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Il grande libro del gatto
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E-book484 pagine3 ore

Il grande libro del gatto

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Info su questo ebook

Come educare, come curare, come nutrire il tuo amico prezioso

La guida definitiva per curare al meglio l’elegante divo a quattro zampe

Consigli, trucchi e segreti per renderlo felice

È il vero divo di Youtube e di Facebook: chi può mai resistere davanti a un video di gattini? Il più individualista degli animali domestici, indipendente, persino snob, è certamente il più coccolato, tanto dai bambini quanto dagli adulti.

Onorato come una divinità ai tempi dell’antico Egitto, già all’epoca della colonizzazione dell’America il gatto era ritenuto un compagno inseparabile dell’uomo, e seguì molti emigranti europei in Nord America. Questo manuale ricostruisce la storia del gatto attraverso i secoli, ne illustra la struttura fisica, tutte le malattie e i modi per curarle, descrive la varietà delle razze e offre preziosi consigli su come sceglierlo, nutrirlo e allevarlo, e su come comprendere il suo comportamento spesso imprevedibile e sorprendente.

Francesca Chiapponi

laureata in Lettere presso l’Università di Genova, studia da molti anni il comportamento animale, collaborando con riviste del settore. Si interessa inoltre di filosofia e discipline orientali.

Stefano Roffo

è grafico editoriale e autore di testi divulgativi su arte e artigianato. Ha pubblicato L’Eredità del tempo, Collezionismo e antiquariato in Liguria, e per la Newton Compton, insieme a Elena Donato, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità di Genova, Il libro dei gatti e Il libro dei cani, scritti con Francesca Chiapponi. Si dedica anche alla narrativa noir, con la raccolta Avvisi ai naviganti, realizzata con Claudio Asciuti e di prossima pubblicazione.
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2015
ISBN9788854181786
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    Anteprima del libro

    Il grande libro del gatto - Francesca Chiapponi

    Presentazione

    Un giorno vai per strada, un gatto ti vede e, se gli piaci, ti adotta.

    Da allora percorrerete insieme un tratto, purtroppo relativamente breve, di esistenza.

    Questa è l’ottica del rapporto uomo-gatto: perfettamente paritario. Se la cosa non vi va, tanto vale decidiate subito di far da padrone a un cane, a un canarino o a una tartarughina: animali che meritano il massimo rispetto ma non sono dotati dello sconfinato ego gattesco.

    «Ma», direte voi, «se è il gatto ad adottare l’uomo, il rapporto non è comunque paritario».

    Avete colto il punto, ma è meglio non pensarci troppo su…

    Cosa diamo al gatto? Cibo, calore, assistenza.

    Cosa ci dà il gatto in cambio? Niente, se non, per tradizione, toglierci di torno eventuali topi, cosa che comunque non fa per nostro esclusivo piacere.

    Ma allora perché ci teniamo in casa, come una splendida concubina, questo piccolo mammifero peloso? Forse perché il gatto ci manifesta attaccamento? Spesso lo fa, e in maniera tenerissima, ma provate un po’ (noi l’abbiamo fatto) a simulare un infarto in sua presenza. Mentre annaspate sul pavimento, lui vi guarderà perplesso e un po’ infastidito dalla goffaggine dei vostri movimenti. Poi si allontanerà.

    Forse il nostro astuto amico ha capito che stiamo fingendo, e in caso di reale emergenza si precipiterà ad avvertire i vicini… ma sospettiamo che il gatto dell’eventuale infartuato manifesterebbe un certo rammarico solo scoprendo che, all’ora consueta, il cadavere non intende alzarsi per aprire qualche scatoletta.

    E allora? Il fatto è che il gatto riesce a convincerci che è già un bel traguardo conquistare la sua amicizia; questo è il segreto della sua malìa. E in realtà essere in confidenza profonda con un felino non è cosa facile; bisogna pensarla un po’ come lui sulle priorità dell’esistenza e sui rapporti tra creature. Occorre imparare il rispetto profondo per gli altri, capire per cosa vale realmente la pena di affannarsi.

    Si entra, allora, in sintonia e il rapporto uomo-gatto diventa pienamente soddisfacente per entrambe le parti: un idillio.

