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Info su questo ebook

Dall'autrice del bestseller 703 ragioni per dire sì

Eden è disposta a perdonare tutto e a seguire il suo Damon in Mississippi ma, davanti alle porte della Blake Finance Corporation, riceve una sconcertante notizia. Il suo mondo si ferma. Un brutto incidente, ancora una volta, potrebbe distruggere tutta la sua vita. L’abbraccio di Sean è il suo unico conforto, l’unico riparo. Lui le chiede di dimenticare, di ricominciare, ma lei non è pronta ad arrendersi, perché qualcosa la spinge a credere che nulla è come sembra… Tra rivelazioni inaspettate e scoperte sconcertanti, Eden dovrà scegliere: arrendersi al destino o lottare per la verità?

«Il mondo si fermerà finché non girerete l’ultima pagina…»

«L.F. Koraline mi ha ipnotizzata con una storia travolgente e misteriosa che ho letto senza neppure respirare…»

«Non sogno più il principe azzurro, io voglio Damon Blake!»
L.F. Koraline
ha due grandi passioni: gli animali e i libri. Scrive per dare forma ai suoi sogni. Con la Newton Compton ha pubblicato 703 ragioni per dire sì e Suite 703. 703 volte tua è il terzo libro che ha come protagonisti Damon e Eden.
LinguaItaliano
Data di uscita18 lug 2017
ISBN9788822712677
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    Anteprima del libro

    703 volte tua - L.F. Koraline

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    1743

    Prima edizione ebook: settembre 2017

    © 2017 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1267-7

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    L.F. Koraline

    703 volte tua

    Newton Compton editori

    Indice

    Prologo

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Capitolo 38

    Capitolo 39

    Capitolo 40

    Capitolo 41

    Capitolo 42

    Capitolo 43

    Capitolo 44

    Epilogo

    Ringraziamenti

    Ai miei amati lettori, per aver atteso con pazienza, amore e passione il capitolo finale

    di questa folle trilogia…

    A voi lettori, perché ogni volta che scegliete di leggere una storia d’amore, dimostrate al mondo che non avete alcuna intenzione di smettere di sognare…

    A voi lettori, per essere stati in grado di trasformare la mia vita in qualcosa di molto di più…

    703 volte grazie.

    Nulla descriverà meglio l’amore degli occhi sognanti di chi lo ha vissuto e poi… perduto…

    Prologo

    L’ aria pungente di questa mia ultima notte raffredda le mie lacrime che, come rivoli trasparenti e gelidi, continuano a rigarmi la faccia.

    Riesco a piangere di nuovo… Io riesco a farlo ancora…

    Avverto l’eco assordante dei pensieri e del dolore della mia anima stanca, un’eco insopportabile.

    Sento i brividi corrermi lungo il corpo, ma la mia non è paura. Io non ho paura.

    Non temo l’altezza, né il tremore del mio corpo debole in bilico sul sottile cornicione che mi sostiene. Sotto di me, il vuoto.

    Guardo in basso: il folle movimento delle auto e l’andirivieni inarrestabile di questa Las Vegas illuminata non mi spaventano affatto.

    Sarà il ritmo accelerato di questa strada affollata l’ultima cosa che vedrò.

    Sarà questo il mio ultimo ricordo. Ma è l’unico modo per non sentire più il dolore che mi stringe il petto.

    Percepisco il marmo freddo sotto i piedi e lo stesso freddo lo avvertono le mie mani, mentre, cautamente, stringono il bordo della grande finestra.

    Chissà cosa sentirò quando mollerò la presa, chissà cosa si prova qualche attimo prima di abbandonare ogni cosa.

    Avverto il vento freddo sulla pelle.

    Il cuore è cristallizzato e nella mente ci sono solo delirio e confusione.

    Il mio corpo, ormai esile e stanco, indossa un abito bianco, una lunga veste setosa, arricchita di seducente pizzo francese.

    La brezza di questa notte lo solleva tutt’intorno a me, formando una nuvola di tessuto danzante, soffice e voluttuoso.

    È splendido il mio abito da sposa, ma il suo fruscio fa paura.

    Nella mia testa un pandemonio di pensieri si inseguono e si accavallano. È come se, travolta da un maremoto, fossi stata risucchiata da una tempesta e poi inghiottita dalla terra.

    I miei sogni sono stati spazzati via e le paure regnano indisturbate nel grande caos della mia mente.

    La confusione e il delirio mi spingono fino alle soglie della follia. Si scatenano senza ostacoli, rompendo gli argini della ragione.

