I "Punti" della nostra vita: La straordinara vita di Nicola Martinelli
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I "Punti" della nostra vita - Roberto Allegri
Roberto Allegri
I Punti
della Nostra Vita
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Indice dei contenuti
Ringraziamenti
Introduzione
Prefazione
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
L'autore
Gli ebook dell'editoriale Gli Olmi
Galleria Fotografica
Ringraziamenti
A mio padre e mia madre.
Sono le pietre che
fanno saldo il passo
sul sentiero che sto percorrendo.
Introduzione
Nicola Martinelli fa parte di quel manipolo di professionisti silenziosi
, di cui non si parla mai,ma che hanno contribuito in modo straordinario a tenere in piedi il nostro Paese, a renderlo migliore.
La sua esistenza è talmente densa di aneddoti, incontri, coincidenze e svolte del destino da sembrare un romanzo.
Vi è la povertà del mondo contadino, il desiderio di essere sarto, l'apprendistato nelle botteghe, l'emigrazione all'estero, la guerra, la scoperta di Milano, l'incontro con Giovannino Guareschi e con gli altri celebri personaggi della Milano degli anni Cinquanta.
E poi il ritorno alle origini, ai luoghi dell'infanzia e l'avventura di creare lì, tra le vigne e gli uliveti, un'attività diventata oggi enorme: il tutto vissuto con serenità, umiltà, gioia e speranza, assieme a sua moglie Angela.
Prefazione
Il genio consiste in un’inesauribile
capacità di lavorare e di soffrire.
L’unica cosa è perseverare. Se uno è deciso non può non riuscire, anche se con fatica.
William Somerset Maugham
Perché scrivere un libro su Nicola Martinelli? Non è un personaggio famoso, nel senso che oggi si dà al termine, e il suo nome non compare sui rotocalchi o in televisione. È vero, in passato è stato un sarto conosciuto e ha poi creato una grande azienda di confezioni femminili con la quale ha dato il via ad un importante movimento industriale nella provincia di Verona, dove è nato e vissuto. Ma altri imprenditori hanno fatto cose del genere. E allora perché raccontare la sua storia? Il motivo sta nel fatto che l’avventura umana di Nicola Martinelli merita di essere conosciuta proprio per il modo
in cui egli l’ha vissuta.
Il mondo dello scrivere troppo spesso dà spazio a vicende dove il sensazionale è volutamente e necessariamente esasperato. Delitti, tradimenti, odi, invidie, imbrogli, cinismi, sopraffazioni, catastrofi, guerre, distruzioni: tutto ciò imperversa nei libri e sui giornali come se questa fosse la vera essenza della vita. Qui, invece, voglio raccontare la storia di un uomo semplice, un uomo normale, ma con una grande fede nella vita. Un uomo che è stato in grado di utilizzare al meglio il proprio tempo, le proprie energie, l’intelligenza e la volontà di cui disponeva per edificare qualcosa di positivo per se stesso, la sua famiglia e la gente che gli stava vicino. Un uomo che, rendendosi disponibile
alle vicende incontrate lungo il cammino, è riuscito a creare un movimento di lavoro e di iniziative che ha portato benessere a migliaia di persone.
Nicola Martinelli fa parte di quel manipolo di professionisti silenziosi
, di cui non si parla mai, ma che hanno contribuito in modo straordinario a tenere in piedi il nostro Paese, a renderlo migliore.
L’esistenza di Martinelli è talmente densa di aneddoti, incontri, coincidenze e svolte del destino da sembrare uscita proprio dalla penna di Somerset Maugham. Vi è la povertà del mondo contadino, il desiderio di essere sarto, l’apprendistato nelle botteghe, l’emigrazione all’estero, la guerra, la scoperta di Milano, l’incontro con Giovannino Guareschi e con gli altri celebri personaggi della Milano degli anni Cinquanta. E poi il ritorno alle origini, ai luoghi dell’infanzia e l’avventura di creare lì, tra le vigne e gli uliveti, un’attività diventata oggi enorme: il tutto vissuto con serenità, umiltà, gioia e speranza.
