Seduzione sulla neve: Harmony Collezione
Di Helen Brooks
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Info su questo ebook
Pratica, razionale... ma pronta per essere sedotta dall'uomo che aspetta da tutta la vita.
Rachel Ellington è abituata a essere invisibile agli occhi degli uomini, e la cosa le va benissimo. Restare scottati una volta, come è accaduto a lei, è più che sufficiente. Così, quando finisce al centro delle attenzioni del ricchissimo Zac Lawson non può che domandarsi cosa possa cercare in lei un uomo come lui. Alla fine, la timida Rachel accetta di andare a una festa di Natale in campagna con Zac, ma non si rende conto di cosa questo possa comportare fino a quando, sorpresi dal gelido e innevato inverno, non si ritrova da sola con lui.
Helen Brooks
Helen è nata e cresciuta in Nuova Zelanda. Amante della lettura e dotata di grande fantasia, ha iniziato a scrivere storie sin dall'adolescenza. A ventun anni, insieme a un'amica, partì in nave per un lungo viaggio in Australia, che da Auckland l'avrebbe condotta a Melbourne.
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Anteprima del libro
Seduzione sulla neve - Helen Brooks
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Snowbound Seduction
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2010 Helen Brooks
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5890-567-8
www.eHarmony.it
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1
No, non era possibile che poco prima di Natale l’atmosfera fosse così cupa. Pioggia battente, vento gelido, i passanti con lo sguardo di chi era pronto a uccidere. Quel giorno in tutto il mondo i bambini aprivano la prima finestrella del calendario dell’Avvento e, almeno per loro, l’eccitazione e l’attesa avrebbero dovuto accompagnare un sentimento diffuso di dolcezza e armonia, anche senza neve.
Rachel Ellington osservò il viso corrucciato della madre con due ragazzini urlanti, e un piccolo nel passeggino, che si era fatta spazio con una gomitata così violenta da farle male. E la madre esasperata non era l’unica con un’espressione minacciosa: il marciapiede era affollato di scolari imbronciati con zaini stracolmi; pendolari di entrambi i sessi che si facevano largo nel traffico umano servendosi degli ombrelli come di un’arma; studenti in attesa dell’autobus che si sgomitavano in modo tale da far temere una rissa.
Mentre passava, Rachel vide in una vetrina un enorme Babbo Natale con un sacco colmo di pacchetti colorati e un sorriso falso. Era lì da ottobre, insieme alle luminarie. Ormai era consuetudine che le feste venissero pubblicizzate con un tale anticipo che all’inizio di dicembre era ormai tutto scontato.
Fece una smorfia, rendendosi conto di ragionare come sua madre. D’altra parte era proprio così, pensò cercando di ignorare le goccioline di acqua gelida che le scendevano per il collo. Quella mattina aveva dimenticato l’ombrello... di nuovo.
Non sarebbe arrivata al punto di rimpiangere i tempi in cui si addobbava l’albero rigorosamente un’ora prima della vigilia di Natale, come faceva la madre, e ai bambini si regalava una calza che conteneva un’arancia, una mela e delle noci, insieme a una monetina luccicante e a un unico regalo; ma bisognava ammettere che c’era del buono in quella tradizione, quando ricevere un regalo che costava un occhio della testa era una cosa del tutto inaudita. E quando un uomo diceva: Ti amo era perché lo pensava veramente, e non per portarti a letto.
S’immobilizzò, scioccata per quella riflessione, causando ulteriore caos tra i passanti che la spintonavano.
Da dove era sbucata questa vena cinica?, si chiese scusandosi e riprendendo subito a camminare. Aveva superato la questione Giles, l’aveva superata da mesi. E dopo le prime devastanti settimane estive, in cui aveva avuto l’impressione che il mondo intero sapesse che era stata presa in giro dall’uomo col quale aveva creduto di trascorrere la vita, si era resa conto che Giles l’aveva ferita più nell’orgoglio che nel cuore. Questo le aveva provocato altre notti insonni.
Come aveva potuto credersi tanto innamorata da accettare la sua proposta di matrimonio un momento prima, e quello dopo essere felice che fosse uscito dalla sua vita? Era veramente spaventoso, a rifletterci.
