Dopo pochi minuti dall’ingestione della sostanza si prova una improvvisa sensazione esilarante accompagnata da una impressione di leggerezza; le labbra e il palato sembrano come coperti da una sorta di patina; segue, nelle stesse zone, una sensazione di calore; se, a questo punto, si beve dell’acqua fredda, questa sembra calda sulle labbra e fresca in gola. Altre volte la sensazione dominante è una piacevole freschezza del palato e delle fauci.

    Nel corso del primo esperimento ho avvertito per un breve periodo alcuni effetti tossici, che comunque non si sono ripresentati nelle prove successive. La respirazione era divenuta più lenta e più profonda, mi sentivo stanco e assonnato; assalito da frequenti sbadigli, avvertivo anche un senso di intontimento. Ma ecco, dopo pochi minuti, preceduta da una salve di rutti freddi, comparire la tipica euforia cocainica. Subito dopo l’ingestione della sostanza, notai anche un lieve rallentamento del polso, cui seguì una modesta accelerazione.

    I medesimi segni fisici dell’azione cocainica, li ho potuti osservare anche in altri soggetti, quasi tutte persone della mia età; il sintomo più costante si è rivelato quello delle ripetute eruttazioni rinfrescanti. Esso è spesso accompagnato da borborigmi originantisi probabilmente nelle parti alte dell’intestino; due dei soggetti da me osservati, che si dichiaravano in grado di riconoscere i movimenti dei loro stomaci, riferirono di averli nettamente individuati più di una volta. Spesso, al primo insorgere dell’azione cocainica, i soggetti denunciavano una intensa sensazione di calore al capo. Tale sensazione l’ho provata anch’io nel corso di sperimentazioni successive, ma debbo dire che altre volte non si è presentata affatto. In due casi soltanto la coca provocò uno stato vertiginoso. Tutto sommato, gli effetti tossici della cocaina sono di breve durata e molto meno intensi di quelli prodotti da dosi attive di chinino ο salicilato di sodio; sembra poi che diventino ancora più deboli dopo l’uso ripetuto della sostanza.

    Mantegazza accenna ai seguenti effetti occasionali prodotti dalla coca: eritema passeggero, aumento della eliminazione di urina, secchezza della congiuntiva e della mucosa nasale. La secchezza della mucosa del cavo orale e della gola è un sintomo abituale che può durare anche ore. Alcuni ricercatori (Marvand, Collan)⁴⁶ riferiscono di un leggero effetto lassativo. Sembra inoltre che le urine e le feci assumano lo stesso odore della coca. Non tutti gli autori sono d’accordo sugli effetti prodotti dalla sostanza sulla frequenza del polso. Secondo Mantegazza la coca provoca rapidamente un aumento notevole di frequenza, direttamente proporzionale all’aumento del dosaggio; anche Collin ⁴⁷notò un’accelerazione del polso dopo l’assunzione di coca, mentre Rossier⁴⁸, Demarle⁴⁹ e Marvand osservarono che ad una accelerazione iniziale faceva seguito un rallentamento di lunga durata. Dopo l’ingestione di coca, Christison osservò che lo sforzo fisico gli provocava un aumento delle pulsazioni molto più modesto di quanto non si verificasse in regime di astinenza; Reiss⁵⁰ invece contesta qualsiasi effetto sul polso. Per conto mio, non trovo nessuna difficoltà nello spiegare la mancanza di accordo; essa è da imputare in parte alle differenti forme delle preparazioni usate (infusi caldi di foglie, soluzioni fredde di cocaina), in parte alle modalità con cui vengono applicate⁵¹ e in parte alle diverse reazioni individuali. Per la coca, l’ultimo fattore, come del resto aveva già segnalato Mantegazza, è di particolare importanza. Si dice che esistano soggetti che non riescono a tollerare assolutamente la coca; d’altro canto, a me è capitato di osservarne non pochi cui non facevano nessun effetto 5 cg, dose invece efficace per me e per altri.