Nicola Martinelli mi ha fatto conoscere la sua azienda. Mi ha portato di stanza in stanza, reparto, laboratorio, ufficio. Avrebbe potuto mostrarmi con orgoglio la proprietà, i macchinari, i magazzini colmi di stoffe, i vestiti, i campionari. Invece mi ha presentato le persone. Mi ha fatto conoscere anche gente che lavora con lui fin dall’inizio, gentili signore virtuose della macchina da cucire, uomini di mezza età cresciuti insieme all’azienda. E tutte queste persone lo accoglievano come un padre, uno zio, un nonno. Ho visto sorrisi che sono sinceri, abbracci, strette di mano, pacche sulle spalle. Ho sentito commenti su nipoti e figli all’università, battute sulla squadra del cuore, ricordi veloci che comparivano sulle labbra a prova di una nostalgia del tempo andato insieme alla gioia di essere parte di un presente operoso.
Questo è il mondo di Martinelli che ho voluto ritrarre. La sua storia semplice è avventurosa, la sua volontà è quotidiana ma non per questo meno tenace.
Il titolo Il sarto di Guareschi nasce proprio dal fatto che Nicola Martinelli fu, per un periodo, il sarto del creatore di Don Camillo. E ne divenne anche l’amico. Guareschi a volte lo citava nei suoi articoli scrivendo: «Come dice il mio sarto Nicola…». Tra il sarto veronese e lo scrittore era nata un’intesa, basata proprio sui valori che tutti e due avevano nel cuore e ai quali furono sempre fedeli nella vita. Due persone dalle quali si può soltanto imparare.
Roberto Allegri
I
La scintilla che ha scatenato l’incendio
«Ma guarda cosa ha fatto Nicola Martinelli! È partito con uno spillo ed ha portato la rivoluzione».
A restare in silenzio, si sente la voce del Mincio. Pare venire da lontano, come un tuono liquefatto e gentile, lieve come il vento, e come il vento porta un carico di altre voci e di odori che raccontano le storie del fiume.
A restare in silenzio, si avverte la nenia sottile dell’acqua tra le pale dei mulini di Borghetto. E gli innamorati che si tengono per mano sui piccoli ponti, appoggiandosi alle balaustre, si lasciano attraversare da quella musica che alleggerisce il cuore.
Ma questa sera c’è festa. Una grande folla banchetta sotto le stelle. Decine, centinaia di imprenditori, come ogni anno, si sono incontrati in questo luogo incantato e le voci dei commensali spengono il sussurro del fiume. Tra le candele e le lanterne accese ci sono i brindisi e i saluti, le risate e le presentazioni. Sotto lo sguardo della luna, ci sono vestiti di seta e luccichio di eleganza a riflettersi sui bicchieri e sulle bottiglie di vini pregiati. E una musica di sottofondo cala un soffice mantello su tutti i presenti.
Uno dei commensali osserva la grande tavolata, i volti degli imprenditori presenti, come lui produttori di confezioni femminili. Sorride. Li conosce uno per uno, sa del loro lavoro, del loro successo. E sa anche che tutti loro partono da un punto comune: da un signore sottile con la battuta pronta, un abile sarto che per primo ha dato il via all’industria del settore nella zona. La scintilla che ha scatenato l’incendio. «Ma guarda cosa ha fatto Nicola Martinelli!», esclama. «È partito con uno spillo in mano e ha dato vita a tutto questo!».
Nicola Martinelli, però, non è presente alla cena. Schivo e riservato, lascia agli altri gli incontri solenni e preferisce il placido ritmo della sua casa. Ma se fosse stato al lungo tavolo, di sicuro si sarebbe commosso a quelle parole, pur definendole subito e sinceramente esagerate
.
La frase tuttavia resta. E, in modo lapidario, esprime un eccezionale riconoscimento, forse il più significativo e importante, proprio perché libero e spontaneo. Fotografa perfettamente un dato storico, oggettivo e reale, che non dovrebbe mai essere dimenticato da nessuno degli abitanti di quelle zone. Perché Nicola Martinelli ha veramente dato il via a un incendio di idee e di iniziative che ha cambiato e rivoluzionato la vita della gente.
