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Tra le fiamme
Tra le fiamme
Tra le fiamme
E-book322 pagine4 ore

Tra le fiamme

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Info su questo ebook

The Bridge Series

Dall'autrice della Hacker Series

Darren Bridge ama la sua vita da scapolo. Quando non è occupato a domare le fiamme con la sua squadra, passa il tempo ad allenarsi nella palestra che gestisce con suo fratello Cameron. Nessuna donna è in grado di resistere al suo fisico scolpito e al fascino della divisa da vigile del fuoco. 
Intelligente, bella e con un corpo mozzafiato, Vanessa è diversa da tutte le altre. È ossessionata dal lavoro, e sono anni che non si prende una vacanza. Il matrimonio di Cameron e Maya può rivelarsi l’occasione adatta per rilassarsi un po’, sempre che riesca a stare lontana dal testimone dello sposo. Darren, infatti, è talmente sexy da far uscire di testa qualunque donna. L’attrazione tra i due è travolgente… Sarà una sola notte di fuoco o un incendio senza fine? 

Un'autrice da 2 milioni di copie vendute
Tradotta in 22 lingue

«Incredibile, fantastico, stupendo. Questo libro ti metterà in ginocchio facendoti implorare per il seguito...»
Meredith Wild
è un’autrice bestseller del «New York Times» e di «USA Today», tradotta in molti Paesi. Vive a Boston con il marito e i loro tre figli. Ha esordito nel self-publishing prima di firmare un importante contratto. Nel 2015 ha fondato la Waterhouse Press. Torna a pubblicare con la Newton Compton, dopo il successo mondiale della Hacker Series (Senza difese, Senza colpa, Senza pentimento, Senza controllo e Senza rimpianto), portando in Italia la Bridge Series.
LinguaItaliano
Data di uscita18 giu 2018
ISBN9788822723864
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    Anteprima del libro

    Tra le fiamme - Meredith Wild

    2012

    Titolo originale: Into the Fire

    Copyright © Meredith Wild 2016

    Published by arrangement with Waterhouse Press LLC

    All right reserved

    Traduzione dall’inglese di Carla De Pascale

    Prima edizione ebook: luglio 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2386-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Meredith Wild

    Tra le fiamme

    The Bridge Series

    Indice

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Capitolo ventuno

    Epilogo

    Scena bonus da Cameron e Maya

    Ringraziamenti

    A Misti

    Oltrepassiamo i nostri ponti dopo esserci arrivati e ce li bruciamo alle spalle, e niente mostra il cammino percorso, tranne il ricordo dell’odore del fumo e la sensazione che una volta i nostri occhi hanno lacrimato.

    Tom Stoppard

    Capitolo uno

    Darren

    «Toglietevi di mezzo!».

    Pauly spalancò gli occhi pochi secondi dopo aver ricevuto una dose di Narcan per endovena, quindi si levò la maschera dell’ossigeno. Ci ringraziò per averlo riportato di colpo allo stato di coscienza con un fiume di parolacce e pugni tirati in aria alla rinfusa. Gli avevamo rovinato lo sballo, non la prese bene.

    «Bridge, tienilo fermo».

    Prima che potessi bloccarlo picchiò Ian sul viso in preda all’esagitazione. Il mio collega lo spinse sul marciapiede con una certa veemenza. Era la ventitreesima ora di un doppio turno, anch’io stavo perdendo la pazienza. Incontravamo spesso Pauly, e le volte che lo trovavamo vigile e di umore decente i paramedici si limitavano a monitorare i parametri vitali per poi lasciarlo in pace. Quel giorno non eravamo stati così fortunati.

    «Fallo di nuovo, Pauly, e ti somministreremo il Narcan anche la prossima volta, non importa se ti rovineremo il viaggio», sbottò Ian.

    Ovviamente non era vero, ma Pauly ci credette. Ridusse gli occhi a due fessure e mi lanciò uno sguardo rabbioso.

    Scossi il capo mentre gli tenevo le braccia ferme. Aveva parecchia forza nonostante fosse dimagrito in maniera visibile negli ultimi tempi. «Non cercare la mia comprensione, amico. Non puoi prenderci a pugni quando stiamo cercando di salvarti la vita. Intendi calmarti?».

    Era un tossico, uno dei tanti in città. Noi eravamo due vigili del fuoco che, insieme agli altri colleghi, si preoccupavano di verificare che le persone trovate esanimi lungo il marciapiede respirassero ancora.

