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4 brutti delitti da risolvere
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E-book766 pagine11 ore

4 brutti delitti da risolvere

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Il giallo di Ponte Vecchio - Quel brutto delitto di Campo de' Fiori - Guardami morire - A fior di pelle

4 libri in 1

Le indagini di Giuliano Neri

Il giudice Lapo Treschi è nei guai. Firenze è turbata da una serie di misteriosi delitti tra i quali non ci sono legami precisi. L’assassino non lascia tracce. Un caso indecifrabile, all’apparenza. È per questo che Lapo si rivolge all’esperto d’arte Giuliano Neri, suo amico di vecchia data. Neri è un restauratore, famoso per la sua abilità nel ritrovare nelle tele indizi anche minuscoli. E proprio davanti al restauro di un quadro attribuito a Rosso Fiorentino, che nasconde un enigma da svelare, i due si troveranno intrappolati in un labirinto da cui sarà difficile uscire… 
Dopo quella vicenda, Giuliano Neri si stabilisce per un paio di mesi a Roma. Si dedicherà al restauro di un affresco conservato nella chiesa di Sant’Angelo in Porta Paradisi, vicino a Campo de’ Fiori. L’autore è Matteo Baltusi, morto in un tragico incidente d’auto nel 1972. Proprio mentre è impegnato nel restauro, Giuliano è artefice di una macabra scoperta: quella del corpo di Arianna, la figlia di Baltusi, scomparsa quasi venti anni prima. Che cosa accadde davvero in quel lontano pomeriggio di marzo, quando si persero le tracce di Arianna? 
Nei racconti che accompagnano questi due romanzi, due efferati delitti vengono compiuti: nel gelo del Gran Sasso e in una fredda notte di Capodanno. 

Bestseller in Italia 
Il suo talento è un'opera d'arte 

Hanno scritto di Letizia Triches:

«Letizia Triches è una storica dell’arte attratta dalla perversa creatività del criminale non meno che da quella dell’artista.»
Corriere della Sera

«Un’indagine del professor Giuliano Neri, straordinario, impareggiabile restauratore? Ebbene sì!»
Allison Posner

«La capacità del restauratore di scavare nel dettaglio con meticolosa precisione sarà la chiave di volta di questo giallo.»
Letizia Triches
È nata e vive a Roma. Docente e storico dell’arte, ha pubblicato numerosi saggi sulle riviste «Prometeo» e «Cahiers d’art». Autrice di vari racconti e romanzi di genere giallo-noir, ha vinto la prima edizione del Premio Chiara, sezione inediti, ed è stata semi finalista al Premio Scerbanenco. La Newton Compton ha pubblicato Il giallo di Ponte Vecchio, Quel brutto delitto di Campo de’ Fiori e I delitti della laguna.
LinguaItaliano
Data di uscita19 set 2016
ISBN9788854199910
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    Anteprima del libro

    4 brutti delitti da risolvere - Letizia Triches

    Il giallo di Ponte Vecchio

    Per te

    Come si può conoscere la verità pensando?

    Proprio come si può conoscere meglio un volto,

    disegnandolo.

    Ludwig Wittgenstein

    Da dentro la macchina, appostata a piazza Mentana, si vedono bene le finestre dello studio. Sa che si trovano là. Aspetta senza risolversi ad andare via. Non c’è nessuno in giro. È chiuso persino il bar e pure l’albergo prospiciente la piazza, in ristrutturazione. Unico diversivo, nell’attesa, la comparsa dal Lungarno di una donna con i capelli arruffati, incalzata da un uomo con un giubbotto di pelle nera. Litigano.

    Non deve distrarsi. Si concentra sul palazzo. Le finestre sono chiuse. Di sicuro non hanno sentito nulla della confusione proveniente dalla strada.

    Aspetta.

    Intorno alle 18:30 vede Giuliano lasciare lo studio e allontanarsi da solo. Aspetta ancora.

    Guarda l’orologio: le 18:45. Chiude la macchina, attraversa la piazza vuota, suona al citofono.

    Sale.

    Dopo pochi minuti, lasciano l’appartamento insieme. Lui ha le chiavi e conosce la combinazione per aprire il garage. La piattaforma si ferma al livello della strada, la macchina è proprio di fronte a loro. Lui si allaccia la cintura di sicurezza e infila la chiave nel cruscotto.

    Incredulità e terrore fusi in un abbraccio definitivo. Ecco, adesso sono entrambi faccia a faccia con l’estasi del dolore. Sussurri e gemiti intrecciati in una litania che non cambia mai. Il dolore del tuo nemico è luminoso. Rimane quando non esiste niente altro. Guarda gli occhi della sua vittima e pensa che somiglino agli occhi di un martire in un dipinto.

    Lui ha il tempo di realizzare cosa gli sta capitando. A lui e non a un altro. Vorrebbe aggrapparsi a qualcuno, anche a chi lo ha appena colpito. Ma non c’è più. Se ne sono andati via tutti ed è rimasto solo, a fluttuare dentro una macchina sepolta nel buco sotterraneo di un osceno garage ultramoderno.

    1

    Segreti di famiglia

    Respirare odori antichi e polverosi, come quelli sepolti dal manto del passato dentro una bottega antiquaria, è quasi una necessità per Giuliano Neri. In un pomeriggio gravato da un’afa opprimente, si muove incerto per le strade di un quartiere poco frequentato nei suoi consueti giri di ricognizione. Si guarda intorno cercando di individuare l’insegna del negozio, il cui nome è appuntato sull’agenda da una settimana. Non gli capita spesso di andare a Le Cure, tuttavia l’indicazione è stata troppo allettante per essere trascurata. L’artista di cui ora insegue le tracce è un richiamo irresistibile, appartiene a una speciale aristocrazia di pittori che conserva inalterato il suo fascino, nonostante lo scorrere dei secoli.

    Ponte al Pino, ci sono quasi, pensa alzando lo sguardo al di sopra dell’unica vetrina. È arrivato da Pini Antichità e il proprietario lo sta aspettando. Non ha neppure il tempo di chiedere, che quello gli va incontro sorridente. Un signore distinto, con i capelli grigi ben acconciati in onde regolari, che dall’entrata luminosa lo accompagna in uno spazio elegante e quieto dopo avere sceso due bassi gradini in pietra serena. Pochi punti di luce si concentrano sul particolare di un mobile pregiato o sulla cornice dorata di una specchiera. L’ambiente ospita selezionati pezzi d’epoca, a testimoniare il meglio del passato. Giuliano Neri ha la sensazione che l’arte abiti lì.

    E poi vede il quadro. Minuti dilatati dall’emozione. Sente il terreno sgretolarsi sotto i piedi e il cuore galoppare in ogni angolo del corpo. Solo una lunga e consolidata esperienza gli permette di non far trasparire la propria agitazione all’antiquario, che non gli stacca gli occhi di dosso. Il restauratore si avvicina ulteriormente al dipinto, trattenendo il fiato e costringendosi a mantenere un’espressione il più possibile distaccata e professionale. Giuliano sa che non si tratta di un’illusione. Più si avvicina alla tavola, più riconosce Rosso Fiorentino.

    Come ogni antiquario che si rispetti, il signor Pini è furbo. È un commerciante abile, è in grado di scovare un oggetto a ventimila lire e rivenderlo a due milioni, ma non fa pasticci. Non è di quelli che costruiscono assemblaggi mettendo insieme le parti originali di tre scrittoi, veri solo in parte, per crearne uno autentico. Glielo ha garantito Guido Faggi, e Giuliano si fida ciecamente del suo amico. Le informazioni, raccolte sull’antiquario di Le Cure, dicono che anche lui, ogni tanto, fa qualche concessione alle danarose signore d’oltreoceano, ma un po’ di rottamazione d’antiquariato va sempre bene per chi non ha storia alle spalle.

    Nulla a che vedere con il magnifico ritratto che li fissa da un tempo lontano. Con la maggiore concentrazione di cui è capace, Giuliano Neri analizza attentamente il dipinto, cercando di riprodurlo alla perfezione nella propria mente; nessun elemento, neppure il più irrilevante, deve sfuggirgli. Alla fine, conclude ad alta voce che si tratta di un superbo esempio di pittura manierista. Di Rosso Fiorentino? È possibile. Data la qualità dell’opera, perché no? Quello dell’antiquario non è lo sguardo affilato del restauratore, lui non possiede la capacità di Giuliano di cogliere certi dettagli e gli basta sentire il nome dei Landi, come potenziali acquirenti, per essere lusingato.