Non che fosse stato proprio il momento dopo, precisò mentalmente. Aveva trascorso settimane d’inferno prima di giungere a questa conclusione, piangendo tutte le notti e perdendo peso. Dato che, a suo giudizio, già in partenza era stata troppo magra, bene o male era scattata la molla che l’aveva spinta di nuovo a mangiare, e si era avventata su cioccolato e cibi calorici finché le curve modeste erano ricomparse. Jennie e Susan, le sue coinquiline, erano verdi dall’invidia, ma questo era preferibile alle occhiate di compassione delle settimane precedenti.
Quando abbandonò la via principale per imboccare il labirinto di stradine che conducevano a Kensington, una folata di vento per poco non la sollevò. Di solito si godeva la passeggiata di un quarto d’ora per tornare a casa dall’ufficio, però quella sera era un castigo di Dio; avrebbe fatto meglio a prendere la metropolitana, ma aveva una spiccata avversione per quel mezzo di trasporto, e una giornata piovosa di dicembre, pressata tra corpi bagnati e ombrelli pericolosi, non era certo il momento adatto per fare un viaggio in cui si sarebbe sentita come una sardina.
Quando inserì la chiave nella toppa della porta dell’appartamento, che condivideva con due amiche da quando lei aveva lasciato l’università cinque anni prima, era bagnata fino alle ossa. I capelli erano appiccicati alla testa, il mascara le scendeva a rivoli sulle guance ed era letteralmente gelata. Non desiderava altro che un bagno caldo, un bicchiere di vino e un buon libro, e poiché di solito arrivava a casa prima delle altre, non c’era alcun motivo per non permetterselo.
Entrò in anticamera e, per un attimo, chiuse gli occhi. Era stata una giornata infame. Dopo aver lasciato l’università con una buona votazione in economia, era stata assunta come assistente del marketing manager di una catena alimentare. Lo stipendio era ottimo e lei era consapevole della propria capacità di intuire le aspettative dei clienti. Per sua sfortuna, nell’ultima pianificazione l’ufficio vendite non si era attenuto strettamente alle sue direttive; e quando il programma si era rivelato un vero e proprio fallimento, la colpa era stata addossata solo a lei.
Rachel si tolse il cappotto fradicio e scalciò via le scarpe, patendo ancora per l’umiliazione inflittale da Jeff, il suo capo, quando quel pomeriggio l’aveva aspramente ripresa. Era furibondo per aver subito a sua volta una reprimenda dal direttore generale, e non aveva ascoltato una sola parola di quanto lei aveva da dire in sua difesa.
Era entrata nel mondo del marketing sapendo che le promozioni potevano essere rapide, ma anche che non era una carriera adatta a persone timide: la pressione era intensa e la sicurezza non garantita. Tuttavia aveva nutrito la speranza di sostituire Jeff, quando ai primi dell’anno successivo sarebbe stato trasferito alla filiale al nord, ma era ancora tutto da vedersi.
Aggrottò la fronte. Per la verità non le dispiaceva che quell’anno giungesse a termine, anche perché Natale sarebbe stata una prova impegnativa. Aveva conosciuto Giles al party di Natale che la ditta aveva offerto ai clienti e ai dipendenti, e quella stessa sera erano usciti insieme.
Questo Natale le avrebbe suscitato penosi ricordi.
«Salve.»
La profonda voce maschile la fece sobbalzare, mentre involontariamente si lasciava sfuggire un gemito nel vedere un estraneo sulla porta del soggiorno. Il cuore le batteva così forte che si premette una mano sul petto mentre ringhiava: «Chi diavolo è lei, e cosa ci fa in casa mia?». La mente correva veloce. Cos’aveva per difendersi? Solo la borsa, ma non era certo sufficiente per incutere terrore a un ladro.
Si erano verificati diversi furti nella zona negli ultimi mesi, sempre quando gli inquilini erano al lavoro. Solo la settimana precedente una vicina, al ritorno a casa, aveva trovato l’appartamento saccheggiato.
«Ehi, va tutto bene.» Il tono virile era pigro. «Non spaventarti.»
