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La morte in rosso (eLit): eLit
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E-book371 pagine4 ore

La morte in rosso (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Il cadavere di una ragazza abbandonato in un bosco. Uno stimato ispettore dalla doppia vita. Un misterioso killer di prostitute. Una strage di famiglia. Un crimine atroce sepolto nelle nebbie del passato. Qualcosa lega tutti questi elementi, ed è quello che cerca di scoprire Jack Gannon, reporter d'assalto in cerca di uno scoop che gli permetta di lasciarsi alle spalle la cittadina di Buffalo e un bel po' di problemi personali. Ma quando i misteri si infittiscono, Gannon è costretto a lottare contro tutto e contro tutti per salvare la propria carriera e la vita di una giovane donna scomparsa nel nulla, e ad addentrarsi nei più oscuri meandri della mente malata di un pericoloso assassino assetato di sangue.

LinguaItaliano
Data di uscita29 ago 2014
ISBN9788858927946
La morte in rosso (eLit): eLit
Autore

Rick Mofina

Dopo una lunga esperienza come cronista e inviato di guerra per importanti testate americane, Rick Mofina si è dedicato alla scrittura di thriller che si sono imposti all'attenzione di pubblico e critica per le trame impeccabilmente costruite e per le ambientazioni particolarmente efficaci.

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    Anteprima del libro

    La morte in rosso (eLit) - Rick Mofina

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Vengeance Road

    Mira Books

    © 2009 Rick Mofina

    Traduzione di Marco Zonetti / Grandi & Associati

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5892-794-6

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    Il taxi costeggiava una strada che tagliava la notte alla periferia orientale di Buffalo.

    «Si fermi lì» disse Jolene Peller al tassista, guardando fuori del finestrino.

    «Sicura che vuole che la lasci qui?» domandò il tassista bloccandosi di fronte all’ingresso di un vasto parco avvolto nell’oscurità.

    «Sì. Può fermare il tassametro e aspettarmi, per favore?»

    «No, signora, non posso proprio. Questa è la mia ultima corsa per stasera. E devo riportare indietro il taxi.»

    «La prego. Devo solo trovare la mia amica.»

    L’uomo le porse il resto di cinque dollari, accennando con il capo al sentiero che si snodava nel buio, oltre la portata dei fari del veicolo.

    «Perché, la sua amica è là dentro?»

    «Sì, e devo riportarla a casa. Sta passando un brutto periodo.»

    «Di giorno è un parco bellissimo, ma lei sa cosa viene a farci la gente di notte?»

    Jolene lo sapeva.

    Ma all’epoca la sua vita era diversa. Se era possibile chiamarla vita.

    «Può aspettare un po’? La prego, è importante» lo implorò Jolene.

    «No, mi dispiace. Devo riportare indietro il taxi. Come le ho già detto, questa è la mia ultima corsa per stasera e non vedo l’ora di tornarmene a casa. Ho lavorato tutto il giorno e sono esausto. Cerchi di capire.»

    «Per favore.»

    «Senta, signora, lei mi sembra una persona per bene. Adesso la riporto dov’è salita, senza farle pagare il tragitto del ritorno perché sono di strada. Ma non l’aspetterò qui mentre lei gira per quel parco a cercare guai. Perché è quello che troverà a quest’ora di notte. Guai. Decida lei, viene con me o va là dentro?»

    «Devo restare qui» disse Jolene.

    Il tassista scrollò le spalle come per dire si arrangi e Jolene scese dalla vettura. Pochi istanti dopo il taxi svanì nel buio della notte, lasciandola sola.

    Per qualche istante Jolene rimase a osservare il parco immerso nella notte.

    Doveva farlo.

    Doveva trovare Bernice.

    E salvarla.

    Quella sera, per un breve istante, aveva pensato di esserci riuscita.

    Meno di un’ora prima erano insieme in una tavola calda in città, dove lei aveva implorato la sua amica Bernice di cambiare vita.

    «Devi smetterla di punire te stessa per delle colpe che non hai mai avuto. I tuoi rimorsi di coscienza sono del tutto ingiustificati.» Bernice aveva il viso rigato di lacrime. «Devi disintossicarti e finire il college» l’aveva ammonita Jolene.

    «Ma è difficile, Jo. Lo sai bene quanto è difficile.»

    «Sì, lo so, ma devi smettere a tutti i costi di fare la vita. Se ce l’ho fatta io, puoi farcela anche tu. Promettimelo, qui, in questo preciso istante, che stasera non uscirai. Che tornerai a casa da sola.»