    Dietro i Landi si nasconde uno dei patrimoni più generosi di Firenze, ben fornito grazie ai quadri di valore di proprietà del vecchio Piergiorgio Landi. Un bene di enorme peso, custodito in buona parte nella villa di Impruneta. Di conseguenza, se il genero di Landi in persona è venuto a visionare il ritratto, non è opportuno lasciarsi sfuggire l’affare e, conoscendo la debolezza dell’anziano collega per la pittura del Cinquecento, cercherà di ricavarne il massimo del guadagno.

    «Come si resta?», chiede Pini.

    «Le faremo avere al più presto una proposta d’acquisto», lo rassicura Giuliano Neri, che adesso ostenta una certa fretta. I suoi pensieri sono concentrati unicamente sul dipinto, vorrebbe averlo subito nel suo laboratorio. Quel che accadrà in seguito non lo riguarda. È consapevole che, una volta restaurato, i Landi valorizzeranno al meglio il quadro vendendolo al collezionista più importante. Sanno quali canali seguire per piazzare un’opera rara, senza contare che la pubblicità conseguente a una vendita tanto prestigiosa servirà da promozione per tutto il resto della loro merce. Ma degli aspetti commerciali è sua moglie Alma a occuparsi. A lui spetta il compito del segugio che scova il tesoro e la gratificazione vitale di riportarlo al primitivo splendore.

    Sono passati solo dieci minuti da quando ha lasciato il negozio di antichità e Giuliano viene travolto da un pensiero semplice e terribile: può cambiare tutto in meno di un secondo. La gente di norma evita di formularlo, ci gira intorno e si impedisce di entrarci dentro, eppure, qualcosa di definitivo, molto vicino a un cambiamento radicale, sta capitando proprio a lui. Il restauratore non è in condizioni di immaginare quanto influirà sulla famiglia Neri la scoperta appena fatta. In questo istante, ha solo paura e non è in grado di valutare con chiarezza le conseguenze della scena che ha davanti a sé. Tuttavia, intuisce che non si tratta di una semplice coincidenza. La precisa sensazione che stia accadendo qualcosa di inevitabile lo percorre dalla testa ai piedi, nel modo sperimentato già tante volte nella sua esistenza.

    Se non fosse sua figlia, non l’avrebbe neanche notata. Una ragazza talmente insignificante di cui nessuno si accorge. Cammina per le strade, entra nei negozi, sale sugli autobus e passa, senza che mai gli sguardi degli altri si posino su di lei. Gli occhi di tutti la attraversano e vanno oltre. Margherita non è bella, non è brutta, e per la gente non esiste. Una fisionomia da dimenticare soltanto pochi minuti dopo averla incontrata. Anche la sua personalità non ha nulla di particolare. Non ha aspirazioni, non ama lo sport, non è sensibile alla musica, alla letteratura. Tanto meno all’arte figurativa.

    «Pensa», dice spesso Giuliano sconsolato al suo amico pittore Guido Faggi, «confonde addirittura un artista con un altro». Ma è sua figlia e non può fare a meno di preoccuparsi per lei. Per questo sussulta nell’individuarne la figura in un luogo in cui non dovrebbe trovarsi, e tutta l’emozione che solo qualche istante prima lo accompagnava scompare. D’un tratto il suo lavoro, le sue passioni, i suoi progetti perdono il loro smalto per opacizzarsi in una condizione di secondo piano rispetto all’unica cosa che, adesso, gli preme sapere. Perché sua figlia è lì, a cinquanta metri da lui, rivolta e curva verso il finestrino aperto di una volante della polizia? Margherita sta parlando con un poliziotto di cui è impossibile scorgere il viso, e c’è una sfumatura di complicità nel modo in cui si rivolge allo sconosciuto. Forse sorride, poi si piega ancora, quasi a entrare con la testa all’interno della macchina, fino a sfiorare le labbra dell’uomo che, subito dopo, mette in moto e, accelerando, si allontana, lasciandola a guardarlo immobile. È sufficiente qualche secondo, per richiamare alla memoria il dialogo della mattina.

    «Buongiorno piccola, stai uscendo?»

    «Sì, vado a studiare da Luisa. Rimango a casa sua tutto il giorno. Ci vediamo stasera, ciao papà».

    Luisa abita a Santa Croce. Che ci fa sua figlia a Le Cure alle cinque del pomeriggio? Gli ha mentito di proposito, e questo gli impedisce di chiamarla e di farsi vedere da lei. Preferisce scostarsi appena, per uscire dal suo campo visivo e cercare di capire cosa stia succedendo. Margherita si avvia lungo il marciapiede con il suo passo lento, indifferente a quanto la circonda; l’alone di energia che l’ha avvolta, mentre offriva le labbra allo sconosciuto, si è già dissolto. È tornata invisibile agli altri e, dietro di lei, il padre la segue a debita distanza, con il respiro corto e la mente piena di interrogativi.

    Venti minuti di camminata, durante i quali la giovane entra un paio di volte in negozi alimentari, uscendone con delle buste di plastica. Sbucano, infine, in una piazzetta con un giardino al centro. Lei si ferma a guardare. Cerca qualcuno. Lo trova. Sta giocando a pallone con altri coetanei. È un bambino con un viso minuto e una frangetta compatta di capelli castani che gli oscilla sulla fronte durante la corsa.

    «Luca!».

    «Ciao, Margherita», le grida andandole incontro sempre correndo. Si abbracciano sotto gli occhi increduli e distanti di Giuliano che, però, riesce ugualmente a sentirli.

    «Io salgo», dice lei, e controlla l’orologio, «puoi restare ancora un’ora a giocare, poi vieni su perché devi fare il bagno prima di cena. Guarda come ti sei ridotto».

    Giuliano Neri non si muove per tutto il tempo che sua figlia impiega ad attraversare la strada, dirigersi verso un portone e chiuderlo alle sue spalle. Rimane fermo per qualche istante nel tentativo di riordinare le idee e dare un senso a quanto ha visto e, intanto, osserva con un misto di incertezza e incredulità la facciata scolorita del palazzo modesto in cui è entrata Margherita.

    Gli resta una sola alternativa e si avvia a malincuore verso una delle panchine del giardino in cui i ragazzini sono rimasti a giocare a pallone. Scruta gli adulti presenti, prima di scegliere il più adatto. Ce ne sono tre: un probabile nonno che legge il giornale e, ogni tanto, alza la testa per seguire il nipote con lo sguardo e due giovani madri profondamente assorbite dalle reciproche confidenze. Sceglie il nonno.

    In mezz’ora ha raccolto le informazioni essenziali. Il padre del piccolo Luca è un ispettore di polizia ed è vedovo. Del bambino, saltuariamente, si occupa Margherita, una ragazza timida e gentile, secondo l’anziano, che appare piuttosto propenso a parlare con una persona dall’apparenza tanto distinta, quale Giuliano mostra di essere. Al nonno è bastata un’occhiata per capire che non si tratta di un impiccione ma di un uomo ben educato e disponibile ad ascoltarlo, cosa rara nei pomeriggi in cui accompagna il nipotino ai giardini. La conclusione dell’anziano signore è che tra la giovane baby-sitter e l’ispettore di polizia c’è del tenero. Nel quartiere si parla spesso di una loro storia; tutti fanno ipotesi e si augurano che la vicenda si concluda felicemente con un matrimonio, perché del bambino deve pur prendersi cura una donna affettuosa, che sostituisca la madre morta in quel modo terribile.

    Giuliano è allibito. Vent’anni. Sua figlia ha vent’anni, ma chi è davvero? Una sconosciuta della cui doppia vita lui e Alma ignorano l’esistenza. L’hanno sempre considerata un’adolescente ubbidiente e incapace di fare delle scelte autonome. Come è possibile ritrovarsi all’improvviso esclusi dal suo universo? Margherita è l’unica creatura sulla quale, nonostante le continue delusioni, si sono sempre concentrate le loro attenzioni e un amore incondizionato, seppure velato di malinconia. Sono sempre stati molto attenti a non far percepire alla figlia il rammarico per le loro aspettative deluse. Che colpa può avere lei, se è nata priva delle prerogative toccate ai genitori? Bellezza, fascino, carisma non le appartengono.