    Gli effetti psichici del cocaïnum muriaticum assunto a dosi di 0,05-0,10 g consistono in una sensazione esilarante e in una euforia durevole che non presenta nessuna differenza da quella di un individuo normale. Manca del tutto quel senso di eccitazione che accompagna di solito la stimolazione da alcool, come è del resto assente il tipico impulso all’azione immediata prodotto dall’alcool stesso. Anzi, si avverte un aumento dell’autocontrollo e ci si sente più vigorosi e dotati di un’aumentata capacità di lavoro; d’altro canto, se ci si mette a lavorare, non si percepisce quell’aumento dell’acutezza mentale che inducono l’alcool, il tè ο il caffè. Si è semplicemente normali, e ben presto si stenta a credere di trovarsi sotto l’influsso di qualsivoglia sostanza ⁵².

    Questi fenomeni fanno pensare che lo stato d’animo indotto dalla coca a detti dosaggi, più che a stimolazione diretta, sia dovuto alla scomparsa di quegli elementi che in uno stato di benessere generale sono responsabili della depressione. Si può forse anche supporre che l’euforia conseguente alle condizioni di buona salute altro non sia che la normale condizione di una corteccia cerebrale adeguatamente nutrita, che «non è conscia» degli organi del corpo in cui risiede.

    È durante questo stadio dell’azione cocainica, non individuabile altrimenti, che fanno la loro comparsa quei sintomi descritti come il meraviglioso effetto stimolante della coca. Un protratto e intenso lavoro, mentale ο fisico che sia, può essere compiuto senza che compaia alcuna sensazione di stanchezza; è come se il bisogno di cibo e di sonno, che altrimenti si imporrebbe perentoriamente in certi momenti della giornata, fosse completamente eliminato. Vero è che, mentre perdurano gli effetti della cocaina, si può anche indurre un soggetto a mangiare abbondantemente e senza repulsione, ma questi ha la netta impressione che il pasto sia assolutamente superfluo. Analogamente, allorché l’effetto della coca comincia a diminuire, è possibile addormentarsi se ci si mette a letto, ma si può altrettanto bene fare a meno del sonno senza alcuna spiacevole conseguenza. Durante le prime ore in cui la coca fa effetto, non si riesce a dormire, ma la mancanza di sonno non provoca assolutamente alcun disturbo.

    La scomparsa della fame, del sonno e della fatica (mentale) e la maggiore efficienza nel lavoro intellettuale sono fenomeni che ho avvertito personalmente una dozzina di volte; non ho avuto purtroppo occasione di impegnarmi in attività fisiche.

    Un collega indaffaratissimo mi offrì lo spunto per osservare un impressionante esempio del modo in cui la cocaina dissipa la stanchezza più ostinata e un più che giustificato senso di fame; alle sei del pomeriggio, il collega, che non aveva toccato cibo dalla mattina presto e aveva lavorato come un dannato tutto il giorno, ingerì 0,05 g di cocaïnum muriaticum. Qualche minuto dopo dichiarò di sentirsi come uno che avesse appena divorato un pranzo abbondante, di non provare nessun desiderio di cenare, e di avvertire tanta energia da intraprendere una lunga passeggiata.

    L’effetto stimolante della sostanza è garantito, al di là di ogni dubbio, da tutta una serie di attendibili osservazioni, alcune poi recentissime.

    Ad esempio, a scopo sperimentale, Sir Robert Christison ⁵³–che ha settantotto anni – si affaticò fino ad arrivare all’esaurimento compiendo una marcia di quindici miglia senza mangiare nulla. Dopo parecchi giorni ripetè l’impresa, con lo stesso risultato; al terzo esperimento, masticò 2 decigrammi di foglie di coca e riuscì a compiere il percorso senza provare la stanchezza delle prove precedenti; rientrato a casa, nonostante fosse rimasto senza cibo e bevande per nove ore, non provò alcun desiderio di mangiare ο di bere e si alzò la mattina dopo freschissimo. Un’altra volta scalò una montagna di tremila piedi, arrivando in vetta completamente esausto; dopo aver assunto la coca, discese invece con vigore giovanile e senza avvertire il minimo segno di fatica.