    «Fa male, Jo. Il dolore è insopportabile. Ho bisogno di qualcosa che mi consenta di andare avanti un altro giorno. Mi servono i soldi. Smetterò domani, te lo prometto.»

    «No! Adesso!»

    Notando gli sguardi incuriositi degli altri clienti del locale, Jolene aveva abbassato la voce.

    «Bernice, questa è una bugia che continui a raccontare a te stessa. Promettimi che stasera non vedrai nessuno, che andrai a casa. Ti scongiuro!»

    «Ma sto male.»

    Impietosita, Jolene aveva stretto la mano di Bernice, intrecciando le dita alle sue.

    «Devi farlo, tesoro. Questa vita non fa per te. promettimi che andrai a casa. Promettimelo, prima che io prenda l’autobus e lasci la città. Orlando è lontana e non riuscirò a prendermi cura di te. Per questo voglio che t’impegni ad abbandonare questa spirale di autodistruzione. Al mio ritorno dalla Florida, voglio vederti rinata, Bernice.»

    «D’accordo, te lo prometto, Jo.»

    «No, giuramelo.»

    «Te lo giuro.

    E invece, qualche istante dopo aver lasciato l’amica, in attesa del taxi che l’avrebbe accompagnata alla stazione a prendere il treno per Orlando, Jolene l’aveva vista da lontano salire su un camion con un uomo.

    Non era riuscita a fermarla, ma sapeva bene dov’era diretta.

    Lì, nel parco.

    Che buffo, pensò Jolene incamminandosi verso il cancello aperto.

    Di giorno quel posto era un luogo di ritrovo della classe media, dove la gente passeggiava, faceva jogging, scattava fotografie accanto al laghetto, portava a spasso i cani e giocava con i figli.

    E sognava.

    La gente di Buffalo, per la maggior parte, non sapeva cosa succedeva dopo il tramonto, quando il loro parco veniva invaso da prostitute in attesa di clienti.

    Seppellendo la propria dignità, utilizzando il proprio corpo per sopravvivere, ma morendo in realtà ogni giorno di più.

    Come lei una volta. Prima di mettere al mondo Cody, prima che lui diventasse la ragione principale per cui cambiare vita.

    Aveva giurato che Cody non avrebbe mai avuto una madre tossica che si vendeva per una dose.

    Cody meritava di meglio.

    E così Bernice.

    Era stata abbandonata, maltrattata, violentata, ma si era data da fare per entrare al college, solo per subire un altro trauma che l’aveva fatta precipitare nella spirale della droga.

    Che l’aveva condotta in quel parco, di notte.

    E dire che le mancava solo qualche mese per diventare un’infermiera specializzata.

    Varcando il cancello del parco, Jolene strinse i pugni per farsi forza.

    Doveva tirare fuori Bernice da quell’inferno. A tutti i costi.

    Se necessario, avrebbe setacciato tutto il parco per trovarla, dopodiché l’avrebbe trascinata a casa con ogni mezzo.

    Nonostante i timori giustificati del tassista, lei non aveva paura di andarci la notte. Conosceva bene la zona e sapeva come comportarsi.

    Aveva con sé lo spray urticante.

    E per lei girare di notte era ordinaria amministrazione. O almeno lo era una volta.

    Si guardò attorno rabbrividendo.

    Nessuno.

    Non c’era anima viva.

    Poi, attraverso un cespuglio, le parve di intravedere il balenio metallico di un’auto parcheggiata a qualche decina di metri di distanza.

    Non un’auto, un camion.

    Quello su cui aveva visto salire Bernice.

    Jolene s’incamminò risoluta verso il camion ma, giunta a pochi passi dal veicolo, un grido la fece arrestare sui suoi passi.

    «Nooo! Aiuto! Nooo!»

    Jolene rimase agghiacciata.

    Bernice!

    Il grido proveniva dal fitto del bosco alle sue spalle. Svelta, senza indugiare un solo istante, Jolene si precipitò in quella direzione, incurante dei rami che le graffiavano la faccia e le mani.

    La vegetazione era più fitta di quanto ricordava, e in quell’oscurità nera come la pece non riusciva a vedere nulla.

    Continuò a correre alla cieca sul terreno accidentato, finché non inciampò su un ostacolo invisibile, finendo a terra.

    In fretta, senza pensare al dolore, si rialzò e riprese a correre.

    Finalmente, di fronte a lei, cominciò a vedere del movimento, un gioco d’ombre al chiaro di luna.

