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La mia peggiore amica
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E-book439 pagine6 ore

La mia peggiore amica

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Info su questo ebook

Un romanzo che incanta e seduce, fa sognare a occhi aperti come un film di Hollywood

Francesca ha un unico grande sogno: fare l’attrice. Peccato però che dopo decine e decine di provini riesca a ottenere solo piccole parti da “casalinga esaltata” in ridicoli spot pubblicitari. Quando il fidanzato la lascia senza una ragione e l’agenzia per cui lavora la licenzia su due piedi, tutto il suo mondo sembra andare in frantumi, ma poi arriva una telefonata a cambiarle la vita: Caroline Mason, la stella del cinema, la vuole come assistente a Hollywood. È l’occasione della sua vita: lo stipendio è altissimo, i contatti sono esaltanti, tutti la invidiano e si fa avanti persino un affascinante corteggiatore… Ma anche nel mondo dei sogni niente è come appare: la capricciosa e dispotica Caroline fa di tutto per renderle la vita impossibile, e il suo amore non sembra capace di starle dietro. Francesca è ancora una volta sull’orlo di una crisi di nervi. Eppure, la fortuna è di nuovo pronta a girare e il destino ha in serbo grandi cose per lei.

«Tra capricci e cattiverie questa diva fa concorrenza alla Miranda Priestly di Il diavolo veste Prada.»
Elle.it

«Ironico, pungente e romantico. La voce di Jemma Forte fa ridere e sognare, impossibile non lasciarsi prendere.»
Publishers Weekly

«Accattivante e coinvolgente, una penna fresca e leggera, un cuore dolcissimo. Jemma Forte, un debutto promettente.»
The Independent


Jemma Forte
ha lavorato per diversi anni nel mondo della televisione, collaborando con Disney Channel, BBC e Channel 4. Per un breve periodo è stata personal assistant di una famosa attrice. La mia peggiore amica è il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854158290
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    Anteprima del libro

    La mia peggiore amica - Jemma Forte

    DOPO

    CAPITOLO 1

    «E stop!», urlò il regista. «Abbiamo finito. Grazie a tutti per l’ottima settimana e ci rivediamo lunedì».

    La prima attrice Francesca Massi sospirò di sollievo quando finalmente James Carrington le si spiccicò di dosso. L’aveva brancicata con entusiasmo per gran parte del pomeriggio, ricoprendola di una sottile pellicola del proprio sudore. Non c’era da stupirsi che non vedesse l’ora di farsi una doccia.

    «Prenda, Miss Massi». La guardarobiera allungò a Francesca una vestaglia e lei grata ci si avvolse dentro. Ora che una troupe di ottanta persone aveva potuto squadrare indiscreta le sue notevoli grazie era importante proteggere quel rimasuglio di pudore che poteva restarle. Geoff, quel depravato del produttore, le veniva incontro a lunghi passi, uno sguardo deciso negli occhi troppo vicini fra loro e di un azzurro slavato. Teneva il braccio poggiato, con fare disinvolto, intorno alle spalle della sua ultimissima ragazza, Stacey. Erano settimane che cercava di convincere Francesca ad accettare il ruolo di protagonista nel suo nuovo film; nonostante lei gli avesse già detto non si sa quante volte di non essere per niente interessata, non sembrava darsene per inteso.

    «Ah, eccoti», esordì. «Sono contento di averti trovato, ho bisogno assoluto di parlarti di una cosa della massima importanza...».

    «Ho fatto cadere un’altra volta quella cavolo di foratrice. Lo troveresti troppo oltraggioso se ti chiedessi di prendere l’aspirapolvere e dare una passata veloce intorno alla scrivania? È pieno di pezzettini bianchi dappertutto».

    Smetto subito di digitare sulla tastiera e giro la sedia verso di lui. «Sicuro, Geoff. Vuoi che lo faccia subito?»

    «No, no, se hai da fare...», mi risponde agitando vago la mano per aria mentre occhieggia senza pudore Stacey che rientra in ufficio proprio in quel momento. Lei gli fa un salutino con la mano e con mossa seducente getta da un lato la lucente capigliatura. Stacey è fin troppo consapevole dell’effetto che i suoi capelli biondi e le sue lunghe gambe hanno su Geoff e sfrutta tutto questo senza alcuna vergogna. Non ho nessuna voglia di parlare con lei, e so che il sentimento è reciproco. A dire il vero, delle circa quindici persone che lavorano alla Diamond Productions, il solo che considero un vero amico è Raj.