    Certe volte avevamo l’impressione che tenessimo alla salute di Pauly più di quanto ci tenesse lui.

    Comunque ero addestrato per non cadere nell’empatia.

    Non potevo permettermi di sentirmi coinvolto dalla sua storia, o da quelle di altri cento come lui che avevo incontrato nel corso degli anni. Non potevo, dato il mio lavoro. Ogni volta pensavo soltanto a tornare in caserma. Eravamo stati fuori per tutta la notte. Dovevo dormire un po’, nell’attesa dell’ennesima emergenza il mattino successivo. Nulla era più importante per me, in quel momento, dell’eventualità di concedermi qualche ora di riposo. Prima avremmo stabilizzato Pauly, prima sarei potuto rientrare.

    Dopo un po’ parve rilassarsi, la tensione muscolare accennò a diminuire.

    «Bene così». Tirai un sospiro di sollievo, ero distrutto. Accennai col capo ai paramedici che si avvicinarono con una barella. «Questi ragazzi si occuperanno di te. Hai intenzione di fare il bravo?»

    «Sì». Chiuse gli occhi e fece una smorfia.

    Alla prossima, Pauly.

    Un paio d’ore dopo stavo attraversando la porta a vetri della Bridge Fitness. La palestra che gestivo insieme a mio fratello era diventata una seconda casa per me. Cameron aveva lavorato moltissimo al fine di concedersi alcuni giorni liberi per sposarsi. Avevo coperto tutti i turni possibili per alleggerirgli il carico, ma per fortuna quel giorno ero libero. Avevo a malapena la forza per rientrare a casa e mettermi a letto.

    Entrai in sala e trovai Maya Jacobs, la fidanzata di Cameron, sul tapis roulant, gli auricolari alle orecchie. Non mi vide arrivare. Quella ragazza bionda e bellissima aveva fatto girare la testa a mio fratello per anni, e nonostante mi fosse dispiaciuto vederlo penare da quando erano tornati insieme sembrava più felice di quanto non fosse mai stato. La salutai con un cenno della mano e mi diressi verso l’ufficio sul retro, dove di sicuro avrei trovato Cameron.

    Proprio come mi aspettavo, era seduto lì a lavorare. Ma non era solo. Raina, l’istruttrice di yoga, era appoggiata con un fianco contro il bordo della scrivania. Con uno sguardo accattivante, lo scrutò da capo a piedi, poi gli si avvicinò. Maledizione, stava quasi per salirgli in braccio. Appena si passò la lingua sulle labbra in maniera provocante, Cameron si voltò dall’altra parte.

    «Ehi, ragazzi», dissi a voce sostenuta.

    Raina si tirò su con la schiena e si scostò. «Ehi, Darren».

    «Che mi racconti?».

    Si strinse nelle spalle e spinse il petto in fuori mentre ci sfilava davanti. «Nulla di particolare. Stavo andando via».

    «Ci vediamo», ribattei, e le guardai di sfuggita il sedere da dietro.

    Cameron si accigliò e tornò a concentrarsi sulle scartoffie. Mi addossai contro lo stipite e cercai di capire quale fosse il suo stato d’animo.

    «Che problema ha Raina? Non ha recepito il messaggio quando hai chiesto a Maya di sposarti?».

    Si grattò la mascella con l’estremità della penna. «Credo che sia semplicemente fatta così. Non do troppa importanza a come si pone».

    Scoppiai a ridere. «Cogliere i segnali che invia per approfittarne è una delle mie specialità. Ci sta provando con te, vecchio mio. Un giorno Maya lo scoprirà, e immagino che non le piacerà per niente. Faresti meglio ad allontanarla, prima che ci pensi lei».

    Sospirò e si abbandonò sulla sedia, che scricchiolò. Si scostò i capelli scuri dalla fronte. «Già, hai ragione. Come se non avessi altro per la testa, al momento. Partiremo per Grand Cayman fra un paio di giorni, e sono molto teso per la proposta da presentare agli investitori».

    Feci un cenno d’assenso e mi misi a riordinare le carte sulla scrivania che sembravano accumularsi senza fine negli ultimi tempi, dato il progetto di ampliare l’impresa aprendo una succursale. «Cosa ne dici se le parlo io?».

    Cam mi rivolse uno sguardo diffidente. Riuscivo a leggerlo come un libro aperto. Ero il fratello maggiore, ma per qualche ragione aveva sempre voluto cavarsela da solo.

    «Dico davvero, se ci parlassi io sarebbe molto meno imbarazzante», aggiunsi. «Non sarò troppo diretto, ma farò in modo che recepisca il messaggio».

