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Audaci segreti: Harmony Privé
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Audaci segreti: Harmony Privé
E-book218 pagine3 ore

Audaci segreti: Harmony Privé

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Info su questo ebook

La prima regola di una relazione clandestina: baciare e non parlare!

Come dei moderni Giulietta e Romeo, la relazione tra Harley Jacob e Jack Demont è naufragata anni prima sotto il peso delle incomprensioni fra le loro due famiglie. Ora che si sono rivisti per concludere un affare, Hal e Jack potrebbero riscrivere la loro storia... ma perché uscire allo scoperto e affrontare il giudizio degli altri quando possono benissimo rimanere chiusi in camera da letto a fare quello che gli è sempre riuscito meglio? Una relazione segreta, però, non dovrebbe avere segreti, e Harley ne custodisce uno che potrebbe allontanare Jack per sempre.
LinguaItaliano
Data di uscita21 gen 2019
ISBN9788858993095
Audaci segreti: Harmony Privé

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    Anteprima del libro

    Audaci segreti - Jc Harroway

    AUDACI SEGRETI

    JC HARROWAY

    Immagine di copertina:

    Depositphotos/aarrttuurr

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Her Dirty Little Secret

    Harlequin Mills & Boon Dare

    © 2018 JC Harroway

    Traduzione di Elisabetta Elefante

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-309-5

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall'editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile.

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    1

    Il tacco dieci del tronchetto di morbida nappa rimase impigliato in un cavo; ce n'erano almeno un centinaio, che si rincorrevano aggrovigliandosi sul nudo pavimento di cemento. Harley incespicò e soffocò un'imprecazione. Trattenne il fiato e guardò contrariata il profondo taglio apparso sul lato della scarpa color pervinca, la stessa tonalità del vestito di cashmere che indossava: un pezzo di punta della sua Collezione Autunno/Inverno.

    Sospirò, imponendosi di tramutare la frustrazione in rinnovata determinazione: la sua missione era più importante di cento, mille paia di scarpe realizzate a mano.

    Tornando a drizzarsi, si riavviò cauta: doveva fare attenzione a dove posava i piedi in quel labirinto di enormi fogli di plastica, strumenti di lavoro e cumuli di materiale non meglio identificati.

    Maledisse per la millesima volta il proprietario di quello stabile in costruzione.

    Chiunque fosse al timone della Dermont Design Architecture and Property Development, oltre ad avere un'agenda fitta di impegni, si era tirato indietro all'ultimo momento, rifiutandosi di firmare il contratto per la vendita del Morris Building.

    Così, senza darle uno spiegazione.

    Harley si mosse verso il gruppetto di uomini in fondo allo stanzone, cacciando in gola l'umiliazione di aver dovuto indossare il casco e il gilet giallo fluo: un vero pugno in un occhio per una donna che viveva e lavorava nel mondo della moda.

    Raddrizzò le spalle, assumendo la posa più decisa che riuscisse a simulare, e girò intorno a una cortina di tubi di plastica colorati che spiovevano dal soffitto come viscere di una mostruosa creatura. Doveva assolutamente ottenere quella firma sul contratto. Non solo per tenere alto il nome della sua famiglia, tra le più conosciute a New York e dintorni nel settore immobiliare, ma perché aveva sudato sangue e lacrime per creare la Give, l'etichetta d'alta moda che ora dava il nome anche a un'azienda impegnata nel sociale.

    Questo poi era un progetto a cui Harley teneva in modo particolare. Non poteva, non doveva fallire.

    Mentre procedeva oltrepassando alcuni operai, che si voltavano incuriositi dalla sua apparizione, il ronzio dei trapani e l'assordante fragore dei martelli pneumatici si attenuò appena. Be', almeno sarebbe riuscita a sentire le parole con cui il signor Dermont avrebbe giustificato il suo rifiuto di riceverla. E magari quelle con cui si sarebbe scusato per averlo fatto.

    Le doveva un paio di costosissime scarpe nuove, ma si sarebbe accontentata della sua firma sul contratto.

    Forse distratti dal ticchettio dei suoi passi, gli uomini raggruppati in un angolo smisero di parlare. Si voltarono.

    Con un tempismo perfetto, un ronzante rullio che sovrastava l'incessante sinfonia di rumori del cantiere si arrestò, creando un momento di insolito silenzio.