    Non so cosa ci faccio qui, né perché mi trovo da sola in questa stanza. Non ricordo nulla, sento solo un forte richiamo.

    Qualcuno mi sta implorando di saltare, è quasi un ordine, ed esiste una sola persona al mondo in grado di darmi ordini.

    È lui che, ancora una volta, mi pretende.

    Fasciata in un abito da sposa e con lo sguardo puntato in basso, sento di essere pronta per il grande salto.

    Quella di stanotte potrebbe essere l’ultima grande beffa del mio assurdo destino. Potrebbe essere il folle salto che mi riporterà da lui…

    Un balzo… e lo riavrò.

    «Damon, eccomi… sto arrivando».

    Vuoto, vuoto, vuoto…

    Capitolo 1

    Cinque mesi prima

    «N on è vero… n-non è ve-vero. Tu stai mentendo, Sean». Batto i pugni sul suo petto e non smetto di piangere, urlare, singhiozzare, balbettare.

    «Calmati, piccola. Calmati», ma anche il suo respiro non è più regolare e Becky è prostrata sulle ginocchia, in lacrime.

    Non sento altro, solo un gran vuoto, tanto freddo.

    Non vedo altro, solo buio.

    Sulla mia testa il grande specchio, ma l’immagine riflessa non è quella che avrei voluto vedere. Il mio corpo intrecciato a quello di Damon. Il suo corpo dominante adagiato sul mio.

    No, non c’è nulla di tutto questo. Ci sono solo io, raggomitolata fra le lenzuola.

    Sean è seduto accanto a me, e mi guarda, tenendomi la mano.

    «Dimmi che ho sognato tutto», biascico.

    Lui si limita a scuotere la testa.

    «Non è vero…», sospiro.

    «Eden… piccola. Io non so come sia potuto accadere».

    Ha gli occhi rossi e lucidi, lo sguardo spento. Ho la sensazione che non abbia mai smesso di piangere.

    «Dov’è? Dove lo hanno portato?».

    Mi sollevo di scatto e mi metto a sedere sul letto, ma una forte nausea mi costringe ad alzarmi e correre in bagno, appena in tempo per vomitare tutto il mio dolore, il mio sconcerto.

    Me ne resto seduta per terra per non so quale motivo. Tutto quello che provo non ha senso. Non ha senso perché Damon non può essere morto.

    Non è possibile. Devo riprendermi.

    Ora mi alzerò da questo maledetto pavimento e andrò a cercarlo.

    Non si saranno accorti che è uscito dall’auto prima che prendesse fuoco. Non l’avranno cercato e forse lui, ora, ha bisogno di aiuto.

    Rientro in camera e chiedo a Sean di portarmi sul luogo dell’incidente.

    «Piccola, non c’è più nulla lì. Hanno già sgombrato tutto».

    «Tu non capisci. Damon è uscito da quella macchina. Non è rimasto dentro. Sarà da qualche parte, magari è ferito, e noi dobbiamo cercarlo. Sean, aiutami. Ti prego».

    Lui scuote la testa e mi attira sul suo petto.

    «Eden, calmati. Calmati, ti supplico. Non fare così».

    «Sean. Sean, smettila di parlare come se non ci fosse più nulla da fare. Damon ha bisogno di noi. Dobbiamo andare a cercarlo».

    Mi sento soffocare. Io devo uscire di qui, devo andare a cercarlo.

    «Non c’è nessuno da cercare», dice Sean con un tono rassegnato.

    «E invece sì. Lui è lì fuori, magari è ferito. Sean, perché non vuoi aiutarmi?», urlo con tutto il fiato che ho, finché il respiro non si spezza.

    Porto una mano al petto, quando sento una fitta trafiggermi lo sterno. Mi fa male il cuore, tanto male.

    «Eden, calmati… ti prego. Non è come credi. Vorrei che fosse così, ma non è come credi».

    «E allora com’è, eh? Com’è? Dimmelo tu com’è…». Scoppio in un pianto colmo di un dolore mai provato. Sento la testa prossima a esplodere e le guance andarmi a fuoco, mentre la gola brucia come se un milione di lame la tormentassero.

    «Dimmelo… dimmi che non è vero? Dimmelo, ti prego».

    «Eden. Eden, guardami. Devi calmarti. Dobbiamo essere forti. Dobbiamo accettarlo».

    «Nooo. No, non c’è nulla da accettare, perché lui è ancora vivo. Lui è saltato fuori dall’auto. Io lo so, lo sento».

