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L'ultima resa
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E-book489 pagine6 ore

L'ultima resa

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Info su questo ebook

Aethan, un immortale guardiano della razza umana, vaga solitario da millenni, intrappolato nel proprio inferno personale, finché una focosa mortale non incrocia il suo cammino. Una donna determinata a sfidare il pericolo e che lui non dovrebbe nemmeno guardare, ma che riesce a sconvolgere le precarie fondamenta della sua esistenza. Per tutta la sua vita, Echo Carter non ha desiderato altro che essere “normale”; qualcosa di impossibile dato che è in grado di vedere i demoni. Dopo essere tornata tra i vicoli di New York, è più decisa che mai a dare la caccia al responsabile della morte di una sua amica. Nessun uomo, non importa quanto sexy possa essere, la fermerà. Questo è ciò che crede finché non scopre una terribile verità
sul suo conto, che la costringerà a rivolgersi all'unico uomo che dovrebbe evitare: Aethan. Tuttavia, quando due personalità così testarde si scontrano, è inevitabile che scoppi una passione pericolosa… Man mano che il male avanza, Aethan dovrà affrontare le sue paure più profonde e rivendicare il suo possesso su Echo.
Se non lo farà, potrebbe perderla, condannandola a un ancor più infausto destino.
LinguaItaliano
Data di uscita24 apr 2019
ISBN9788855310062
L'ultima resa

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    Anteprima del libro

    L'ultima resa - Georgia Lyn Hunter

    Georgia Lyn Hunter

    L'ultima resa

    Serie Fallen Guardian Vol. 1

    1

    Titolo: L'ultima resa - Serie Fallen Guardian Vol. 1

    Autrice:  Georgia Lyn Hunter

    Copyright © 2019 Hope Edizioni

    Copyright © 2013 Georgia Lyn Hunter

    ISBN: 9788855310062

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    Progetto grafico di copertina a cura di FranLu

    Immagini su licenza Bigstock.com

    Fotografi: ArtOfPhoto, sergio34 e Standret

    Traduttrice: Alice Arcoleo

    Impaginazione digitale: Cristina Ciani

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale. 

    Nessuna parte della presente pubblicazione può essere riprodotta, archiviata o introdotta in un sistema di ricerca, o trasmessa in qualunque forma e con qualunque mezzo (elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro) senza previa autorizzazione scritta dal detentore del copyright del presente libro.

    Questo libro è riservato a un pubblico adulto. Contiene linguaggio e scene di sesso espliciti. Non è adatto a lettori di età inferiore ai 18 anni. Ci si rimette alla discrezionalità del lettore.

    Tutti i diritti riservati.

    Indice

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    Epilogo

    Glossario

    Ringraziamenti

    Biografia

    Altri lavori della stessa autrice

    Hope edizioni

    Ai miei fantastici genitori, 

    George e Ann.

    Avete sempre creduto in me, 

    permettendomi di vivere il mio sogno.

    1

    1

    Morte.

    Era inevitabile.

    Nessuno poteva sfuggirle.

    Le due anime tormentate che Aethan aveva seguito non avevano avuto molte occasioni per godersi la vita, e il debole odore di zolfo che emettevano si stava velocemente disperdendo nella fredda aria della notte.

    Con una velocità sovraumana, Aethan abbandonò le strade affollate, attraversò uno squallido vicolo nel Lower East Side e si fermò di colpo. Nonostante il forte odore di carcasse in decomposizione che proveniva dai bidoni della spazzatura ammassati su un lato, la puzza pungente di zolfo colpì i suoi sensi più sviluppati.

    Strinse gli occhi e osservò il vicolo. Lì, nascosti dalle ombre degli edifici che si ergevano con aria minacciosa trovò i due, che stavano cercando di trascinare via una donna in lacrime.

    I demonii erano una minaccia per la razza umana, perché avevano bisogno della vitalità dei mortali per sostenere i loro corpi in putrefazione.

    In quel momento, Aethan era guidato dal bisogno di lottare.

    Si avvicinò, spinto da un senso di trepidazione. «Lasciatela andare.»

    La coppia si voltò. I loro occhi erano velati dalle lenti. Si tolsero gli occhiali da sole e le loro inquietanti iridi rosse brillarono nell’oscurità.

    Come se quello potesse spaventarlo.

    La donna li fissò, poi spostò lo sguardo su Aethan e un urlo assordante riecheggiò per il vicolo. Non poteva biasimarla per averlo confuso con uno di quei parassiti. Probabilmente, con i suoi abiti neri e la sua statura, aveva un’aria da assassino molto più dei due esseri che, senza dubbio, l’avevano sedotta e convinta a seguirli con i loro faccini da bravi ragazzi. 

    Il biondo le sferrò un pugno sulla mascella, facendole perdere i sensi. Sogghignando, sfiorò con i canini il collo della donna. «Stai indietro, o la ucciderò.»