    Mi sta seduto di fronte ed è molto carino, super intelligente (quando non è strafatto) e con grande orrore della famiglia, di induisti rigorosamente osservanti, è un hippy autentico, che porta i capelli tinti di tutti i colori dell’arcobaleno, e si mette lo smalto. È anche il nostro capoufficio e di mattina affronta le sue mansioni con grande passione. Il suo entusiasmo, però, tende a esaurirsi verso l’ora di pranzo, quando invariabilmente esce in balcone per fumarsi la canna più enorme che abbiate mai visto. Dopodiché non è più buono a nulla, anche se, a onor del vero, il suo punteggio a Tetris resta altissimo.

    Il fatto che quasi tutti i pomeriggi il nostro capoufficio non riesca a dedicarsi ad altro che a sparare sciocchezze e magari ad un grosso kebab, sembra non interessare minimamente il nostro boss, Geoff, ma questo è dovuto al fatto che trascorre gran parte delle proprie giornate confortevolmente rinchiuso nel proprio club.

    Non mi lamento. Avere un boss che lascia che il proprio ufficio vada avanti da solo mi sta benissimo, ed è il primo motivo per cui mi accontento da tanto di un salario così miserabile. Anch’io, infatti, ho un’abitudine che Geoff ignora. Un’abitudine di cui non so liberarmi, che mi trascino da anni e che ultimamente non credo mi faccia granché bene. Si tratta di partecipare alle audizioni, e per farlo ho bisogno di un lavoro che mi permetta di svignarmela facilmente per un’ora o due quando il mio agente me ne trova una. Il mio progetto è, da sempre, quello di mollare il lavoro di assistente personale di Geoff non appena mi si presenterà la grande occasione.

    Geoff si allontana dalle vicinanze della mia postazione per raggiungere Stacey. Posso respirare di nuovo e torno al mio racconto. È difficilissimo concentrarsi come si deve in uno spazio completamente privo di pareti divisorie come quello di questo ufficio, ma sono diventata brava ad astrarmi.

    «È andata bene la riunione Stace?», s’informa Geoff, cercando di guardarle meglio nella scollatura mentre lei si china per far scivolare le buste di TopShop sotto la scrivania.

    «Benissimo, Geoff, grazie», tuba leggiadra, e fa sparire l’ultima busta con un calcio. «Scusami se mi c’è voluto così tanto per rientrare, al ritorno la metro non passava mai».

    Sento Raj che mormora piano: «E io sono Doris».

    «Non ti preoccupare piccola», le risponde Geoff con un sorriso condiscendente, e intanto si dirige verso la scrivania camminando all’indietro. Dovrà sembrargli una cosa molto sexy, in realtà ha l’aria di essere un’operazione parecchio complicata e rischiosa, un pericolo per se stesso e per tutti gli oggetti inanimati lungo la traiettoria. Ad ogni modo, con mio grande disappunto (e maggiore sorpresa) ce la fa a raggiungere la sedia senza inciampare o sbattere in qualcosa, riesce addirittura a sedersi con un unico sciolto movimento, senza mai staccare gli occhi di dosso a Stacey, che finge con coraggio di sentirsi a proprio agio mentre sostiene il suo sguardo, ma io so che non lo è. Le ragioni per cui Stacey non mi piace sono quelle che seguono.

    Stacey è quel tipo di ragazza che trova repellente e smidollato chiunque assaggi un biscotto, o un dolcetto, e che rinuncerebbe volentieri a tutto solo per apparire sulla rivista «Ok». Per farla breve, non è una tipa da amiche femmine. Va da sé che gli uomini la adorano e che li ha tutti ai suoi piedi. Le donne la considerano una grande stronza. Gli uomini vedono in lei bisogni (fraintesi) da soddisfare. Quello che più mi irrita però, e mi costa ammetterlo, è che io e lei abbiamo alcune cosette in comune, e in parte credo sia il motivo per cui ci fidiamo così poco l’una dell’altra.

    Anche lei, come me, qui alla Diamond Productions inganna solo il tempo, e considera il lavoro come una semplice tappa lungo il sentiero della sua vera aspirazione. Come me il suo vero desiderio è recitare, anche se sospetto che Stacey sarebbe felice di fare la presentatrice, cantare, leggere il notiziario o spogliarsi completamente e andare in giro per Trafalgar Square nuda e con una banana nel didietro, se questo servisse a renderla famosa.

    La ciliegina sulla torta della simpatica personalità di Stacey è che ricambia lo spudorato flirtare di Geoff, spettacolo non piacevole, e che dobbiamo sopportare tutti i santi giorni, dato che il nostro ufficio è completamente privo di pareti divisorie.