    Udì dei rumori.

    Jolene frugò silenziosamente nella borsetta, stringendo con forza le dita sulla bomboletta di spray urticante che portava sempre con sé.

    Una spruzzata in faccia al malintenzionato e un calcio ben assestato dove non batteva il sole, come le aveva insegnato un’amica ben più esperta di lei in quel mestiere.

    L’aveva fatto più volte con i tipacci che cercavano di usarle violenza. Anche quella era stata ordinaria amministrazione.

    Era pronta a lottare.

    Con il cuore in gola, cercò di scorgere cosa l’attendeva nel buio.

    Qualcuno si muoveva.

    Una figura indistinta.

    Un uomo? O forse una donna?

    Bernice?

    Era lei in lontananza?

    Poi udì un rumore metallico.

    Che cosa stava succedendo?

    Un fruscio di rami.

    Qualcuno si stava avvicinando a lei.

    Jolene rimase immobile, tendendo l’orecchio.

    Chiunque fosse, chiunque si celasse nel buio della notte, era sempre più vicino.

    Jolene fece un passo indietro, inciampando su una radice scoperta e cadendo di nuovo a terra.

    Terrorizzata, tastò il terreno intorno in cerca della borsetta che le era sfuggita di mano, senza però riuscire a trovarla.

    Sempre più atterrita, cercò spasmodicamente lo spray urticante, un sasso, un bastone, qualcosa con cui difendersi.

    Qualunque cosa.

    Il cuore martellante, il respiro mozzato, Jolene attese in silenzio.

    Ma, dopo qualche istante di terrore cieco, tutto parve calmarsi.

    Forse era stata solo la sua immaginazione.

    Non si sentivano più fruscii nell’oscurità, tutto sembrava calmo e tranquillo.

    Grazie a Dio.

    Jolene si rialzò per rimettersi in cerca di Bernice, quando, all’improvviso, venne investita da una luce accecante.

    Alzò le mani per schermarsi gli occhi.

    Poi udì un gemito strozzato e vide un’ombra passarle accanto.

    In preda al panico, si mise a correre a perdifiato, ma qualcosa la colpì alla testa. E un istante più tardi fu inghiottita dall’oblio.

    2

    Il mattino successivo Jack Gannon, reporter del Buffalo Sentinel, capì che c’era agitazione nell’aria sin dal suo arrivo in redazione.

    A giudicare dai discorsi dei colleghi, era successo qualcosa nel parco di Ellicott Creek. Qualcuno aveva chiamato la polizia, che aveva a sua volta avvertito la Scientifica.

    Il che significava che c’era un morto.

    Poteva essere stato per cause naturali, magari un appassionato di jogging era stato stroncato da un attacco cardiaco.

    Forse qualcuno era annegato nel laghetto.

    O poteva trattarsi di un omicidio. Il che avrebbe cambiato completamente la musica.

    Benché non fosse fiero di sé, Jack Gannon in cuor suo lo sperava.

    Dio solo sapeva quanto aveva bisogno di uno scoop esclusivo, di un reportage bomba che lo riportasse agli onori della cronaca.

    Alzò gli occhi sui ritagli affissi alla bacheca sopra la sua scrivania... i suoi migliori servizi, le sue inchieste giornalistiche più entusiasmanti, e il suo sogno che via via si era infranto.

    Non ce l’aveva mai fatta ad arrivare a New York.

    Era ancora lì, a Buffalo, nella redazione di quel giornale locale a sperare in qualche omicidio passionale su cui ricamare una storia decente.

    Con un sospiro rassegnato, compose il numero dell’ufficio dello sceriffo per chiedere informazioni più dettagliate sul caso di Ellicott Creek.

    Il Buffalo Sentinel aveva una linea privilegiata con l’ufficio dello sceriffo, e Jack Gannon ne approfittava ogni volta che poteva.

    «Stiamo indagando sulla scoperta di un cadavere nel parco» gli disse il vicesceriffo al telefono, confermandogli ciò che voleva sapere.

    «Si tratta di omicidio?» domandò Gannon, cercando di non sembrare l’avvoltoio della situazione.

    «Non lo sappiamo ancora. È presto per dirlo.»

    «Uomo o donna? Se ne conosce l’identità, o l’età?»

    «Senta, Gannon, vada a scoprirlo da solo. Non ci sono ancora reporter sul posto, soltanto la squadra omicidi. Ma del resto è routine avvisarla in caso di rinvenimento di un cadavere. Perciò non è sicuro che si tratti di una morte violenta, se è questo che vuol sapere. Al momento non ho nient’altro da dirle.»

