Il pittore maledetto
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Un grande thriller storico
1819. Il pittore spagnolo Francisco Goya si è trasferito da poco alla Quinta del sordo, una casa di campagna alla periferia di Madrid, assieme alla giovane amante Leocadia Weiss, e ai figli di lei Guillermo e Rosarito. L’artista, sordo da anni e chiuso in un mondo sempre più cupo, è intossicato dal piombo contenuto nei colori. La malattia comporta incubi, allucinazioni, sbalzi di umore sempre più violenti. Per trovare sollievo al male, inizia a dipingere di notte sulle pareti di casa le sue celebri pitture nere. Una sera Rosarito, che ha sei anni e non sa di essere sua figlia, lo scopre mentre si dedica alle sue ossessioni indossando uno strano cappello con una corona di candele accese. Comincia così tra incubi, violenze domestiche, gesti d’amore e colpi di genio, lo strano rapporto tra l’anziano e famosissimo pittore di corte e la bambina che ha uno straordinario talento per il disegno. L’arte sarà la loro lingua segreta e il loro rifugio. Ma niente, alla fine, sarà come Goya, Rosarito, Leocadia e Guillermo avrebbero voluto.
Nelle opere di Francisco Goya si cela un terrificante mistero
Genio o follia?
Cosa si nasconde dietro il mistero delle pitture nere?
Hanno scritto dei suoi libri:
«I romanzi di De Pascalis hanno qualcosa di straordinario! Un’abilità artigianale nel ricostruire meticolosamente il contesto storico di cui si parla: sono veri e propri viaggi nel tempo.»
Left
«Come nei migliori romanzi storici, il racconto del passato sollecita il lettore a cogliere le ragioni delle azioni umane, anche quelle presenti.»
Alias
«Un appassionante e ispirato racconto, nel quale ricostruzione storica e trama romanzesca convivono senza forzature.»
Il Foglio
Luigi De Pascalis
ha pubblicato con grande successo numerosi racconti di genere fantastico ed è tradotto in Francia, Germania e Stati Uniti. Ha vinto per due volte il Premio Italia, una il premio Aqui per il migliore romanzo storico, è stato finalista al Premio Camaiore e candidato al Premio Strega 2016. La Newton Compton ha pubblicato Il sigillo di Caravaggio e Il pittore maledetto.
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Anteprima del libro
Il pittore maledetto - Luigi De Pascalis
2508
Copertina © Sebastiano Barcaroli
Pubblicato in accordo con Loredana Rotundo Literary Agency
Prima edizione ebook: gennaio 2020
© 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-4128-8
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Corpotre, Roma
Luigi De Pascalis
Il pittore maledetto
marchio%20front.tifNewton Compton editori
Indice
PERSONAGGI PRINCIPALI
LA QUINTA DEL SORDO
1.LA VISITA
2. LA QUINTA DEL SORDO
3. IL CANE
4. RICORDI
5. IL TALENTO DI ROSARITO
6. LE PARCHE
7. L’INFANZIA DI GOYA
8. IL MALE SCONOSCIUTO
9. IL DOTTOR ARRIETA
10. DA SARAGOZZA A MADRID
11. il vecchio sull’altalena
12. PELLEGRINI A S. ISIDRO
13. FUGA DA SARAGOZZA
14. SABBA
15. LA LEZIONE DI DISEGNO
16. PARTENZA PER L’ITALIA
17. COME UN TEMPORALE ESTIVO
18. IL SABBA DI LEOCADIA
19. ROMA
20. IL COLOSSO
21. MAMACITA
22. LA NOVIZIA
23. I DUELLANTI