La festa è quella che si svolge tutti gli anni, nel terzo martedì di giugno, a Borghetto sul Mincio in provincia di Verona. La cornice dell’evento è incantevole. Borghetto, piccola frazione di Valeggio, è un insediamento medievale di rara bellezza nel Parco Naturale Regionale del fiume Mincio. Oggi è un minuscolo centro che sembra irreale e fiabesco, con le case ricavate da antichi mulini ad acqua. Tra i due opposti versanti della valle, nel 1393, Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, fece costruire un ponte-diga, per difendere le sue proprietà. Un ponte lungo seicentocinquanta metri, largo venticinque, munito di possenti torrioni, unico nel suo genere, monumento di straordinaria suggestività. E su quel ponte, ogni anno, alla vigilia del solstizio d’estate, si tiene la festa del tortellino
, piatto tipico della zona. Partendo da Borghetto viene allestita una interminabile tavolata, che si stende per tutto il ponte, capace di ospitare quattromila commensali. I ventiquattro ristoranti associati di Valeggio preparano seicentomila tortellini rigorosamente fatti a mano, che vengono cucinati da centotrenta cuochi e serviti da duecentosessanta camerieri, mentre cento sommelier provvedono ad annaffiare
le portate con tremilatrecento bottiglie di vino bianco di Custoza, mille e cinquecento di vino rosso Bardolino e ottocentoquaranta di spumante.
La ricorrenza si chiama anche Festa del nodo d’amore
e deve il nome ad una antichissima leggenda. Si narra che un tempo bellissime ninfe vivessero nelle acque del Mincio e che talvolta uscissero dal fiume per cantare e danzare. Ma per farlo erano costrette ad assumere le sembianze di orribili streghe. Una notte, un giovane soldato di nome Malco venne svegliato da questi balli e seguendo il suono dei canti scoprì le streghe che si dettero alla fuga. Malco le inseguì. Una delle streghe perse nella corsa il mantello rivelando la sua folgorante bellezza di ninfa. Il giovane, affascinato, se ne innamorò all’istante e lo stesso fece la ninfa. Rimasero insieme fino all’alba, ma quando i primi raggi del sole accarezzarono il fiume, la ninfa dovette tornare ad immergersi nelle acque. Prima di tuffarsi però fece dono a Malco di un fazzoletto di seta dorato, annodato in pegno del loro eterno amore.
I tortellini sarebbero dunque nati per ricordare quel nodo d’amore
. E nei giorni di festa, le ragazze del luogo, fin da tempi antichi, sono solite preparare una pasta sottile come la seta, tagliarla e annodarla proprio come il fazzoletto di Malco, inserendo al suo interno un delicato ripieno.
L’annuale cena che celebra i tortellini è diventata un autentico evento enogastronomico e richiama turisti anche dall’estero. Chiunque può prenotarsi per la fantastica serata che inizia al tramonto del sole e dura per molta parte della notte, terminando con una cascata di fuochi d’artificio. Da qualche tempo però è in uso che siano le ditte della zona, industriali e artigianali, a offrire la cena ai loro più stretti collaboratori, tecnici, ideatori, fornitori, soci. E poiché le industrie tipiche della zona sono soprattutto quelle delle confezioni femminili, la serata raduna sul ponte visconteo tutti i grandi e piccoli produttori di capi d’abbigliamento, che in quel territorio sono moltissimi. E tutti, come si è detto, hanno un punto di origine comune, Nicola Martinelli.
Nel 1960, nell’entroterra della sponda veronese del lago di Garda, non vi era nessuna realtà di lavoro che non fosse quella povera e per niente appagante della stentata agricoltura. Ma Nicola Martinelli vi portò l’industria delle confezioni femminili, dando una svolta incredibile all’economia del luogo.
Nativo di Sandrà, frazione di Castelnuovo del Garda, Nicola Martinelli, classe 1925, subito dopo la guerra era emigrato a Milano dove, insieme a suo fratello Renato, che era allora un ragazzo sedicenne, e a sua sorella Edria, aveva dato vita a una bottega di sartoria che, per vicende particolari che racconterò, era diventata una delle più importanti del capoluogo lombardo. E nel 1960, nel pieno del successo, aveva lasciato Milano, era tornato al suo paese d’origine con una grande idea nella testa: creare una produzione di confezioni femminili a livello industriale usando anche il lavoro a domicilio.
