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Nopalgarth
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E-book162 pagine1 ora

Nopalgarth

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Fantascienza - romanzo (130 pagine) - Dal grande Jack Vance, per la prima volta in italiano, una storia paranoica e terrificante nello stile di "Ai confini della realtà"


Sul pianeta Ixax la guerra si è appena conclusa, ed è stata un immane disastro. La superficie è ridotta a cumuli di rovine e quel poco che resta della popolazione vive in città sotterranee. Ma non è finita, ora resta la sfida più grande: affrontare i veri nemici, gli esseri sfuggenti e incomprensibili chiamati Nopal, attaccandoli sul loro stesso pianeta d'origine, Nopalgarth. Ma è una battaglia che gli abitanti di Ixax non possono combattere direttamente: qualcun altro dovrà farlo per loro, un alieno proveniente da quel pianeta che la sua specie chiama Terra.


Jack Vance (1916-2013) è stato uno dei più grandi autori di fantascienza e fantasy, e certamente tra i più amati dal pubblico. Dopo una serie di lavori di ogni genere, durante la Seconda guerra mondiale si arruola nella marina mercantile e gira il mondo. In questo periodo comincia a scrivere il ciclo della Terra Morente. Tra gli Anni cinquanta e settanta viaggia, in Europa e nel resto del mondo, traendo da queste esperienze esotiche gli spunti per i suoi romanzi: Il pianeta giganteI linguaggi di Pao, il ciclo di Durdane. Nella sua carriera ha scritto decine di romanzi di fantascienza, fantasy e gialli, per un totale di oltre sessanta libri; tra i titoli più famosi ricordiamo i cicli di Tschai, di Lyonesse, dei Principi demoni, di Alastor. Storie ricche di fascino, di personaggi indimenticabili, narrate con uno stile elegante e immaginifico.

Delos Digital in collaborazione con Spatterlight si è data l'impegno di riportare sul mercato le opere di questo grande autore.

LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2020
ISBN9788825412598
Nopalgarth
Autore

Jack Vance

Jack Vance (richtiger Name: John Holbrook Vance) wurde am 28. August 1916 in San Francisco geboren. Er war eines der fünf Kinder von Charles Albert und Edith (Hoefler) Vance. Vance wuchs in Kalifornien auf und besuchte dort die University of California in Berkeley, wo er Bergbau, Physik und Journalismus studierte. Während des 2. Weltkriegs befuhr er die See als Matrose der US-Handelsmarine. 1946 heiratete er Norma Ingold; 1961 wurde ihr Sohn John geboren. Er arbeitete in vielen Berufen und Aushilfsjobs, bevor er Ende der 1960er Jahre hauptberuflich Schriftsteller wurde. Seine erste Kurzgeschichte, »The World-Thinker« (»Der Welten-Denker«) erschien 1945. Sein erstes Buch, »The Dying Earth« (»Die sterbende Erde«), wurde 1950 veröffentlicht. Zu Vances Hobbys gehörten Reisen, Musik und Töpferei – Themen, die sich mehr oder weniger ausgeprägt in seinen Geschichten finden. Seine Autobiografie, »This Is Me, Jack Vance! (»Gestatten, Jack Vance!«), von 2009 war das letzte von ihm geschriebene Buch. Jack Vance starb am 26. Mai 2013 in Oakland.

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    Anteprima del libro

    Nopalgarth - Jack Vance

    9788825410440

    Nota del traduttore

    Alcune righe per i doverosi ringraziamenti.

    Per prima cosa un grazie a Jack Vance e a sua moglie Norma, per aver dato a tutti noi questo stupendo racconto lungo.

    Un grazie a Koen Vyverman della casa editrice Spatterlight per avermi accordato la sua fiducia per questa traduzione.

    I più sentiti ringraziamenti alla professoressa Giuliana Guerri come curatrice della traduzione e a Silvio Sosio della casa editrice Delos Digital per un controllo finale in vista della pubblicazione in formato digitale.