Mentre lo sconosciuto avanzava di qualche passo, Rachel frugò nella borsa alla ricerca del profumo. «È uno spray al pepe, e se fa un altro passo glielo spruzzo negli occhi» lo minacciò con più aggressività di quanta in realtà ne provasse. Per la verità era spaventata a morte: l’estraneo era alto e imponente. Rientrando, lei non aveva acceso le luci e l’uomo, evidentemente, aveva acceso in soggiorno solo una lampada da tavolo perché il chiarore che proveniva era così tenue che non riusciva a vederlo bene in viso.
«Permetti che ti dia un consiglio» riprese lui soave. «Se intendi servirti di qualcosa come uno spray al pepe è meglio non dare un avvertimento. L’elemento sorpresa è cruciale.»
Adesso le era così vicino che poteva scorgere il suo volto e ricevette il secondo shock della serata. Per essere un ladro, era fantastico. Già aveva notato che era alto e imponente e ora doveva aggiungere che era a dir poco stupendo. Capelli neri, naso diritto, labbra sensuali e gli occhi... Rimase quasi ipnotizzata da quegli occhi castani dai riflessi dorati, schermati da ciglia di seta. Riprendendosi, esclamò glaciale: «Senta...».
«Mi chiamo Zac Lawson.» Lo disse come se questo spiegasse tutto, e poiché lei continuava a essere guardinga, aggiunse: «Il cugino di Jennie. Ha telefonato a te e a Susan per avvertirvi».
«Avvertirci?» fece eco Rachel. Quegli occhi erano incredibili. Davvero incredibili, stabilì indecorosamente una parte della sua mente. Chiunque fosse, quell’uomo aveva una buona dose di magnetismo. Proprio come Giles. E, come Giles, lei aveva l’impressione che se ne servisse a proprio vantaggio, senza il minimo scrupolo. Non era certo rassicurante, date le circostanze.
«Hai controllato di recente i messaggi sul cellulare?» le domandò paziente.
Un po’ troppo paziente, rifletté Rachel cinica. Il tono tradiva più di una nota di tolleranza nelle profondità vellutate. E, ovviamente, quel giorno lei aveva spento il cellulare quando era stata chiamata nell’ufficio di Jeff e si era dimenticata di riaccenderlo.
Rigida, ribatté: «Sono stata molto occupata».
Lui annuì. Un cenno normale, il viso impassibile. E allora perché lei doveva trovare quel movimento offensivo? Forse era la sua aria di rassegnazione?
«Sono il cugino di Jennie» ripeté con lo stesso tono paziente. «Quando eravamo piccoli le nostre famiglie abitavano nella medesima strada e ci frequentavamo regolarmente, prima che i miei genitori si trasferissero in Canada quando avevo sedici anni e Jennie undici. Sono venuto qui per affari per tre settimane, e quando ho telefonato a Jennie per salutarla ha insistito che venissi qui a cena.»
Questo spiegava quell’accento strano. Non era riuscita a collocarlo, ma aumentava il suo fascino. Non che fosse attratta da lui, si disse rabbiosa. Ne aveva abbastanza di incantatori arroganti, e il cugino di Jennie pareva proprio pieno di sé.
«Ho telefonato a Jennie in ufficio e lei ha proposto che dopo un volo così lungo mi riposassi a casa vostra» continuò con tono pigro, «e temo di essermi addormentato sul divano.»
Rachel esibì un sorriso forzato. «Capisco.» Poi, ricordando le buone maniere, gli chiese se voleva qualcosa da bere mentre accendeva la luce.
In quel momento fu consapevole di diverse cose contemporaneamente. Ora che lo vedeva bene, il cugino di Jennie era di una bellezza devastante. Sulle tempie c’era una spruzzata di grigio tra i capelli neri che ne accentuava il virile magnetismo, e gli occhi dai riflessi dorati erano ancora più suggestivi alla luce. Non aveva mai visto occhi del genere. Punto secondo, quegli occhi la sorvegliavano con un’aria divertita. Terzo, i suoi abiti, per non parlare del Rolex d’oro sul polso abbronzato, gridavano ai quattro venti ricchezza e gran classe; e ultimo,