Si trattava di una autentica rivoluzione nell’organizzazione del lavoro. Non più lavoro riservato
alle operaie in fabbrica, ma lavoro allargato
alle casalinghe in famiglia, che potevano gestirlo secondo il loro tempo libero. In un paio d’anni, sempre in stretta collaborazione con il fratello Renato, Nicola Martinelli portò l’iniziativa a un grande successo, anche perché i suoi prodotti, realizzati con la maestria che aveva affinato nel corso dell’importantissima esperienza milanese, erano ricercati e contesi dalle grandi case di distribuzione.
La ditta iniziale si allargò in fretta. Sull’esempio dei fratelli Martinelli, altri tentarono la stessa avventura imprenditoriale. Le piccole aziende così si moltiplicarono, crebbero come funghi, divennero decine, poi centinaia. I contadini continuarono a coltivare i campi, ma le loro mogli, restando a casa, non si limitavano più alle sole faccende domestiche, dedicavano tempo al lavoro che veniva distribuito a domicilio, ed era molto redditizio.
Quell’iniziativa divenne un evento sociale. Non solo perché portò occupazione e benessere, ma perché l’esempio dei Martinelli si rivelò un benefico fuoco inarrestabile, con reazioni a catena, che svegliò le intelligenze, le iniziative, il desiderio di fare, di tentare la sorte, soprattutto in molti giovani che costruirono così il loro destino alla grande
. Alcune delle aziende sorte sull’esempio di quelle dei Martinelli hanno raggiunto livelli di lavoro e di fatturato molto significativi. Alcune si sono anche perse per strada. Ma molte sono in piena attività ed efficienza ed hanno cambiato totalmente la vita degli abitanti di quelle zone. Le campagne prima povere ora brillano di benessere. Villette e gradevoli costruzioni aziendali si mescolano con equilibrio tra il verde degli ulivi gardesani. È una zona che produce confezioni, ma confezioni di ottima qualità, tanto che la Regione Veneto, con una apposita legge, ha stabilito che i centri dove questo tipo di abbigliamento viene prodotto, e in particolare Sandrà, Lazise, Castelnuovo del Garda, Mozzecane, Nogarole Rocca, possano fregiarsi del prestigioso titolo di Distretto Veronese del Pronto Moda
. Anche questo dettaglio, il prodotto di ottima qualità, va attribuito a Nicola Martinelli che, fedele all’arte sartoriale che lo aveva reso famoso a Milano, ha sempre voluto che nelle sue aziende il prodotto, anche se destinato al mercato di massa, fosse elegante e raffinato, rifinito nei minimi dettagli, proprio come si faceva nella sua sartoria milanese.
La festa sul ponte del Mincio prosegue. Il vino scorre, scorrono gli applausi per i fuochi d’artificio. Esplosioni colorate che si sdoppiano nel riflesso sull’acqua.
Nicola Martinelli siede in poltrona nel salotto della sua casa. Non sente gli scoppi dei fuochi d’artificio, i battimani, le chiacchiere. Non ha visto la festa. Ha trascorso la giornata con i figli e i nipoti, ed ha passato la serata davanti al televisore con il piccolo yorkshire che non lo lascia mai.
«Volevi andare alla festa, Birillo?», dice dolcemente al suo cagnolino. Birillo alza le orecchie, osserva il padrone con occhi neri che sono teste di spillo brillanti.
«Si sta meglio qui, a casa, tranquilli», dice Nicola Martinelli. «Andiamo. Per noi è ora di dormire».
II
Come un presepe
Il sole sbadiglia e saluta pigro la giornata di luglio. È un sole basso, che trafigge gli ulivi e i vigneti di Lazise con colpi di taglio, ancora un po’ deboli ma talmente luminosi da ferire gli occhi. Sono le otto del mattino e Nicola Martinelli è già in azienda.