    Pensavano di intimidirlo? Quei figli di puttana non si ingozzavano solo di anime, ma anche di sangue, a giudicare dalla lunghezza dei loro canini.

    «Le squarcerò la giugulare prima che tu possa anche solo avvicinarti» disse lo stronzo biondo. «Non c’è molto che puoi fare, Guardiano.»

    «Che peccato. Per quanto tempo la sua anima vi manterrà in forze?» gli chiese. «La mia è più forte. E duratura.» Sollevò le mani per far vedere che era disarmato.

    Gli occhi dei demonii si strinsero in due fessure. Poteva quasi vedere le rotelline del loro cervello che giravano per trovare un modo veloce per ucciderlo e ottenere l’ambito premio. Che idioti.

    Lo sguardo del demonium dai capelli scuri si posò sulla cintura di Aethan. «Il pugnale. Lancialo verso di noi. E tira fuori anche il resto che hai nelle tasche.»

    Stringendosi nelle spalle, Aethan lanciò il pugnale di ossidiana sull’asfalto lurido vicino ai piedi dei demonii. Poi svuotò la tasca, che conteneva alcune gomme da masticare.

    Il biondo scoppiò a ridere, scalciando via il pugnale con un piede. Allontanò la donna, fece un cenno al suo compare ed entrambi i due si buttarono verso di lui come proiettili. Schivando l’attacco si scagliò contro di loro, colpendone uno alla mascella con un pugno. Con un calcio rotante, scaraventò il secondo contro la parete.

    Un missile infuocato sibilò accanto al suo viso e lui saltò indietro. Merda, troppo vicino. Tanto valeva stendersi e lasciare che prendessero la sua anima se doveva essere colpito dal fulmine di un demonium.

    «Non sei più tanto coraggioso adesso?» Il tipo dai capelli scuri avanzò verso di lui, e un ghigno soddisfatto comparve sul suo volto per la facilità con cui avevano accerchiato un Guardiano. La mano di quel parassita ondeggiò, derubando la terra di tutte le sue energie per trasformarle in armi letali. Quegli stronzi potevano anche aver perso le loro abilità dopo la loro vera morte, ma avevano trovato un modo per compensare.

    Erano un pericolo. Peccato che non combattessero lealmente. Si era quasi convinto a concedergli qualche minuto in più di vita. Ordinò alla sua ossidiana di tornare da lui e, con uno scatto, colpì al petto l’uomo dai capelli scuri. Un ringhio rimbombò per il vicolo.

    Aethan invocò l’arma mistica tatuata sui suoi bicipiti. Il tatuaggio si mosse e il Guardiano sentì un pizzicore lungo il braccio. Non appena balzò verso il biondo, una spada di ossidiana di due metri gli apparve nella mano. Si voltò, e la lama emise un ronzio quando formò un arco e decapitò il demonium pronto a fuggire. In pochi istanti, il corpo si disintegrò. I resti collosi e neri rimasero solamente un secondo prima di scomparire. Non si preoccupò di guardare il demonium ferito, consapevole che se la fosse ormai data a gambe.

    Aethan lasciò luccicare la sua spada e la nascose di nuovo sul braccio. Raccolse il pugnale e si avvicinò alla donna dai capelli castani distesa sulla strada. Accovacciandosi al suo fianco, ne controllò le condizioni. Sembrava stare bene, a parte il lieve livido sulla mascella.

    Cercò delle vibrazioni. No. Niente. Nemmeno una scintilla. Non possedeva le abilità di pira e brina che cercava da settimane. Aveva sperato che lei fosse quella giusta, così avrebbe chiuso con quel maledetto lavoro. Cancellandole i ricordi dell’ultima ora, la risvegliò e la spinse ad andare via.

    Dei brevi squarci di luce illuminavano il triste vicolo, rivelandone le pareti lerce. Si alzò e rimise il pugnale nella cintura. Avvertì un pizzicore sulla spalla per la ferita subita durante lo scontro con i demonii della sera precedente.

    Tornò verso la strada principale. In lontananza, di fronte al Club Anarchy, vide la sagoma familiare del suo compagno Guardiano. I capelli pallidi di Týr sembravano seta sotto le luci della strada. Era un combattente affascinante, ma era letale come la spada tatuata sul suo bicipite.

    Týr una volta faceva parte delle divinità del pantheon Norreno, e adesso l’ira contro i demoni e contro i loro confratelli mutati, i demonii, era tutto ciò che lo faceva andare avanti. Nessuno poteva biasimarlo, dato che una volta era stato alla loro mercé, imprigionato per secoli nelle profondità più recondite del Tartaro. A giudicare dal modo in cui la popolazione femminile bloccava il suo cammino e dal ghigno compiaciuto sul suo volto, doveva aver trovato un modo per placare i suoi incubi.