    Così una sera ci si ritrova con il gatto in braccio a domandarsi se sarà possibile, in paradiso, ritrovarsi attorno i nostri mici preferiti, magari con le alucce da cherubino.

    9

    Le origini

    Gli avi

    Gli antenati degli attuali gatti domestici fecero la loro prima apparizione circa 40 milioni di anni fa, a metà strada tra l’estinzione dei dinosauri e i giorni nostri. L’evoluzione di questi felini fu una lunga storia, mista di successi e fallimenti.

    Quando i dinosauri scomparirono definitivamente dalla faccia della terra, i mammiferi continuarono la loro evoluzione sul pianeta: uno di questi primitivi mammiferi era il Miacis, che viveva sugli alberi e si muoveva abilmente tra i rami alla ricerca di cibo. Aveva denti adatti a dilaniare e a strappare la carne, e la sua straordinaria agilità lo rendeva già allora un ottimo cacciatore.

    Lo Smilodon, un discendente di questo felino, viene ricordato per i suoi temibili denti a sciabola, capaci di uccidere anche grossi animali come elefanti, bisonti e mammut.

    Mentre molti discendenti dei Miacis riuscirono solamente a sopravvivere, senza lasciare traccia, altri seppero distinguersi splendidamente. I membri della famiglia dei Miacis si diffusero rapidamente in tutto il mondo, ad eccezione dell’Australia, adattandosi alle condizioni ambientali che trovarono ed alle prede disponibili nei nuovi territori.

    L’evoluzione

    Esistevano, circa 10 milioni di anni fa, due gruppi principali di Miacis: gli Hoplophoneus, di dimensioni enormi, che vivevano nell’America del Nord e che si estinsero in brevissimo tempo senza lasciare traccia, e i Dinictis, molto più piccoli, che vissero più a lungo dei primi, grazie ad una maggiore capacità di adattamento alle condizioni ambientali in costante mutamento.

    11

    Il Miacis, progenitore dei gatti moderni.

    È da questi animali che discendono gli odierni felini, dal leone della savana, attraverso il gatto selvatico, fino al nostro gatto di casa.

    La sopravvivenza dei Dinictis non fu comunque facile: essi impararono a cacciare sugli alberi, aiutati in questo dalle unghie affilatissime, e dagli artigli retrattili che permettevano loro di catturare le vittime. Essi dovettero lottare duramente per la loro sopravvivenza nel mondo in evoluzione, affinando e sviluppando la loro abilità di predatori, e gli artigli furono un aiuto prezioso.

    Dall’avvicendamento e dai cambi di evoluzione, emersero circa 40 specie differenti (anche se gli esperti non si trovano d’accordo sul numero esatto), che formarono i tre gruppi principali che compongono la famiglia zoologica dei felini.

    Di questa famiglia fanno parte sia la tigre (Panthera tigris), che può pesare fino a 360 kg che lo snello Rusty-spotted (Felis rubiginosus), dell’India meridionale, che pesa solamente 1,6 kg.

    Se osservate con attenzione il vostro gatto domestico potete ritrovare i vincoli che esso ha con ognuno di questi tre gruppi della famiglia felina: può mostrare, a seconda dei momenti, l’espressione facciale caratteristica del leone, l’atto di equilibrio di un felino arrampicatore di alberi, come l’ocelot, o una velocità che ricorda il ghepardo.

    Il comportamento di questi felini, che sia la tigre siberiana o il cucciolo domestico, è fondamentalmente lo stesso.

    Tutti i gatti tabby hanno evidentemente ereditato il disegno del mantello (tigrato o marmorizzato) dai loro antenati selvatici.

    Il gatto è un mammifero del genere Felis e della famiglia dei Felini.

    13

    Primo piano dello Smilodon e delle sue zanne mortali. Tutti i felini, con questo tipo di dentatura, avevano le mascelle relativamente deboli, però possedevano una muscolatura del collo e del capo molto robusta per poter uccidere le loro prede.

    I gatti selvatici che mostrano maggiori somiglianze con il gatto domestico sono il gatto delle Pampas (Felis payeros), il gatto delle steppe dell’Asia (Felis manul), il gatto africano (Felis capensis).