    Giuliano sa di trascorrere quasi tutto il proprio tempo assorto in un lavoro solitario ed esclusivo. Per lui è sempre stato più facile abbandonarsi alla complicità con un amico, con il quale condividere la passione per l’arte, piuttosto che lasciarsi andare con sua figlia. Per addolcire certe sue ritrosie, c’è Alma. La moglie è il suo filtro sentimentale. Perciò, nella calura di quel surreale pomeriggio estivo, il restauratore sostiene una conversazione che deve sembrargli assurda, mentre, per qualche motivo sconosciuto, sente il bisogno di scavare in una realtà incomprensibile. Forse lo attrae l’idea di scoprire qualcosa di Margherita che nessun segno premonitore gli ha suggerito fino a quel momento. È possibile che lei lo sorprenda con un lato misterioso e attraente di sé? Qualcosa di cui nessuno ha intuito l’esistenza? Solo un esile dubbio, ma sufficiente a incollarlo alla panchina e a impedirgli di andarsene.

    La sua ostinazione a trattenersi è premiata da quanto sta per accadere. L’anziano signore si alza, ripiega il giornale e chiama il nipote un paio di volte, finché il bambino raccoglie il pallone e saluta gli amici. Il gruppetto si disperde, soltanto il piccolo Luca segue l’amichetto in direzione della panchina, dove Giuliano, immobile, continua a fissarlo.

    «Salutalo e andiamo», il nonno esorta il nipote, «domani vi rivedrete». E, rivolto a Luca: «Dove te ne vai di bello, adesso?»

    «Vado a casa, da Margherita».

    «Sei sempre innamorato di lei?», lo stuzzica il vecchio.

    Il bambino arrossisce, quindi, alzando le spalle, con una mano si scosta la frangetta dalla fronte sudata. «No che non sono innamorato». Arretra di qualche metro, fa per scappare via, si ferma e, girandosi di colpo, strilla con la sua voce acuta: «Però ho un segreto. Lo sai? Tutti dicono che le maghe non esistono, ma dicono bugie. Perché Margherita è bella come una maga».

    2

    Non più insieme

    Dopo avere lasciato Le Cure, Giuliano ha girato in macchina per quasi due ore, senza meta. Alla fine, ha deciso che era meglio non andare subito a casa; ha parlato con la domestica, pregandola di avvisare sua moglie, per sottrarsi a un incontro ravvicinato con Alma e, soprattutto, con sua figlia. Meglio riflettere e capire cosa convenga fare, non vuole rischiare una mossa sbagliata che metterebbe in crisi il precario equilibrio familiare degli ultimi tempi. In certi giorni, ha notato la presenza di una tensione inconsueta tra madre e figlia.

    Giuliano è così preso dalle proprie riflessioni che, appena entrato nel suo studio, rimane per qualche istante immobile nell’ingresso buio. Poi, si riscuote e avanza verso il salotto. Appoggia la borsa sul tavolino accanto alla poltrona, sistema con cura la giacca di lino sul bracciolo del divano e si affretta ad aprire le finestre per creare un po’ di corrente, mentre sbottona il colletto della camicia bagnata di sudore. Va in cucina, per prendersi una birra dal frigo, quindi dà un’occhiata al laboratorio e infine esce sul balcone per controllare le piante. L’impianto di irrigazione che gli ha montato Guido funziona a dovere e lui è molto soddisfatto di come ha disposto le fioriere, specialmente quelle con l’angelonia e le surfinie. Con l’ondata di caldo che ha investito Firenze, occorre mantenere la terra dei vasi sempre umida.

    Ma la scoperta del segreto di Margherita continua a tormentarlo. Pensa alla sua invidiabile esistenza, alla sua magnifica casa di via del Moro, proprio a due passi da via dei Fossi, dove la famiglia Landi possiede il fiabesco negozio di antiquariato che tutti a Firenze conoscono; un lavoro appassionante, un matrimonio solido che è andato avanti senza scosse e con grande soddisfazione reciproca. Ha una moglie colta e affascinante. È stata lei, Alma Landi, a introdurlo nei salotti esclusivi di Firenze. In fondo, lui resta un semplice restauratore.

    Prima di incontrare la figlia di Piergiorgio Landi, le sue storie sentimentali non avevano peso e le conseguenze di quegli amori provvisori non lasciavano mai rimpianti. Alma aveva fatto di tutto per conquistarlo. Fu lei a dirgli un giorno che lo voleva completamente per sé. E lui l’aveva accontentata, evitando di riflettere sull’insidia nascosta in una simile proposta. Se ne era reso conto in seguito quando, ripensando ai primi tempi della loro storia, a volte non poteva impedirsi di accostarli a una specie di malattia generata da un ossessivo e logorante bisogno l’uno dell’altra. Con il trascorrere degli anni, si era fatto meno bruciante e più attutito, ma era pur sempre una forma di razionale schiavitù. Si sottometteva a lei, ma non sentiva l’impulso di allontanarsi e di liberarsene come gli capitava con gli amori precedenti. Più di vent’anni di matrimonio. Tanti per non essere mai stato attraversato dall’ombra dell’incertezza. Tuttavia il sesso con Alma continua ad essere profondo ed appagante. Esistono altre forme di esperienza altrettanto rassicuranti? Spesso sua moglie gli sfugge, si mantiene inafferrabile, e questo regala al loro rapporto un’incompiutezza che lo costringe a cercare la zona ancora inesplorata.

    All’inizio del loro matrimonio, solo una cosa turbava Alma: la mancanza di figli. Sua moglie immaginava in continuazione una figlia. Se la figurava mentre giocava o dormiva in una stanza color pastello. Di notte, si sarebbe alzata per controllare i respiri della sua bambina e, solo dopo avere consumato quel rito più volte, sarebbe tornata a letto per stendersi accanto a Giuliano.

    Alla nascita di Margherita, però, accadde un fatto sorprendente: Alma trovò la sua pace e Giuliano la perse. Lapo e Guido, gli amici più cari, lo videro tremare dall’emozione con un’espressione spaventata, mentre per la prima volta prendeva sua figlia tra le braccia. In principio, per lui ci furono momenti di smarrimento, perché non riusciva a capire come mai un essere tanto piccolo e indifeso riuscisse a scatenargli dentro quel turbine di potenti sentimenti contrastanti. Per lo più viveva in bilico tra momenti di euforia e di puro terrore. Con il trascorrere dei mesi e degli anni, raggiunse uno stadio di calma apparente in cui osò aprirsi alla speranza. Forse sua figlia, un giorno, sarebbe stata una persona in grado di soddisfare le loro aspettative. Invece Margherita, contro tutte le previsioni, si era trasformata in un’adolescente insicura che chiedeva sempre mille conferme e che, alla minima osservazione, scoppiava a piangere.

    Adesso Giuliano Neri è lì, nel suo studio, a chiedersi se è stato un buon padre. Avere scoperto che Margherita ha una vita segreta lo inquieta oltre misura. La consapevolezza che li abbia tenuti all’oscuro di proposito, se da una parte lo riempie di ansia, dall’altra non può fare a meno di incuriosirlo sulla vera natura di sua figlia. Occorre agire con tatto e intelligenza. Solleva il ricevitore e compone un numero. Ha solo bisogno di calmarsi e gli serve la voce di un amico fidato.

    «Ciao, ho un problema».

    «Raccontami tutto», lo invita Guido.

    Giuliano parla con la sua solita precisione, fornisce le notizie in suo possesso, cercando persino di classificarle e ordinarle secondo un criterio professionale, chiarisce i fatti e analizza i moventi per ottenere in cambio dall’amico pittore solo una consolante conferma: «Per il momento, è meglio tenere Alma all’oscuro di ciò che hai scoperto». Sì, ha ragione. Non è il caso di confondere sua moglie con conclusioni affrettate.

    «Secondo te, come andrà a finire?», chiede speranzoso il restauratore.

    «Nessuno può dirlo».

