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Quello che non mi hai mai detto
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E-book152 pagine2 ore

Quello che non mi hai mai detto

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Info su questo ebook

Bestseller del New York Times

The Carnage Series 3.5

È solo una scatola piena di lettere, giusto?
Parole scritte tanto tempo fa. Da un ragazzo che sentiva la mancanza di una ragazza. Da un uomo alla donna che amava. Ma se queste parole pesassero più di quanto si possa immaginare? Forse potrebbero dare a Georgia il senso di pace di cui ha bisogno, forse potrebbero alleviare il senso di colpa con cui lotta ogni giorno. Ma potrebbero anche mettere in discussione tutto ciò che credeva di sapere sulla persona che le ha scritte e sulla vita che hanno condiviso…
Sarà tutto rivelato nelle lettere.

Una storia d'amore, di vita, di accettazione
Lesley Jones
Nata e cresciuta nell’Essex, ora vive sulla bellissima penisola di Mornington, in Australia, con suo marito e i suoi tre figli. Non solo ama scrivere ma adora leggere, e riesce a divorare un libro in una notte.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2017
ISBN9788822708632
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    Anteprima del libro

    Quello che non mi hai mai detto - Lesley Jones

    1576

    Titolo originale: The Letters

    Copyright 2016 Lesley Jones

    Traduzione dall’inglese di Carmela Di Stasi

    Prima edizione ebook: giugno 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0863-2

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Lesley Jones

    Quello che non mi hai mai detto

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2. Cameron

    Capitolo 3. Cameron

    Capitolo 4. Georgia

    Capitolo 5. Georgia

    Capitolo 6. Cameron

    Capitolo 7. Cameron

    Capitolo 8. Georgia

    Capitolo 9. Georgia

    Capitolo 10. Georgia

    Epilogo

    Playlist

    Ringraziamenti

    Per i miei lettori.

    Voi avete chiesto.

    Io spero di aver mantenuto la parola.

    Capitolo 1

    Passo la dogana a tempo di record. Il lato positivo di atterrare alle due del mattino, immagino. Sono stanco e di cattivo umore, e voglio solo andare a casa. Nella sala arrivi do un’occhiata in cerca del mio autista: dovrebbe avere un cartello con il mio nome. Avrei potuto chiamare Benny, ma ho pensato di risparmiargli quest’incarico. Non è stato bene negli ultimi tempi, la pressione e un ginocchio malmesso gli stanno dando qualche problema. Ho pagato per fargli fare un po’ di esercizio con un personal trainer tre volte a settimana e, per quanto si lamenti, ha perso più di venti chili negli ultimi sei mesi e so che sta meglio.

    Individuo l’autista, un tipo sui trent’anni che sta guardando proprio verso di me. Faccio del mio meglio per tenere la mia faccia lontana dai giornali, ma ovviamente mi riconosce. Gli rivolgo un piccolo cenno e supero i cancelli trascinando dietro di me la valigia.

    Avrei potuto prendere il jet privato della compagnia, ma viaggiando da solo mi sembra uno spreco, perciò ho volato in prima classe. Non è un sacrificio.

    «Signor King, lasci che la prenda io, signore», dice il mio autista quando lo raggiungo. «Il mio nome è Parker, signore». Gli faccio un altro cenno e lascio che prenda la mia valigia mentre valuto l’idea di chiedermi di chiamarmi Lady Penelope, come in Thunderbirds, dato che lui si chiama Parker. Però, come ho detto, sono le due del mattino e non mi sento particolarmente allegro.

    «Se vuole seguirmi, signore, possiamo metterci in macchina. Il viaggio sarà breve».