    Il gatto selvatico propriamente detto (Felis silvestris), è leggermente più grande del gatto domestico, di colore grigio-bruno e con una lunghissima coda. Esso è conosciuto anche in Italia, specialmente in Abruzzo (Felis silvestris molisan), nell’Italia centrale e in Sardegna (Felis ocreata). Il gatto domestico deriva molto probabilmente da una sottospecie di Felis ocreata, la Maculata.

    Molti studiosi però non accettano questa ipotesi e preferiscono farlo discendere dalla Felis silvestris lybica.

    È quasi certo che nel periodo preistorico il gatto non fosse considerato un animale domestico’; non si sono infatti trovati resti di gatti nei giacimenti preistorici.

    È difficile stabilire quando il gatto sia stato addomesticato, come pure non è accertato in quali zone, per la prima volta, sia stato costretto in cattività (anche se è difficile parlare di cattività per questo felino così libero e indipendente); è invece molto probabile ipotizzare che il suo uso fosse legato, nell’antichità, alla protezione di magazzini di frumento o di altri cereali dai roditori.

    Nell’antica Nubia (il Sudan odierno) o in Egitto, alle frontiere dell’Asia, o in Africa, sulle coste del Mediterraneo, uomo e gatto si sono uniti per la prima volta per combattere un nemico comune. Inizialmente li legava solo la difesa del cibo, ma in seguito la relazione è certamente divenuta più profonda.

    Etimologia...

    ...il termine «gatto» deriva molto probabilmente dal tardo latino cattus (o catus). Si è poi supposto che la parola latina sia derivata a sua volta dal termine egizio qato che viene usato nell’Alto Egitto dopo il termine mau, molti secoli prima che il nostro felino si diffondesse in Grecia, a Roma e in Gallia. È quasi certo comunque che si tratti di una radice comune a molte lingue, sia essa di origine siriana o tardo latina, oppure celto-germanica (kâth e kötr), o araba (quett).

    Tra storia, arte e letteratura

    Il gatto è sempre stato una presenza costante al fianco dell’uomo, assumendo di volta in volta il ruolo di divinità, di formidabile aiutante nella caccia ai topi, di compagnia in casa, ma anche di terribile nemico quando associato alle streghe e al demonio. Attraverso la storia, l’arte e la letteratura si possono seguire le tappe del rapporto tra l’uomo e questo straordinario compagno di vita.

    Nell’antico Egitto...

    ... l’uccisione anche casuale di un gatto veniva punita con gravissime sanzioni, inoltre i proprietari dell’animale si dovevano rasare le sopracciglia quale segno del loro dolore; il gatto, in caso di incendio, veniva salvato per primo; al momento della nascita ogni bambino egiziano veniva consacrato ad un gatto e per tutta la vita portava al collo un medaglione con l’effige dell’animale; il gatto era di fondamentale importanza come cacciatore dei topi che ogni anno distruggevano i raccolti; una delle principali feste religiose, celebrata a Bubastis, vicino all’attuale città del Cairo, era legata alla dea Bastet. Questa festività, nata intorno al 1780 a.C., continuò fino al 392 d.C., quando l’imperatore romano Teodosio abolì il paganesimo; in un dipinto murale su un’antica tomba egizia di Tebe sono stati raffigurati un pescatore

    ed il suo gatto a caccia di alcuni uccelli acquatici. Questo pescatore è stato rappresentato nell’atto di lanciare una specie di arpione:

    è probabile quindi che gli egiziani avessero insegnato ai gatti a riportare le prede; in un papiro di 3200 anni fa, tratto dal Libro dei morti, il dio del sole Râ ha assunto le sembianze di un gatto per distruggere il serpente Apep, simbolo delle tenebre; la dea distruttrice dei serpenti, Nafdet, veniva spesso raffigurata come un gatto.

    14

    La storia

    Il gatto nell’antico Egitto

    Nonostante l’adorazione di divinità sotto forma di animale, e in particolare di gatto, fosse molto comune (in India, per esempio, c’era Sasti, una divinità felina, simbolo di fertilità e maternità) è nell’antico Egitto che si sviluppa maggiormente questo costume.

    Una delle divinità femminili più venerata era Bastet, simbolo della vita, della fecondità e della maternità, rappresentata solitamente con un corpo di una donna e la testa di un gatto.