    Una risposta preoccupante, che getta Giuliano nuovamente nell’angoscia. Ma si conoscono bene loro due, e al suo amico non sfugge il peso del silenzio che segue. Guido ha bisogno di sapere, vuole conferme su qualcos’altro.

    «Come ti senti?», domanda.

    «Sto bene».

    «Davvero?»

    «Ti dico di sì. Non ho più avuto problemi da qualche mese a questa parte».

    Non ci sono repliche da parte di Guido e lui non ha voglia di essere più preciso sull’argomento, spera che l’amico non insista, teme di risvegliare il suo vecchio malessere. Preferisce cambiare discorso e alleggerire la tensione. «E allora? Lo vuoi sapere o no se ho visto il ritratto?».

    Dopo tanta apprensione, Giuliano e Guido si abbandonano alla tentazione di formulare ipotesi su come il quadro di Rosso Fiorentino sia finito nelle mani dell’antiquario di Le Cure. Riguardo alle questioni dell’arte sono sempre in totale sintonia. Parlano a lungo. «Mi raccomando», conclude il pittore, prima di salutare, «segui le tracce di Rosso, quelle evidenti e quelle nascoste».

    Giuliano abbassa il ricevitore, torna in cucina, apre un’altra birra e, questa volta, si mette a berla comodamente sdraiato sul divano. Per prima cosa svolgerà un’indagine sulla tecnica pittorica di Rosso Fiorentino. Un buon restauratore deve muoversi guardingo attraverso i pigmenti: rosso magenta, blu cobalto, terra di Siena, bianco di piombo, come farebbe un chimico. Deve essere in grado di distinguere l’olio di lino da quello di noce, deve studiare il supporto, l’imprimitura. Ma non basta. Deve osservare i particolari. È sufficiente una lama di luce per indovinare la traiettoria dello sguardo del pittore, e capire cosa ha suscitato il suo interesse. La superficie di un dipinto può trasformarsi in una mappa per entrare nella mente di chi lo ha realizzato.

    Domani mattina telefono subito a Francesco, si ripromette Giuliano, poi sorride involontariamente al pensiero di suo cognato. Il fratello di Alma dà sempre l’impressione di avere in orrore il denaro, persino il suo, con il quale convive in maniera masochistica, soprattutto adesso che il vecchio Landi ha affidato a lui l’onere delle transazioni. La famiglia è molto riservata, solo pochi amici e qualche giro di carte. Alma è la ribelle, ha sposato un restauratore. Eppure ogni domenica si riuniscono sempre. È una regola indiscussa: tutti insieme a parlare dei propri beni, al terzo piano del palazzo in via dei Fossi, esattamente sopra il negozio di antiquariato.

    Un’occhiata in giro mostra a Giuliano il suo studio trasformato in un antro pieno di fumo. Nonostante le finestre aperte, l’umidità ristagna. Se non è capace di smettere, almeno tentare di ridurre la quantità di sigarette sarebbe già qualcosa. Nauseato, svuota il posacenere nella pattumiera.

    Si ritrova all’aperto in cerca d’aria, cammina sul Lungarno in una notte tranquilla e stellata. Andare a casa a piedi gli farà bene, perciò ha lasciato la macchina in garage, tanto domani tornerà a studio.

    Arrivato a Ponte Vecchio, comincia a preparare il discorso per Alma. Non può illudersi, se non sta attento, lei noterà immediatamente che c’è qualcosa che non va. L’importante è sviare l’attenzione di sua moglie e portare la conversazione su un argomento che le interessa. Non appena è di fronte al portone di casa, in via del Moro, Giuliano percepisce con chiarezza tutto il peso che lo opprime da varie ore e il suo passo rallenta istintivamente. Mentre comincia a salire le antiche scale che conducono al suo appartamento, avverte un’insolita stanchezza alle gambe.

    «Ti ho cercato tutto il pomeriggio», gli dice Alma.

    Suona come l’inizio di una recriminazione e Giuliano decide di replicare con calma, prima di assestare il colpo giusto: «Mi sembrava di averti avvisato stamattina, ricordi? Il quadro che mi ha segnalato Guido… quello di Pini Antichità. Mi sono trattenuto nel negozio più del previsto per un motivo preciso. Poi sono dovuto scappare a studio per delle verifiche. Non vuoi sapere cosa ho scoperto?».

    Come previsto, l’attenzione di Alma si impenna all’improvviso. «Non dirmelo! È davvero Rosso Fiorentino?». Nella sua voce si sente una nota di eccitazione sincera e quasi incredula.

    «Ho fondati motivi per crederlo».

    È fatta. Adesso lei non penserà più al cambio di programma che l’ha irritata nel pomeriggio, quando Antonietta le ha comunicato che suo marito, contrariamente agli accordi presi, sarebbe rientrato dopo cena. Non si soffermerà più sul fatto che anche Margherita, adducendo la scusa di un po’ di nausea, non ha cenato insieme a lei e se ne è andata a dormire prima del solito, lasciandola sola davanti a un magnifico e inutile roastbeef. Adesso tutto svanisce. Alma non sta nella pelle. «Domani avviso papà. Tu chiama Francesco per avviare la trattativa. Raccomandagli di non dare l’impressione di avere fretta, anche se è meglio mettersi con le spalle al sicuro e bloccare il quadro prima che ci arrivi qualcun altro».

    «Hai ragione, avevo già deciso di chiamare Francesco. Se ricordo bene, sta per partire per uno dei suoi soliti viaggi, e questa operazione va conclusa in tempi brevi. Non possiamo aspettare il suo ritorno», le conferma Giuliano, ormai rilassato. Seduto sulla poltrona, non prova nemmeno il bisogno di fumare. Alcuni istanti di silenzio, sufficienti a cancellare gli ultimi strascichi della tensione e poi alza gli occhi verso Alma, colpito dalla sua immobilità.

    È in piedi davanti a lui e lo guarda in modo strano, si muove nella sua direzione, sino a sfiorargli, sempre tacendo, il ginocchio con una gamba. Fa parte del loro rituale.

    Gli prende il viso tra le mani e gli scosta i capelli umidi dalla fronte. Le slaccia i bottoni della camicetta e la sente respirare con affanno. Ma qualcosa non funziona nel verso giusto.

    Salgono in camera. La luce del lampione, rigata dalle persiane, indica il letto. Si distendono sopra le lenzuola fresche e profumate, secondo un rituale che oramai da tempo si consuma inalterato. Questa volta, però, nella penombra della stanza stentano a riconoscersi, vogliono concedersi il piacere di sempre, ma una percezione di pericolo imminente si sta insinuando nelle loro certezze.

    Giuliano cerca conferme nei gesti che hanno condiviso in molti anni d’amore, ma adesso sembra proprio che la memoria del passato stia uccidendo il piacere dell’imprevisto. Per la prima volta, sente aprirsi nei sensi una crepa sconosciuta in cui il desiderio precipita e si estingue. Non sono più complici. La bocca di Alma cerca avidamente la sua. Poi, sua moglie porta in avanti il bacino per guidarlo dentro di sé. Lui reagisce stringendola con forza. Sul viso il calore del loro respiro. Con la lingua le accarezza il mento, il naso, le orecchie. Si cercano alla cieca, mentre le gambe di Alma gli circondano i fianchi per farlo entrare profondamente. Sono trascinati da una smania che non concede nulla alla tenerezza. Niente carezze, nessuna dolcezza che possa ricordare tutto lo splendore della loro storia passata.

    Giuliano è al limite delle forze, ma non vuole arrendersi perché Alma continua a gemere, gli affonda le unghie nella schiena e si tende come un arco. Lui ha i muscoli del collo che si allungano spasmodici, il volto contratto, aspetta che lei giunga al culmine. «Ora», la incita muovendosi con un ritmo sempre più rapido. Alma affonda il viso sul suo petto, forse non vuole vedere qualcosa che preferisce ignorare. Giuliano rimane alcuni istanti disteso su di lei, sembra non volersi staccare e, quando lo fa, lo fa lentamente, fermandosi ogni volta alle involontarie contrazioni del corpo della sua compagna. Si sorprendono dell’imbarazzante silenzio che non ha mai smesso di avvolgerli. Quei pensieri scomposti, che esistono da qualche parte dentro di loro, non trovano la forza di diventare parole. Risulterebbero inadeguate a esprimere cosa provano. Non è più il tempo dei ti amo, e non è facile sostituirle con altre. Sembrerebbero solo il pallido riflesso della passione di un tempo.