    «Chi ha trovato il cadavere?»

    «Adesso devo lasciarla, buona giornata.»

    Un cadavere nel parco di Ellicott Creek. Zona interessante come teatro di un possibile omicidio.

    Doveva precipitarsi subito sul posto.

    S’infilò il taccuino nella tasca posteriore dei jeans e prese il giubbotto, lanciando un’occhiata ai caporedattori impegnati a discutere dietro la vetrata della sala riunioni.

    A discutere di piani pensionistici, anziché di strategie utili a risollevare le sorti del quotidiano.

    La crisi mondiale si era abbattuta anche sulla stampa, e i tagli al personale erano all’ordine del giorno. E non si poteva certo dire che il direttore fosse uno stinco di santo. Anzi, tutto il contrario.

    «Jeff, di’ al capo che vado a Ellicott Creek» disse Gannon al vicino di scrivania, «potremmo avere per le mani qualcosa d’interessante.»

    E se si tratta di omicidio, io potrei avere per le mani il mio articolo bomba.

    È la stampa, bellezza.

    3

    Sfrecciando verso Ellicott Creek sulla sua Pontiac Vibe, Jack Gannon ripensava alla sua vita e a quello che ne stava facendo.

    Trentaquattrenne, single, aveva passato gli ultimi dieci anni al Buffalo Sentinel.

    Guidando, osservava la città, la sua città.

    E a quanto pare non c’è modo di lasciarsela alle spalle.

    Sin da bambino aveva desiderato fare il giornalista, e più precisamente il giornalista a New York.

    Qualche tempo prima aveva quasi realizzato il suo sogno, quando aveva scritto un reportage sullo schianto di un aereo di linea nel Lago Erie.

    Quell’esclusiva gli aveva fruttato una nomination al Pulitzer e qualche allettante offerta di lavoro a Manhattan.

    Ma poi non aveva ottenuto il riconoscimento e le offerte non si erano concretizzate. E adesso, a quanto pareva, non sarebbe mai andato a New York.

    Forse il giornalismo non era la sua strada.

    Forse avrebbe dovuto fare altro.

    No.

    Il giornalismo era scritto nel suo DNA.

    Un altro anno.

    Ricordava l’ultimatum che si era dato al funerale, nell’atmosfera grigia e tetra del cimitero spazzato dal vento gelido.

    Un altro anno per trovare un lavoro di reporter a New York.

    E nel caso non vi fosse riuscito?

    Cos’avrebbe fatto a quel punto?

    Non lo sapeva, perché quello stupido sogno era tutto ciò che aveva. I suoi genitori erano morti. Sua sorella era... be’, sua sorella non c’era più. Quell’ultimatum era il suo unico stimolo ad andare avanti.

    L’ultimatum che si era dato dopo che le bare dei suoi genitori erano state interrate undici mesi prima.

    Il tempo stringeva.

    Chissà? Forse la svolta di cui aveva bisogno era proprio lì ad attenderlo a Ellicott Creek, disse a se stesso mentre si avvicinava al parco.

    Si fermò accanto a un gruppo di auto della polizia, osservando i fari tingere d’un color rosso sangue la vegetazione.

    Vegetazione piuttosto fitta, a dire il vero. Gannon non riusciva a vedere altro, a parte i poliziotti in divisa e in borghese radunati attorno al nastro giallo tipico della scena di un delitto.

    Alt, non cantare vittoria, per adesso si tratta soltanto del ritrovamento di un cadavere, rettificò ripensando alle parole del vicesceriffo al telefono. La presenza della polizia e della Scientifica non significavano un bel niente.

    Dopo aver mostrato i documenti a un poliziotto, tirò fuori il taccuino di tasca, pronto a riportarvi ogni dettaglio dell’accaduto.

    Il poliziotto lo fissò con aria sprezzante.

    «Lei è il primo sciacallo dei media. Tuttavia, se crede di scattare qualche fotografia, può anche andarsene subito. Oggi non se ne parla proprio.»

    Gli altri agenti ridacchiarono sommessamente.

    Gannon non lo degnò di una risposta.

    Nella sua carriera aveva visto più omicidi di quell’idiota. E i tipi come lui non gli facevano né caldo né freddo.

    Anzi, lo rendevano più deciso e determinato.

    D’accordo, amico, se qui c’è la possibilità di fare un bel reportage, stai pur sicuro che io la coglierò al volo.