    A differenza di lui. Non importava quanti demonii Aethan uccidesse per proteggere i mortali, i suoi incubi non smettevano mai di tormentarlo. Gli bastava solo pensarli per frantumare gli scudi protettivi del suo potere.

    «A’than!» Quel sussurro infantile gli spezzò il cuore. Si bloccò mentre delle immagini occuparono la sua mente. Il terreno era intriso di sangue... c’era così tanto sangue.

    Urias. Lottò per scacciare quei ricordi, ma non poté fare molto per il dolore che lo stava distruggendo da dentro, nonostante fossero trascorsi secoli. Non esisteva un interruttore per spegnerlo.

    Inspirando, si strinse il naso tra le dita.

    «Tutto bene, amico?»

    Merda. Nessuno dovrebbe riuscire a coglierlo di sorpresa in quel modo. Abbassò la mano e trovò Týr accanto a lui. «Sì, sto bene.» Ignorò lo sguardo penetrante di Týr, e continuò a camminare. «Novità sulla veggente che Michael ci ha ordinato di trovare?»

    Non appena sentì nominare il suo ultimo incarico, Týr infilò le mani nelle tasche dei pantaloni di pelle. «Controllare tutte le donne della città per verificare che abbiano dei poteri di pira e brina non è esattamente la mia idea di divertimento, anche se alcune sono molto allettanti.»

    «Già. Le preferisci distese sulla schiena.»

    «Non solo così. Contro una parete, piegate. Sono un tipo flessibile. O dovrei dire che di solito sono loro a esserlo.» Un ghigno comparve sul volto di Týr. Girò attorno a una pozzanghera sospetta. «Ad ogni modo, perché una femmina con il potere del fuoco e del ghiaccio dovrebbe essere così importante?»

    «Non ne ho idea. Magari vuole solo impedire che bruci la città.»

    «Michael è troppo abbottonato quando si tratta di stronzate simili. Con chi cazzo dovremmo parlarne? Con i demoni?»

    Aethan scrollò le spalle. Non gli interessava molto dell’ultimo incarico che gli avevano rifilato. Stare tra le donne mortali non era in cima alla lista delle sue cose da fare. «Probabilmente sta cercando di fermare qualche profezia ed evitare che avvenga un disastro. È la prima volta che ci ha dato un incarico...»

    «… senza il solito incontro di presentazione» concluse Týr, restringendo gli occhi come se stesse riflettendo sulle sue parole. «Una profezia? Maledizione! Avrebbe senso, no?»

    Delle risate provenienti dalle pareti del Club Anarchy ricoperte da graffiti ormai sbiaditi catturarono l’attenzione di Aethan. Nelle prime ore della notte i locali popolari tra i mortali e i demoni pullulavano di gente pronta a fare bisboccia. Ancora, sotto l’olezzo della spazzatura, l’odore debole di zolfo lo raggiunse. Avrebbe potuto seguirlo fino alla fonte senza alcun problema, ma dato che proveniva da demoni Otium in attesa di entrare nel locale, non si disturbò. Alcuni di loro avevano scelto di vivere tra gli umani, preferendo una vita più tranquilla, a differenza dei demonii, che bazzicavano nei locali alla ricerca della loro prossima preda.

    «Umani» mormorò. «Non capisco come possano essere affascinati dal pericolo.»

    «Non li ho mai compresi» concordò Týr. «Ma le femmine sono una gran bella tentazione.» Lanciò ad Aethan un sorrisetto compiaciuto che non raggiunse i suoi occhi. «Ne hai bisogno per rilassarti un po’, vero? Di’ soltanto una parola, e ti coprirò per la ronda.»

    «Sto bene.»

    «Certo, come no» enfatizzò le ultime parole.

    Aethan si trattenne dal rispondere. Non aveva bisogno che qualcuno gli ricordasse che fosse arrivato al limite e, ancora peggio, che Týr lo notasse. Anche se adesso aveva pieno controllo sui poteri, non poteva dire lo stesso della sua irrequietezza. Una strana sensazione lo tormentava da giorni, e non aveva idea di che cosa si trattasse.

    Infilando le mani nelle tasche del cappotto, si rese conto di aver gettato la gomma da masticare. Maledizione. Si sgranchì le spalle tese, sentendo risorgere il dolore. Lo scontro di prima non aveva fatto molto per attenuare il potere che gli aveva invaso il corpo. Un ricordo costante del perché non avrebbe mai potuto sfuggire al suo destino. Una crepa nei suoi scudi da veggente e non solo avrebbe raso al suolo l’intera isola di Manhattan, ma avrebbe cancellato anche i suoi abitanti. Non gli piaceva pensarlo.

    «Non ti capisco, Empyreo.» Týr sfilò un pacchetto di M&M’s dalla tasca della sua giacca e ne versò un po’ sul palmo della mano, selezionando alcuni colori. «Che cosa c’è di sbagliato negli esseri umani? Trovati una femmina. Abbassa il livello dei tuoi poteri. È fottutamente più divertente che continuare a scappare riducendo i tuoi piedi a dei monconi.»