    Marco Riva, Milano, 2020

    I

    Ixax, sotto ogni aspetto, era un pianeta tetro. I venti ruggivano tra montagne nere e frastagliate, scagliando getti di pioggia e nevischio che invece di ammorbidire il paesaggio tendevano a lavar via nell’oceano il poco terreno rimasto. La vegetazione era scarsa: alcune foreste scoscese di fragili dendroni, cerose erbacce arrotolate evase dalle fessure, macchie scure di licheni rossi, viola, blu e verdi. Eppure l’oceano sosteneva ampi letti di vari tipi di alghe che, con l’abbondanza di microorganismi marini, avevano favorito la maggior parte della fotosintesi del pianeta.

    Ostacolato o sostenuto dalla sfida ambientale, l’anfibio originale, un tipo di batrachiano ganoide, si era evoluto in un andromorfo intelligente. Assistiti dalla consapevolezza intuitiva di accuratezza e precisione matematica, con un apparato visivo che presentava il mondo in forme tridimensionali tattili piuttosto che come un insieme policromo di superfici bidimensionali, gli Xaxan erano predestinati a raggiungere una civiltà tecnologica. Quattrocento anni dopo aver raggiunto lo spazio scoprirono i Nopal ,¹ apparentemente per puro caso, e questo li portò a restare coinvolti nella più terribile guerra della loro storia.

    Durata oltre un secolo la guerra devastò il già sterile pianeta. La sporcizia incrostò gli oceani; le rade sacche di terra furono avvelenate da una polvere bianco-giallastra che colava dal cielo. Su Ixax, che non era mai stato un mondo popoloso, le poche città erano diventate macerie: mucchi di pietre nere, cocci color fegato, brandelli di talco fuso come calce, avanzi di materiale organico in decomposizione, un caos che oltraggiava l’ossessione degli Xaxan per il rigore matematico e l’esattezza. I sopravvissuti delle due fazioni, Chitumih e Tauptu – rendiamo così i clic e i tintinnii del sistema linguistico Xaxan – abitavano in fortezze sotterranee. Li divideva la diversa opinione sull’esistenza dei Nopal: i Tauptu ne erano certi, i Chitumih la negavano. Gli uni verso gli altri nutrivano qualcosa che era una dozzina di volte più intensa dell’odio terrestre.

    Dopo i primi cento anni di guerra, le sorti del conflitto volsero a favore dei Tauptu. I Chitumih furono isolati nella loro roccaforte sotto le Montagne del Nord; le squadriglie dei Tauptu avanzarono adagio, facendo esplodere uno alla volta i portali difensivi e scatenando talpe atomiche contro la cittadella sotterranea.

    Sebbene consapevoli della sconfitta, i Chitumih resistettero con un fervore corrispondente al loro odio verso i Tauptu. Il frastuono dell’avvicinarsi delle talpe rimbombava sempre più forte; le trappole per le talpe collassarono, poi fu la volta dell’anello interno dei tunnel di diversione. Sbucando da un cunicolo di quindici chilometri, un’enorme talpa irruppe nella camera della dinamo, distruggendo il nucleo stesso della resistenza dei Chitumih. Nei corridoi si fece buio pesto; i Chitumih caddero alla cieca, pronti a combattere con mani e pietre. Le talpe frantumavano la roccia; i tunnel riecheggiavano con un rumore stridente. Si formò un vuoto, seguito da un ruggente muso metallico. Le pareti crollarono; un’esplosione di gas anestetico, e la guerra finì.

    Con i riflettori luminosi sulle teste, i Tauptu scesero attraverso la spaccatura delle rocce. I Chitumih ancora abili furono radunati insieme e inviati alla superficie; i feriti furono uccisi dove si trovavano.

    Il maestro di guerra Khb Tachx tornò a Mia, l’antica capitale, volando basso attraverso una sibilante tempesta di pioggia, sopra un mare squallido e un pianoro inciso da grandi crateri simili a esplosioni di stelle terrigne, e infine sopra una vasta estensione di montagne nere, fino alle macerie carbonizzate della città.

    Era rimasto intatto soltanto un edificio, una scatola lunga e tozza di roccia grigia fusa, costruita di recente.