    Dieci paia di occhi si fissarono su di lei, alcuni curiosi, altri sorpresi, altri ancora spalancati: tutti indistintamente colpiti dalle scarpe e dal vestito ricercato, decisamente fuori luogo in quell'ambiente.

    Harley sollevò il mento. Non era venuta per intonacare un muro o tirare su una parete di laterizi. Sapeva di essersi introdotta senza essere invitata in un posto poco adatto a una donna, ma non si sarebbe lasciata intimidire da quegli omaccioni.

    Come i suoi fratelli, era cresciuta trascorrendo le vacanze estive a lavorare nell'azienda di famiglia. Ma mentre suo fratello e sua sorella archiviavano documenti e rispondevano al telefono, Harley aveva dovuto accontentarsi di portare il caffè ai clienti del padre e di svuotare i cestini degli uffici.

    «Il signor Dermont?» chiese.

    Il gruppo si aprì. Gli operai che lavoravano tutt'intorno si fecero indietro. Decine di sguardi divertiti si spostarono sull'uomo al centro del gruppo, che alzò gli occhi dallo schermo di un laptop posizionato su un tavolo. Li posò su di lei. Li socchiuse per una frazione di secondo, la fissò come per metterla meglio a fuoco. E la trapassò con aperta curiosità. «Sono io.»

    I polmoni di Harley si svuotarono d'aria e un calore improvviso le percorse tutto quanto il corpo.

    No. Non poteva essere.

    Serrò con forza i documenti che stringeva in mano.

    Jack Dermont. O Jacques? Jacques Lane?

    Fissò incredula l'affermato architetto che era venuta a cercare, colpita dall'aura di potere che sembrava indossare come un abito di alta sartoria. L'uomo fatto in cui si era trasformata la versione più giovane che aveva conosciuto anni prima; il liceale per cui aveva perso il sonno e di cui aveva immaginato di essersi innamorata.

    «Come posso aiutarla?» Non sembrava averla riconosciuta, ma era lui. L'accento francese appena accennato, che Harley aveva trovato irresistibile e che ancora adesso trovava accattivante. Gli occhi di quell'azzurro intenso, incredibile, che la scrutavano come se si fosse tolta di dosso i vestiti e fosse rimasta nuda davanti a lui. E il sangue le si infiammò improvvisamente nelle vene, facendole dimenticare il motivo per cui era venuta a cercarlo.

    Lo sguardo di lui non vacillò: sembrò rabbuiarsi. Irritata con se stessa per quella sciocca reazione che la paralizzava, stupita dalla facilità con la quale la rabbia e la frustrazione di un attimo prima erano svaniti lasciando il posto a una sconcertante eccitazione, Harley cercò di riprendersi.

    Eccitarsi così per un uomo che non conosceva più. Un uomo troppo impegnato per incontrarla. Che rischiava di far saltare un importante accordo senza alcun motivo...

    Per questo era qui, giusto? Cercò di rimettere a fuoco le idee... Ah, sì. Il Morris Building.

    Quegli occhi azzurri continuavano a trapassarla da parte a parte. Non si sarebbe lasciata intimidire, decise a fronte alta. «Posso rubarle un minuto?»

    Maledizione! Le tremava la voce anche solo alla vista della versione adulta di Jacques: era come se le mancasse il fiato. Si schiarì la gola, decisa a tirare fuori tutta la sua determinazione.

    Lui voleva fingere di non averla riconosciuta? Di non avere idea del perché fosse venuta a cercarlo? Perfetto: avrebbe recitato anche lei. E che ci fosse stato del tenero tra loro nove anni prima era del tutto irrilevante.

    Per un istante aveva dimenticato che non erano soli, ma gli uomini presenti, quasi avvertendo la tensione che si era venuta a creare nell'aria, improvvisamente si fissarono le punte delle pesanti scarpe da cantiere.

    Harley si fece avanti e posò un incartamento sulle piantine sparpagliate sul tavolo.

    Se Jack Dermont pensava che si sarebbe lasciata intimidire dalla presenza di tutto quel testosterone, o dagli attriti che avevano allontanato le rispettive famiglie nove anni prima, forse aveva dimenticato che era cresciuta con un padre autoritario, dispotico, incline a educare i propri figli più col bastone che con la carota; un padre che sembrava essersi sadicamente divertito a umiliarla, sottolineando con sottile perfidia i suoi insuccessi, senza mai risparmiarle rimproveri e occhiate colme di disapprovazione.

    Jack guardò altrove e chiuse il laptop.