    Anche Clemens⁵⁴ e J. Collan ⁵⁵hanno fatto esperimenti del genere; Collan, ad esempio, camminò per ore ed ore sulla neve; Mason ⁵⁶chiama la coca «una cosa eccellente per una lunga marcia»; Aschenbrandt ⁵⁷ha di recente riferito come dei soldati bavaresi, esausti per lunghe fatiche ο malattie debilitanti, dopo aver assunto la coca furono in grado di partecipare a marce e manovre. Moreno y Maïz⁵⁸ con l’aiuto della coca riusciva a star sveglio intere notti; Mantegazza rimase quaranta ore senza cibo. Abbiamo quindi le migliori ragioni per affermare che gli effetti della coca sugli europei sono identici a quelli provati dalle foglie di coca sugli Indios del Sud America.

    Gli effetti prodotti da una dose moderata di coca svaniscono in modo così graduale che, in circostanze normali, è difficile stabilire la loro durata. Se, sotto l’azione della coca, ci si mette a lavorare intensamente, dopo un periodo variabile dalle tre alle cinque ore si nota una diminuzione della sensazione di benessere; per evitare la stanchezza, si rende allora necessaria un’altra dose di coca.

    L’effetto della coca sembra durare più a lungo se non si compie nessun lavoro muscolare pesante. È opinione comune che l’euforia indotta dalla sostanza non è seguita da alcun senso di rilasciatezza ο da qualsivoglia condizione depressiva. Per parte mia, propendo a credere che, dopo moderati dosaggi, almeno parte degli effetti della coca persiste per altre ventiquattro ore. Comunque sia, nel mio caso, ho notato che anche il giorno successivo all’ingestione della sostanza, le mie condizioni sembravano decisamente più favorevoli del solito. Sarei incline, quindi, a spiegare la possibilità di un guadagno duraturo di energia, quale spesso viene attribuito alla coca, con la totalità dei suoi effetti.

    Alla luce dei resoconti che citerò in seguito, sembra probabile che la coca, se usata a lungo ma con moderazione, non sia dannosa all’organismo. Von Anrep, ad esempio, dopo aver trattato i suoi animali per trenta giorni con dosi modeste di cocaina, non riuscì a scoprire alcuna conseguenza dannosa sulle loro funzioni corporee. Mi sembra poi degno di nota – per averlo riscontrato di persona e per affermazioni di altri ricercatori in grado di esprimere validi giudizi – il fatto che l’assunzione di una dose unica ο ripetuta che sia non provochi il desiderio irresistibile di usare ancora altra sostanza; al contrario, si prova una specie di immotivata avversione nei suoi confronti. Sembra che tale fenomeno sia in parte responsabile del fatto che la coca, nonostante le più calde raccomandazioni, non si sia affermata in Europa come stimolante.

    L’effetto provocato da dosaggi elevati di coca fu studiato da Mantegazza nel corso di esperimenti su se stesso. L’autore riuscì a conseguire uno stato di aumentato benessere accompagnato da un desiderio di completa immobilità, interrotto peraltro, sporadicamente, da un impellente bisogno di movimento. L’analogia con i risultati ottenuti da Von Anrep nei suoi esperimenti sugli animali è inconfondibile. Allorché Mantegazza aumentò ulteriormente la dose, cadde in uno stato di sopore beato⁵⁹: la frequenza del polso diventò altissima, mentre la temperatura corporea subì un moderato aumento. Egli notò difficoltà di parola e incertezza di scrittura; alla fine sperimentò delle allucinazioni vivacissime e colorate, all’inizio terrorizzanti, ma subito dopo piacevolissime. L’intossicazione cocainica non solo non produsse reazione depressiva, ma non lasciò il minimo segno che potesse larvatamente ricordare le straordinarie esperienze vissute dallo sperimentatore. Dopo ingestione di dosi abbastanza alte di coca, anche Moreno y Maïz provò una impellente coazione al movimento. Per quanto concerne la lucidità mentale, dopo aver assunto ben 18 foglie di coca, Mantegazza non avvertì alcun disturbo del campo di coscienza. Un chimico che cercò di avvelenarsi prendendo 1,5 g di cocaina⁶⁰ si ammalò e presentò sintomi di gastroenterite, ma non vi fu nessun ottenebramento della coscienza.