24. GENITORI
25. IN MORTE DEL PADRE
26. SATURNO
27. GIUDITTA
28. PEPA BAYEU
29. LA DUCHESSA D’ALBA
1820 - 1824
30. IL DIPINTO DEL DOTTOR ARRIETA
31. IL PRIMO INCONTRO CON LEOCADIA
32. VECCHI CHE MANGIANO
33. IL CALESSE INGLESE
34. 1808. L’INIZIO DELLA GUERRA
35. DI NUOVO S. ISIDRO
36. IL MATRIMONIO DI LEOCADIA
37. LA GUERRA E I SUOI DISASTRI
38 GUILLERMO E ROSARITO
39. MORTE DEL DOTTOR ARRIETA
40. LA GUERRA, ANCORA
41. LA LETTERA
42. DONNE CHE RIDONO
43. MISTER HOOGEN
44. ASMODEO O L’OSCURO POTERE DELLA RESTAURAZIONE
45. ATTIVI PRESENTIMENTI
46. ULTIMO PELLEGRINAGGIO A S. ISIDRO
47. MORTE DI JUANITA
48. LA LEOCADIA
IN ESILIO
49. JACQUES GALOS
50. PIERRE LACOUR
51. LA VITA NON È COME S’IMMAGINA
52. IL RITORNO DI MISTER HOOGEN
53. LA LATTAIA DI BORDEAUX
54. FOSSÉS DE L’INTENDENCE
55. L’ULTIMA NOTTE DI GOYA
56. MORTE DI LEOCADIA
EPILOGO
57. VISITA AL PRADO
58. IL DIARIO DI ROSARITO
59. LA SCELTA DI GUILLERMO
Alla mia Leocadia
Per fortuna non siamo i leoni che vorremmo essere, don Francisco: siamo solo pecore con le zanne. Qualche volta mordiamo con ferocia, ma il più delle volte ci limitiamo a brucare l’erba. Alcuni la chiamano civiltà.
Dottor Arrieta
Goya non è soltanto uno dei pittori più importanti del suo tempo, ma anche uno dei pensatori più profondi, paragonabile in questo al contemporaneo Goethe.
Tzvetan Todorov, Goya
PERSONAGGI PRINCIPALI
la famiglia d’origine
José Benito de Goya y Franque, padre
Engracia de Lucientes y Salvador, madre
Rita, sorella
Tomás, fratello
Jacinta, sorella
Francisco, il pittore
Camilo, fratello
la nuova famiglia
Josefa (Pepa) Bayeu, sorella di Francisco e Ramón e moglie di Goya
Javier Goya y Bayeu, unico figlio sopravvissuto
Mariano Goya y Goicoechea, figlio di Javier e Gumersinda Goicoechea
famiglia weiss
Isidoro Weiss, mercante di gioielli e marito di Leocadia
Leocadia Zorrilla y Galarza, moglie di Isidoro e amante di Goya
Joaquím (1808), figlio di Isidoro e Leocadia
Guillermo (1811), figlio di Isidoro e Leocadia
Rosario o Rosarito, figlia di Leocadia e Goya riconosciuta da Isidoro Weiss
gli amici
Martín Zapater y Clavería
Don Felice Salzedo, priore di un monastero certosino
José Luzán y Martínez, pittore di Saragoza
José García de Arrieta, medico
Augustín García de Arrieta, fratello di José e bibliotecario
Pedro e José Romero, toreri
Rafael de Riego y Nuñez, generale e politico liberale
la corte
Carlo iv di Borbone, re di Spagna, figlio di Carlo iii
Maria Luisa di Parma, regina di Spagna, moglie di Carlo iv
Ferdinando vii di Borbone, re di Spagna, figlio di Carlo iv
Isabella ii di Borbone, regina di Spagna, figlia di Ferdinando vii
Luisa Ferdinanda di Borbone, Infanta e sorella di Isabella ii
Don Luis di Borbone conte di Chinchón, già cardinale di Siviglia e Toledo
María Teresa Cayetana, duchessa d’Alba de Tormes
Duchi di Osuna, mecenati e protettori di Goya
Manuel de Godoy, primo ministro e protettore di Goya
Joaquin Baldomero Fernandéz Espartero, primo ministro e protettore di Guillermo e Rosario Weiss
Giuseppe i Bonaparte, re di Spagna durante il dominio francese
Vicente Lopez y Portana, succede a Goya nella carica di pittore di corte