    Passarono diversi secondi prima che la sua espressione preoccupata svanisse. «Va bene. Però non irritarla. Ho bisogno che resti qui mentre saremo via. In questo momento non posso permettermi di essere a corto di personale».

    «Capisco perfettamente». Andai all’armadietto per riporvi borsone e giaccone. Le mie riserve di energia si stavano riducendo a zero, e a quanto pareva non era arrivata l’ora di tornare a casa. Sarei dovuto restare in piedi ancora un po’, ma almeno non mi sarei occupato di tizi come Pauly o di altri edifici in fiamme.

    Lasciai Cameron alle sue scartoffie e mi incamminai verso lo studio di yoga, in fondo al corridoio. L’istruttrice era di certo lì. Non aveva altre lezioni prima dell’indomani in tarda mattinata.

    Quella grande stanza era fredda e vuota. Raina stava sistemando i materassini arrotolati a pochi passi da me. Appena la porta si chiuse alle mie spalle sollevò lo sguardo.

    Le rivolsi un sorriso. «Come te la passi?»

    «Bene, e tu?»

    «Sono stanco. Il turno di lavoro è stato massacrante. Sono venuto a rilassarmi un po’ prima di andare a dormire».

    Sorrise e tornò a guardare i tappetini. «Lezione privata di yoga?».

    Un ghigno spontaneo comparve sulle mie labbra. Quando i nostri sguardi si incrociarono, notai che aveva abbassato leggermente le palpebre.

    Ridacchiai. «Be’, magari potrebbe aiutarmi. Ma se mi stendo a terra rischio di non rialzarmi più».

    Si strinse nelle spalle, sembrava sovrappensiero, lasciò in sospeso la proposta. Cameron non sapeva nulla, ma mi aveva già dato una lezione privata dopo il lavoro qualche settimana prima. Si era trattato di un momento di debolezza.

    Una parte di me, che non rifiutava quasi mai una proposta simile, pensò a quell’invito ancora per un attimo. No, ero lì per un motivo ben preciso.

    Mi schiarii la voce e mi preparai ad affrontare la questione. «Dimmi, cosa c’è tra te e Cam?».

    Si irrigidì, la sua espressione si fece guardinga. «Che vuoi dire?»

    «Voglio dire… hai un debole per lui, vero?».

    Si bloccò all’istante, appariva tesa. All’improvviso passò da un atteggiamento rilassato e sicuro di sé alla difensiva. «Cosa?»

    «Ascolta, ti ho vista nel suo ufficio, poco fa. Il linguaggio del tuo corpo… insomma, dammi pure del pazzo, ma mi pare che tu sia attratta da lui».

    Aprì la bocca, ma non disse una parola. Era agitata. Mi avvicinai a piccoli passi, la guardai dalla testa ai piedi. Aveva senza dubbio un bel fisico. Tonico e snello, non un grammo di grasso in eccesso. Non avrebbe potuto nasconderlo con un toppino sportivo e un paio di pantaloni da yoga aderenti. Per quanto anch’io fossi fissato con lo sport, lei non era il mio tipo. Preferivo donne che frequentavano la palestra per rassodarsi, ma comunque un po’ in carne.

    Mi fermai poco distante da lei. «Stai cercando di dirmi che non andresti a letto con lui, se ti capitasse l’occasione? Dimmi la verità».

    «Non sono minimamente attratta da tuo fratello», rispose in tono affatto sincero.

    «Sul serio?». Inclinai la testa, tanto per farle capire che non l’avevo bevuta. Prestai la massima attenzione a ogni segnale che trasmetteva col corpo: fiato corto, petto arrossato. Ero sicuro di poter vincere contro le sue bugie.

    «Sul serio», ribatté con un sospiro. Non sembrava più arrabbiata.

    Appena accennò ad avvicinarsi tentai di anticipare le sue mosse con il mio cervello ormai esausto.

    «Dimostramelo». Il mio tono di voce era grave, la stavo sfidando. Feci ancora un passo verso di lei, a quel punto eravamo vicinissimi.

    Per un istante guardò la porta, poi tornò a fissare me. Conoscevo quello sguardo. Doveva prendere una decisione. Qualunque cosa avesse detto non avrebbe avuto importanza, le avrei fatto cambiare idea. Cameron era un brav’uomo. Ecco perché lo voleva. Io non lo ero, ed ecco perché in quel momento desiderava me.