    Dopo aver osservato per mezz’ora i poliziotti e gli agenti della Scientifica entrare e uscire dal bosco, Gannon riuscì a fermare un ispettore.

    «Sono Jack Gannon del Buffalo Sentinel. È lei il responsabile delle indagini?»

    «Più tardi rilasceremo una dichiarazione alla stampa» lo gelò il poliziotto. «E saprà tutto quello che vuol sapere.»

    «Non può darmi qualche informazione adesso?»

    «Non abbiamo molto da dire, in effetti. Solo i fatti essenziali.»

    «Mi accontento di quelli.»

    «Stamattina due passanti hanno trovato il cadavere di una donna.»

    «Si tratta di un omicidio?»

    «Così pare.»

    «Età e razza della vittima?» domandò Gannon galvanizzato, e pronto a prendere nota.

    «Direi sulla ventina. Bianca o Indiana d’America. Non ne siamo sicuri.»

    «Identità della vittima?»

    «Non confermata. Ci sarà bisogno dell’autopsia per determinarla.»

    «Posso parlare con i due che l’hanno trovata?»

    «Le due, semmai. Sono due donne. E comunque se ne sono andate. Era una scena raccapricciante, del resto. Posso ben capirle.»

    «Raccapricciante? Perché?»

    «Senta, non posso dirle altro. Non sono io a occuparmi dell’inchiesta.»

    «Può dirmi il suo nome?»

    «No, non voglio essere citato.»

    «Capisco.» Gannon non si arrese. «Posso almeno sapere i nomi delle due persone che hanno trovato il cadavere?»

    Ottenuto ciò che voleva con non poche insistenze, Gannon aveva subito telefonato a Brandy McCoy, una giornalista freelance sua amica, e adesso si trovavano di fronte alla villetta di Helen Dodd, che aveva trovato il cadavere assieme a una certa Kim Landon.

    Secondo le informazioni ottenute dal riluttante ispettore di polizia, la Dodd era una broker immobiliare, mentre la sua amica Kim Landon era proprietaria di una galleria d’arte a Williamsville.

    Trattandosi di due donne, Gannon aveva pensato che la presenza di Brandy al suo fianco sarebbe stata più rassicurante.

    Poco più che diciottenne, Brandy aveva l’aria della classica brava ragazza oltre a un sorriso accattivante che conquistava chiunque, anche la persona più riluttante a confidarsi.

    Un sorriso di Brandy e tutti diventavano subito vecchi amici.

    Dopo qualche istante di attesa, la porta della villa si aprì e Gannon e Brandy videro comparire sulla soglia due donne che si salutavano abbracciandosi.

    «Scusate» disse lui. «Sono Jack Gannon, e lei è Brandy McCoy. Siamo del Buffalo Sentinel. Stiamo cercando Helen Dodd e Kim Landon. Siete voi, per caso?»

    Le due donne si scambiarono un’occhiata confusa.

    «Sì, siamo noi» rispose una delle due. «Io sono Kim Landon e lei è Helen Dodd.»

    Tutt’e due sembravano aver pianto da poco.

    «Possiamo parlare un po’ con voi in merito a stamattina?» domandò Gannon.

    «Come avete avuto il nostro indirizzo?» indagò Helen Dodd con una certa diffidenza.

    «Arriviamo giusto dal parco» ribatté Gannon, «abbiamo parlato con la polizia e...» Poi, tagliando corto: «Sappiamo che avete trovato voi la donna».

    Seguì un silenzio imbarazzato, che Brandy ruppe qualche istante più tardi.

    «Dev’essere stata un’esperienza terribile» osservò rivolta alle due donne in tono comprensivo.

    Kim annuì. «Sì, signorina, è stato orribile.»

    «Posso prendere appunti?» chiese Gannon, inserendosi nella conversazione.

    «Non lo so» sospirò Helen, visibilmente a disagio. «Riporterete le nostre dichiarazioni sul Sentinel

    «Sì, per l’articolo che stiamo scrivendo» rispose Gannon.

    «Non lo dimenticherò mai finché vivrò» cominciò Kim. «Eppure, nonostante il trauma che abbiamo subito, è un bene che siamo state noi a trovarlo, anziché i bambini che giocano nel parco...»

    «All’inizio abbiamo pensato fosse un manichino» intervenne Helen. «Ma poi ci siamo avvicinate e abbiamo capito cos’era... Mio Dio, povera donna!»

    «Potete dirmi esattamente cos’avete visto?» insistette Gannon.