Gli edifici spuntano dalla campagna circostante. È caratteristica comune un po’ di tutte le ditte della zona. Con gli anni, si sono amalgamate con la vigna e l’ulivo, con il vino e l’olio tanto rinomati, in una sorta di danza armoniosa.
Nicola Martinelli, in piedi sul cancello accanto ai cespugli di rose, resta immobile a guardare. Gli edifici, gli alberi, le colline sullo sfondo coperte di coltivazioni, la strada che porta al lago: tutto questo sembra essere abbracciato dal suo sguardo. È come una contemplazione rituale di inizio giornata. Ma chi conosce Martinelli sa che questi primi istanti quotidiani non sono un inno al proprio successo, una compiaciuta considerazione di quanto ha ott enuto in vita. È un guardare che invece accarezza il frutto del lavoro, che anzi va al di là e sfiora, con l’occhio del ricordo, anche quanto non esiste più: la casa dove prima abitava, vicino alla sartoria, il primo capannone, gli amici ormai scomparsi.
Io mi avvicino adagio, deciso a cogliere la luce di quello sguardo ma non a disturbare il momento. E mi accorgo che lo sguardo è sereno ma anche triste. Come è giusto che sia. Perché non hanno merito le persone che vivono sempre in discesa, a cui va sempre tutto bene. I cuori che valgono sono invece quelli che soffrono e non mollano, quelli che girano le spalle ai compromessi, quelli che puntano i piedi saldi sulla roccia dei valori e solo poi iniziano a costruire. Questa gente produce e ottiene nella vita, ma anche sbaglia e assaggia il dolore e l’amarezza che sono i naturali aspetti della vita e della natura. E quando invecchiano, quando si soffermano ad osservare ciò che hanno creato, sia un impero industriale come un singolo quadro dipinto, lo fanno con serenità e dolcezza, ma anche con il ricordo, triste e pungente, della sofferenza passata.
Martinelli si accorge di me. Si volta e mi sorride e quel velo di nostalgia si dissolve. Mi picchia sulla spalla e mi fa cenno di seguirlo.
«Vieni con me», mi dice. «Vieni che cominciamo a ricordare insieme il tempo passato».
Il suo ufficio è ricavato nel sottotetto, nello spazio rimasto dopo la costruzione del nuovo edificio. Una grande stanza con ampie finestre che ricevono il sole e regalano la vista dei campi, delle colline, della strada che conduce al lago e che si è riempita di auto. Sono turisti, tedeschi e olandesi soprattutto, che con la bella stagione colonizzano le sponde del Garda. È quasi da sempre parte delle spensierate serate estive, in pittoresche località come Bardolino o Lazise, sentire la lingua germanica a braccetto del dialetto di Verona.
«Qui sono ospite», dice sorridendo. «I miei figli, ai quali ho ceduto le redini dell’azienda, hanno voluto riservarmi questa stanza. Anche se non lavoro più, al mattino mi piace venire a respirare il profumo delle stoffe, salutare i miei vecchi dipendenti, i collaboratori, vedere l’estro del lavoro dipinto sul viso dei giovani. Poi vengo in questa stanza, in pace, a leggere il giornale e a godermi il panorama».
Nicola Martinelli siede alla scrivania, tiene in braccio l’inseparabile Birillo che lo segue ovunque come un’ombra. Lo accarezza ma pare distratto. Gli occhi azzurri luccicano, un mezzo sorriso prende forma sull’intero viso. Ha già cominciato a raccontarmi la sua storia.
«Alla mia età la memoria è come la fiamma di una candela. Brucia e fa luce, ma a volte si spegne, basta un colpo di tosse. Allora bisogna riaccenderla e per farlo può essere sufficiente una parola, una fotografia, a volte anche solo un profumo.
«Della mia prima infanzia non ho ricordi precisi, continui. Piuttosto sono dei lampi di luce che rischiarano dei particolari, un volto, una strada, un panorama, una sensazione, anche un dolore. Una cosa su tutte però è salda. Ricordo che mi sono sempre sentito avvolto. Proprio così. Avvolto e protetto dal calore sano e asciutto della mia famiglia.