    Ebbi la prova quando mi posò una mano dietro il collo e salì in punta di piedi per baciarmi. Non mostrò esitazione o timidezza. Mi baciò con determinazione, e io ricambiai. Non era per curiosità, ma soltanto perché mi resi conto che era ciò che desiderava. Non perdevo mai tempo in inutili convenevoli.

    Si strinse a me e il mio uccello si risvegliò. Già. A quanto pareva avremmo finito per scopare.

    Interruppi quel bacio a cui partecipavo di malavoglia e la spinsi contro il muro. Non indossava le mutandine, me ne accorsi appena le abbassai i legging quanto bastava per avere accesso alle sue parti intime.

    Non farlo.

    Le feci scivolare le mani lungo il bacino e mi concessi un po’ di tempo per riflettere su quello che stavo per fare. «Sei sicura di volerlo?». Come se la sua risposta avesse potuto alleviare il mio senso di colpa.

    «Sì», rispose in affanno mentre muoveva il sedere per eccitarmi.

    A ogni suo gemito immaginavo la scena in cui Cam ci avrebbe scoperti, nel posto in cui lavoravamo entrambi. Maledizione, era una mossa per nulla saggia. Sbagliata. Gli specchi sulle tre pareti me lo ricordavano quando osavo aprire gli occhi. Scopare la prima volta fu un errore. Se avessi continuato a comportarmi in quel modo sarei incappato in un grosso guaio.

    Me lo presi in mano, a quel punto ebbi un istante di lucidità.

    Mi bloccai. «Non ho un preservativo con me».

    Seguì un silenzio imbarazzato.

    «Va bene, non preoccuparti», rispose con un filo di voce.

    No, non andava per niente bene. Non l’avevo mai fatto senza, e considerando come Raina guardava tutti gli avventori della palestra non nutrivo molta fiducia nei suoi confronti.

    Le tirai su i legging e la feci voltare.

    «Non qui. Non così». Di sicuro non sarebbero mai arrivati il momento e il luogo giusti.

    Vidi il suo petto alzarsi e abbassarsi per il respiro affannato. Pareva ferita, avrei potuto averla in pugno. Ma non era quello il motivo per cui ero andato da lei.

    «Raina. Devi dimenticarti di Cameron. Noi possiamo scopare quando vogliamo, ma lui sta per sposare Maya».

    Non ero riuscito a trattenermi, mi pentii molto presto di come avevo affrontato la questione. La sua eccitazione diminuì visibilmente.

    «Certo, Darren, ma non mi avevi mai dato l’impressione di essere un uomo geloso».

    Serrai la mascella. Non ero geloso, però se mostrarmi tale serviva ad allontanarla da mio fratello non sarebbe stato un problema.

    Esitai ancora un istante e la guardai. Almeno avrebbe lasciato in pace Cam. Mi avvicinai e la baciai ancora una volta. Fu un bacio asettico, come se stessi facendo il mio lavoro, non provai alcun piacere.

    «Ci sentiamo dopo, Raina».

    Vanessa

    Mi misi a canticchiare la canzone diffusa dagli altoparlanti sul soffitto a bassa voce per non farmi sentire in tutta la caffetteria.

    «Veronica!», urlò il barista.

    Tornai al presente. Mi voltai e presi il vassoio di carta che mi stava porgendo. «Vanessa», lo corressi.

    Non restò nei paraggi il tempo sufficiente per ascoltare il mio commento, era già sparito appena sentii squillare il cellulare in tasca. Lo tirai fuori e lessi il numero di mia madre.

    «Mamma, ehi». Appoggiai il dispositivo all’orecchio e uscii con i caffè.

    «Come stai, tesoro? Tutto bene?». Il gioviale accento del Sud era venato da una nota di preoccupazione.

    Tante conversazioni erano iniziate in quel modo, ogni volta era come se mi contattasse a seguito di qualche catastrofe. Alzai lo sguardo al cielo e sospirai.

    «Tutto bene».

    Andava sempre tutto bene, anche quando non era vero. Perfino quando la vita era un disastro non volevo offrirle una scusa per accreditare le sue preoccupazioni. Avvertii una folata di vento mentre sorpassavo la folla e le chiacchiere sonore dei passanti.

    «Dove sei?». La sua voce era impercettibile nel caos della città.

    «New York, mamma. C’è un gran fracasso qui».