    Le mie dita volano sulla tastiera.

    Nonostante per Miss Massi dover chiacchierare con Geoff alla fine di una giornata così faticosa fosse una vera seccatura, non riuscì a reprimere una risatina. Quel giorno aveva superato se stesso e portava una giacca di pelle grigia che non poteva definirsi altro che orribile. Mentre avanzava con quella che voleva essere un’aria disinvolta, Francesca capì che credeva di apparire irresistibile. In realtà sembrava uno dei Bee Gees, non che Stacey glielo avrebbe mai fatto capire. Quella ragazza era più che felice che fosse così ridicolo, finché le permetteva di condurre il proprio costosissimo stile di vita.

    «Ecco cosa faremo Fran», mi dice Geoff schiarendosi la gola. «Se per te va bene, puoi pulire adesso e nel frattempo mi aggiorni. Così avrò tempo di portare Stacey a pranzo e potrà mettermi al corrente su tutti questi incontri che sta facendo per procacciare nuovi clienti».

    «Non c’è problema», rispondo, e cerco di non ridere quando vedo l’espressione afflitta che fa Stacey.

    Non posso che essere lieta che Geoff faccia di Stacey l’oggetto prediletto delle sue attenzioni, e che non le diriga su di me. Geoff crede di essere per le donne un dono del cielo e c’è qualcosa in lui di raccapricciante. Mi è sempre sembrato il tipo d’uomo che mette su Luther Vandross¹ se sta cercando di portarti a letto.

    Salvo quello che sto scrivendo, riduco a icona per continuare più tardi e mi dirigo verso la sua scrivania portando l’aspirapolvere con me. Mi chino per pulire intorno ai suoi piedoni, che oggi sono infilati in un paio di lucenti e orribili mocassini con le nappine. Probabilmente sono di marca e costosissimi ma sembrano quelli che porterebbe un tassista e fanno a pugni coi jeans. Il gusto di Geoff nel vestire è stupefacente, e uso il termine nella sua accezione più sarcastica.

    Dopo aver finito di svolgere mansioni che nulla hanno a che vedere con i miei compiti, mi rialzo per aggiornare Geoff sulle ultime novità della Diamond Productions.

    «Bene», esordisco. «Prima di tutto, hai presente la girl band che hai visto la settimana scorsa?»

    «Sì?»

    «Hanno deciso di rivolgersi a un’altra agenzia».

    «Dannazione», fa lui, e prova senza successo a spezzare in due una matita.

    «Notizia più positiva è che ha chiamato Shanice del Grande Fratello», aggiungo in fretta. Geoff sembra non capire, quindi gli spiego.

    «Bisogna ammettere che Shanice non è il cliente ideale, era nel Grande Fratello dell’estate scorsa ed è stata buttata fuori per avere assalito un altro della casa, ma sarebbe felicissima di incontrarti per decidere come aumentare il gradimento del pubblico nei suoi confronti, dato che il suo ultimo e, diciamolo, piuttosto prevedibile obiettivo, è quello di diventare una modella famosa».

    Geoff si alza e va a sdraiarsi sulla panca che sta in un angolo dell’ufficio. «Cavolo, capisco che intendi. Sarà una faticaccia riuscire a farla amare dal pubblico, ma certo vale la pena incontrarla, per quanto ricordo», replica untuoso, e traccia con la mano gesti del tutto inappropriati. «Prendile un appuntamento Fran».

    «Bene, sarà fatto», dico io.

    Solo ora mi accorgo che Stacey, dopo aver origliato dalla sua scrivania, è diventata di una straordinaria sfumatura di rosso.

    «Sei una tale vacca, Fran», mi sibila attraverso l’ufficio quasi piangendo. «Sai quanto adoro il Grande Fratello e si dà il caso che secondo me Shanice sia straordinaria. Perché non l’hai lasciata a me? Tu il Grande Fratello neanche lo guardi».

    La fisso, ammutolita. Che idiota.

    «Oh, babe», s’intromette Geoff alla fine, una lunga gamba distesa davanti a sé, l’altra ripiegata, come un attempato ragazzo da copertina. «Senti, vedo che per te conta tanto, quindi perché non te ne occupi e fissi la cosa? Sono sicuro che a Fran non dispiace».

    «Oh, grazie Geoff, sei così dolce», sorride melliflua. «E comunque è più il mio campo. Insomma, dovrei essere io ad avere rapporti con i clienti, Fran è solo la tua assistente».

    Conto mentalmente fino a dieci. «Ad ogni modo Geoff», proseguo, «ho pensato a qualcosa per la tua presentazione e ho anche preparato un comunicato stampa che potresti mostrare a Shanice come esempio del nostro lavoro».