    6. USI TERAPEUTICI DELLA COCA

    Era inevitabile che una pianta che aveva acquisito una sì grande reputazione nel suo paese d’origine per i suoi effetti meravigliosi dovesse essere usata per curare i più svariati disordini e malattie dell’organismo umano. I primi europei che si resero conto del tesoro posseduto dalle popolazioni indigene non ebbero alcuna riserva a raccomandare vivamente l’uso della coca. Basandosi su una vasta esperienza clinica, Mantegazza compilò un elenco delle proprietà terapeutiche della sostanza, che piano piano si guadagnarono il riconoscimento di altri medici. In questa parte del mio scritto, ho cercato di raccogliere tutti i suggerimenti e i consigli concernenti la coca, e, nell’accingermi a questo compito, mi sono sforzato di operare una distinzione tra le raccomandazioni che si basano su successi ottenuti in campo terapeutico e quelle che si riferiscono agli effetti psicologici dello stimolante, di gran lunga preponderanti. Al momento in cui scrivo pare che esistano fondate prospettive di un ampio riconoscimento ed impiego della coca nel Nord-America, mentre in Europa i medici ne conoscono appena il nome. Il mancato attecchimento della sostanza in Europa, a mio avviso immeritato, può essere forse attribuito alle dicerie di conseguenze dannose prodotte dal suo uso, dicerie che si diffusero poco dopo l’introduzione della coca nel nostro continente; ο anche alla qualità dubbia delle preparazioni e alla loro relativa rarità, con prezzi di conseguenza elevati. Molte prove a favore dell’uso della coca sono state giudicate assolutamente valide, laddove per altre occorre ancora un’indagine scevra da pregiudizi. È stato dimostrato che la cocaina Merk [sic] ed i suoi sali sono preparati che posseggono gli stessi effetti, ο almeno quelli essenziali, delle foglie di coca.

    a. La coca come stimolante. Non v’è dubbio che l’uso principale della coca rimarrà quello sancito dagli Indios per secoli: essa è preziosa in tutti i casi in cui l’obiettivo principale è quello di aumentare la capacità fisica del corpo per un breve lasso di tempo e di mantenere una riserva di energia da utilizzare per ulteriori esigenze – specialmente allorché le circostanze esterne escludono la possibilità di ottenere il riposo e il cibo normalmente richiesti per sforzi estenuanti. Situazioni del genere si possono verificare in tempo di guerra, in occasione di viaggi, nel corso di scalate alpinistiche e altre spedizioni, ecc. – si tratta in effetti delle stesse situazioni in cui si rivelano benefici gli stimolanti a base di alcool. Senonché la coca è uno stimolante decisamente più potente e di gran lunga meno nocivo dell’alcool, e l’ostacolo a una sua più larga diffusione va ricercato soltanto nel suo costo eccessivamente elevato. Tenendo presenti gli effetti della coca sugli indigeni del Sud-America, già un autorevole medico del settecento, Pedro Crespo, di Lima (1793) ne consigliava l’uso ai marinai europei; Neudörfer (1870), Clemens (1867) e il Maggiore medico E. Charles⁶¹ suggerirono che venisse adottata in Europa negli ambienti militari; credo che gli esperimenti di Aschenbrandt non dovrebbero mancare di richiamare sulla coca l’attenzione delle competenti Autorità. Se la cocaina è impiegata a scopo stimolante, sarebbe meglio somministrarla a piccoli dosaggi attivi (0,05-0,10 g), ripetuti nel tempo onde ottenere una continuità d’azione. Sembra assodato che la cocaina non si accumuli nell’organismo; ho già accennato al fatto che, una volta svaniti gli effetti della sostanza, non subentra uno stato depressivo.

    Al momento attuale non è possibile affermare con certezza fino a che punto la coca possa aumentare le capacità della mente umana. A me sembra che il suo uso protratto possa condurre a un miglioramento duraturo solo nel caso che le inibizioni siano dovute a cause fìsiche ο ad esaurimento. Vero è che l’effetto immediato di una dose di coca non può essere paragonato a quello prodotto da una iniezione di morfina; ma, fatto senza altro positivo, non c’è alcun rischio di danni all’organismo come invece accade nell’uso cronico della morfina.