    Forse. Ma un’altra sconosciuta? Un altro round di sesso senza sentimento? Gli venne la nausea a quel pensiero. Molto meglio i monconi.

    Una limousine si fermò davanti al locale. Non appena le portiere si aprirono, riecheggiò un brusio di voci seguito da musica e risate. Uomini e donne scesero dall’auto con movimenti sgraziati, accompagnati da una folata di polvere bianca che stuzzicò le narici di Aethan.

    Týr mise in bocca le praline gialle, concentrandosi sui chiassosi umani. «Rendono vita facile ai demoni che li cacciano.»

    Aethan si voltò, trovando una femmina che gli bloccava la strada.

    La osservò. Era un invito ai piaceri più oscuri. Aveva dei seni abbondanti a malapena coperti da un top di pelle striminzito abbinato a una gonna inguinale e a un lungo cappotto, lasciato aperto. I lunghi capelli rossi le incorniciavano il viso con ciocche disordinate. Sulle sue labbra aleggiava un sorriso sensuale e, sotto il trucco, i suoi occhi blu lo fissavano con interesse.

    «A quanto pare non puoi nascondere la tua aurea angelica.» Il commento di Týr gli risuonò fastidioso nella testa. Quel bastardo si stava divertendo.

    Dato che era un Empyreo, Aethan non poteva fare nulla a proposito del proprio aspetto. Tuttavia, se il fascino angelico che caratterizzava la sua specie fosse emerso completamente, gli umani non sarebbero riusciti a resistergli. E il solo pensiero fece contrarre i suoi poteri. Non rappresentava il concetto di angelo che conoscevano gli umani. Cavolo, non aveva nemmeno le ali, quindi perché era maledetto con tutte queste cazzate?

    «Ti racconterò un segreto.» La donna sollevò i suoi occhi sensuali su di lui. «Posso vedere il futuro. È la tua sera fortunata, bellissimo.» La sua voce roca si alzò di un’ottava. Si avvicinò e gli accarezzò lentamente il petto. Spostò lo sguardo sull’uomo divertito al suo fianco, e il sorriso le divenne più grande. «Oppure potremmo andare tutti da qualche altra parte...»

    Aethan ignorò il suo profumo di pura lussuria e serrò la mascella. Questo non gli impedì di esaminarla alla ricerca di qualche vibrazione soprannaturale. Tuttavia, non trovò niente.

    «Fidati, non mi desideri.» A meno che tu non voglia morire.

    Allontanò la sua mano dal cappotto e le girò attorno. Il verso di sorpresa che la donna emise di fronte a quel rifiuto lo seguì, mentre si dirigeva verso la strada. Queste donne non avevano idea di quanto fosse pericoloso. Sarebbe stato meglio per loro infilare le dita in una presa invece di credere che lui potesse dare loro quello che desideravano.

    «Sei un cocciuto bastardo.» La risata di Týr gli colpì le spalle. «Se dipendesse da me, sceglierei la soluzione più piacevole.» Schioccò un’occhiata veloce alla rossa. «Scoparsela sarebbe stato grandioso. Era anche disposta a farsi entrambi. Diamine, sai benissimo che potresti usare il tuo scudo se hai paura di farle del male, e saremmo tutti a posto. Ma sei troppo egoista per condividere.»

    Paura di farle del male? Týr non aveva idea di che cosa fosse capace… non conosceva la ragione per cui non avrebbe mai potuto avere un’amante umana. Inoltre, la sua natura possessiva erano solamente affari suoi.

    Aethan sollevò di nuovo la spalla ferita e rigida, cercando di alleviare il dolore, e poi si fermò. Un gruppo di giovani teppisti con piercing sulle labbra e dall’aria minacciosa gli bloccò la strada.

    Mantenendo un’espressione impassibile, li fissò anche lui.

    «Sicuri di volervi scontrare con noi?» Týr con calma scambiò le M&M’s con il pugnale di ossidiana. Non appena videro la lama, i ragazzini abbassarono la cresta e scapparono via come dei ratti. «Insopportabili teppistelli» mormorò Týr, rimettendo a posto il pugnale. «Allora, andrai da Lila?»

    «Perché dovrei?»

    «Smettila di cazzeggiare, bello. Vai da Lila e pensa a sistemare quella cazzo di spalla. Non puoi ignorare qualcosa di così pericoloso...»

    «Sto bene.»

    «Beh, allora… buono a sapersi.» Týr gli diede una pacca sulla spalla. Una molto forte.

    «Maledizione!» esclamò Aethan con voce roca mentre una fitta di dolore lo attraversava. «Dovrei dare fuoco al tuo fottuto culo!»