    Khb Tachx fece atterrare l’auto aerea e, ignorando la pioggia, si diresse verso l’entrata. Cinquanta o sessanta Chitumih, rannicchiati in un recinto, girarono lenti la testa, rilevandolo con i percettori che fungevano da occhi. Khb Tachx accettò l’impatto del loro odio senza prestarvi più attenzione di quanta ne avesse data alla pioggia. Mentre si avvicinava alla costruzione, dall’interno risuonò un frastuono straziante, a cui di nuovo Khb Tachx non fece attenzione. I Chitumih ne furono molto colpiti. Si ritrassero come se il dolore fosse loro, e con sorde vibrazioni serrate insultarono Khb Tachx, sfidandolo a far loro di peggio.

    Khb Tachx entrò nel fabbricato, scese a un livello che si trovava un chilometro sotto la superficie e proseguì verso la sua camera. Qui tolse l’elmetto e il mantello di pelle, si asciugò la pioggia dalla faccia grigia. Si spogliò degli altri indumenti e si strofinò con un pennello a setole rigide, rimuovendo dalla pelle i tessuti morti e le minuscole squame superficiali.

    Un inserviente sfregò la punta delle dita sulla porta. – Sei atteso.

    – Vengo subito.

    Con movimenti calmi e controllati, Khb Tachx indossò abiti nuovi: un grembiule, gli stivali e un lungo mantello liscio come il guscio di un coleottero. Era un caso che quegli indumenti fossero tutti neri, questo lasciava indifferenti gli Xaxan che differenziavano le superfici in base alla consistenza piuttosto che al colore. Khb Tachx prese l’elmetto, un casco di metallo striato e sormontato da un medaglione che simboleggiava la parola Tauptu, cioè ‘purificato’. Dalla calotta si sollevavano sei punte: tre erano alte un paio di centimetri e corrispondevano alle sporgenze ossee della cresta cranica, le altre indicavano il grado. Dopo un momento di riflessione, Khb Tachx tolse il medaglione, poi abbassò l’elmetto sul cranio nudo e grigio.

    Lasciò la camera e camminò lungo il corridoio fino a una porta di quarzo fuso che scivolò silenziosa da parte. Entrò in una stanza perfettamente circolare con pareti vetrose e un’alta cupola a forma di paraboloide. Gli Xaxan traevano piacere dalla contemplazione di oggetti inanimati tanto quanto godevano della serena semplicità di quelle forme particolari. Intorno a una tavola rotonda di basalto lucido sedevano quattro uomini, ognuno con un elmo a sei punte. Notarono subito l’assenza del medaglione dall’elmetto di Khb Tachx e ne compresero il significato: con il crollo della Grande Fortezza del Nord era terminata la necessità di fare distinzioni tra Tauptu e Chitumih. Tutti e cinque governavano i Tauptu in qualità di comitato libero, senza una chiara divisione delle responsabilità, tranne che per due di loro: il maestro di guerra Khb Tachx, che aveva diretto la strategia militare, e Pttdu Apiptix, che aveva comandato le poche navi rimaste della flotta spaziale.

    Khb Tachx si sedette e parlò del crollo della roccaforte dei Chitumih. I suoi colleghi rimasero ad ascoltarlo imperturbabili, senza mostrare né gioia né eccitazione, poiché non ne sentivano alcuna.

    Con viso arcigno, Pttdu Apiptix riassunse le nuove circostanze.

    – Per i Nopal non è cambiato nulla. La nostra è stata solo una vittoria parziale.

    – In ogni caso, una vittoria – fece osservare Khb Tachx.

    Un terzo Xaxan contestò quello che considerava un pessimismo estremo. – Abbiamo distrutto i Chitumih; non sono loro che hanno distrutto noi. Abbiamo iniziato con niente, loro avevano tutto; tuttavia abbiamo vinto noi.

    – Irrilevante – ribatté Pttdu Apiptix. – Non siamo riusciti a prepararci per quello che deve venire dopo. Contro i Nopal le nostre sono armi di fortuna; loro ci perseguitano come vogliono.

    – Il passato è passato – dichiarò Khb Tachx. – Il primo passo è stato fatto; ora procediamo col prossimo. La guerra deve essere portata a Nopalgarth.

    I cinque rimasero seduti a riflettere. L’idea era venuta molte volte, a tutti, ma si erano sempre tirati indietro a causa dei pericoli.