    Resto in silenzio e lo seguo nella Jaguar che mi porterà a casa. A casa dalla mia Micina e dai miei ragazzi. Odio stare via e di rado faccio viaggi senza Georgia, ma questo era troppo importante per me. Adesso abbiamo un club in Australia, uno in Asia e quattro sparsi per l’Europa; e questa settimana dovevo incontrare i capi della sicurezza di ognuno. Sono ormai finiti i tempi in cui dovevamo fermare i minorenni con false carte di identità, mignon di alcolici o droga nelle scarpe. Adesso il personale cerca armi da fuoco e attentatori suicidi. Il mondo è un posto spaventoso e i nightclub non sono immuni ai terroristi o agli idioti impazziti e armati fino ai denti. I nostri club sono esclusivi e frequentati da personaggi famosi così come da gente comune, e io voglio che tutti si sentano al sicuro. Le riunioni delle ultime due settimane riguardavano proprio questo: il miglioramento di tutti i nostri sistemi e la messa a punto di nuove procedure. Niente di entusiasmante, anzi, ma era necessario. Ogni fine settimana i miei locali sono pieni dei figli di altre persone e io ho l’obbligo morale di prendermi cura di ognuno di loro. Un giorno, i miei ragazzi se ne andranno in giro per locali… be’, non finché non avranno almeno trent’anni, naturalmente, e per quanto riguarda le ragazze un bel mai sarebbe preferibile. Comunque, quando sarà il momento, voglio che gli standard di sicurezza dei club siano molto più elevati di quanto non fossero quando ho iniziato io.

    I miei ragazzi.

    Non riesco neppure a pensare a queste parole senza sorridere.

    Due maschi e due femmine.

    Quelle quattro personcine sono tutto il mio mondo. Un legame che non avrei mai pensato di avere con nessun altro, se non con la loro mamma. La mia Micina. L’amore della mia vita.

    Abbiamo intrapreso una strada lunga e tortuosa, e prima di ritrovarci abbiamo dovuto affrontare sofferenze indicibili e perdite tremende, ma ce l’abbiamo fatta. Siamo due persone di mezz’età e siamo più contenti di quanto non lo siamo mai stati nelle nostre vite.

    Siamo stati più che fortunati ad aver messo al mondo quattro bellissimi bambini. Il nostro premio. Quattro personcine che giorno dopo giorno diventano piccoli adulti. Harry, che ora ha quindici anni, è tutto gambe, proprio come me quando avevo la sua età. È andata bene con quel ragazzo. E, per quanto sia triste dirlo, sono sollevato che non abbia nessuno dei tratti della personalità di Tamara. In genere, H è il paciere tra i ragazzi. È calmo e accomodante e nessuno direbbe che ha solo qualche mese più degli altri, dato che si comporta già come un adulto. A scuola è avanti di un anno rispetto a loro e si è assicurato che nessuno pensasse neppure a respirare in direzione delle sue sorelle, figurarsi guardarle, quando lo avrebbero raggiunto alla scuola superiore. Interviene nelle loro liti, che sono frequenti, e le aiuta con i compiti. Raramente discute con suo fratello o risponde male ai genitori. Conosce le sue origini e sa che Georgia non è la sua madre biologica. Ma è l’unica mamma che abbia mai conosciuto e, sin dal giorno in cui è venuto a vivere con noi, è così che l’ha chiamata.

    Ammetto che avevo un po’ paura che i sentimenti di mia moglie per Harry potessero cambiare, quando sono arrivati George e le gemelle. Ma non è successo e, più lui diventa grande, più sembrano legati. Va da sua madre per qualsiasi cosa. Prodotti per capelli, consigli sulle ragazze, la maglietta da indossare per andare al centro commerciale: Georgia. Quello stronzetto non mi chiede mai consigli su niente. La sua unica risposta a qualsiasi cosa io dica è: «Aggiornati, vecchio». Le manda persino le foto dei vestiti prima di comprarli. Anche se… be’: se non ti sai vestire da solo all’età di quindici anni, allora che cazzo di speranza abbiamo per questi ragazzi di oggi?

    Guardo le luci dell’

    A13

    passarci accanto mentre ci allontaniamo dal City Airport per metterci sulla via del ritorno: direzione Essex, verso mia moglie, i miei bambini, il mio mondo.