    3

    Nemiche

    Per gran parte della notte Giuliano si è rigirato nel letto in preda a sogni agitati, alternati a momenti di lucidità in cui riaffioravano la scoperta della vita segreta di Margherita e il quadro di Rosso Fiorentino.

    Si sente confuso e si gira a guardare stupito Alma che continua a dormire. Un immediato senso di panico lo investe, ma stavolta riesce a controllarlo. La paura di avere perso qualcosa di sicuro è insopportabile, pensa che non esista donna al mondo con un corpo più bello di quello di sua moglie, soprattutto quando è abbandonata al sonno e non sa di essere guardata: leggermente spostata su un fianco, con la curva del bacino arrotondata e il ventre piatto, con un braccio steso morbidamente lungo il fianco e scivolato all’indietro. Le si accosta silenziosamente per ammirarla ancora qualche secondo, giocando con la sensualità di quelle forme nude, intuite sotto il lenzuolo sottile. Possibile che il suo destino non sia più legato a lei?

    «A cosa stai pensando?»

    «Scusa se ti ho svegliato, amore».

    «Stamattina hai uno sguardo strano».

    «Non farti venire brutte idee».

    «Non mi convinci, perché non vuoi rispondermi?»

    «Smettila, Alma. Non avere sempre l’aria di chi tiene la bacchetta in mano».

    Non ci sta a essere considerata alla stregua di una maestrina intransigente. No, lei non è una di quelle donne a cui non va mai bene nulla, pronte a giudicare e a mettere in evidenza qualsiasi presunta manchevolezza del proprio uomo. L’effetto spiacevole di quel risveglio continua a restare radicato dentro di lei. Non si è attutito nemmeno dopo avere fatto colazione insieme a Giuliano, averlo visto uscire ed essersi fatta una doccia veloce. Si veste più rapidamente del solito perché un’occhiata all’orologio le fa prevedere l’inevitabile ritardo con cui si presenterà all’appuntamento con sua cognata. Per qualche minuto medita sull’eventualità di disdirlo. Si sente sempre in imbarazzo con Lucilla. È la donna più egoista, ostinata e difficile da trattare che abbia mai incontrato.

    «Pronto?».

    Non avrebbe dovuto telefonarle. Ma è la sorella di Giuliano e lo conosce da più tempo di lei. Dunque, meglio di lei? Prova ad avanzare delle scuse inconsistenti per rimandare l’appuntamento; c’è un tono nella voce di Lucilla che Alma si aspettava, eppure non riesce a sostenerlo. Me la sono cercata, pensa.

    «Non è un buon periodo…». Le parole le sfuggono di bocca, rimane incerta per qualche istante, e in quella pausa invitante la cognata si tuffa. Tocca a Lucilla ora mostrare quanto il nostro Giuliano sia capace di fare soffrire chi gli vuole bene. Ma lui è fatto così e nemmeno se ne rende conto. Così come? Si interroga Alma. Allarga le braccia in segno di sconfitta e sposta l’appuntamento di mezz’ora.

    Alma e Lucilla si odiano, le divide una rivalità lontana: il predominio su Giuliano. Con gli anni, il conflitto, perennemente fra le righe, ha perso un po’ del suo smalto.

    Lucilla lascia spesso Firenze per i suoi concerti e rivolge l’attenzione ai direttori internazionali. È una celebre violinista. Anche lei, come il fratello, ha dovuto lottare per arrivare dov’è e si è guadagnata da sola il suo successo.

    Alma parla a voce bassa, è riservata e suadente. Indossa tailleur vagamente rétro su cui sfoggia monili artistici. Lucilla ostenta la sua femminilità con maglioncini sexy e fa brillare di continuo piccole mine cariche di una provocante ironia. Un elemento le accomuna, però: la vita è una faccenda da condurre in prima persona. Sono donne volitive che amano primeggiare e, anche per questo, soffrono di una sottile gelosia l’una nei confronti dei successi dell’altra. In superficie ci sono felicitazioni, complimenti e congratulazioni, ma nel profondo si annida un desiderio di rivalsa e di competizione che le oppone come irriducibili nemiche.

    Sedute una di fronte all’altra, in mano un lungo bicchiere colorato dal cocktail di frutta, stanno parlando già da un’ora, incuranti del vociare degli altri clienti e degli sguardi insistenti di chi, in piedi, aspetta che si liberi un tavolo. Il raffinato caffè centrale è il ritrovo di molte signore chic, abituate a incontrarsi lì per scambiarsi chiacchiere riservate e per godere dell’aria condizionata, che le mette al riparo dell’insopportabile calura estiva. Alma e Lucilla sono clienti abituali e la solita cameriera le ha fatte accomodare in un angolino confortevole.

    Per la sorella di Giuliano è un buon momento: una cena qui, un’inaugurazione là, un vérnissage a cui fare da madrina, i viaggi all’estero per i concerti. E le bigotte concittadine, che prima la ignoravano, ora sparano sorrisi di complicità e le chiedono chi è il suo stilista.

    Alma disapprova molte cose di lei. I gioielli, per esempio, sempre così vistosi, che è un miracolo se ancora non è stata rapinata. Per tacere del trucco. Non è possibile fare a meno di notare che le belle labbra carnose della cognata sono messe in eccessivo risalto dal rossetto violento e lucido. «Non ti piace?», le chiede Lucilla a cui gli occhi brillano, quasi volesse sfidarla e intanto muove la testa facendo ondeggiare i suoi riccioli naturali. Di sicuro, sta pensando soddisfatta, i dieci anni di differenza fra loro si vedono tutti, e a suo vantaggio.

    Lucilla sbatte le palpebre e pare che il suo atteggiamento provocante stia per scomparire. Ha ascoltato con partecipazione i sospiri di Alma, ha cercato di consolarla, ora però basta. Vuole divertirsi un po’ alle spalle dell’altra e non trova di meglio che scandalizzarla, anche se ciò significa mettere in mostra qualche suo peccatuccio e parte della sua vita privata. Ogni tanto le piace sporcarsi con il fango del mondo, visto che il suo lavoro da musicista le fa correre il rischio di elevarsi troppo al di sopra dei difetti umani.

    La mano ricade, lasciando la tartina nel piatto, Alma si gira di scatto irrigidendo i muscoli del collo. «Prostituta per hobby?». Guarda la cognata senza capire e ripete: «Per hobby?».

    Lucilla alza le spalle. «Diciamo per gioco. È così che è andata. Per aiutare un amico che mi ha chiesto di uscire una sera con un suo cliente di passaggio a Firenze. Evidentemente il cliente ignorava con chi avesse a che fare, non era stato bene informato dal mio amico perché, a fine serata, mentre mi riaccompagnava a casa, mi ha messo in mano cinquecentomila lire».

    Alma è talmente sconvolta che formula la prima domanda venutale in mente. «E non ti sei arrabbiata?», balbetta.

    «Sul momento sì, ma dopo mi sono sentita eccitata. Nei giorni seguenti ho ripensato continuamente a quell’esperienza fino a vagheggiare l’idea di ripeterla».

    Incredibile ascoltare un’ammissione del genere. Alma non ce la fa ad assimilarla, vorrebbe impedirsi di valutarne le conseguenze immediate, ma la curiosità la sollecita e le accorcia il respiro. «Con quale frequenza hai avuto questi incontri?», le chiede.

    «A volte sono rimasta senza fare niente per mesi. Ci sono stati periodi, invece, come l’anno scorso, in cui sono uscita con qualcuno anche una volta alla settimana».

    «Ed eri tu a stabilire la tariffa?».

    Lucilla tace un istante e la scruta quasi con gusto, poi precisa scandendo le parole e fissandola dritta negli occhi: «Io non ho mai chiesto nulla. Sono stati sempre loro, i clienti, a offrirmi più di quanto potessi immaginare. Per una cosa veloce in albergo, sono arrivati a darmi un milione».

    «E se poi ti capitava di incontrarli a una festa o a un concerto, se per caso, magari per strada, qualcuno ti avesse riconosciuto? A Firenze sei una donna famosa».