    Come manifestazione di rispetto nei confronti della divinità, ogni famiglia doveva ospitare o almeno nutrire un gatto. Per questo motivo, nell’antico Egitto il gatto era ritenuto un animale sacro e divino: quando morivano, anche i gatti erano imbalsamati e posti in cimiteri costruiti appositamente, in urne di legno o bronzo a forma di gatto.

    Sebbene gli egiziani non favorissero l’esportazione dei gatti, essi furono portati in Italia, probabilmente da commercianti o forse rubati da navi mercantili. I cittadini della Roma Imperiale accolsero così il gatto, e le legioni romane lo condussero con loro nelle campagne militari, presumibilmente per proteggere le provviste, mentre le famiglie romane dei coloni includevano i gatti nel serraglio degli animali di casa.

    Attraverso l’Egitto il gatto giunse anche nei paesi arabi, dove però l’animale eletto era il cavallo. Ma il piccolo felino fu subito preso in simpatia e la sua fama eguagliò, se non proprio superò, quella equina. Anche Maometto possedeva un gatto: era una stupenda femmina di nome Muezza. Si narra che un giorno Muezza sonnecchiasse accanto al Profeta disteso su di un divano; Maometto, dovendosi alzare, piuttosto che disturbare il sonno dell’amata gatta, preferì tagliare un lembo della sua gellaba, sulla quale appunto era disteso l’animale.

    15

    Il dio del sole , sotto forma di gatto, mentre uccide il serpente Apep (illustrazione tratta da un antico papiro egizio).

    La mummificazione del gatto...

    ...circa 300.000 mummie di gatti furono trovate in un luogo di nome Beni Hassan, nel xix secolo. Non comprendendone il significato, gli scavatori vendettero quasi tutte le reliquie per essere triturate come ossa commestibili. Le caratteristiche del gatto Egiziano domestico sono state dedotte dal relativamente piccolo numero di mummie sfuggito a questa triste fine.

    Il gatto in Oriente

    16a

    Nel 600 a.C. in Perú, il puma veniva adorato come divinità.

    In India, come abbiamo già detto, il gatto, per mezzo della dea Sasti, veniva associato alla maternità. Anche gli indiani, come gli egiziani, consideravano la cura del gatto come un sacro dovere.

    Le religioni orientali imitarono l’Egitto adottando il gatto come simbolo mistico, e il gatto ebbe il suo posto anche nei templi buddisti, forse a causa delle sue pose meditative. Il corpo di un gatto, nella fede buddista di questo popolo così spirituale, è il luogo in cui l’anima riposa temporaneamente.

    La razza dei Siamesi appare, per la prima volta, in Siam (l’odierna Thailandia), in un manoscritto thai del quattordicesimo secolo intitolato Libro dei Poemi del Gatto, ma questi esemplari non sono giunti in Occidente prima del xix secolo.

    È molto probabile che, in Cina, esistessero gatti addomesticati già dai tempi di Cristo, ma quando la loro presenza si fece più numerosa, si incominciarono a sentire racconti sulla loro influenza funesta e, in particolare, della sfortuna portata da un gatto nero.

    16b

    Testa di gatto formata da molti corpi di felini.

    Che il gatto nero porti sfortuna è una triste superstizione che esiste purtroppo in tutto il mondo (per esempio in Italia, ma anche in altri paesi, è di cattivo auspicio un gatto nero che attraversa la strada a qualcuno), tranne che in Inghilterra, dove il gatto nero è ritenuto invece un portafortuna.Così accadde anche in Cina: correva voce che i piccoli felini portassero povertà, perché si credeva che una casa o una fattoria dove occorresse un gatto per distruggere animali nocivi non potesse essere prospera e ben organizzata. In questo modo la presenza di un gatto sarebbe stata simbolo di uno stato negativo. Un mezzo per evitare la sfortuna della povertà era di mettere, in un posto adatto e bene in vista, una statuetta di porcellana a forma di gatto seduto e in posizione di guardia.

    Presumibilmente lo stesso motivo ispirò i dipinti di gatti che adornavano le pareti di molte case cinesi. Forse l’uso cinese di dipingere ritratti di gatto sulle pareti di casa serviva a scoraggiare direttamente i topi e a tenerli lontani.