in francia
Leandro Fernandez De Moratín, poeta
Antonio de Brugada, pittore
Pierre Lacour, pittore e insegnante di Rosarito Weiss
Jacques Galos, banchiere
altri personaggi
Jacinta, serva nella Quinta del Sordo
Matías, marito di Jacinta
Juanita, o mamacita, nutrice del dottor Arrieta
Don Isidro Gomez, vice parroco di S. Martín, a Madrid
Mister Hoogen, amico di Isidoro Weiss
José Nicolas de Azara, marchese di Nibbiano, ambasciatore di Spagna a Roma
Michel Fournier, amico di Goya a Roma
José Duaso y Latre, religioso aragonese
Juliano Vargas Perez, gesuita
Gumersinda Goicoechea, cugina di Leocadia e moglie di Javier de Goya y Baieu
Juana Galarza, zia di Leocadia
Francisco Bayeu y Subías, pittore e cognato di Goya
Ramón Bayeu y Subías pittore e cognato di Goya
Tutti i personaggi – anche quelli qui non citati – sono storicamente documentati. Gli unici di fantasia sono Jacinta, Matías, don Isidro Gomez, Michel Fournier, Juliano Vargas Perez e Paquito. La moglie di Guillermo, che non si chiamava Consuelo, e la novizia romana di cui si ignora il nome, sono anche loro personaggi storici.
LA QUINTA DEL SORDO
1.LA VISITA
Madrid, calle del Desengaño 17
7 luglio 1856
Sono passati circa ventotto anni dalla morte a Bordeaux di Francisco de Goya y Lucientes; anni difficili, a volte disperati.
Donna Leocadia Weiss, l’ultimo amore del maestro, colei che gli è rimasta accanto fino alla fine, vive a Madrid, in questa casa al numero 17 di calle del Desengaño.
L’appartamento non è spazioso né lussuoso. Ha pochi mobili e, a ornarne le pareti, ci sono solo un paio di disegni di Goya e alcune opere di Rosarito, la loro figlia. Tele del maestro, nessuna. Quelle poche che ha lasciato alle due donne Javier, l’unico figlio legittimo del pittore, compresa la cosiddetta Lattaia di Bordeaux, sono state vendute nel corso degli anni per sopperire alle necessità della vita; e non senza rimpianto.
Adesso sono le tre del pomeriggio, la finestra del salotto dove si trova donna Leocadia è quasi all’angolo dello stabile. Ha davanti molto spazio e la luce che vi entra è generosa anche perché è estate; ma fa un caldo infernale e le imposte sono accostate per dare un po’ di fresco all’ambiente e perché la padrona di casa non sta bene.
L’intestino s’è ammalato e il caldo afoso lo debilita ancor più.
Donna Leocadia ha sessantasette anni; non sono troppi ma neppure pochi, date le tribolazioni patite. Gli occhi sono cerchiati. Il doppio mento ne rende l’ovale pesante. L’abito nero ne fa risaltare il pallore malato. Ormai non c’è quasi più traccia della bellezza altera e capricciosa che aveva tenuto legato fino al suo ultimo giorno di vita il maestro spagnolo.
Leocadia siede su una poltroncina traballante, la sua preferita. Anche i mobili buoni non ci sono più da anni, ma non le mancano. Del resto ha capito che non le rimane molto da vivere. Si sente ogni giorno più debole e al dottor Ortega, che si è mostrato preoccupato per il suo stato di debilitazione, ha risposto con un sospiro: «Caro dottore, per chi come me ha pagato tutti i debiti, ogni momento è buono per andarsene senza rimpianti. La vita è un gigantesco inganno».