    «Non è così. Eden, non è andata così. Non è uscito dall’auto».

    «E tu come lo sai, eh? Come fai a saperlo? Eri forse lì con lui?»

    «Eden, dobbiamo andare in obitorio fra qualche ora. Siamo stati chiamati per il riconoscimento del corpo».

    Mi stringo la testa fra le mani prima di iniziare a urlare.

    Sean mi culla fra le sue braccia, prova a darmi un conforto che non arriverà mai.

    Questo dolore non avrà mai fine.

    Passano ore di silenzio, di confusione e disperazione.

    Solo dopo tante lacrime e tanti brividi di freddo riprendo possesso della parola.

    «Perché tutti quelli che amo se ne vanno? Perché tutti muoiono?»

    «Eden, io non lo so… Non so perché sia successa una cosa del genere, ma sappi che soffro quanto te. Damon era come un fratello per me».

    Il suo volto si inasprisce prima di lasciarsi andare, poi scoppia in lacrime e io con lui.

    Non ce la faremo mai.

    Io e lui non siamo così forti per farcela, neppure insieme.

    «Eden, se non ce la fai non sentirti costretta a venire con me, ma io devo andare», balbetta asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.

    Obitorio. Il mio unico amore è in obitorio.

    «No… no… no…», singhiozzo ancora.

    Non c’è conforto né speranza, c’è solo dolore.

    La porta dell’obitorio è una fredda e sterile lastra bianca di metallo. E dietro quella porta c’è il mio Damon.

    «Non entrare, Eden. Ti prego, non infliggerti questo dolore», m’implora Sean.

    «Io devo vederlo. Devo essere certa che sia lui».

    «È lui, Eden. Il corpo lì dentro è quello di Damon. L’ho visto io stesso salire sulla mia auto. Mi ha chiesto di venire a prenderti, mentre lui avrebbe raggiunto Sonny sulla pista di volo. Eden, ti supplico, non entrare».

    La porta si spalanca e un’aria gelida ci colpisce. Entro prima che lui possa dire altro.

    Becky è con noi. Distrutta, silenziosa, inerme.

    Un tizio sulla quarantina si avvicina con aria affranta, dice qualcosa che non comprendo, poi Sean mi traduce le sue parole.

    «Sente il dovere di avvisarci che il corpo non è riconoscibile e che sarebbe il caso che ci concentrassimo prevalentemente sugli effetti personali ritrovati».

    Copro gli occhi con le mani e soffoco un urlo.

    Non ce la faccio, non ce la faccio, non ce la faccio.

    L’uomo afferra la maniglia di un cassettone e tira verso di sé. Un rumore metallico mi rimbomba nelle orecchie, mentre una lastra fuoriesce e si blocca sotto i miei occhi.

    C’è un corpo chiuso in un sacco. Non è Damon.

    Non può essere lui. So che non è lui.

    «Ditemi quando siete pronti», Sean traduce ancora.

    Becky trattiene il respiro, Sean stringe gli occhi, io smetto di respirare.

    Lo shock per la morte di mio padre torna a farmi visita: ho già vissuto una situazione simile, sono già stata in un posto come questo.

    Ho già sofferto così tanto, perché succede ancora? Devo aver fatto qualcosa di molto brutto nella vita per meritare tutto ciò.

    «Non ce la faccio, Sean». Mi aggrappo al suo braccio.

    Lui mi sorregge, ma la testa vortica in maniera incontrollabile.

    «Eden, esci di qui. Per favore, non guardare», mi supplica di nuovo.

    Quel pianto che ho provato a soffocare si è imbestialito e ha avuto la meglio sul mio autocontrollo.

    Devo farcela, devo vederlo. Sono certa che non è lui.

    «Apra…», sibilo a denti stretti.

    Il rumore cauto e malinconico della lunga zip si impossessa del mio cervello, mentre, a occhi chiusi, attendo che l’operazione termini. Voglio che sia totalmente scoperto prima di guardare.

    È un’agonia troppo grande.

    Il mio naso cattura un odore così forte che oserei definire disgustoso, ma lo rifiuta. Nulla può essere disgustoso se si tratta del mio Damon.

    Questo vuol dire una sola cosa, non è lui.

    Il laido odore di bruciato e di marcio che sento non può appartenere a lui, perché lui profuma di spezie.

    Non è Damon, non è lui, non può essere lui.