    Restò in silenzio per un istante, riuscii a immaginare con chiarezza la sua espressione mentre scuoteva il capo. Non aveva mai capito il motivo per cui fossi andata a vivere in quella città. L’atmosfera era totalmente diversa rispetto a quella della cittadina dove ero nata, ecco perché mi piaceva tantissimo. Mia madre mi aveva tenuta legata lì per troppo tempo, ma il mio futuro non era a Callaway.

    In quel paesino della Florida ero una persona diversa: ero la ragazzina intelligente con le lentiggini, gli abiti di seconda mano e una madre single. Quella donna aveva sempre fatto il proprio dovere per la comunità, per anni, servendo ad amici, conoscenti e a tutti gli avventori della tavola calda caffè e colazioni caloriche. Non avevo segreti a Callaway, e non avevo modo di sottrarmi alle storie di carattere privato che lì venivano spifferate senza un briciolo di discrezione.

    Secondo i pettegolezzi locali, mi ero trasferita nella Grande Mela per lavorare a Wall Street. Era quello che volevo che continuassero a credere. Di contro, a New York non mi conosceva nessuno. Avrei avuto la possibilità di reinventarmi mille volte, lo avrebbero saputo comunque in pochi. Non sarei stata affatto la sola a ricominciare in quella metropoli.

    «Sei pronta per partire?», domandò.

    Continuai a camminare a passo svelto. I fumi di scappamento degli innumerevoli taxi avevano saturato l’aria. Se c’era qualcosa che mi mancava del paesino era l’aria pulita. Aria fresca portata dall’oceano che molto presto sarei tornata a respirare.

    «Prontissima».

    Sospirò. «Non mi piace l’idea che viaggi da sola».

    Rialzai lo sguardo al cielo, per fortuna non poteva vedermi. A sentirla sembrava molto preoccupata. «Non viaggerò da sola. Eli e tutti gli altri invitati al matrimonio saranno con me».

    «Anche Maya?». Il tono di voce si fece più mansueto appena nominò la mia migliore amica. Adorava Maya.

    «Lei e Cam hanno preso un altro volo stamattina presto, così potranno iniziare i preparativi». Al pensiero che fossero già sull’isola mi venne da sorridere, finalmente si erano concessi una pausa dopo un inverno stressante.

    «Mi sarebbe piaciuto che foste passate di qui, invece».

    «Maya ti aveva invitato al matrimonio, mamma. Saresti potuta venire. Avremmo fatto quella vacanza che ci siamo sempre ripromesse di organizzare».

    «Vanessa».

    A giudicare dalla tranquillità con cui aveva pronunciato il mio nome non parve un rimprovero. La sentivo triste, dispiaciuta, come se non si fosse mai perdonata per i propri errori.

    «Non ti preoccupare, mamma. Comunque penso che se non avessi viaggiato tanto in gioventù, oggi non ti peserebbe spostarti».

    Avevo l’impressione che dal giorno in cui aveva deciso di scendere dal bus con cui viaggiava in tournée con papà, fino a poche settimane prima che io nascessi, non avesse mai più voluto andare troppo lontano. I suoi rari spostamenti per venirmi a trovare avvenivano soltanto dopo un’attenta pianificazione.

    «Phil non può prendersi tutti quei giorni di ferie. E le poche volte in cui può non ha voglia di andare all’altro capo del mondo».

    Sposò mio padre adottivo quando facevo le superiori. All’epoca avevo già un piede fuori di casa, dunque non legai molto con il mio nuovo papà. Continuava a ripetere che lui era l’amore della sua vita, tuttavia lo sguardo non le si illuminava come quando parlava del mio vero padre. Phil aveva la personalità di un pupazzo, ma insieme sembravano felici. Era un uomo onesto, affidabile e aveva intenzione di passare il resto della propria vita nello stesso posto, come mia madre.

    «Oh!». Il suo tono di voce salì di un’ottava. «Non indovinerai mai chi ho incontrato in comune. Phil e io eravamo lì per pagare le tasse, e abbiamo rivisto Michael Browning. Sapevi che si è candidato alle amministrative? Sarebbe il sindaco più giovane che abbiamo mai avuto. Dicono anche che abbia buone possibilità di vincere».

    «Buon per lui. Ascolta, devo scappare».

    «No, invece», disse con tono di rimprovero. «Ha chiesto di te. Voleva sapere che fine avessi fatto. È bello come quando stavate insieme. Non capirò mai perché tra voi non ha funzionato».

    Mentre mia madre era impegnata a preparare da mangiare e a tenere in ordine la casa per il suo nuovo marito, io finii, per qualche oscuro motivo, per attirare l’attenzione del re del ballo di fine anno, causando il forte dispiacere delle ragazze che facevano la fila per lui.