    Stacey mi fulmina con lo sguardo e caracolla verso la mia scrivania. «Be’, considerato che da adesso in poi mi occuperò di Shanice sarà meglio che dia un’occhiata. E per il futuro, magari tu credi di essere l’unica capace di scrivere qualcosa, qua dentro, ma si dà il caso che non sia così».

    Aspetto che Geoff riprenda Stacey per la sua estrema maleducazione, ma non lo fa. Si limita a guardarla con indulgenza, come se invece di comportarsi in modo meschino, non fosse che una sciocchina.

    A questo punto non riesco a capire con chi dei due ce l’ho di più e alla fine lancio a Geoff un’occhiataccia. Quando lui alla fine se ne accorge ha perlomeno la decenza di abbandonare la sua posa da mese di aprile e di assumerne una più consona. Il minuto successivo, però, perdo definitivamente la partita.

    «Che accidenti è questo?». L’urlo di Stacey riempie l’ufficio, e tutti la guardano. Un pensiero terribile fa capolino alle porte del mio cervello e subito vengo colta da un senso di nausea. No, no, no, no. Non può essere vero. Ma lo è.

    «Geoff Harding era un uomo con un ego spropositato e poco cervello». Stacey legge a voce abbastanza alta da essere udita anche da quelli al lato opposto della sala. «Il fatto che si fosse fatto un nome per i film d’azione che aveva diretto negli anni Ottanta non bastava a giustificare i suoi recenti fallimenti o il suo orribile gusto nel vestire...».

    Stacey legge fra sé e sé qualche altra frase, e scorre la pagina a gran velocità.

    «Aspetta un attimo», dice, e cambia registro passando da un’aria scherzosamente oltraggiata a una veramente furiosa. ...Stacey, la sua ragazza, era la classica bambola stupida e la dimostrazione vivente di ogni stereotipo riguardante gli uomini di una certa età, e la loro incapacità di capire quando una donna è più infatuata del loro conto in banca che della loro personalità. Infatti, Stacey amava così tanto i soldi da essere capace di sopportare perfino di avere una relazione con un uomo che portava jeans più aderenti dei suoi...».

    «Che diavolo è Fran?», chiede Geoff sconcertato.

    «Ma niente Geoff, ti assicuro, era solo per farsi due risate», rispondo io, risvegliandomi dallo stato pietrificato in cui sono e lanciandomi verso il computer.

    «Per favore Stacey, smetti subito di leggere, è una cosa privata».

    Stacey mi lancia un’occhiata che mi ghiaccia fino al midollo e per la prima volta in vita mia capisco che dovrò difendermi da un attacco fisico alla mia persona. Infatti mi salta addosso e per i cinque minuti successivi non siamo altro che un groviglio indistinto di gomiti, unghie e capelli. A un certo punto si raduna una piccola folla e sento anche Hazel che dalla contabilità urla: «Dacci dentro Fran!», cosa che non è da lei, anche se apprezzo sicuramente il suo appoggio.

    Il resto non può considerarsi tanto una lite o una lotta, ma più un tafferuglio patetico durante il quale Stacey mi graffia così forte che mi fa uscire il sangue e io per pura disperazione cerco di torcerle un braccio cosicché finalmente lei si fa indietro, e mi sibila oscenità.

    A spettacolo finito tutti ritornano al proprio posto, apparentemente un po’ delusi che io e Stacey non siamo finite a rotolarci per terra con le gonne alzate fino alla vita, e Geoff rimane lì fermo e furioso. A questo punto comprensibilmente fuma di rabbia e mi informa che lui e Stacey decideranno a pranzo quale sarà la mia sorte. Non c’è bisogno di dire quanto sono felice di sapere che anche lei sarà inclusa nella decisione del mio destino.

    Escono insieme avvolti da una nube di indignazione, con Stacey che melodrammaticamente si regge il polso sanissimo.

    Mi guardo intorno e quindici paia di occhi guardano a terra. Mi viene in mente che ci vorrebbe un PR davvero bravo per tirarmi fuori da questa faccenda, quindi purtroppo sono nel posto sbagliato. Ho bisogno del conforto di un amico e mi volto verso un Raj sbalordito, ma non ottengo nessun sostegno.

    «Che diamine t’è venuto in mente Fran? Perché hai lasciato il file aperto?», mi fa.

    «Oh smettila, Raj. Non ce la faccio, sono stata un’idiota fatta e finita. Credi che sarò licenziata?»