    Quando varco la porta di casa, sono quasi le quattro. Ho bisogno di stare dentro mia moglie. Una settimana è troppo per rinunciare alla sensazione della sua pelle a contatto con la mia. A questo punto ho superato la stanchezza, perciò vado dritto verso la cucina. Mi farò qualche toast e poi andrò a svegliare Georgia con un caffè, la mia speciale panna extra e un bacio… da parte del mio pene.

    Mi tolgo le scarpe per non fare rumore sul legno del pavimento. Sono tornato a casa un giorno e mezzo prima, e non voglio spaventare a morte mia moglie.

    Mentre attraverso il corridoio per andare in soggiorno passo oltre il mio ufficio e mi avvicino a quello di Georgia. Abbiamo provato a condividerlo, ma trovo che lei sia troppo disordinata… e mi distrae. Ogni volta che si chinava o si piegava in avanti, finivo per scoparmela e nessuno dei due combinava nulla. Ho finito per spostare la palestra fuori, nella dépendance, e trasformare la stanza in più in un ufficio indipendente per lei. L’ho anche fatto insonorizzare. A Georgia piace ascoltare musica mentre lavora, a me piace il silenzio.

    Mi fermo di colpo e faccio un passo indietro quando vedo una luce provenire dalla porta socchiusa dell’ufficio di mia moglie. Ancora con le scarpe in mano, spingo un po’ il battente e do un’occhiata.

    È l’esatto opposto del mio. Dove io ho un’enorme scrivania in legno di fronte alla porta, Georgia ha un ampio piano di lavoro posizionato contro la finestra, per cui se ne sta sempre con le spalle rivolte verso l’entrata. Sulle mie pareti ci sono un paio di opere d’arte di Peter Granville Edmunds che ho collezionato negli anni e sulle librerie ci sono foto di me, di Georgia e dei ragazzi.

    I mobili dell’ufficio di mia moglie sembrano fatti con legno di recupero e una delle pareti è dipinta con un’opera di pop art. È bianca e nera, divisa in quadrati che frammentano il disegno generale. Nel centro è replicato un ritratto di noi che ci baciamo e sugli angoli, tutt’attorno, ci sono foto dei ragazzi. Detta così sembra un pasticcio, ma rimango senza fiato ogni volta che metto piede nella stanza e la vedo. Sul muro opposto, ha segnato le altezze dei ragazzi a partire dal momento in cui riuscivano a reggersi in piedi. Il resto della parete è coperto dalle impronte delle nostre mani e di quelle dei nostri figli e nel palmo di ognuna c’è scritto qualcosa: AMA. ABBI FEDE. VIVI. FAMIGLIA. RIDI. SII GENTILE. SII SINCERO CON TE STESSO. VI AMO TUTTI. Sono solo alcune delle parole e delle frasi che mi saltano all’occhio. Ogni volta che guardo questa parete mi viene un nodo alla gola. Sul muro di fronte alla finestra, accanto alla porta, ci sono i dischi d’oro, d’argento e di platino che i Carnage hanno vinto nel corso degli anni e sugli scaffali ai lati del piano di lavoro ci sono i riconoscimenti che mia moglie ha ottenuto per tutte le sue opere di beneficenza, foto incorniciate di noi e dei ragazzi e disegni che loro hanno fatto per lei. Il suo ufficio ha un aspetto familiare, mentre il mio è più professionale… cosa che a volte mi fa sentire un po’ come un vecchio cretino.

    Questa stanza non è mai in ordine ma, in questo momento, il caos non ha paragoni. Nell’angolo è piazzata quella che sembra una vecchia cassa da imballaggio. Pile di documenti e libri su ogni piano. Guardo il pavimento e il battito del mio cuore accelera.

    Micina.

    È distesa sul pavimento e indossa un paio di pantaloncini e una vecchia maglietta dei Carnage. I capelli sono raccolti sulla testa e le gigantesche cuffie rosa della Beats le nascondono le orecchie.

    Ha un pezzo di carta premuto contro il petto e piange. In silenzio. Nessun gemito, nessuna smorfia. Solo lacrime. Scendono dagli angoli dei

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