    Il rumore della zip si arresta. Becky urla, Sean mugugna qualcosa che non comprendo.

    Devo farcela. Lentamente apro gli occhi e lo sconcerto si mescola al disgusto e alla paura.

    Nulla di questo corpo che ho davanti è riconoscibile.

    Nulla può dirci che si tratta di Damon, sembra un pezzo di legno carbonizzato.

    «Dove sono i tuoi cristalli viola? Amore mio, dove sono i tuoi occhi?», sto parlando con un corpo che non può essere il suo.

    «A cosa è servito amarti così tanto? Amore mio…».

    Il pianto mi soffoca. «Perché? Perché? Perché?»

    «Piccola, ti prego… Ti supplico, prova a calmarti». Le braccia di Sean mi avvolgono, ma non riesco a controllarmi.

    Anche lui prova a essere forte, ma sento che dentro sta impazzendo, e quando i suoi occhi incontrano i miei, lo vedo ingoiare le lacrime.

    «Non è lui, vero? Dimmi che non è lui. Dimmelo, ti prego».

    «Eden…».

    Becky piange silenziosamente alla mia sinistra.

    Non sono l’unica a soffrire, lo so.

    Allungo le braccia e l’avvicino a noi. Ci stringiamo l’un l’altro, ma non esiste conforto, nulla può esserci di aiuto, se non la speranza che non sia lui.

    Non c’è niente in quel corpo che lo renda riconoscibile, niente, finché l’uomo con il camice immacolato non ci mostra gli effetti personali chiusi in un sacchetto di plastica trasparente. Non c’è neppure bisogno che lo apra. Si vedono il suo orologio e quello che resta di una vecchia armonica a bocca.

    «Nooo, nooo. Damon, nooo», urlo, aggrappandomi al bordo della lastra di metallo su cui è riverso l’uomo dei miei sogni. L’unico uomo che io abbia mai amato, l’unico che non potrò dimenticare.

    Ancora nausea, ancora lacrime, ancora dolore. Poi… più nulla.

    Non ci sarà mai più nulla.

    Capitolo 2

    Dovrei lasciare questa città. New York non mi ha portato niente di buono e forse mio padre ha sempre avuto ragione. Non sarei dovuta venire in America.

    Dovrei lasciare questa casa. La casa di Damon, il Dorian, non farà che alimentare il mio dolore.

    Sono passati nove giorni da quella notte e Sean non mi ha lasciata sola neppure per un istante. Non è mai uscito di qui, non si è mai mosso dal mio capezzale.

    Non ha quasi toccato cibo, come me del resto. Anche mangiare e bere mi provocano senso di colpa.

    Lui è morto per colpa mia, ha cambiato i suoi piani per venire a prendere me. Sono io la responsabile di ogni cosa.

    «Tu non hai nessuna colpa», prova a rassicurarmi Sean, «lui ti voleva accanto. Voleva che venissi con noi, ma era molto nervoso. Stava per raggiungerti lui stesso, ma ha ricevuto una telefonata. Non sono riuscito a capire chi fosse, ma Damon era molto agitato e mi ha chiesto di saltare sulla sua macchina per venire a prenderti. Ha detto che doveva sbrigare una faccenda molto seria prima di volare in Mississippi. Dopo quella telefonata ha preso la mia auto ed è andato via».

    «Chi è stato a chiamarlo? Non c’è modo di risalire a quella telefonata?»

    «Che senso avrebbe ora? Eden, non ha più senso».

    «Non è vero. Non è così. Damon era nervoso, scosso, preoccupato. Voi stavate per andare in Mississippi. Perché?»

    «Non lo so, Eden. Lui non mi ha detto nulla, mi ha solo chiesto di seguirlo. Ha detto che mia madre lo aveva chiamato chiedendogli di volare fino in Mississippi. Pare che ci fossero novità sull’incendio. Almeno, queste sono state le parole di mia madre».

    «Quindi non ci resta che parlare con lei… Possiamo chiederle cos’ha detto precisamente a Damon quella sera».

    Sean mi guarda affranto, sconfortato. Scuote la testa come se tutto questo non avesse alcun senso.

    «Eden, gli ha solo detto che c’era una pista importante da seguire, che c’erano delle novità».

    «D’accordo, ma io voglio parlare con lei».

    «La vedremo nel pomeriggio. Oggi ci sarà la lettura del testamento e tu sei stata convocata».

    «Io? Perché?»

    «Non lo so. Forse Damon… Non lo so. Non so più nulla. È come se avessi smarrito la mia bussola. Senza di lui, io sono perso».