    Nonostante le loro abilità di autoguarigione, i danni causati dai poteri dei demonii non erano semplici da curare. Lila, un oracolo del Village, era l’unica in grado di guarire certe ferite con le sue pozioni in grado di estirpare il male.

    Týr scoppiò a ridere e scosse il capo. Estrasse un berretto dalla tasca della giacca e si coprì i capelli chiari. «Va’ da Lila, bello, o diventerai un fottuto GPS ambulante per quei demonii testa di cazzo…» Si interruppe, e gli occhi divennero due fessure. «Abbiamo compagnia.»

    Grazie ai sensi sviluppati, Aethan percepì una folata di ghiaccio sulla pelle. Sentì l’odore familiare di malvagità in putrefazione che aleggiava attorno al demonium ferito che gli era sfuggito prima. 

    Era ora di finirla. «Ci penso io. Ci vediamo dopo.»

    Si diresse verso una porta incassata e si dematerializzò.

    ***

    Echo Carter si strinse le braccia attorno alla vita e fece avanti e indietro sul gradino più alto di fronte alla cattedrale ben illuminata, cercando di riscaldarsi mentre aspettava Kira. La pungente brezza marina le colpì le narici mentre rifletteva se tornare in auto e mettere al massimo il riscaldamento. Restare in trappola in un’auto per mezz’ora? Non grazie. Preferiva di gran lunga il freddo. La aiutava ad alleviare il dolore insopportabile alle tempie.

    Dopo la notte insonne, aveva la mente confusa e pesante. Sogni che non le andava di ricordare la stavano tormentando, così si concentrò su un rimorchiatore che si muoveva fluido sulle sinistre acque dell’East River. Una scia luminosa attraversò i cieli bui, avvolgendo tutto per pochi secondi in una portentosa luce argentea. 

    Il vento della notte le si infiltrò sotto la giacca di jeans e il maglione, come se fosse una carezza di ghiaccio. Si allacciò i bottoni fino al collo e infilò le mani in tasca. Strinse tra le dita le due pietre che portava sempre con sé come talismani e lasciò che il loro calore la avvolgesse. Tuttavia, non fu abbastanza. Aveva davvero bisogno di una distrazione per schiarirsi la testa e scacciare il freddo.

    Il suo cellulare squillò. Lo estrasse subito dalla tasca e si sedette sullo zaino per evitare i gradini di cemento troppo freddi. Era un messaggio di Damon. 

    Sono via per affari. Chiedi a Kira di stare con te. Sai il perché. Chiamami se hai bisogno.

    P.S. Non fare niente di stupido.

    Sbuffò. Tutti avevano incubi. Non significava che lei avesse bisogno di una babysitter. Comunque, il post scriptum di Damon non cambiava mai, anche se i messaggi erano diversi. Dal modo in cui il suo guardiano la controllava, qualcuno avrebbe potuto pensare che fosse una tredicenne e non una ragazza di ventiquattro anni che viveva da sola.

    Tuttavia, non poteva biasimarlo. Tutto ciò che le importava era trovare l’assassino di Tamsyn e uccidere quel figlio di puttana. Doveva riferirsi a quello con niente di stupido. Alzò gli occhi al cielo.

    La sua attenzione venne catturata da un uomo che si era appena fermato sotto di lei. Era di statura media, rappresentava il maschio perfetto, carnagione abbronzata, capelli scuri e mossi, mascella scolpita. Lenti scure gli coprivano gli occhi.

    Lo sconosciuto la fissò, regalandole un sorriso. Beh, era stata lei a chiedere una distrazione. Rimettendo il cellulare in tasca, si alzò. Avrebbe sistemato tutto prima del ritorno di Kira, e conosceva un posto perfetto per quel piccolo rendez-vous. Ondeggiando i fianchi in modo sensuale e disinvolto, si voltò e gli lanciò un’occhiata carica di significato da oltre la spalla, quindi si diresse verso il retro della cattedrale.

    Lui la seguì.

    Era ovvio. Lo facevano sempre.

    Iniziò a sbottonare la giacca non appena girato l’angolo, raggiungendo il retro dell’edificio, e si diresse alla nicchia dove si trovava la statua di un angelo con delle ali imponenti. L’uomo la afferrò da dietro e la sbatté contro le pareti della cattedrale. Lei ansimò, e una fitta si propagò dal braccio fino alla spalla. Si girò e fu travolta dall’odore acre dello zolfo. Sentì la bile in gola, e capì di che cosa si trattasse.

    «Ah, piccola mortale. È un bene che tu abbia scelto questo posto…» L’essere si bloccò e aggrottò la fronte, palesemente confuso, avvicinandosi per annusarla.

    Oh, sì, i suoi feromoni maledetti le erano sempre d’aiuto. Cancellavano le sue tracce e le davano il vantaggio cruciale di cui aveva bisogno. Il fango nero che le aveva ricoperto le mani mentre cercava di allontanare il demonium la avvertì che era ferito.