    Michael Browning era quel tipo di ragazzo con cui tutte avrebbero voluto avere una relazione, e di cui tutti i ragazzi avrebbero voluto essere amici. Simpatico, di buona famiglia, con un futuro promettente. Era il sogno di riscatto per le adolescenti cresciute nel quartiere sbagliato. Proprio il tipo di uomo che mia madre sperava che frequentassi. Qualcuno che fosse il più lontano possibile dal ribelle padre rock star che non si era mai interessato a me.

    «Non ha funzionato per parecchie ragioni, non ultima il mio rifiuto di passare il resto dei miei giorni a Callaway, città in cui lui era destinato a rimanere».

    «Parli di questo posto come se fosse il peggiore sulla faccia della Terra. Non mi spiegherò mai perché preferisci vivere in quella città tanto sporca e affollata. Avevi una vita da vivere qui».

    «Quella è la tua vita, e sono felice per te, davvero. Comunque sono davanti al palazzo di David, devo entrare. Mi sta aspettando». Ero ancora a un isolato di distanza dal loft del mio capo, ma dovevo concludere quella telefonata prima che la conversazione finisse per degenerare. «Ti scrivo appena sarò atterrata», conclusi.

    «Grazie. Sai che sarò preoccupata per tutto il tempo».

    «Sì, lo so, ma non devi».

    Restò in silenzio per un istante. «Ti voglio bene, tesoro», aggiunse con un tono di voce più mansueto e dolce, come quello di una madre che mette a dormire il proprio bambino con la promessa che tutto, nel mondo, andrà sempre bene.

    Il mio nervosismo scemò, per un attimo la sentii come la mia mamma, non una donna che aveva rinunciato ai suoi sogni e non capiva perché io non volessi rinunciare ai miei.

    «Ti voglio bene anch’io, mamma».

    Appena mi avvicinai alla meta rallentai per ripassare nella mente la conversazione a cui avevo messo fine troppo in fretta. Guardai quell’angolo di mondo dove l’edificio incontrava il cielo azzurro e grigio, indugiai un momento per godere della fresca aria primaverile. Scossi il capo, infastidita da tutti i pensieri e le sensazioni spiacevoli che mi ronzavano nella testa e cercavano di affiorare.

    Melody Hawkins e io non ci incontravamo molto spesso, ma era l’unica madre che avessi mai avuto. Era parte di me, non contava quanto lontano vivessi. Avevo smesso da tanto di domandarmi come mai non avessi voluto vivere la vita che lei desiderava per me, perché non potevo farlo senza prendermela con la vita che conduceva lei.

    Non volevo farle quello perché, per quanto la vedessimo in modo differente, giudicarla per aver fatto il possibile con quello che aveva non era giusto. Era cresciuta in povertà, in una famiglia numerosa che non aveva mai avuto abbastanza tempo per lei. Si innamorò dell’uomo sbagliato e lo seguì per un tratto di vita che la portò ad avere me, e comunque fece sempre il possibile affinché non mancasse mai nulla, né a me né a lei.

    Ma io avevo deciso di andare via e non tornare più. Non avevo voglia di pensare alla cittadina in cui mia madre mi aveva cresciuta o a Michael Browning che iniziava la sua scalata nella società. Ero andata troppo lontano per tornare indietro. Ormai nulla di tutto quello contava per me.

    Inspirai un po’ d’aria di città nei polmoni per poi soffiarla fuori con un sospiro carico di stanchezza, quindi entrai. Appena mi avvicinai al bancone della reception, un ragazzo con un completo grigio dal taglio dozzinale accennò col capo verso di me.

    «Vanessa Hawkins, sono qui per vedere David Reilly», dissi accompagnando la presentazione con un sorriso di cortesia.

    «Un attimo, prego». Portò il telefono all’orecchio. «C’è una ragazza per lei, signor Reilly. Si chiama Vanessa Hawkins. La lascio passare?».

    Avvertii un crampo allo stomaco al suono ovattato della voce del mio capo dal ricevitore. Forse una reazione istintiva. Probabilmente era la mia abituale reazione al suo tono di voce, anche percepito a malapena.

    Il ragazzo riagganciò e mi indicò gli ascensori. «La sta aspettando. Può salire».

    Alcuni istanti dopo ero già diretta di sopra. Mi appoggiai contro la fredda parete metallica della cabina e lasciai che la mia mente giocasse a ping-pong tra la serata che avevo pianificato, che presto sarebbe arrivata,

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