    «E io sento di essere morta senza di lui…», sussurro.

    «Lo siamo un po’ tutti, Eden. Lo siamo un po’ tutti…», mormora lui sul punto di piangere.

    «Voglio restare sola, Sean. Ho bisogno di restare sola…».

    «Perché? Ti infastidisce la mia presenza? Non me la sento di lasciarti».

    «Starò bene. Credimi. Ho solo bisogno di restare un po’ da sola. Ci vediamo tra qualche ora per l’apertura del…», un nodo mi stringe la gola. Non sono neppure in grado di pronunciarla, quella parola.

    Faccio un lungo respiro.

    «Per… per il testamento. Ti prego, Sean. Lasciami sola». La mia è una supplica.

    «D’accordo. Ma per favore, chiamami per qualsiasi cosa». Annuisco. La sua presenza è un conforto.

    «Sean, prima che tu vada via ho bisogno che faccia una cosa per me».

    «Tutto quello che vuoi».

    «Devi rintracciare Patty. Non so cosa sia successo, il suo cellulare è costantemente spento».

    «Ci proverò», mi sorride, e io so che lo farà davvero.

    La sua mano si tende verso il mio viso e quando il suo palmo caldo sfiora la pelle umida della mia guancia, chiudo gli occhi e sospiro. Lui è l’unica cosa che mi resta.

    Non chiede il permesso, si avvicina e mi stringe in un caloroso abbraccio.

    Non lo respingo. Non posso respingere l’unica persona che mi è rimasta al mondo.

    «A tra poco, piccola».

    «A tra poco, Sean».

    Il vuoto di questo appartamento è straziante, ma quello che mi manda davvero un segnale di morte al cuore è entrare nella sua cabina armadio. C’è il suo odore.

    Dio mio, il suo profumo è intorno a me. Ovunque.

    La sua camicia grigia, quella che ho desiderato strappargli di dosso mille volte.

    «Amore mio… Perché?».

    Chi potrebbe darmi una risposta? Non c’è nessuno che possa aiutarmi.

    Mi aggiro in maniera del tutto insensata per l’appartamento.

    Seduta alla sua scrivania cerco di guardare con i suoi occhi. Quello che adesso vedo io, lui l’avrà visto mille volte, quello che tocco, lui lo avrà toccato mille volte. Potrei vivere di lui anche solo sfiorando ciò che è stato suo.

    Tutto qui dentro è fatto di lui, dell’essenza della sua vita, dei suoi dolori, della sua solitudine, della sua rabbia, e ora so che questo è l’unico posto dove vorrei restare, ma sento che non sarà possibile.

    Non so cosa accadrà domani, né il giorno dopo, né quello dopo ancora. Per la seconda volta nella vita non so cosa ne sarà di me.

    Mio padre era il mio punto fermo, e se n’è andato; poi è arrivato Damon e, per quanto sembrasse impossibile, lui è diventato la mia àncora, il mio secondo punto fermo, e ora, anche lui è andato via per sempre.

    Damon non c’è più, ma io ancora non riesco a crederci. Quel corpo irriconoscibile non mi ha permesso di accettare la sua perdita. Quegli oggetti non significano nulla.

    Perché dovrei credere che è morto? Perché ho visto il suo orologio e la sua armonica?

    Tutti potrebbero avere un orologio come il suo, una… No. Nessuno poteva avere quell’armonica. Lui non l’avrebbe mai lasciata nelle mani di qualcuno.

    La rabbia si impossessa di me.

    Con un gesto furioso scaravento per terra tutto quello che c’è sulla scrivania, mi accascio su di essa e piango e urlo fin quando non mi sento mancare.

    Come farò a superare la sua morte? Come potrò accettarla?

    Sollevo il busto e mi guardo intorno: ho gettato via tutte le sue cose e ora mi sento in colpa, perché se tornasse ora si infurierebbe di certo. Devo rimettere tutto in ordine.

    Inizio a raccogliere i documenti dal pavimento e mi balzano agli occhi quei maledetti bigliettini rossi che tanto lo tormentavano. Sono decisamente aumentati dall’ultima volta che li ho visti. Ho l’impressione che ne arrivino ogni giorno, e quella sorta di minaccia inizia a spaventarmi.

    Chiunque volesse arrivare a me, ora, è libero di farlo. Non ci sarà Damon a proteggermi.