    «Non so, Fran. Spero di no», dice Raj stringendosi affranto nelle spalle.

    Prendo la sua riluttanza a darmi una risposta in un senso o nell’altro come un pessimo segno.

    «Merda», dico nel panico più completo. «Ora sono in ritardissimo per il pranzo con Carrie Anne, perciò devo scappare, Raj, ma ci vediamo più tardi».

    «A dopo Fran», dice Raj, e si ritira sul balcone dove sicuramente va a fumare una canna gigante, naturalmente solo per liberarsi dello stress accumulato.

    ¹Cantante statunitense (n.d.t.).

    CAPITOLO 2

    Cammino in fretta per Soho, preoccupata per ciò che sarà di me mentre mi addosso mentalmente la colpa dell’accaduto. Come ho fatto a essere così stupida? Posso anche non amare granché il mio lavoro, ma mi serve assolutamente e mi sento anche tremendamente in colpa se ho offeso i sentimenti di Geoff, perché non era affatto mia intenzione. Mi immagino la faccia della mia migliore amica e coinquilina Abbie mentre le annuncio che nell’immediato futuro l’affitto potrebbe essere un problema. Sembra scocciata.

    All’angolo tra Wardour e Old Compton Street, mentre aspetto il momento giusto per attraversare la strada, un furgone passa su una pozzanghera ed evita per pochissimo di inzupparmi. Siamo alla fine di febbraio e il tempo è pazzo, perfettamente in tono col mio umore.

    Mentre attraverso la strada con una corsetta arrischiata mi ricordo che stasera vedrò Harry, il mio ragazzo. Accidenti, ora dovrò raccontargli cosa è successo e so che quando lo farò non avrà nessuna pietà. Invece di mostrarsi comprensivo, semplicemente vedrà la mia ultima tragedia come un’occasione per prendermi grandiosamente in giro. Come se avesse bisogno di ulteriori scuse per farlo, penso ironicamente.

    Quando finalmente arrivo al bar di Bruno, dopo aver percorso gli ultimi metri correndo, trovo Carrie Anne, giustamente irritata, ancora seduta al nostro tavolo.

    «Che fine hai fatto, tesoro?», chiede. «Devo rientrare per una riunione perciò ho solo altri venti minuti».

    «Lo so, lo so, scusa, scusa tanto. È solo una di quelle giornate...», spiego col fiatone mentre mi tolgo la giacca.

    «Bene, ora sei qui, perciò siediti e raccontami tutto. Sembra un secolo che non ci vediamo».

    Carrie Anne e io ci siamo incontrate per la prima volta dieci anni fa sul set di un film, e a raccontarlo sembra molto più eccitante di quanto non sia stato. Non ero mai riuscita ad andare a scuola di recitazione, perciò a diciotto anni avevo deciso di trovarmi un lavoro come tuttofare sul set di un film. Così, pensavo, potevo imparare qualcosa su quell’industria di cui ancora volevo entrare a far parte. In effetti avevo imparato molto. Avevo imparato chi fra più di ottanta persone prendesse tè o caffè e che iniziare a lavorare prima delle sei di mattina può farti davvero stare fisicamente male. Avevo imparato che è dura sopravvivere con una paga di cento sterline a settimana e che se fai una colazione completa ogni giorno per dieci settimane, ingrassi. Cosa più importante, avevo anche scoperto che nonostante qualcuno possa affermare che stare fermi sul set di un film sia estremamente noioso, io amavo farlo, anche se l’evidentissimo ordine gerarchico non sfuggiva alla mia attenzione. Come umile tuttofare stavo alla base della piramide. All’apice c’erano gli attori che venivano trattati come dei re, ogni loro capriccio veniva soddisfatto. I reali però, c’è da dire, trascorrono un sacco di tempo a fare cose che probabilmente non vorrebbero, a svolgere funzioni noiose e a parlare con i politici, gli attori no.

    Comunque, Carrie Anne era la terza assistente regista per lo stesso film e nell’attimo in cui avevo visto questa rossa formosa, che rideva in maniera sguaiata e rispondeva ai commenti volgari della compagnia con altri ancora più spinti, avevo capito che saremmo andate d’accordo e che saremmo diventate grandi amiche.

    Alla fine del film ero più convinta che mai di voler provare a diventare un’attrice mentre Carrie voleva restare nella produzione. Era andata avanti fino a diventare capo produzione nella più grande casa cinematografica del Regno Unito, la Great British Films e la differenza tra le nostre carriere è sempre stata una dimostrazione abbastanza lampante che il suo progetto era forse un po’ più sensato del mio. Lei lavora a tempo pieno, è richiesta e guadagna molto, mentre io ho trascorso anni passando da un lavoro all’altro con il compito scoraggiante di trovarmi un agente e partecipare ai casting e, nonostante abbia occasionalmente ottenuto qualche strana particina qua e là (strana è la parola giusta), qualunque piccolo successo possa aver avuto, sono riuscita sempre solo ad addolcire appena l’amarezza di ben più numerosi rifiuti.