Il medico, che la conosce da molti anni e sa per esperienza quanto pesi sulla salute la voglia di vivere, ha lasciato la casa borbottando immalinconito: «Tornerò a trovarvi tra un paio di giorni». Ma ne sono passati quattro e non si è ancora visto.
Oggi, per donna Leocadia, c’è di buono che è venuto a farle visita Guillermo, suo figlio. Non lo vedeva da una settimana e questa occasione d’incontro le dà conforto.
Guillermo è un uomo molto impegnato; ha un lavoro importante, moglie e figli a cui badare. Passa a trovarla quando può, ma forse sarebbe più onesto dire che viene quando gli va.
Una madre certe cose le capisce, non ha bisogno di perdonarle.
Per un po’ donna Leocadia guarda il figlio in silenzio. Poi fissa lo sguardo sulla litografia appesa alla parete, a pochi passi dalla poltroncina dov’è seduta.
Rosarito l’ha disegnata nel 1842, quattordici anni fa, e rappresenta lui, Guillermo: viso con mento e naso pronunciati, capelli castani, vita stretta in un panciotto chiaro. Un volto più bello di quanto fosse già allora. Segno di amore fraterno. E segno di gratitudine, anche, perché è grazie a lui, anzi alle sue frequentazioni liberali, che sedici anni fa Rosarito ha avuto il posto d’insegnante di disegno della allora giovanissima regina Isabella ii e della sorella più piccola, l’infanta Luisa Ferdinanda.
Ma gli anni non sono passati invano neanche per Guillermo, pure se visti attraverso gli occhi di una madre. La sua chioma si è fatta rada ai lati della fronte. I denti sono ingialliti e la vita non è più tanto sottile. Ma è lo sguardo a essere cambiato di più. Da bambino l’aveva sognante, nonostante la passione per le armi e la guerra. Adesso non custodisce alcuna illusione. Inoltre è colmo di pena per la madre; ma donna Leocadia non vuole che qualcuno soffra per lei, tanto meno l’unico figlio che va ancora a trovarla.
Il primogenito, Joaquím, è andato a vivere col padre al momento della burrascosa separazione, nel 1817, e da allora le è sempre stato lontano. Persino adesso che è un uomo di mezza età.
Quanto a Rosarito, la sua morte improvvisa, sebbene lontana nel tempo, è un dolore che non si attenuerà mai.
«Non essere preoccupato», dice a Guillermo. «Sto bene».
«Non sembra», risponde lui.
E intanto si guarda attorno come un topo in trappola.
Ha già voglia di andare via
, pensa Leocadia. E non sa se desidera trattenerlo o no. Se vuole andare, che si alzi e vada
, si dice infine, quasi con fastidio.
E invece: «Maman, vi va di parlare?»
«Di cosa, Guillermito?», risponde subito intenerita dalla sua sollecitudine.
«Vorrei che discorressimo un po’ di noi, della nostra vita. Di quello che ci è capitato, insomma».
«A che scopo? Il passato è passato».
Lo sguardo di Guillermo si fa malinconico.
«Vorrei sapere di più di voi, della mia povera sorella. E magari capire perché entrambe, sia pure in maniera diversa, vi siete rovinate la vita per amore».
Stavolta è Leocadia che guarda con pena il figlio, perché quella domanda significa che lui un sentimento forte non l’ha mai provato; che a Consuelo, sua moglie, lo lega al massimo un po’ di affetto; e che la sua vita è forse più quieta e sicura di quella materna; ma lei, Leocadia, l’esistenza di suo figlio non avrebbe voluto averla per sé.
S’immagina giunta alla fine senza aver mai sentito il cuore bruciare di passione e l’idea la terrorizza; anzi le toglie il fiato.
«Né io né Rosarito ci siamo rovinate per amore», si affretta a rispondere. «Abbiamo amato e poi è finita per ragioni diverse, questo è tutto».