    «Se volete scusarci...» disse, rivolto alla squadra. «Per qualsiasi altra domanda, rivolgetevi al responsabile di cantiere.» Il tono asciutto e lo sguardo affilato che le rivolse ridestarono Harley dal suo torpore, aiutandola a rimettere a fuoco l'obiettivo della propria missione.

    Il contratto. La firma.

    La riunione si sciolse; il gruppo si disperse. Tra lei e l'uomo che ora si faceva chiamare Jack Dermont non rimase che il ricordo di una cottarella giovanile e una tensione palpabile, che sembrava elettrizzare l'aria.

    L'autostima che Harley si era costruita con gran fatica era, in realtà, qualcosa di molto fragile: credeva di essersi lasciata il passato alle spalle, ma forse non era del tutto così.

    La ragazza romantica, l'ingenua sognatrice che era stata nove anni prima, aveva davvero creduto di essere innamorata di Jacques. E rivederselo davanti, all'improvviso, aveva suscitato in lei una violenta reazione.

    Ma forse lui non provava niente.

    Forse davvero non l'aveva riconosciuta.

    Era stata lei a troncare, all'epoca. Erano stati poco più che ragazzini, in fondo. E chissà, forse lui non se l'era presa più di tanto. Aveva dimenticato quella breve cottarella nell'attimo in cui era salito sull'aereo che lo aveva riportato in Francia con i suoi.

    E i sensi di colpa che Harley aveva provato, dopo averlo lasciato senza nemmeno una spiegazione, erano stati inutili.

    Si scambiarono adesso uno sguardo silenzioso, interminabile. E Harley ne approfittò per mettere meglio a fuoco l'oggetto di tutte le fantasie dell'adolescente che era stata nove anni prima.

    Jacques era stato, allora, l'uomo perfetto.

    Il tempo lo aveva cambiato, constatò, ma in meglio. I capelli biondo cenere non erano lunghi come allora; li aveva tagliati cortissimi sui lati e dietro la nuca, lasciando un ciuffo appena più lungo che spioveva, ribelle, sulla fronte. Le sarebbe piaciuto ravviarglielo con una mano...

    Il viso dai tratti cesellati aveva perso l'espressione spensierata di un tempo; il mento squadrato era appena più affilato e la fossetta sul mento, nella quale tante volte Harley ricordava di aver posato il polpastrello dell'indice, era ancora pronunciata. Cosa avrebbe dato per sentire il contatto di quella guancia ruvida sul viso! Posare le labbra su quella bocca così sensuale, sollevata su un lato in un sorrisetto divertito!

    Ma una cosa era lampante: il ragazzo dei suoi ricordi non esisteva più. Quello che le stava davanti, con le maniche della camicia azzurrina arrotolate su un paio di braccia abbronzate e muscolose, era un uomo fatto.

    Il suo sguardo deciso era quello di chi è abituato a comandare. A farsi obbedire. Un uomo fiero, ostinato, che dominava chi gli stava intorno dall'alto del suo metro e novanta di statura.

    Harley fece un profondo respiro. «Io...»

    «Come posso aiutarla?»

    Parlarono contemporaneamente, fissandosi negli occhi.

    Harley deglutì, facendo appello alla solida determinazione che l'aveva spinta a cercare quell'incontro, nonostante l'emozione improvvisa provata ritrovandosi di fronte l'ultima persona al mondo che si sarebbe aspettata di incontrare. Era lui l'uomo che rischiava di mandare all'aria il suo progetto. Non sarebbe andata via senza fargli sentire le proprie ragioni.

    Si raddrizzò, decisa. Avrebbe ottenuto quella dannata firma sul contratto. Dopo di che, ognuno per la sua strada.

    L'animosità tra i Lane e i Jacob le dava un vantaggio: conosceva il suo avversario. Inoltre la posta in gioco era il suo sogno. E sebbene sapesse di non essere fatta della stessa pasta di suo padre, era pur sempre una Jacob.

    Che Jacques Lane, o Jack Dermont, avesse in pugno il futuro del suo progetto... sì, insomma, era solo un imprevisto. Un ostacolo in più da superare.

    D'altronde la feroce disapprovazione di suo padre aveva insegnato ad Harley tante importanti lezioni. Deludere le aspettative degli altri, pur lottando con tutte le proprie forze per superare le difficoltà della dislessia, era una cosa a cui aveva fatto il callo.

    Lo sguardo insistente, intenso, con cui forse Jack credeva di riuscire a metterla a disagio, non le faceva nessunissimo effetto. Ci voleva ben altro per scoraggiarla.