    Lo sguardo finisce su una cartellina di cartoncino bianco: c’è scritto Eden Gari, di suo pugno. La apro con uno strano timore, dentro c’è una mia foto.

    Non ho mai visto questa foto. Qualcuno deve averla scattata a mia insaputa, perché non sto guardando l’obbiettivo.

    Alle mie spalle riconosco l’università. Sfocata e dietro di me c’è Patty. La sua chioma rossa spicca fra la folla accalcata davanti all’ingresso della facoltà.

    C’è una data scritta dietro. Risale a oltre un anno fa, quando non sapevo nulla di Damon e neppure di Sean, quando la mia vita scorreva nella sua tranquilla banalità.

    Avevo ancora il mio papà…

    Ma tutto era già iniziato.

    Scorgo una serie di appunti presi a penna: c’è il mio numero di telefono, la mia data di nascita, i luoghi che più frequentavo.

    Qui dentro c’è la loro ricerca su di me.

    Deglutisco e prendo fiato. Tutto questo mi turba e mi disorienta. Sapevo come stavano le cose, ma vederlo con i miei occhi è tutta un’altra faccenda.

    Ci sono una serie di numeri, sembrano dati sulla ece.

    Il nome di mio padre e quello di Sergio Manera compaiono più volte, sempre l’uno accanto all’altro, ma non riesco a capire di cosa si tratta.

    Sfoglio ancora la miriade di scartoffie, e mi fermo sul contratto di vendita della ece a favore di Damon Blake.

    «E questi che diavolo sono?», mormoro fra me e me.

    Bigliettini di carta informi, foglietti interi e fogliettini strappati, tovaglioli di carta, sottobicchieri… c’è addirittura una confezione a brandelli di cibo take-away giapponese. Ogni bigliettino reca una data e una serie di frasi.

    Ne prendo uno a caso, scritto in inglese. Non capisco molto. Mi arrendo e inizio a raccoglierli tutti.

    Sono centinaia. Su alcuni ci sono solo pochi segni, su altri fiumi di parole, ma la calligrafia è sempre quella di Damon.

    Forse appunti – non sono in grado di interpretarli – ma sento che in qualche modo mi riguardano. Un fogliettino stropicciato e appena leggibile porta la data di qualche giorno prima dell’incidente.

    Un nodo alla gola non mi permette di respirare.

    Mi sento mancare.

    Un altro foglio, appena leggibile, sembra che sia stato bagnato e poi asciugato.

    Mi alzo in piedi e subito mi lascio cadere sulle ginocchia. Li cerco in maniera compulsiva nel marasma di fogli e documenti sparsi sul pavimento.

    Ne trovo un altro e poi un altro e un altro ancora.

    Ne individuo qualcuno vicino al piede della scrivania. Uno sporco di sangue. Alcune parole sono illeggibili, ma riesco a riconoscere la data.

    Dio mio. Risale, indicativamente, al giorno in cui ho scoperto quello che succedeva all’Inferno. Deve essere il suo sangue, questo.

    Ricordo di averlo trovato di là con la bocca insanguinata, e la mano flagellata.

    Devo sapere a tutti i costi cosa c’è scritto su questi fogli, e devo saperlo il prima possibile.

    Penso a Adele, è la sola persona che possa aiutarmi.

    «Eden, ma che stai facendo?». La voce di Sean non riesce a distrarmi.

    Resto con lo sguardo basso, senza rispondere. Non mi ero neppure accorta che Sean fosse tornato, finché non mi ha parlato, ma resto concentrata.

    Sono seduta per terra, circondata da tutti i fogliettini di carta che devo riordinare. Ventisette maggio… trenta maggio… primo agosto…

    «Ecco, questo va qui… ventisette maggio… Ecco, questo qui… primo luglio».

    «Eden, Eden».

    La sua voce mi arriva come da lontano.

    «Trenta maggio qui… Ecco, tu vai qui… sedici giugno… Oh, no, no… aspetta… tre giugno qui, e tu qui».

    Mi sento scuotere con una certa violenza.

    «Eden, guardami». La sua voce arriva decisa e autorevole, e mi risveglia da una sorta di trance.

    Chiudo gli occhi e li riapro subito. Metto a fuoco il suo viso.

    «Eden, guardami», sembra preoccupato.

    «Sean. Stavo… Ecco, io stavo…».

    «Stavi facendo cosa? Dio santo, mi hai spaventato. Eri… Eri come… Dio mio, sembravi assente o posseduta, non lo so neppure io, ma non eri tu».