    «Be’, nel primo caso facevamo finta di non esserci mai visti, nel secondo, ti parrà strano, non mi sono mai trovata. Se il dubbio fosse venuto a qualcuno e se avesse insistito, avrei detto che si sbagliava e che si trattava solo di una somiglianza».

    «Non hai mai avuto paura? Non leggi i giornali?». Adesso Alma rabbrividisce visibilmente al pensiero dei recenti fatti di cronaca nera. «C’è stato un vero e proprio massacro di prostitute negli ultimi due anni. E se un pazzo assassino ti avesse scambiata per una di quelle?».

    Lucilla non le spiega perché ha smesso. Non le dice di aver deciso dopo l’episodio con il medico fiorentino. In genere, evitava di incontrare i suoi concittadini. Solo una volta ha fatto eccezione, per poi pentirsene e finirla lì con simili storie. Aveva già visto il medico il mese precedente e, contravvenendo alla sua regola, aveva accettato un altro appuntamento. Lui aveva insistito molto al telefono, e così avevano fissato per la sera stessa in una pensione di Fiesole. Appena entrati in camera, l’uomo si era spogliato completamente, imponendo a lei di restare in mutandine e reggiseno. Ma il bello doveva ancora venire. Aveva legato i polsi di Lucilla alla testata del letto con le sue calze autoreggenti e aveva cominciato a masturbarsi, mentre le leccava i piedi. Quella era stata l’ultima volta per Lucilla Neri.

    * * *

    Con la fine di settembre, sono emerse altre sconvolgenti novità per Giuliano, che fa fatica a mantenere il segreto con sua moglie. Ma sarà così, almeno fino a che non avrà completato le indagini.

    Ha scoperto, per esempio, che sua figlia ha smesso di frequentare l’università. A studiare da Luisa? Una bugia. Le ragazze non si incontrano da oltre quattro mesi. In un certo senso, Margherita ha tagliato i ponti con le sue vecchie amicizie. Nessuno in casa se ne è reso conto. Lei non è una di quelle ragazze che escono spesso, e le sue amiche si contano sulle dita di una mano. Anzi, erano sempre lui e Alma a insistere perché uscisse. Magari anche solo il sabato sera. La tristezza di quei sabati in cui capitava che loro due, eleganti e sulla porta di casa, salutassero Margherita in tuta, rannicchiata davanti alla tv, con il gatto arrotolato al fianco e un toast bruciacchiato in mano, era pesante da descrivere. Per motivi diversi, ognuno di loro faceva finta di niente, ricacciando in gola il magone che tornava su come una spezia difficile da digerire.

    E c’è un’altra scoperta, forse la meno inquietante di tutte, ma non per questo meno sorprendente. Margherita frequenta un corso, di cucito o di ricamo. Giuliano non ha capito bene e deve prendere nuove informazioni. Per ora, sa soltanto che sua figlia ci sta andando dallo scorso inverno.

    L’oggetto dei suoi pensieri sta aprendo la porta di casa. Margherita rimette le chiavi nella borsetta, si ferma nell’ampio ingresso e si accorge che la luce del salone è accesa. Non succede mai che qualcuno si dimentichi di spegnerla, quindi devono esserci suo padre o sua madre in attesa. Eppure lei decide ugualmente di avviarsi verso la sua camera senza salutare. Quando la voce di Giuliano la chiama, torna sui suoi passi, si affaccia ma non entra. Immobile, con il suo tipico atteggiamento: braccia strette ai fianchi, sorriso abbozzato, sguardo interrogativo e testa appena inclinata di lato.

    «Ciao, piccola, tutto bene?»

    «Sì».

    «Ti vedo stanca, vai subito a dormire?»

    «Preferirei».

    Giuliano esita, qualcosa gli suggerisce che sua figlia non è disposta né a parlare né ad ascoltare. La sua insistenza non servirebbe a migliorare la situazione. Prende da un ripiano una busta, contenente un invito, e la sventola. «Mi chiedevo se hai deciso di venire al matrimonio della figlia di Tonio Carpi. Sai che sei stata invitata, vero?»

    «Ne ho già parlato con mamma. Verrò. Che giorno è?»

    «Domenica 4 ottobre. Ovviamente in una chiesa non distante dalla villa del nonno all’Impruneta».

    «Speriamo che sia una bella giornata. Buonanotte papà».

    Lo saluta velocemente senza un bacio, lasciandolo sconfitto.

    * * *

    Margherita Neri e Saverio Ripasanti si erano conosciuti alla fine di un mese di marzo che si opponeva all’ingresso della primavera. Era sabato sera e Celentano in tv si dimenava nei suoi dinoccolati rock’n’roll a Fantastico. Margherita aveva ignorato la televisione ed era uscita. Un’ora più tardi guardava stupita il ragazzo di Benedetta con quella pettinatura a ciuffo di banana, i basettoni e il giubbetto a scacchi. Ma dove l’aveva pescato uno così? Forse si era persa qualcosa. Forse, a Firenze, adesso era quello il nuovo revival.

    «Ma sì», le aveva sussurrato l’amica, dopo che si erano accomodati al Manila, il tempio di quel genere di rock, «in fondo questa è una musica colorata. Meglio del nero negativo che ci sta ammorbando tutti. Non sei d’accordo?».

    Lei non si era sentita di darle torto e, infatti, se l’aveva scelta per farci comunella nel corso di cucito, era proprio perché Benedetta le era parsa subito semplice e allegra. Una boccata d’aria fresca che compensava l’aria irrespirabile di casa sua.

    Margherita si era guardata intorno e aveva visto giovani con voglia di stupire e di divertirsi. D’un tratto aveva deciso di lasciarsi trascinare dalla carica collettiva e di allentare la tensione dell’attesa. Più volte nel corso della giornata aveva pensato di telefonare a Benedetta per dirle di no e rinunciare alla serata. Non credeva agli incontri programmati e, ora che aveva visto il ragazzo dell’amica, inorridiva al pensiero del tipo che stavano aspettando. Nel frattempo, aveva ordinato un cuba libre. Al Manila anche chi non amava quel genere di musica, dopo un po’ si abbandonava. E poi Margherita doveva ammetterlo: il rock anni Cinquanta non era una musica facile da suonare, non era come il punk casinista in cui non c’era bisogno di saperci fare con gli strumenti. Per quello ci voleva tecnica e un sicuro senso del ritmo. Non si poteva barare con gli accordi, che dovevano essere precisi. Ne aveva abbastanza dei gruppi dark, psichedelici, sperimentali e post punk. Puro divertimento era sufficiente. Alla fine, era contenta di trovarsi là ed era la sola cosa che contava. Il gruppo che si stava esibendo era piacevole e ironico, anche se datato. All’improvviso Benedetta le aveva quasi gridato: «Guarda, è arrivato Elvis». E aveva accennato a qualcuno che si stava dirigendo verso di loro. Era un tipo curioso, non più giovanissimo e con una giacca kitch che, fuori dal locale, sarebbe sembrata ridicola. Ma lì nessuno lo avrebbe preso in giro perché si capiva che era di casa. Il gruppo musicale, infatti, aveva smesso di suonare, mentre lo strano tipo, dopo avere fatto un cenno d’intesa a Benedetta, si era diretto al centro del palco e aveva cominciato la sua esibizione.

    Cantò e travolse tutti con il suo sound. E a Margherita venne quasi voglia di mollare ogni cosa e di trovarsi on the road insieme a lui, magari verso Memphis.

    Elvis era il nome d’arte di Saverio Ripasanti, un ispettore di polizia vedovo, con un bambino piccolo e diciotto anni più di lei. Era nato all’Impruneta, ma si era trasferito a Firenze nel 1983, dopo la tragica morte della moglie, ed era andato a vivere in un piccolo appartamento in affitto a Le Cure.

    Non avevano nulla in comune, ma per lui Margherita non era invisibile. La loro storia era cominciata subito, da quella sera stessa al Manila, ed era andata avanti naturalmente, senza scosse o decisioni da prendere, anche se tenuta gelosamente segreta da lei. La figlia di Alma e Giuliano fuggiva, tutte le volte che poteva, nella modesta casa del poliziotto, poiché aveva ben presto scoperto di sentirsi serena e al sicuro soltanto lì. Le piaceva tutto di quella vita, persino occuparsi del piccolo Luca. Amava fare la spesa nei negozi di zona e cucinare per Saverio e il suo bambino. Aveva scoperto, con sorpresa, di essere molto brava anche nelle faccende domestiche.