    «Grazie tesoro», dice Carrie Anne a Bruno, mentre ci porta al tavolo due panini pomodoro e mozzarella. «Dai su Fran, dimmi le cose salienti. Hai fatto qualche altro provino recentemente? Come sta Harry?»

    «Uhm, bene, ho fatto un solo provino poco tempo fa ed era per la pubblicità di un assorbente, quindi questo la dice lunga e Harry sta benissimo, ma la notizia più scandalosa è che il mio piccolo passatempo di scrivere mentre lavoro probabilmente mi è costato il posto», dico, lanciandomi nel racconto degli eventi della giornata.

    Quando finisco Carrie Anne è a bocca aperta. «Fran, devo dirtelo, ma come hai potuto essere così stupida? Perché diavolo non hai cambiato i nomi?».

    Non so rispondere. Mi sento molto in imbarazzo, capisco perfettamente quanto sono stata stupida e non ho bisogno che venga puntualizzato ancora. Carrie Anne se ne accorge subito e mi consola.

    «Ok, ascolta, è successo ed è inutile rimuginare sui se, perciò, invece, dobbiamo cercare di capire come affrontare al meglio la situazione».

    Sospiro. «Be’, a dir la verità Carrie Anne, anche se Geoff non mi licenzia, cosa altamente improbabile visto che proprio adesso la persona che mi odia di più al mondo lo starà plagiando, non vedo proprio come potrei restare arrivati a questo punto. È tutto così tremendamente imbarazzante».

    Smetto di parlare un attimo per dare un grosso morso al panino. «Inoltre, ultimamente c’ho pensato parecchio e ho deciso che a ventinove anni forse è ora che inizi ad affrontare un po’ di cose».

    «Che intendi?», mi chiede Carrie Anne con calma. È abituata ai miei drammi.

    «Be’, anche se mi dispiace dirlo, sto iniziando a pensare che non avrei mai dovuto provare a fare l’attrice. Voglio dire che ho buttato così tanta energia nel cercare di realizzare il mio sogno, ma è così maledettamente difficile ed è un mondo così competitivo», dico, masticando. «Sono secoli che non mi prendono per qualcosa di decente e ormai, se davvero voglio lavorare, molto probabilmente la mia unica possibilità resta il teatro sperimentale che non mi permetterebbe di guadagnare abbastanza. Ovviamente non posso permettermelo, perciò resto nel limbo alla Diamond Productions e, quel che è peggio», continuo (ormai ho preso il via), «è che qualunque responsabile del casting che mi avesse preso anche solo vagamente sul serio ha smesso di farlo appena è uscito il mio spot. In effetti, ora che ci penso, forse non potrei neanche fare teatro, anche se volessi». Quest’ultimo pensiero deprimente mi fa accasciare sulla sedia, completamente sconfitta.

    Carrie Anne ci prova ma non riesce a trattenersi e sbotta in una risata di cuore, quasi strozzandosi con un boccone di mozzarella.

    «Oh tesoro, so che non dovrei ridere ma non ce la faccio. Ho visto l’altro giorno il tuo spot per la prima volta e quasi me la facevo addosso», dice, gettando la testa all’indietro mentre ride ripensandoci.

    Carrie Anne sa che sono sempre pronta a una salutare dose di autocritica e non ci siamo mai risparmiate a vicenda. Però, potrebbe moderarsi un po’.

    «Eri esilarante», dice asciugandosi una lacrima.

    Replico con un sorriso triste e sospiro. Non riesco mai a far capire alla gente che non voglio essere divertente. Ed ecco che mi ricapita. Poco tempo fa ho fatto uno spot per una compagnia di assicurazioni per signore intitolato Danni per Donne. All’inizio ero veramente eccitata. Il solo aver ottenuto la parte aveva dato una bella spinta alla mia autostima e quando scoprii che avrei preso duecento sterline per un solo giorno di lavoro la mia gioia non ebbe fine. Gli amici e la famiglia erano così contenti e sollevati, suppongo soprattutto perché sapevano che sarei stata zitta per un po’; perfino Geoff era contento. Perlomeno finché non cominciò a chiedersi quando ero potuta andare a fare il provino...