    Un quarto Xaxan fece bruscamente notare: – Siamo del tutto dissanguati. Non possiamo permetterci un’altra guerra.

    – Saranno altri ora a sanguinare – rispose Khb Tachx. – Infetteremo Nopalgarth come i Nopal hanno infettato Ixax, e noi non faremo altro che dirigere la lotta.

    Il quarto Xaxan rifletté: – È una strategia pratica? Uno Xaxan rischia la vita se si mostra su Nopalgarth. Ad agire per conto nostro dovranno essere degli agenti. Dovremo assumere qualcuno che non sia subito riconoscibile come nemico, un uomo di un altro pianeta.

    – A questo proposito – fece osservare Pttdu Apiptix – esiste una prima e ovvia scelta…


    ¹. Il nopal o nopale, originario del Messico, è una pianta della famiglia delle Cactaceae, di cui fa parte anche il fico d'India. Per caso, ne risulta anche un gioco verbale per l’unione delle parole No e Pal, che significano rispettivamente ‘no’ e ‘amico’, indicando così un nemico. (N.d.T.)

    II

    La ragazza del centralino ARPA di Washington non riusciva a decidere se la voce al telefono tremasse di paura o di eccitazione. L’uomo aveva chiesto di parlare con ‘un responsabile’. La ragazza chiese informazioni sull’attività del chiamante, spiegando che l’ARPA era composta da molti dipartimenti e divisioni.

    – È una questione segreta – disse la voce. – Devo parlare con uno dei massimi dirigenti, qualcuno collegato ai più importanti progetti scientifici.

    Un pazzo, decise la ragazza, e trasferì la chiamata all’ufficio pubbliche relazioni. In quel momento Paul Burke, un vicedirettore della ricerca, attraversò l’atrio. Burke, muscoloso, alto, dall’aspetto comune e rassicurante, aveva trentasette anni, una volta sposato, una volta divorziato. La maggior parte delle donne lo trovava attraente; l’operatrice del centralino, che non faceva eccezione, colse l’occasione per attirare la sua attenzione. Se ne uscì con: – Signor Burke, vorrebbe parlare con quest’uomo?

    – Quale uomo? – chiese Burke.

    – Non lo so. È piuttosto eccitato. Vuole parlare con una persona importante.

    Burke prese il telefono. – Sono Paul Burke.

    – Posso chiedere quali sono i suoi incarichi, signor Burke? – La voce evocò nella mente di Burke un’immagine istantanea: un uomo anziano, serio e autorevole, che saltellava da un piede all’altro per l’eccitazione.

    – Sono assistente al direttore delle ricerche – dichiarò Burke.

    – Vuol dire che lei è uno scienziato? – chiese la voce con cautela. – Questo è un affare di cui non posso discuterne con i subalterni.

    – Più o meno. Qual è il suo problema?

    – Signor Burke, non mi crederebbe mai se glielo dicessi per telefono. – La voce tremò. – Non ci potrei credere nemmeno io.

    Burke immaginò che la cosa potesse essere interessante: la voce dell’uomo comunicava eccitazione, suscitando fastidiosi pruriti alla nuca di Burke. Tuttavia, un istinto, un presentimento o forse un’intuizione gli suggerì che sarebbe stato meglio non avere niente a che fare con quel vecchio e la sua urgenza.

    – Devo vederla, signor Burke, lei o uno degli scienziati. Uno dei più importanti.

    La voce dell’uomo si era affievolita poi rafforzata, come se mentre parlava avesse allontanato il viso dal microfono.

    – Se potesse spiegare il suo problema – disse Burke con cautela – potrei essere in grado di aiutarla.

    – No – rispose l’uomo. – Mi direbbe che sono pazzo. Deve venire qui. Le prometto che vedrà qualcosa che non hai mai immaginato, neppure nei suoi sogni più sfrenati.

    – Questa mi sembra un’esagerazione – ribatté Burke. – Non può darmi un’idea di che cosa si tratta?

    – Penserebbe che io sia pazzo. E forse lo sono. – L’uomo rise con veemenza del tutto inutile. – Mi piacerebbe pensarlo.

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