    «Hai un odore diverso. Devo assaggiarti» biascicò. Qualcosa di bagnato e ruvido le scivolò sul collo. Merda! La saliva viscida sulla sua pelle le diede la nausea, ma non poteva permettere che la distraesse. Quando quella bocca puzzolente avrebbe reclamato la sua, sarebbe morta.

    No, non sarebbe successo. Non aveva intenzione di morire per mano di questa feccia.

    «È un peccato che debba finire così presto.» Un sorriso malefico gli contorse il volto, rivelando dei canini appuntiti. «La tua luce è mia.»

    Era quello che credeva.

    «Se la vuoi, vieni a prenderla.» Quelle parole familiari le scivolarono dalle labbra. Maledizione. Doveva smetterla di guardare Il Signore degli Anelli. Ma Aragorn era così…

    Ah! Prima uccidere, e poi pensare a quanto sia sexy Aragorn. Gli diede un calcio all’inguine, allontanandolo da lei. Si voltò, allungò la gamba in una mossa rapida e lo colpì, facendogli perdere l’equilibrio e cadere a terra. Pronto a quella che avrebbe dovuto essere un’uccisione come le altre, il demonium scattò in piedi. Mise da parte le lenti scure e i suoi occhi rossi bruciarono di rabbia.

    «Prosciugherò ogni goccia del tuo sangue prima di privarti della tua anima!»

    «Premesse, promesse» lo provocò.

    Si avvicinò a lei. Echo strinse il suo pugnale e avanzò. Si abbassò con uno scatto e gli infilzò la lama nello sterno. Il demonium cadde in ginocchio, spalancando gli occhi per la sorpresa.

    «Non te lo aspettavi, vero?» Un glorioso senso di vendetta la avvolse quando lo afferrò dai capelli e lo sgozzò, tagliandogli la carotide. Sangue, nero e denso, gli sgorgò dalla gola.

    Inspirando, lasciò cadere il cadavere. Era delusa. Quel mostro non aveva ucciso Tamsyn. La puzza di zolfo che adesso le impregnava la pelle non conteneva il dolce odore di vaniglia che stava cercando. Non importava. Significava che adesso c’era un mostro in meno a infestare le strade e a rubare le anime degli innocenti.

    Il corpo si decompose e svanì in pochi secondi. Non rimase alcun segno di quella creatura. Anche il liquido oleoso sulla lama scomparve e, proprio in quel momento, un brivido la attraversò. I capelli della sua nuca si drizzarono. Oh, diamine. Ce ne sono altri.

    Guidata dal puro istinto di sopravvivenza, Echo si mise in posizione difensiva, la sua lama trovò quella del nemico, ossidiana contro ossidiana. Il suono dei pugnali che si scontravano riecheggiò nel giardino deserto della cattedrale. Il potere del colpo si propagò dalla sua mano alla spalla ferita. Una fitta la attraversò, ma lei non smise di lottare.

    Attaccò, e l’altro rispose.

    Questo tipo era troppo forte, troppo astuto. Provò a lanciarsi contro di lui, ma l’essere la afferrò con una mossa che le fece girare la testa e la imprigionò contro una montagna di muscoli con una stretta di ferro. Impiegò un secondo per rendersi conto che lo sconosciuto non aveva intenzione di disarmarla o farle del male. L’aveva protetta dal suo stesso attacco. 

    Infastidita, gli lanciò un’occhiataccia. Lo sguardo di lui che la fissava dall’alto dei loro pugnali incrociati la travolse come un colpo allo stomaco. Indietreggiò, cercando di respirare. Selvaggio come una tempesta e rude come il peccato, il suo profumo la circondò. Sbatté le palpebre, sicura che la visione di fronte a lei fosse solo frutto della sua mente stanca. 

    Era molto alto, quasi due metri. Il suo cappotto, nero e lungo, era aperto, rivelando delle gambe muscolose fasciate da pantaloni di pelle. Tutto quel nero era perfetto per un viso così pericolosamente stupendo. La curva precisa e sensuale delle labbra e l’espressione concentrata mentre la studiava, le dissero che conosceva ogni piacere carnale esistente.

    Un brivido le percorse la schiena, ma lo scacciò.

    La brezza gli fece fluttuare i capelli, rivelando dei cerchi d’argento alle orecchie. I suoi capelli… non aveva mai visto niente di simile. Sembrava che la natura li avesse dipinti di ogni sfumatura di blu per poi completare l’opera con un tocco di ebano su alcune ciocche.

    L’aria attorno a lui si mosse. Emanava potere in ondate aggressive, ma erano i suoi occhi a incantarla, iridi grigie con delle screziature bianche, un avvertimento a non attaccarlo di nuovo.

    Oh, Mr. Goth poteva inviare tutti i segnali che voleva. Lei non era un tipo facile da intimidire.

    «Chi diavolo sei?» sbottò.