    Ovviamente c’era una persona che non era così contenta per me ed era Stacey. Per quanto ci provasse non riusciva a nascondere la gelosia e l’assoluto disprezzo per il fatto che io fossi stata scelta, cosa che all’epoca era un bonus ottimo, e quando arrivò la mia convocazione, col nome scritto a destra in alto sotto la voce artisti, sembrò che finalmente la fortuna avesse girato dalla mia parte... poi ci furono le riprese.

    Nello spot sono vestita come la pupa di un gangster. Danni per Donne, capito?

    Sono una taglia media, formosa ma non grassa, perciò ero abbastanza attraente con la gonna a tubino, la giacca aderente, le calze a rete e i guantini che mi fecero indossare. Tuttavia, secondo la truccatrice, i miei capelli castani lunghi e mossi non funzionavano, perciò, dopo averli modellati per mezz’ora, ci rinunciò e li infilò tutti in un berretto che poi fissò di lato con un’inclinazione sbarazzina. Mi ricordo che disse al regista che pensava mi facesse sembrare un po’ Bonnie di Bonnie e Clyde e lui rispose: «Se devo dire la mia, mi sembra più Frank Spencer¹ , ma tant’è».

    Giusto per consolidare una volta per tutte la mia totale perdita di dignità, dovevo cantare il solito jingle tremendamente carino e accattivante, guardando dritto in camera. Lo spot era girato male, di pessimo gusto, scadente e con una luce orrenda e quando cominciò ad andare in onda non mi ci volle molto per iniziare a chiedermi se la mia performance potesse essere in effetti più un ostacolo al decollo della mia carriera che un aiuto.

    Forse per tutte queste ragioni sembra aver colpito l’attenzione del pubblico, ed è diventato uno di quegli spot che la gente ama proprio perché sono orrendi. In effetti il mio agente mi ha chiamato un paio di giorni fa per dirmi che stanno pensando di rifarlo per l’estate, anche se non mi pagherebbero visto il tipo di contratto che mi hanno fatto la volta precedente...

    Per vedere il lato positivo, almeno posso dire, come il mio eroe Jimmy Stewart, che una mia performance ha fatto venire le lacrime a qualcuno. L’unica differenza è che le lacrime sono le mie e sono d’imbarazzo. Per chiunque altro lo abbia visto, sarebbe più appropriato dire che ha pianto dal gran ridere. Adesso, col lavoro che sto per perdere da un lato e la mia carriera a un umiliante punto di arresto, riesco praticamente a veder girare le lancette della mia vita e so che l’unica persona che può cambiare la situazione sono io.

    «Smetterò di provare a fare l’attrice», dichiaro, tastando il terreno e sperando in cuor mio che Carrie Anne mi dissuada. Tuttavia, con mio grande dolore la risposta sul suo viso è più di felice sollievo che di dispiacere.

    «Questa sì che è una bella notizia, tesoro, odio doverlo dire ma sai che ho sempre pensato che avresti fatto meglio a scrivere piuttosto che fare l’attrice. Sono felice che tu abbia preso questa decisione».

    «Cosa?», dico con un’espressione stupita che riflette i miei pensieri.

    Carrie Anne sbatte le palpebre. «Quello che scrivi, no? Se smetti di fare l’attrice, che, diciamolo, è una vita da cani, a meno che tu non faccia parte di un’élite, allora penso che dovresti darci dentro con la scrittura, cosa per cui ho sempre creduto tu abbia un vero talento».

    «Carrie Anne», dico frustrata. «Non posso passare da un sogno ridicolo a un altro. Adoro scrivere, l’ho sempre fatto e sempre lo farò, ma è un hobby e non qualcosa che voglio venga giudicato da altre persone».

    Faccio un grosso respiro. È già stata una lunga giornata, ma la mia amica sta solo cercando di aiutarmi. «Carrie Anne, dopo anni di rifiuti penso che forse è giunta l’ora di smettere di rischiare, sembra che la mia carriera di assistente personale di Geoff stia per finire, perciò penso che quello che davvero mi serve è un lavoro abbastanza interessante dove possa impegnarmi e riuscire a concludere qualcosa. Quindi, stavo pensando, non c’è per caso un posto alla Great British Films? So che chiedo molto, ma se non farò l’attrice non riesco a pensare a un altro posto dove lavorare e onestamente sarei disposta a fare assolutamente qualunque cosa pur di restare nell’ambiente».