    Lui continuava a fissarla, come se la stesse spogliando con gli occhi; e pur tuttavia non sembrava averla riconosciuta.

    Il che, forse, poteva giocare a suo favore, decise Harley. «Non ti ricordi di me?»

    «Mi ricordo eccome.» Jack sorrise, ma era un sorriso affettato. Tirato. Gli occhi no, non sorridevamo mentre tornavano a scrutarla da capo a piedi.

    E all'improvviso tutto apparve chiaro agli occhi di Harley, che si sentì raggelare. Jack aveva letto il suo nome sul contratto. E per questo si era tirato indietro, rifiutandosi di firmarlo. Quale altra spiegazione poteva esserci? Voleva tenerla sulle spine? Era forse un modo di vendicarsi? Una meschina rivalsa per gli screzi che avevano separato le loro famiglie? O una sciocca, puerile vendetta solo nei suoi confronti?

    Harley serrò un pugno, tenendo il braccio teso lungo il fianco. «Ti ricordi, quindi» riprese, sottoponendosi a quello sguardo capace di scioglierla.

    Attese, trepidante, di essere liquidata senza tanti complimenti.

    Jack serrò le mascelle. «Certo che mi ricordo. Mi ricordo tutto.»

    Un calore diffuso tornò ad avvilupparla, concentrandosi sulle guance. Quell'estate di tanti anni prima, Harley non aveva soltanto piantato in asso il suo ragazzo dall'oggi al domani: quell'estate aveva scoperto che gli adulti sono capaci di mentire spudoratamente. Di ingannare. Di tradire le persone più care sotto gli occhi di tutti. E di rinnegare i valori più sacri.

    Era ancora persa in quei ricordi e si accorse solo all'ultimo momento che Jack si era avvicinato, invadendo il suo spazio personale tanto da costringerla ad alzare il viso, per guardarlo negli occhi.

    Tanto da trasmetterle il calore del suo corpo anche attraverso il vestito di cashmere che la avvolgeva.

    «Mi ricordo benissimo di te.» Adesso le fissava le labbra e Harley se le inumidì sentendole improvvisamente aride.

    Perché, pur fissandola con quello sguardo così affilato, le sue parole sembravano avvolgerla in una morbida carezza? Aveva appena parlato, eppure il suono della sua voce anche adesso, a distanza di nove anni, aveva il potere di procurarle un lungo brivido. Ora, come a diciassette anni, il suo corpo reagiva a Jack in modo imprevedibile. Incontrollabile. Forse anche più di allora.

    L'imprenditrice di successo che era diventata era venuta a pretendere che fosse rispettato un accordo; non aveva più nulla della liceale insicura, impacciata, schernita anche dai suoi cari, vittima di un'infatuazione per un ragazzo straniero capace di ammaliarla con la sua "r" arrotolata e un sorriso impertinente.

    Si morse un labbro, imponendosi di ritrovare un ferreo autocontrollo.

    Gli eventi di quella vacanza, trascorsa con la famiglia di Jacques, avevano sconvolto quell'ingenua diciassettenne, facendole crollare il mondo addosso. Confusa, spaventata, disillusa, travolta da eventi più grandi di lei, Harley aveva troncato con lui senza averci mai nemmeno litigato.

    Adesso la sua libido si era risvegliata prepotentemente.

    Questo però non significava che avesse cambiato idea sui rapporti di coppia. E Jack sarebbe stato l'ultimo uomo al mondo che avrebbe preso in considerazione, se avesse deciso di legarsi a qualcuno.

    Come al rallentatore, lui si afferrò il davanti del gilet fluorescente e lo aprì, rivelando il colletto aperto della camicia, sotto il quale si intravedeva un ciuffetto di peli chiari.

    Sì, bravo, continua questo interessante spogliarello...

    Ma cosa vai a pensare, stupida! Sei qui per il contratto!

    Gli occhi di Harley tornarono a cercare quelli di lui per un breve istante, ma fu sufficiente per scorgervi un guizzo di trionfo. L'aveva beccata in flagrante!

    «Sei venuta qui per sbavarmi addosso?» Lui inarcò un sopracciglio e fece un altro passo in avanti. «O sei una di quelle pochissime donne al mondo che adorano polvere e calcinacci?» Abbassò gli occhi. «Sei tutta sporca.»

    Harley seguì la direzione del suo sguardo,

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