    4

    L’uomo che vede

    Distese di uliveti e vigneti interrotti dal profilo morbido delle colline. Il passaggio dalla città alla campagna è improvviso. Firenze concede, a chi la frequenta per lavoro, di vivere immerso nella natura e di essere in centro in meno di un’ora. Un bel privilegio di cui hanno saputo approfittare molti fiorentini che hanno scelto di abitare sulle colline. Tra loro c’è anche la famiglia Landi con la sua tenuta all’Impruneta che, tra cavalli, esperimenti agrari all’avanguardia, villa settecentesca e riserva di caccia vale circa dieci miliardi. Si tratta di un eremo inviolabile e scomodo da raggiungere. Sette chilometri di strada sterrata, ma vale la pena percorrerli per partecipare alle esclusive cene degli aristocratici antiquari.

    Da un paio d’anni Piergiorgio Landi ha deciso di trascorrere alla tenuta buona parte dell’anno, trasferendosi nell’appartamento in via dei Fossi solo durante i mesi invernali o per qualche weekend. L’età avanzata lo ha sollecitato a predisporre l’inevitabile passaggio di consegne a favore dei figli.

    «A volte ho la sensazione che non riuscirò mai a conoscere davvero questa campagna. Non so da quanti anni veniamo qui e ancora rischio di perdermi, sarà perché quasi tutte le strade non sono asfaltate». È Alma a spezzare il silenzio dentro l’automobile, ma nessuno dei due le risponde. Giuliano è troppo intento a cercare di individuare il percorso giusto, Margherita pensa ad altro.

    Si sono trasferiti ieri sera alla villa per essere già sul posto la mattina. Si sono vestiti come richiede un matrimonio campagnolo: tessuti chiari e informali e delicate fantasie per gli abiti femminili.

    La cerimonia religiosa avrà luogo nella chiesa rurale di Sant’Andrea a Percussina, mentre la festa sarà alla fattoria di Tonio Carpi. Una giornata da affrontare con il dovuto spirito di rassegnazione per Alma, che si augura di avere accanto, durante le lunghe ore del pranzo, qualche conoscenza di vecchia data. Ci saranno tutti, naturalmente anche Lapo e Guido, gli amici di Giuliano. Persino Lucilla ha promesso di esserci, anche se a pranzo iniziato. Sta rientrando a Firenze da un concerto a Ginevra e li raggiungerà direttamente alla fattoria.

    L’automobile dei Neri rallenta per infilarsi in uno stretto sentiero, affiancato da cipressi, in fondo al quale poche case si annidano all’ombra della collina. Sono poco più di un borgo e il campanile, seminascosto, si intuisce attraverso il fitto fogliame degli alberi. Parcheggiano la macchina su un enorme prato, insieme a molte altre, e Alma avverte immediatamente il tacco sottile sprofondare nell’erba. «Basta un po’ di umidità e questa terra diventa subito molle». Detesta la sensazione di entrare nel suolo come farebbe un punteruolo nella carne tenera.

    Si avviano verso la chiesa, Margherita li segue in silenzio. Giuliano interpreta il mutismo di sua figlia come una forma di velato rancore perché, uscendo di casa, sua madre ha criticato il suo abbigliamento troppo sotto tono.

    La maggior parte degli invitati ha già preso posto all’interno della chiesa. I Neri si dirigono verso i banchi del lato sinistro, tra i parenti della sposa. Accanto ad alcuni visi sconosciuti, hanno individuato qualche faccia nota a cui si affiancano subito. Alma si sorprende per l’eleganza discreta di molte signore. «Non me lo sarei aspettata, meglio le donne che gli uomini. Strano», dice a bassissima voce voltandosi verso suo marito, che non può udirla perché si è spostato vicino a Guido Faggi, lasciandola sola. Nel medesimo istante Lapo si materializza al suo fianco. Qualcosa pare risvegliare tutte le percezioni del giudice, che è attraversato da un repentino sobbalzo interiore.

    «Ciao, Alma, cosa mi racconti di bello?», le dice.

    «Oh, Lapo, meno male che ci sei tu! Vieni, siediti accanto a me».

    Nel lontano autunno del 1963 Giuliano Neri e Guido Faggi erano rientrati da Venezia, dove avevano frequentato un corso di specializzazione sulla doratura delle tavole antiche, e avevano conosciuto Lapo in uno dei tanti salotti fiorentini. Nessuno dei tre ricordava in quale, il giudice rammentava solo che si stava annoiando e non prestava attenzione alle interminabili discussioni sulla politica. Per lui si trattava di riunioni occasionali, un semplice pretesto per avere l’opportunità di parlare con qualcuno di interessante e di utile alle sue indagini, ma la fidanzata di Giuliano Neri l’aveva incuriosito. C’era qualcosa di seducente nel suo sorriso, e ostentava una fragilità provocante che, al contrario, doveva mascherare una grande forza di carattere. Ma non fu solo per questo che Lapo Treschi si innamorò di lei.

    Perciò, il recente incidente di Alma lo ha gettato in uno sconforto tanto profondo quanto impossibile da condividere con gli altri. Lapo si è reso conto con dolore che ogni cosa può diventare pericolosa per chi si ama, anche un pezzetto microscopico di materia che si mette nel posto sbagliato. La moglie di Giuliano è stata offesa dal suo stesso sangue che ha rallentato e si è solidificato in un minuscolo grumo killer, nato apposta per chiuderle un piccolo vaso sanguigno del cervello. Nella corsia dell’ospedale, dove era ricoverata, i medici non facevano che ripeterle quanta fortuna avesse avuto. Parlavano di una toccatina, qualcosa che avrebbe potuto essere molto pesante e per miracolo non lo era stata. A lei era andata bene e tutto sarebbe tornato come prima. Non proprio come prima, pensa Lapo. Alma ha perso il suo seducente sorriso. La sua bocca e la sua lingua non si libereranno più dal torpore che ne ha addormentato il lato sinistro. Lei continua fiduciosa a raccontare di sé e delle cose che le succedono intorno, incurante di quel rumore, simile a un lieve sibilo di vento, che le si aggira tra i denti e le guance. Ma la parte superiore del suo viso e il suo profilo destro sono rimasti quelli di sempre, eleganti e gentili. Lapo si perde estasiato nei suoi occhi espressivi e profondi, che adesso accarezzano con le lunghe ciglia nere le lenti degli occhiali da sole. Alma segue lo sguardo di Lapo. «Ah, già, gli occhiali», e se li toglie ravviandosi i capelli. Le hanno consigliato di farli crescere per mascherare la lievissima asimmetria del suo viso e invece lei li ha tagliati corti, con una linea moderna molto adatta alla sua testa perfetta.

    Superato il fiume Greve, in direzione Tavarnuzze, le macchine degli invitati formano un lucido serpente di metallo che avanza lentamente attraverso l’erba alta e fluttuante e, alla fine, rallenta ancora per fermarsi davanti alla meta: una veduta di sole colline in molle declivio con al centro il grande campo apparecchiato.

    Larghe ceste traboccanti di uva bianca e rossa indicano agli ospiti il percorso da seguire. Sullo sfondo di una natura che è tutta una brillante sinfonia di verdi cupi e gialli-arancio, si muove un insieme di persone gesticolanti ed esuberanti.

    «È questo che mi affascina», mormora Giuliano a sua moglie. «Questa ingenuità nel modo di vivere».

    Alma lo scruta perplessa e non risponde, mentre Guido concorda in pieno. Entrambi hanno la passione della scoperta, ovunque si trovino. Lapo sembra averle letto nel pensiero e sottolinea con un sorriso: «Mia cara, bisogna avere pazienza con loro. Sono viziati dal tipo di lavoro che fanno».

    «Siete già arrivati!».

    «Ehi bellino, eccoci qua», risponde Giuliano.

    L’uomo di fiducia dei Landi va incontro al gruppo con le braccia aperte. Tonio Carpi è un uomo alto dalla corporatura robusta. Ha le spalle e il petto portentosi e il temperamento pacato da ufficiale gentiluomo. Parla lentamente perché sembra sempre riflettere con attenzione su quello che dice.