    «Sean, non mi sono accorta di nulla, stavo solo… cercando… Ecco, io stavo cercando di mettere ordine fra le sue cose».

    «Tirati su. Avanti. Dammi la mano».

    «Sean, devo finire di sistemare. Se Damon torna e si accorge che ho rovistato fra le sue cose, andrà su tutte le furie. Lo conosci meglio di me, lo sai com’è fatto».

    «Ma che diavolo stai dicendo?», mi guarda perplesso, quasi sconvolto. «Eden, torna in te».

    «Perché mi guardi così? Voglio solo finire di riordinare tutto prima che Damon…», mi blocco quando qualcosa di molto grosso e pesante si piazza sul mio stomaco. Le immagini iniziano a scorrere così velocemente nella mia mente che ho un immediato capogiro.

    L’incidente… Il fuoco… L’obitorio… Il rumore della zip… Il sacchetto di plastica… Il suo orologio… La sua armonica.

    «Nooo», mi prendo la testa fra le mani prima di accasciarmi a terra.

    È tutto chiaro, adesso, Damon non tornerà.

    «Dio mio… Piccola, piccola, guardami, ti prego».

    Mi sento avvolgere dalle sue braccia e appoggio la testa sull’incavo del suo collo.

    «Sean…», biascico con un filo di voce.

    «Piccola… Sta’ calma. Ti prego. Hai solo bisogno di tempo. Ora prenderai una pasticca. Ti metterai a letto per riposare un po’. Io non ti lascerò. Resterò qui accanto a te. Sempre».

    «Non lasciarmi sola, Sean. Non lasciarmi più sola, mai più».

    «Non ti lascio, piccola. Lo giuro. Non ti lascio più».

    Capitolo 3

    Becky ci raggiunge al Dorian e il mio primo istinto è quello di sommergerla di domande.

    Non permetto a Sean di fermarmi.

    «Ti prego, dimmi quello che hai detto a Damon quella sera maledetta. Perché era così agitato?».

    «So…», tentenna, «I was very scared that night, because…».

    «Sean, ti prego, traduci ogni cosa», chiedo con un’ansia che quasi non riesco a controllare.

    «Mia madre dice che era molto spaventata quella sera, perché qualcuno le ha telefonato, minacciandola. Volevano che Damon raggiungesse immediatamente Jackson».

    «Che le hanno detto di preciso? Come l’hanno minacciata?».

    Becky continua a raccontare, Sean traduce.

    «Le hanno mandato una foto che mostrava diverse taniche di benzina intorno alla casa sul lago, ma… Ecco…», è titubante. Ho la sensazione che non voglia tradurmi tutto.

    «Cosa? Cos’altro?», lo incito, agitata.

    «Ecco… Un’altra foto mostrava…», ancora una lunga pausa.

    Becky lo guarda e gli fa un cenno del capo, come a volerlo tranquillizzare. Ho ragione di credere che lei voglia che io sappia.

    «Sean, lei deve sapere», sussurra infatti la donna.

    È proprio come credevo, vuole che io sappia tutto.

    «Eden, c’era un’altra foto. Mostrava la mano di un uomo e… Insomma…».

    «Avanti, Sean».

    «Ecco. L’uomo aveva in mano una lunghissima ciocca di capelli neri e gli stava dando fuoco con un accendino».

    Mi si gela il sangue. Che diavolo significa questo?

    Non capisco dove voglia arrivare, ma basta poco perché io venga investita dallo sconcerto per l’unica possibile risposta che riesco a immaginare.

    M’infilo le mani fra i capelli e inizio a rovistare. Prima li sposto tutti da un lato e poi dall’altro. Sono alla ricerca di non so cosa, ma quando sento uno scalino all’altezza della nuca, mi blocco.

    Faccio scorrere i capelli sui due lati delle spalle cercando di liberare la nuca.

    «Oh, mio Dio», il fiato mi viene a mancare e le parole mi escono a stento.

    Afferro la ciocca fra le dita e mi accorgo che è tagliata di netto. La mia chioma così folta e il trambusto di questi lunghi giorni tristi non mi hanno permesso di rendermene conto prima.

    «Sean», invoco, incapace di dire altro.

    «Damon era andato su tutte le furie. Si è arrabbiato anche con me, perché non eravamo riusciti a proteggerti».

    «Mio Dio». La paura si impossessa di me e il terrore si amplifica sapendo che lui non è più qui a prendersi cura di me.

    «Oh, mio Dio, ma quando? Chi può…?»