    2

    1

    Echo strinse la presa sul pugnale, pronta alla lotta, tenendo lo sguardo fisso sullo sconosciuto dall’aria minacciosa.

    «Non ho intenzione di farti del male.»

    Il tono della sua voce la fece sussultare. Sembrava quasi il rombo di un tuono e le accarezzò i sensi. Un’ondata di calore la travolse. Stava cercando di sedurla affinché gli concedesse tutto quello che desiderava? Di sicuro era sul punto di riuscirci.

    Fissò il pugnale di ossidiana che lui stringeva nella mano. «Sì, come no.»

    L’uomo sembrò raggelare alle sue parole. Poi si rilassò e infilò il pugnale nella cintura.

    Doveva fare lo stesso? Gli dispiaceva per lui. Lo salutò agitando il pugnale. «Bene. Adesso togliti dalle palle.»

    Le sembrò di vedere qualcosa agitare quelle profonde pozze grigie. Fastidio? Divertimento? Non ne era sicura, non avrebbe potuto esserlo mai, dato che la sua faccia era rigida come il granito.

    Fece un cenno con il capo verso il punto in cui lei aveva ucciso il demonium. «Dobbiamo parlarne.»

    Echo inarcò un sopracciglio. Sul serio? Non le importava quanto fosse sexy la sua voce, con un lieve accento che non seppe riconoscere se non come intrigante. Se credeva, anche per un solo secondo, che gli avrebbe raccontato come avesse fatto a vedere i demonii, o come avesse ucciso quel mostro, allora avrebbe avuto una bella delusione. La gente la reputava stramba e, per qualche folle motivo, non voleva che anche lui la credesse tale.

    «Non credo proprio.» Gli girò attorno, passò davanti a una panchina di pietra e, proprio mentre stava riponendo il pugnale, lui le afferrò il braccio coperto dalla giacca jeans. Il suo tocco le diede una scossa, che la turbò.

    «Non era una richiesta.»

    «Non mi importa. Adesso lasciami andare.»

    Ignorando le sue proteste, la scrutò in viso con occhi penetranti. «Deve essere una caratteristica dei mortali, ficcare il naso in questioni che non li riguardano.»

    «Una caratteristica dei mortali?» Indignata, si allontanò da lui di scatto e si scontrò con qualcosa di duro. La panchina, dannazione! Se n’era totalmente dimenticata. Solo grazie ai propri riflessi riuscì a non cadere col sedere a terra. Oltre al fatto che lui l’avesse afferrata per un braccio. Si liberò e inspirò a fondo, e venne colpita dal suo profumo selvaggio e fresco.

    Spostò gli occhi su di lui. Era troppo vicino. Non poteva muoversi, a meno che non volesse arrampicarsi su di lui. Per quanto fosse allettante, non era una buona idea, dato che gli ormoni le avevano ucciso il buon senso e stavano sventolando bandiera bianca in segno di resa.

    Seguendo l’istinto, balzò sulla panchina per mettere un po’ di distanza tra di loro, e si ritrovò intrappolata sulla seduta, circondata su tre lati da arbusti e con lui le stava davanti.

    «E hai anche un bel caratterino.»

    Basta! Strinse il pugno e provò a colpirlo.

    Più rapido di un serpente a sognagli, le afferrò il polso, senza fare troppa pressione, nonostante avesse una presa di ferro. «Non lo farei, se fossi in te. Se mi colpirai, otterrai più di ciò che desideri. Fidati, non vuoi farlo.»

    Echo contò fino a dieci, ma quelle stronzate per rilassarsi non funzionavano mai con lei. Impiegò un momento prima di costringere se stessa ad aprire il pugno.

    «Bene.»

    Dopo averlo sentito mormorare qualcosa in segno di approvazione, Echo si liberò dalla sua stretta; sentire quelle mani su di lei la metteva a disagio, ma erano le sue parole a turbarla maggiormente e a un livello più profondo. Come il suo sguardo oscuro.

    Se mi colpirai, otterrai più di ciò che desideri.

    Che diavolo significava? Le faceva pensare a lenzuola disfatte, la sua pelle stupenda e abbronzata contro la propria…

    Aveva perso la testa.

    Non andava bene. Per niente.

    Ancora a disagio, Echo infilò le mani nelle tasche del giubbotto. Non appena toccò le pietre, iniziò a tranquillizzarsi, e le divenne subito chiaro di aver commesso una serie incredibile di sbagli.

    Tanto per cominciare, perché era saltata su quella stupida panchina? Adesso era bloccata su quell’affare, con il viso a pochi centimetri da questo esasperante e stupendo uomo che la stava facendo comportare come un’idiota.

    ***

    Aethan si sentiva un cretino.

    Mentre scrutava la femmina davanti a lui, decise che dovevano essere state quelle maledette saette che gli sfrecciavano sopra la testa a mandargli in corto circuito il cervello.