    Quando, in Giappone, le fabbriche di seta furono infestate dai topi, l’aiuto del gatto fu fondamentale e per questo motivo i giapponesi divennero ardenti sostenitori di questo felino. In seguito, fu talmente amato che, attorno all’anno 1000, il gatto domestico divenne un vezzeggiato giocattolo di casa, dove era spesso confinato e legato con un guinzaglio di seta, lasciando così via libera ai topi nelle fabbriche di seta. Per cui anche i giapponesi adottarono l’uso cinese di dipingere ritratti di gatto sulle pareti di casa per scoraggiare i topi e tenerli lontani. Alla fine si decise di liberare gli animali dai confini domestici, affinché potessero tornare nelle fabbriche.

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    Ceramica persiana del xiii secolo.

    Il gatto nel Medioevo

    Dal momento in cui ebbe inizio la caccia alle streghe, che in alcune parti del mondo si prolungò fino alla fine del 1600, i poveri gatti subirono spesso sevizie e torture poiché, nella mentalità popolare, essi erano considerati animali demoniaci, creature al servizio di streghe e fattucchiere e, per questo motivo, talvolta condivisero con loro il supplizio e la morte.

    Fu un’epoca buia per i poveri gatti che vennero presi un po’ più in considerazione quando, nel 1348, si diffuse, nell’Europa del nord, la Morte Nera, la peste bubbonica, portata da una pulce che viveva sul pelo del ratto nero, che sterminò circa un quarto della popolazione e portò una serie di disgrazie sia umane che economiche.

    Nonostante non fosse stato ancora dimostrato scientificamente, si poteva constatare che la peste dei ratti neri coincideva con la diffusione della Morte Nera, perciò i gatti, la cui popolarità era piuttosto bassa, vennero precipitosamente, ma per breve tempo, riportati in auge, per combattere questi portatori di malattie, anche se in realtà, raramente un gatto assale il ratto, cioè il topo di grandi dimensioni, perché generalmente ne esce sconfitto.

    18

    Rappresentazione del gatto a caccia del topo tratta da un bestiario medievale.

    Il gatto e la magia

    Il supposto legame tra il gatto e la stregoneria fu causa di indicibili ingiustizie nei confronti di questo animale e, ovviamente, delle sue amiche fattucchiere: nel 1400, Papa Innocenzo viii emanò una legge secondo la quale, quando venivano bruciate delle streghe, dovevano essere portati sul rogo anche i loro gatti.

    Le superstizioni sulle capacità di questo felino erano moltissime: si credeva che le streghe potessero tramutarsi in esso e viceversa; che rappresentasse il demonio; che alcune streghe permettessero ai propri gatti di succhiar loro il sangue. Così i poveri gatti furono associati anche alla leggenda del Vampiro, e, solo nel xix secolo, grazie a Bram Stoker, con il suo Dracula, l’attenzione si spostò sul pipistrello (peraltro altrettanto innocente). In questa società superstiziosa, ben presto divenne quindi impossibile stabilire se un gatto fosse veramente e solamente un gatto o una strega tramutata.

    Molte leggende superstiziose su gatti e fattucchiere sono sopravvissute per secoli: si diceva che un gatto uccideva un bambino succhiandogli il respiro o perfino succhiandogli il sangue, chiaramente una reminiscenza della storia della strega vampiro. Un’altra sopravvivenza ovvia dell’associazione gatto-strega è l’antichissima credenza, nel Dorset, in Inghilterra, secondo la quale le ragazze che amavano i gatti sarebbero morte zitelle. Forse anche a causa del loro legame con la stregoneria i gatti sono citati in molti detti folkloristici sulle condizioni atmosferiche; secondo uno di questi i gatti smettono di giocare e si lavano quando sta per piovere, un altro detto afferma che è prevista la pioggia quando il gatto presta particolare attenzione alla zona sopra le orecchie.

    Innumerevoli sono i racconti su come questi poveri animali siano stati perseguitati e uccisi durante i secoli: in tutte le pubbliche piazze delle più grandi città europee venivano bruciati vivi centinaia di gatti; a Ypres, in Belgio, era uso gettarli giù dal campanile della chiesa, a Copenaghen venivano rinchiusi dentro grossi barili e trapassati dalle spade dei cavalieri.

    La convinzione che dietro ogni gatto si celasse il demonio oltrepassò persino l’oceano per arrivare in America, dove i processi alle streghe e ai loro compagni

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