    «Forse alla casa sulla spiaggia… Eden, non ti succederà nulla. Te lo prometto. Non ti lascerò mai più sola».

    «Sean, cosa pensi che avreste trovato a Jackson?»

    «Damon era convinto che questa volta avrebbe trovato la persona che mandava quelle rose. Pensava che quell’uomo avesse tutte le intenzioni di mostrarsi e di far capire cosa volesse davvero».

    Proviamo a fare mille congetture diverse. Tentiamo di dare un senso logico a tutta questa storia, ma dobbiamo arrenderci, perché è giunta l’ora di uscire di casa.

    «Prendo la borsa in camera e vi raggiungo».

    Entrare nella sua camera è un colpo al cuore. Forse sarebbe meglio se andassi via per sempre da questa casa.

    La mia presenza qui sembra non avere più senso.

    Sto per raggiungerli, ma mi blocco.

    Sean sta parlando con sua madre, sembra preoccupato.

    Mi metto deliberatamente a origliare, ma non riesco a capire quasi nulla. Sento il mio nome, più volte.

    Gioco d’astuzia.

    «Sean. Ho sentito quello che hai detto. Puoi dirmi ciò che pensi. Non temere…». Entro nel salone con una finta, eppur ben esibita, sicurezza.

    Lui si irrigidisce, tentenna, infine mormora qualcosa a denti stretti.

    «Eden, io sono solo preoccupato per te. Non ho dimenticato le condizioni in cui ti ho trovata oggi. Non sembravi in te e più volte mi sei sembrata assente».

    «Ti stai preoccupando per la mia salute mentale? Sta’ tranquillo, sto bene. Sono solo molto scossa, ma sto bene. Non è di un manicomio che ho bisogno. Io ho bisogno solo della verità».

    «Zitta. Non dirlo neanche. Non nominare… Zitta», urla come non ha mai fatto prima.

    La sua reazione mi sconcerta. Si prende la testa fra le mani e stringe gli occhi, e Becky lo abbraccia come se sapesse esattamente quello che sta succedendo.

    «Sean, che ho detto?».

    Becky mi fa segno di tacere portandosi l’indice sulle labbra.

    Sean prende fiato più e più volte. Respira, respira, respira, finché non apre gli occhi e torna a guardarmi.

    «Sean», lo chiamo con estrema dolcezza, poi mi avvicino e gli sfioro un braccio, che, al mio tocco, si irrigidisce vistosamente.

    «Ehi…», sussurro appena. È davvero molto scosso.

    «Va tutto bene ora. Andiamo», mi rassicura, ma il suo volto non sembra volersi rilassare del tutto.

    Vorrei concentrarmi solo su quello che è successo, ma, non molto tempo dopo, arriviamo sul luogo del nostro appuntamento.

    Lo studio si presenta decisamente austero, esattamente come la donna che ci accoglie. Dopo averci annunciato, ci invita ad accomodarci.

    «Sean, non posso credere che siamo qui per…», le parole mi muoiono in gola.

    «Eden…», non abbiamo bisogno di dirci altro. La sua mano dapprima scivola esitante sul mio braccio, lo lascio fare. Subito la presa si fa più salda. Cerca la mia mano, la trova. Mi accarezza con dolcezza, e intreccia un dito al mio.

    Mi guarda, io ricambio. Vorrei dirgli che può farlo, che non mi dà alcun fastidio il suo gesto, ma non riesco a parlare.

    Lui tentenna ancora un attimo, poi stringe la mia mano tremante intrecciandola vigorosamente alla propria. Ed è così che entriamo nell’ufficio del notaio, mano nella mano.

    Becky ci segue silenziosa ma, non appena prendono a parlare fra loro, io, come al solito, resto all’oscuro di tutto.

    Mi sento proprio fuori luogo in questo posto. Oggi più che mai. Qui c’è la sua famiglia, com’è giusto che sia.

    «Il notaio Harris dice che deve mostrarci un video prima di dare lettura ufficiale al testamento».

    Annuisco senza rispondere.

    Ci fa accomodare su un rigido divano verde oliva, di fronte a noi lo schermo di un televisore.

    Trattengo il fiato.

    Sento di non avere neppure la forza di respirare.

    «Ciao, piccola strega».

    Il volto di Damon appare in tutto il suo splendore e in questo momento è come se mi avessero trafitto il petto con milioni di lame taglienti.

    «Damon…», sospiro.

    I suoi occhi viola, il suo sorriso malandrino.

    «Se

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