    Giuliano ricambia l’abbraccio. «Eh, caro mio, sei pronto a metterti da parte? Largo alle nuove generazioni, funziona così…».

    Un sorriso fintamente preoccupato modella il volto di Tonio. «Attento, Giuliano, non sono mica tanto più anziano di te». E con la testa accenna significativamente a Margherita, che li segue in disparte e che potrebbe essere considerata pronta anche lei per delle eventuali nozze.

    A vederli, però, un abisso separa i due uomini. Giuliano Neri appartiene alla categoria di quelli che sembrano non essere destinati a invecchiare. Possiede un corpo asciutto che nasconde una muscolatura atletica e capace di sopportare con facilità la fatica fisica; dà la sensazione di essere alto, mentre non lo è, poiché tutto in lui risponde a uno schema armonico e proporzionato. Tutto, tranne il viso. Niente armonia sul suo volto, costruito come se appartenesse a una testa che uno scultore si sia rifiutato di rifinire, magari limando la mascella troppo squadrata, accorciando un naso decisamente importante o smussando le cavità orbitali che ospitano due occhi tanto grandi da risultare spesso ipnotici, come quelli di un Cristo bizantino.

    Nessuno se la sente di raccogliere l’allusione a Margherita e ciascuno si limita a seguire Tonio che indica i posti da occupare.

    Il tavolo, creato grazie all’incastro di più assi di legno, è lunghissimo e si piega ad angolo retto per due volte, in modo da formare una specie di enorme ferro di cavallo squadrato. In alcuni punti il legno si incurva sotto il peso dei gomiti dei commensali e sotto quello dei vassoi stracolmi di cibo e di fiaschi pieni di vino rosso.

    Alle quattro del pomeriggio, insieme agli arrosti di carne, arriva Lucilla Neri, accolta da un caloroso applauso.

    Trascorsa un’altra ora, mentre alcuni invitati continuano a mangiare, altri si alzano per sgranchirsi le gambe o per cercare un bagno. Inizia la musica. I più giovani non aspettavano altro e si trascinano dietro anche padri e madri. Ballano freneticamente e si fermano solo allo stremo. La forza vitale è dominata a stento.

    La famiglia Neri si è raccolta con gli amici in un angolo della tavolata e cerca di allestire brandelli di conversazione nonostante la confusione generale. A questo punto della festa, molti cominciano a scivolare nel languore provocato dal vino. La vallata intorno perde i suoi toni di verde e di marrone, che in lontananza già trascolorano nell’azzurro, e le luci delle lampade tengono a bada il crepuscolo incombente.

    «Vedi?», dice Lapo a Giuliano. «Esattamente a quest’ora, da bambino, mia madre, mi chiamava perché rientrassi. Durante l’estate, scomparivo per tutto il giorno nei prati vicino casa. Andavo a caccia di cose piccole, mi affascinavano le minuscole bestie misteriose che grattavano con le loro infinite zampette la terra secca dell’estate, perché quella è una terra popolata da tanti abitanti pieni di pinze, antenne, tentacoli e corazze maculate che custodiscono ali trasparenti».

    «Io, invece», si intromette Guido, «quando i miei mi portavano dalla nonna in campagna, la sera tornavo verso casa con le tasche piene di bacche che avevo trovato nascoste nell’erba. Ero così lurido, pantaloni, maglietta e tutto il resto, che la nonna mi infilava completamente vestito nella tinozza di alluminio piena di acqua calda, in mezzo alla cucina». Guido scoppia a ridere e continua: «Mi ricordo i suoi strilli quando qualche volta dalle tasche dei pantaloni rotolavano fuori le bacche sanguigne che lasciavano tracce indelebili e colorate sul pavimento di cotto. Ma io non mi scomponevo per niente e mi limitavo a fissare affascinato quelle strisce di colore così simili al sangue».

    «Si vede proprio che dovevi fare il pittore», conviene Giuliano.

    Giuliano e Lapo, con un pretesto, si allontanano dal gruppo. «Perché non ti confidi con tua moglie?», chiede il giudice.

    «Meglio di no». Per qualche motivo indecifrabile, al momento non vuole coinvolgere Alma.

    Si incamminano a passo lento verso alcuni giovani tra cui hanno individuato Margherita. L’hanno quasi raggiunta e non riescono ancora a vederne bene il viso, ma intuiscono che è rilassata e allegra. Adesso le sono vicinissimi. Gli occhi della ragazza si fanno all’improvviso più grandi per accogliere il sorriso dell’uomo che le è accanto. Ne sono colpiti entrambi. Per Giuliano è come un lampo. Troppo poco per identificare uno sconosciuto, ma in questo caso non si tratta completamente di uno sconosciuto. Una testa folta e ricciuta di capelli nerissimi, un profilo marcato. E poi sua figlia glielo presenta.

    «Papà, questo è Saverio Ripasanti».

    Manca il tempo per qualsiasi commento, perché in quello stesso istante compare Tonio Carpi con il suo simpatico vocione. «Cosa si fa qui? Una congiura? Ci ha già pensato Margherita a presentarvi questo signore? Scusatemi, se arrivo in ritardo». E rivolto a Giuliano: «Lui è il nostro angelo protettore e, di questi tempi, meglio spartire il cibo con un poliziotto che con un briccone. Saverio, ormai, fa parte della famiglia».

    «Un poliziotto?». La voce di Giuliano è incolore.

    «Sì, sono ispettore della narcotici alla questura di Firenze», sottolinea l’uomo.

    Finalmente l’ha conosciuto, l’amore segreto di Margherita. Lapo cerca Giuliano con lo sguardo, ma sono di nuovo interrotti da Tonio che invita due giovani poco distanti ad avvicinarsi. «Paolo, Fabio, venite qua. Questo è il più grande restauratore, non solo di Firenze ma d’Italia. Vi presento il famoso Giuliano Neri. E da lui sì che c’è da imparare, belli miei!».

    Paolo Sarti e Fabio Bechi sono i testimoni della sposa. Coetanei. Cinquant’anni in due, di mestiere fanno i restauratori.

    Sarebbe scortese sottrarsi all’invito di Tonio che insiste con calore per convincere Giuliano ad andare a visitare il laboratorio dei ragazzi.

    «Già che sei da queste parti, perché non ne approfitti? Ci vogliono solo dieci minuti per arrivare, e poi te ne torni dritto a Firenze. Rimarrai di stucco a vedere quanto sono bravi questi due. Neppure te lo immagini, e non si sa mai, di collaboratori in gamba c’è sempre bisogno. Tu lo sai, Giuliano, e io pure. Mi ringrazierai».

    Giuliano acconsente alla sua richiesta perché Lapo si dice disposto ad accompagnarlo. Faranno insieme il viaggio di ritorno a Firenze con la prospettiva di parlare liberamente del problema Ripasanti. Si congedano dagli altri e seguono i due giovani in un complicato percorso di stradine di campagna, che non saprebbero riconoscere da soli anche a causa dell’oscurità della sera che avanza.

    Una volta in auto, è Lapo a parlare per primo. «Saverio Ripasanti… rimani ancora dell’idea di svolgere tu le indagini? Non vuoi che prenda informazioni su di lui?»

    «Grazie, ma sono molto combattuto. Si tratta di mia figlia, dovremo agire con la massima cautela. Aspetta che verifichi prima io alcune cose, magari in seguito ti chiederò di intervenire. Cerca di comprendere».

    Certo che comprende e, in fondo, condivide pure la posizione dell’amico, ma è l’affetto che lo sollecita a intervenire. Lapo comincia ad avvertire un senso di pesantezza alla testa e uno sgradevole sapore di metallo in bocca. Colpa del troppo cibo, del vino abbondante e delle tante ore passate a tavola. Tutt’intorno, solo campagna indistinta. Solo le luci di posizione dell’auto che hanno davanti li guidano in un’ora in cui lui preferirebbe trovarsi già a casa sua. Si è pentito di avere accettato l’invito di visitare il laboratorio dei due restauratori, ma Giuliano sembra non accorgersene. È fatto così, ha sempre bisogno di saperne di più e trova allettante ogni proposta.

    Alla fine superano un casale, proseguono all’incirca per altri cinquecento metri

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