Guillermo la guarda. È chiaro che non le crede.
«Non è l’amore che guasta la vita», prosegue sua madre con veemenza. «È la vita che rovina sé stessa, in un modo o nell’altro. O forse è che ce ne vorrebbero mille, di vite, per provare tutti i sentimenti di cui un cuore è capace, per fare tutti gli errori possibili e per rimediare a ciascuno di essi in tutte le maniere in cui lo si può fare».
E, mentre parla, si rende conto che non è vero che non le importi di morire, perché non è del tutto vero, come ha detto al dottor Ortega, che la vita è un inganno. Oppure sì, lo è, ma senza quell’inganno non ci sarebbe sapore neppure nel primo respiro, nel primo vagito.
«Hai tempo?».
Forse spera che Guillermo dica che non ne ha. Invece lui sorride e sussurra: «Oggi ne ho molto, maman».
Dunque non c’è scampo. Bisogna parlare. Bisogna spiegare.
«E l’arte?», le domanda il figlio mentre lei sta ancora cercando di riordinare le idee. «Non è stato anche quello un veleno che ha fatto soffrire voi e mia sorella?».
Leocadia cerca nello sguardo di Guillermo la luce che faceva splendere gli occhi di Rosarito, quando era bambina; ma non la trova. Ci trova altre cose – affetto, desiderio di capire – ma quella luce non c’è. Del resto da dove avrebbe potuto prenderla, Guillermo? Non da lei e dal padre Isidoro, perché nessuno dei due l’ha mai avuta.
Però lei ne conosce la fascinazione.
«Mon garçon», dice con qualche incertezza, «l’arte è mistero e luce: pure chi non ne condivide la scintilla se ne sente intrigato. Come fai tu a non esserlo?»
«Facilissimo, maman: per tenermene lontano mi basta pensare ai danni che può arrecare».
«Danni? A me l’arte ha regalato un uomo straordinario che m’ha riempito la vita di…». Sceglie con cura la parola. «Di significato, ecco!».
Continuerebbe a dire ciò che ha provato nella vita grazie all’arte, se il figlio non la interrompesse quasi indignato.
«Significato? Ma che dite, maman! Il signor Goya, pace alla sua anima tormentata, vi ha trattata come una governante. Tutti i beni che aveva li ha lasciati a quel debosciato di suo figlio Javier che non ha mai fatto nulla, nell’esistenza, salvo che abbandonarvisi da signore – lui e la vostra insopportabile cugina, sua moglie. Per non dire del figlio di Javier, Mariano, un altro perditempo, litigioso e attaccabrighe, come se fosse davvero l’hidalgo che pretende di essere. Questi sono gli eredi del grande Goya, maman, non voi che l’avete amato! Non Rosarito che a quel vecchio sordo, bizzoso e scostante ha dato l’anima. Altro che significato!».
Il viso pallido di Leocadia si è imporporato. Scatta in piedi.
«Non ti permetto di parlare in questo modo di don Francisco».
Ha aggiunto quel don
per incutergli rispetto.
Lui capisce che non può togliere le illusioni alla madre proprio adesso che sta male. Si morde il labbro e chiede scusa a mezza bocca. Tanto, pensa, la vita di tutti loro è passata a suo modo, senza chiedere permesso a nessuno.
Ma un po’ la lingua se la morde anche donna Leocadia, perché sa che ciò che ha detto il figlio è vero; che dalla morte di Goya lei e Rosarito hanno patito pene infinite. E che se Francisco l’avesse sposata dopo il decesso della moglie, Pepa Bayeu – o se almeno avesse riconosciuto come propria quella figlia geniale e devota – forse le cose sarebbero andate diversamente.
Eppure, considera, non sarebbe giusto ridurre tutto a questo.
Ha avuto il privilegio di vivere accanto a un uomo come non ce n’erano stati di uguali in tutta la Spagna, ai loro tempi; e a Rosarito quell’uomo ha pazientemente costruito le ali per volare, proprio come Dedalo, il genitore di Icaro.