    Carrie Anne mi fissa coi suoi occhioni verdi e mi sorride con affetto. «Non qualunque cosa, spero! Ascolta, Fran, ovviamente terrò le orecchie aperte, ma spero tu sappia che potresti sprecare il tuo miglior talento senza neanche accorgertene. Non hai mai dato una chance alla scrittura e se io sentissi di qualche posto libero alla Great British Films sarebbero solo noiosi lavori di uf­ficio».

    «Be’, non sarebbero più noiosi di quello che ho fatto nell’ultimo paio d’anni e perlomeno farei parte in qualche modo dell’industria cinematografica», dico, sforzandomi di non far tremare la voce.

    Carrie Anne mi stringe un po’ la mano mentre inizia a raccogliere le sue cose.

    «Tesoro, devo scappare, ma credimi quando ti dico che il mondo del cinema non è così affascinante come credi. Sì, ci sono dei bei momenti, ma anche dopo tutti questi anni in cui mi sono fatta il culo, continuo a lavorare come una scema tante ore e a trascorrere tempo inutile con persone che hanno ego smisurati».

    «Tipo chi?», dico, accesa immediatamente dalla mia curiosità. Adoro i racconti di Carrie Anne e nonostante ciò che dice sono tutto fuorché noiosi.

    «Fran, non farmi cominciare sennò restiamo qui fino a mezzanotte», chiude secca Carrie Anne. «Adesso devo andare ma salutami il tuo splendido fidanzato».

    «Lo farò», dico, triste che il nostro pranzo veloce sia finito e dispiaciuta di aver passato tutto il tempo a parlare di me. «Tanto lo vedo stasera perciò te lo saluto».

    «Vedi», dice Carrie Anne, abbottonandosi la giacca. «Questo è un altro aspetto negativo del mio lavoro. Non ho tempo per l’amore e diventerò una zitella vecchia e sola».

    Mentre lo dice sorride ed entrambe sappiamo che per quanto si lamenti ama il suo lavoro con tutta se stessa e non ne vorrebbe un altro.

    Mi alzo e la abbraccio forte.

    «Mi dispiace di essere arrivata in ritardo e di aver passato tutto il tempo a sproloquiare su di me. So che le cose non vanno davvero così male e che tu hai ragione, almeno c’è Harry e di questo sono contenta», dico, mentre mi sciolgo dall’abbraccio e la guardo negli occhi. «Ma, per favore, tienimi in considerazione per qualsiasi posto salti fuori. Davvero, sono disposta a tutto».

    Carrie Anne torna al lavoro e mi lascia a fissare i resti del mio pranzo. Ordino un cappuccino, qualunque cosa pur di evitare di tornare in un ufficio da dove temo verrò sbattuta fuori senza tante cerimonie.

    ¹ Protagonista di una sitcom inglese degli anni Settanta (n.d.t.).

    CAPITOLO 3

    Mi resta una settimana precisa di lavoro retribuito. Anche la più piccola speranza di conservare il posto è svanita quel pomeriggio alle cinque e mezza, quando Stacey è rientrata barcollando insieme a Geoff. M’ero subito accorta dello scintillio vittorioso nei suoi occhi e avevo capito che la frittata era fatta.

    «Il fatto è, Francesca, che potevo anche passarci sopra, perché per tanti versi sei una brava PR, diavolo», aveva biascicato Geoff con la faccia arrossata per l’alcool bevuto a pranzo. «Ma non posso assolutamente ammettere la violenza fisica su un membro dello staff».

    A questo punto Stacey s’era velocemente ricordata di reggersi di nuovo il polso. M’era venuta voglia di far notare che avevo lasciato un’ampia porzione di pelle sotto le sue unghie acriliche, ma poi ci avevo ripensato, so capire quando ho perso.

    «Per di più Francesca», aveva proseguito Geoff, «come Stacey mi ha fatto giustamente notare, nel nostro lavoro siamo depositari di molti segreti e non posso permettermi di avere alle mie dipendenze persone che scrivono alle nostre spalle perché a conti fatti la fiducia è un valore d’importanza immensa per i nostri clienti». Stacey fece un sorrisone verso di me, senza sforzarsi minimamente di nascondere il piacere che la mia rovina le procurava.

    Sono uscita dall’ufficio e ora mi dirigo verso Leicester Square, la metropolitana e infine la casa di Harry; le mie speranze sono ormai deluse, sono stressata e ansiosa.

    Il viaggio in metro non aiuta a migliorare il mio umore. Il vagone è pieno zeppo e l’aria è soffocante. Resto in piedi per tutto il tragitto, sudo nel cappotto pesante e mi chiedo che diavolo farò della mia vita. Coraggiosamente mi sforzo di mantenere un contegno e di pensare positivo. Forse è proprio quel calcio nel

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