    I suoi capelli corti, mossi e neri come le ali di un corvo, andavano in tutte le direzioni. Dei ciuffi troppo lunghi le ricadevano sugli occhi. Non aveva mai visto un taglio così terribile su una donna, tuttavia, era perfetto per i suoi lineamenti spigolosi e dorati. A giudicare dalla sua carnagione abbronzata, doveva appartenere a un mix di etnie.

    Mentre la osservava, un’espressione infastidita comparve sul volto della ragazza.

    Per una frazione di secondo, provò lo straordinario impulso di assaggiarla. Sfiorò con le nocche la fossetta sul suo mento e lei spalancò gli occhi.

    Per tutte le divinità. Cercò di scacciare quel desiderio inaspettato e abbassò la mano. Non molti riuscivano a coglierlo alla sprovvista, e soprattutto non un’umana suscettibile. Doveva essere stata lei a fare fuori quel demonium. Era arrivato solamente qualche minuto dopo quel bastardo, e lei lo aveva steso… lo aveva ucciso. A che diavolo stava pensando? Un solo passo falso e quel mostro avrebbe posto fine alla sua vita. 

    Le osservò le gambe coperte dai jeans, posando lo sguardo sui consumati stivali di pelle. Il maglione rosso scuro che indossava sotto la giacca non riusciva a nascondere le curve sensuali. Era troppo delicata per un passatempo così pericoloso. Qualcuno doveva farle notare i rischi del suo comportamento sconsiderato. E lui era più che disposto a farlo.

    Aethan eliminò la distanza che li separava, e il suo profumo delicato di more esposte al sole lo travolse, intossicandolo. Lei indietreggiò di scatto, ma, dato che era intrappolata su quella panchina, non aveva via di fuga. Così si accontentò di trafiggerlo con lo sguardo.

    Era un’ingenua a credere che potesse funzionare.

    «Ti ficcherai nei pasticci con il tuo piccolo hobby.»

    «Non hai idea di quello che stai dicendo.» Con mano impaziente, si scostò i capelli dagli occhi, rivelando una cicatrice a forma di stella sopra il sopracciglio sinistro.

    Non le andava di parlare?

    «Okay, faremo a modo tuo. Quando sarai pronta.» Incrociò le braccia al petto e restò in attesa, ignorando il dolore alla spalla. Non riusciva a leggerle la mente. I suoi pensieri erano protetti da una barriera di ferro. Comunque, non importava, perché nessuno poteva batterlo al gioco di chi sa aspettare di più. Inoltre, di solito otteneva ciò che desiderava.

    «Non puoi tenermi qui contro il mio volere.»

    «Non lo sto facendo. Hai scelto tu di salire qua sopra. Io voglio solo delle risposte.»

    La ragazza, chiaramente frustrata da quella situazione, emise un ringhio gutturale.

    Quella reazione lo fece sorridere.

    Niente nella sua lunga vita lo aveva preparato alle sensazioni che stava provando. Il sangue gli vibrava nelle vene, correva nella testa, mentre affrontava una femmina che lo stava sconvolgendo come nessun’altra prima d’ora. Sapeva che stava andando incontro a un disastro, tuttavia, decise di restare lo stesso. Era incuriosito. Era come una sfida per lui.

    Il vento si alzò, sollevando le foglie cadute attorno a loro, e le scombinò i capelli. I suoi occhi castani ardevano per il nervosismo. Qualcosa nello sguardo di lei catturò la sua attenzione, ma prima che potesse stabilire di che cosa si trattasse, lei si voltò.

    «Hai ucciso qualcuno» le disse.

    «Davvero? Provalo. Inoltre, chi sei, il Poliziotto delle Tenebre?» Scese dalla panchina, scavalcando lo schienale, e gli passò accanto, lasciando una scia del suo inebriante profumo.

    Il Poliziotto delle Tenebre? Quelle parole lo bloccarono per un momento, poi la realtà gli piombò addosso, facendogli ritrovare la ragione. Urias. Cosa diavolo stava facendo, perdeva attimi preziosi giocando al suo gioco? Se era lei la donna che stavano cercando, doveva trovare un modo per scoprire quali fossero le sue abilità. Con il suo atteggiamento sprezzante, non avrebbe avuto molta fortuna a farle ammettere la verità sui suoi poteri né a spingerla a confessare in che modo avesse ucciso il demonium. Non erano molti gli umani che potevano far fuori quei figli di puttana, e soprattutto non una femmina vulnerabile come lei.

    Tornò a concentrarsi sulla missione e la seguì, sfiorandole di proposito la schiena. Lei gli girò attorno, lanciandogli un’occhiataccia esasperata, poi sgattaiolò via, mormorando qualcosa a proposito dei maledetti feromoni che erano la sua rovina.

    Aethan non si scusò per le sue azioni. Strinse le dita attorno all’arma della ragazza. Se quello era l’unico modo per parlarle, allora

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