Tuttavia la vita è più complicata e infida di quanto possa pensare perfino un genio. Le ali di Rosarito si sono sciolte al sole di un amore senza futuro e Francisco de Goya y Lucientes – lui, il genio – non aveva potuto fare altro che vedere la cera con cui le aveva costruite sciogliersi e svanire proprio quando le forze cominciavano a mancargli e la notte era vicina.
Così pensa. E dice: «L’eredità che ha inteso lasciare a me e a Rosarito quel vecchio sordo e bizzoso non aveva prezzo, Guillermo. Siamo state noi due – sì, anch’io oltre che tua sorella – a non saper raccoglierla e metterla a frutto».
Guillermo china il capo per non guardare in faccia la madre ma risponde, ostinato: «Non lo dite neppure, maman! Abbiamo già tante colpe reali, non aggiungeteci quelle di fantasia. Potrebbero schiacciarci».
Lei fa un gesto di fastidio.
«Ah, lascia stare: già lo fanno!».
Per un po’ se ne stanno in silenzio, l’una di fronte all’altro.
Poi Leocadia dice in tono più quieto: «Sono tante le cose che ignori, mon garçon. Quando eri piccolo, a ogni segno di bufera in casa correvi a rifugiarti nei campi attorno al ponte di Segovia assieme a Paquito. Di’, te lo ricordi Paquito?»
«Certo che me lo ricordo, maman. E ricordo pure le lacrime di quando siamo partiti per la Francia e abbiamo dovuto lasciarlo a Madrid. Era solo un bastardello ma era tutto ciò che avevamo di nostro, io e Rosarito».
«Be’», prosegue Leocadia, «hai continuato a fuggire anche quando ti sei fatto uomo, perciò molto di quello che avveniva in casa non l’hai visto. Non hai voluto».
Guillermo fa per ribattere, la madre lo ferma con un gesto stanco. «Sì, lo so: la politica, la prigionia, il lavoro insoddisfacente a Bordeaux, la nostalgia per Madrid. So tutto. Ma resta il fatto che delle pene mie e di tua sorella, soprattutto dopo la morte di don Francisco, sai poco».
Il figlio annuisce e non risponde.
Maman capisce che non è il momento giusto per affrontare certi argomenti e cambia discorso.
Dopo un po’ lui dice che si è fatto tardi e deve andare via. Lei lo bacia sulla fronte, come quando era ragazzo, e lo accompagna alla porta.
Poi gliela richiude alle spalle piano, quasi fosse una carezza.
È una donna tenace, maman, Guillermo lo sa bene. E sa che, quando tornerà a trovarla, lei riannoderà il filo del discorso da dove si è spezzato oggi e riprenderà a raccontare la sua storia incurante del male che farà a entrambi.
2. LA QUINTA DEL SORDO
Madrid, Quinta del Sordo
25 marzo 1819
Il Manzanarre scorreva sotto il ponte di Segovia, gonfio di piogge lontane. A poca distanza, isolata da un alto muro che la racchiudeva in una specie di bozzolo, c’era una casa di campagna su due piani. Le sue facciate erano bianche, le persiane verdi. Il tetto era ricoperto di coppi rossi. Facevano tutt’uno con la costruzione la legnaia, la stalla, il granaio e la cantina.
Nel giardino, subito dopo il cancello d’ingresso, c’era una vasca circolare con dei pesci rossi. Gli alberi da frutto che la incorniciavano erano già in fiore. I cespugli di gelsomino che decoravano le aiuole addossate alla facciata principale avevano piccole foglie verdi e boccioli minuscoli. Ancora qualche settimana e una nuvola di fiori immacolati avrebbe diffuso tutt’attorno il suo caratteristico, sontuoso odore.