    «Una donna bruna stesa a terra... Avevamo sentito voci su che cosa succedeva in quel parco la notte, a volte quando andavamo a fare jogging la mattina vedevamo preservativi e siringhe, ma mai ci saremmo aspettate di trovare un cadavere, e in quelle condizioni, poi...»

    Helen si coprì la faccia con le mani e Kim l’abbracciò per rassicurarla.

    Gannon e Brandy si scambiarono un’occhiata e capirono che le due donne erano troppo scosse per approfondire.

    Dopo aver lasciato la casa di Helen Dodd e aver riaccompagnato Brandy al parco ad attendere che la polizia rimuovesse il cadavere, Gannon si precipitò in redazione.

    Anche se il resoconto della Dodd e della Landon non era stato dettagliato come sperava, era evidente che doveva trattarsi di un omicidio efferato.

    Spulciando fra i dossier delle persone scomparse, trovò le fotografie di parecchie donne che potevano corrispondere alla descrizione della poveretta.

    Gannon scrutava le loro facce, domandandosi se aveva di fronte la vittima non identificata di Ellicott Creek, e pentendosi amaramente di aver auspicato un omicidio su cui lavorare.

    Chi era quella donna? E com’era accaduto che la sua vita finisse proprio lì, in quel parco, e in un modo così violento?

    Di chi era figlia? Aveva forse un marito? Di chi era sorella?

    In quel momento fu trafitto dal ricordo di sua sorella Cora.

    Che fine ha fatto? Cosa ne è stato di lei?

    Ma adesso non poteva arrovellarsi su quel pensiero, doveva tornare al suo reportage.

    Qualche ora più tardi, mentre stava correggendo la bozza del suo articolo, Gannon ricevette una telefonata di Brandy.

    «Come va laggiù?» le domandò. «Qualche sviluppo interessante?»

    «La Scientifica ha appena portato via il cadavere. Ho scattato delle foto piuttosto buone, e te le ho già inviate in redazione.»

    «Grazie, vado subito a vederle.»

    Dopo aver terminato la bozza, Gannon raggiunse Paul Benning, il collega del reparto fotografico, per dare un’occhiata agli scatti di Brandy.

    «Sono piuttosto nitide» lo informò Benning, scorrendo le fotografie scaricate dall’account di posta del giornale.

    Uno scorcio del bosco delimitato dal nastro giallo della polizia.

    Gli agenti della Scientifica accigliati che caricavano sul furgone il cadavere avvolto nel sacco nero.

    Helen Dodd e Kim Landon, con le facce stanche e atterrite, gli occhi pieni di orrore per la loro raccapricciante scoperta.

    «Torna allo scorcio del bosco» disse Gannon.

    «Vedi qualcosa d’interessante?» gli domandò Paul Benning.

    «Non lo so. Puoi ingrandirmela?»

    «C’è un punto particolare che t’interessa?»

    «Lì, vicino al nastro. Quella macchiolina bianca a sinistra.»

    Benning ingrandì progressivamente l’area descritta da Gannon, finché la macchiolina bianca non si rivelò essere una mano.

    E precisamente una mano della donna, che si allungava dalla sua tomba improvvisata, come se cercasse di rivelare al mondo chi era stato a ucciderla.

    Prima che uccidesse di nuovo.

    4

    Trentasei ore dopo essere stato portato via dal parco, il cadavere non ancora identificato fu sottoposto ad autopsia al Centro Medico della Contea di Erie.

    La morte fu classificata come omicidio.

    Partendo dalle impronte digitali e dentarie, la donna morta fu identificata come Bernice Tina Hogan, ventitré anni, di Buffalo, nello stato di New York.

    Le cause e le dinamiche della morte furono riassunte con poche frasi di circostanza in una dichiarazione rilasciata dalla polizia.

    Fra i tanti macabri dettagli – le condizioni in cui era stato trovato il cadavere, l’inclemenza degli elementi sul corpo già martoriato, l’efferatezza e la brutalità dei colpi inferti dall’assassino con un corpo contundente e un’arma da taglio – uno in particolare destava l’attenzione della polizia: la parola COLPEVOLE incisa con un’arma da taglio sulla fronte della vittima.

    Dopo che l’articolo di Gannon fu pubblicato sul Sentinel e il nome della vittima fu reso pubblico, il reporter ricevette in redazione diverse telefonate di amici della Hogan.

    «Bernice se la passava molto male» gli disse uno di loro, raccontandogli per filo e per segno l’amara vita della poveretta.

    Bernice non aveva mai conosciuto i suoi veri genitori. Le avevano

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