    È impressione di molti medici che la coca potrebbe giocare un ruolo importante nel riempire una lacuna dell’armadio farmaceutico degli psichiatri. È infatti notorio come questi ultimi hanno a disposizione un vasto arsenale di farmaci per ridurre l’eccitazione dei centri nervosi ma nemmeno uno utile ad aumentarne il ridotto funzionamento. Di conseguenza, la coca è stata prescritta per le più svariate condizioni di debolezza psichica – isteria, ipocondria, inibizione e stupor melanconici e stati morbosi affini; sono stati riferiti successi; ad esempio il gesuita Antonio Julian (Lima, 1787) parla di un dotto missionario che sarebbe stato liberato da una grave forma di ipocondria; Mantegazza loda la coca riconoscendone una quasi universale efficacia nel migliorare quei disordini funzionali attualmente unificati col termine di neurastenia; Flbssburg⁶² vanta brillanti risultati in casi di «prostrazione nervosa»; secondo Caldwell⁶³ la coca sarebbe il miglior tonico contro l’isteria.

    E. Morselli e G. Buccola⁶⁴ condussero una ricerca sperimentale che prevedeva l’impiego sistematico della cocaina per un periodo di vari mesi nei melanconici. Gli autori, seguendo le prescrizioni di Trommsdorf, somministrarono un preparato di cocaina per iniezione sottocutanea, in singole dosi varianti da 0,0025 a 0,10 g. Dopo circa un paio di mesi, essi confermarono un lieve miglioramento nelle condizioni dei pazienti, che divennero più allegri e ripresero a nutrirsi beneficiando di una digestione regolare ⁶⁵.

    Nell’insieme, l’efficacia della coca in casi di debolezza nervosa e psichica richiede ulteriori indagini che porteranno forse a conclusioni almeno in parte favorevoli. Secondo Mantegazza la coca è del tutto inutile, se non addirittura pericolosa, in casi di modificazioni organiche e di infiammazioni del sistema nervoso.

    b. Uso della coca nei disturbi digestivi gastrici. Oltre ad essere l’uso più antico e più solidamente fondato, è anche quello che ci riesce più comprensibile. Secondo le affermazioni unanimi, sia di vecchi che di recenti autorevoli sostenitori (Julian, Martius, Unanuè, Mantegazza, Bingel ⁶⁶, Scrivener ⁶⁷, Frankl ed altri), la coca, nelle sue varie preparazioni elimina i disturbi dispeptici e le disfunzioni e la debolezza ad essi associati, rivelandosi, se assunta per molto tempo, una cura definitiva.

    Come Mantegazza ⁶⁸e Frankl⁶⁹ , io stesso ho avuto modo di sperimentare personalmente come quei penosi sintomi che fanno seguito a un pasto abbondante – e cioè senso di pressione e di gonfiore allo stomaco, disagio e riluttanza al lavoro – scompaiono con le eruttazioni provocate da piccole dosi di cocaina (0,025-0,05). Più di una volta ho recato così sollievo ad alcuni colleghi, e in due casi ho notato come la nausea prodotta da eccessi gastronomici rispondesse rapidamente all’azione della cocaina, dando luogo a un normale desiderio di cibo e ad una sensazione di benessere corporeo. Con l’aggiunta di un po’ di cocaina al salicilato di sodio, sono riuscito ad evitare i disturbi di stomaco.

    Il collega Joseph Pollack mi ha riferito di un caso in cui ottenne dalla sostanza un effetto veramente sorprendente, il che sta a dimostrare come essa si possa impiegare non solo per trattare semplici turbe gastriche locali ma anche gravi reazioni riflesse; si deve dunque precisare che la cocaina è dotata di una potente azione sia sul rivestimento mucoso che sulla parete muscolare dell’organo.

    Un paziente di quarantanni, persona robusta che il dottore conosceva molto bene, fu costretto ad attenersi rigidamente ad una certa dieta con orari di pasti rigorosamente determinati; solo così avrebbe potuto evitare gli

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