La Casa de Campo, uno dei padiglioni di caccia del re, era a un tiro di schioppo dal muro di cinta. La città era quasi tutta sull’altra parte del fiume. Il suo profilo morbido e ondulato era dominato dalle mura imponenti del palazzo reale di Aranjuez ed era spezzettato dai campanili aguzzi di tante, forse troppe chiese.
Tra la casa e il fiume c’era la piana di S. Isidro, in parte selvatica e in parte coltivata. Il convento del santo la dominava da un poggio poco lontano.
La costruzione aveva cambiato padrone a inizio d’anno; e la gente aveva cominciato a chiamarla Quinta del Sordo perché il nuovo proprietario, Francisco José de Goya y Lucientes, primo pittore del re, era sordo da anni a causa di una malattia misteriosa. E lì l’artista sperava di trovare tranquillità e riservatezza sufficienti a tenerlo lontano dall’ingarbugliata situazione politica in cui si trovava la Spagna e a salvaguardare dalle malelingue la propria complicata situazione famigliare.
Goya aveva compiuto settantadue anni da poche settimane. Ormai era un uomo appesantito nella figura, indebolito dagli acciacchi e avvelenato dalle delusioni.
Ce l’aveva con tutti.
Era indignato per la barbarie delle guerre che Napoleone aveva portato ovunque in Europa; era amareggiato per le troppo timide riforme fatte dai liberali spagnoli; era furioso per le politiche sempre più reazionarie poste in atto da Ferdinando vii, tornato sul trono da sei anni; ed era pieno di rancore per essere stato ingiustamente sospettato di collusione con i francesi.
Come se non fosse bastato ce l’aveva anche con il Sant’Uffizio, tornato potente dopo la parentesi napoleonica e liberale.
Quattro anni prima quel tribunale l’aveva processato per aver dipinto la Maja desnuda: non un’innocua divinità pagana come aveva fatto Velázquez circa due secoli prima, ma una femmina in carne e ossa, liscia e conturbante come se fosse stata viva.
E chi sa che avrebbe fatto ancora, l’Inquisizione, se le fosse stata nota la vera natura dei legami del maestro con Leocadia Zorrilla y Galarza, che era di circa quarant’anni più giovane di lui e ne era ufficialmente la governante da quando il marito Isidoro Weiss, un gioielliere, aveva dichiarato fallimento e l’aveva lasciata sul lastrico portandosi via il primogenito Joaquím.
Goya – che aveva una relazione con Leocadia da quando lei aveva diciassette anni – l’aveva accolta in casa con il secondo figlio, Guillermo, che adesso ne aveva otto, e con Maria del Rosario, o Rosarito, che di anni ne aveva sei e non sapeva ancora di essere il frutto di quella relazione scandalosa e tormentata.
La bambina era troppo piccola, troppo fragile, per conoscere la verità; ma una cosa la sapeva d’istinto: quel sordo
– così maman chiamava l’amante quando ce l’aveva con lui – era burbero e lesinava attenzioni, però le voleva bene. Glielo leggeva negli occhi e nel sorriso che gl’increspava la bocca ogni volta che la guardava. E lei di quel sentimento inespresso, quasi segreto, era certa con la certezza disarmata dei bambini.
Ciò che Rosarito non sapeva ancora era che lei, il fratello e la madre avevano un nemico tenace nell’unico figlio di Goya, Javier; il quale, pur essendo beneficiario di un testamento irrevocabile del padre, temeva che il proprio figlio Mariano, di otto anni più grande della bambina, perdesse rendite e ricchezze a lui destinate.
Ma per fortuna Javier e Mariano vivevano a Saragozza e non era che si facessero vedere troppo spesso a Madrid.
3. IL CANE
Quinta del Sordo
3 aprile 1819
Era notte. Rosarito e Guillermo dormivano nella stessa stanza, in due letti separati. Guillermo dal lato della finestra, la sorella da quello del corridoio.
Quando la casa era silenziosa,