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Sogno a Santorini: Harmony Collezione
Sogno a Santorini: Harmony Collezione
Sogno a Santorini: Harmony Collezione
E-book167 pagine3 ore

Sogno a Santorini: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Calda come il sole di Corfù, antica come le ro-vine di Creta, dolce come il nettare degli antichi dei. La passione, nel sangue di ogni uomo greco, scorre veloce fin dalla notte dei tempi...



Senza lavoro, senza un soldo e senza un tetto sulla testa, Cleo Taylor è alla disperata ricerca di un impiego sicuro, ed è disposta ad accettare qualunque offerta. Certo non si aspettava di ricevere una proposta incredibile come quella di Andreas Xenides: un contratto di lavoro sulla meravigliosa isola di Santorini, che prevede uno stipendio da favola per poche settimane di impegno. A Cleo sembra di sognare... anche se le condizioni poste da Andreas prevedono una clausola molto particolare.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2017
ISBN9788858970867
Sogno a Santorini: Harmony Collezione
Autore

Trish Morey

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Sogno a Santorini - Trish Morey

    1

    La vendetta era dolce.

    Andreas Xenides guardò lo squallido edificio che si dichiarava hotel. L'insegna sbiadita oscillava sotto il vento pungente, lungo quella stretta via di Londra simile a un canyon. Quanto tempo aveva impiegato per scovare l'uomo all'interno? Quanti anni? Scosse la testa, indifferente al gelo. Ora non importava più: lo aveva trovato. Il cellulare che teneva in tasca suonò e lui imprecò, irritato.

    Il suo avvocato aveva acconsentito a chiamarlo se ci fosse stato qualche problema per il procedere del suo piano. Un'occhiata al display gli rivelò chi fosse e subito rimise via l'apparecchio. Petra non capiva che non poteva esservi nulla di più importante a Santorini, di ciò che stava accadendo lì a Londra? Il vento aumentò prima che arrivasse a metà della via, mentre il nevischio spingeva i pochi pedoni a rintanarsi al coperto.

    Salì i gradini consumati dell'hotel e saggiò la maniglia... chiusa come si aspettava. Un cicalino e una rudimentale telecamera montate sul fianco, ammettevano solo quelli con le chiavi, ma la fortuna era dalla sua parte.

    Dal nulla apparve una coppia, erano talmente infreddoliti che non si curarono nemmeno di guardarlo. Entrò con loro e seguì il cartello scritto a mano che indicava la reception al piano inferiore. Le assi del pavimento scricchiolarono sotto il tappeto stinto e, scendendo la scala a chiocciola, dovette chinare la testa per il basso soffitto.

    Da qualche parte, in lontananza, si sentiva gracchiare una radio e il suo naso si arricciò per l'odore di muffa che la candeggina non riusciva a nascondere.

    Quel posto era a malapena abitabile. Anche se non poteva controllare il capriccioso tempo di Londra, non aveva dubbi che la clientela sarebbe stata molto più soddisfatta nella sistemazione alternativa che aveva loro predisposto. Alla fine di un breve corridoio, trovò una porta a vetri, un altro biglietto rudimentale attaccato al vetro lo identificava come un ufficio. Era talmente concentrato su quella porta che rappresentava il coronamento di un sogno a lungo cullato, che notò a stento la figura china con un sacchetto di rifiuti in una mano. Una cameriera, realizzò mentre lei si rialzava.

    Per un momento pensò che stesse per dirgli qualcosa, ma poi serrò le labbra e si appiattì contro una porta per lasciarlo passare. Aveva ombre scure sotto gli occhi arrossati, la frangetta appiccicata al viso e un'uniforme sudicia. Lui avvertì appena il suono dei suoi passi che si allontanavano. Finalmente stava per adempiere alla promessa che aveva fatto a suo padre sul letto di morte. Non doveva affrettarsi, ma assaporare.

    Desiderò che suo padre fosse lì. Sapeva, però, che ovunque fosse ora, lo stava guardando.

    Era giunto il momento. Diede un colpo alla porta con due dita e la osservò aprirsi, lasciando che il cigolio dei cardini annunciasse il suo arrivo, poi entrò.

    L'uomo dietro il banco fiocamente illuminato non aveva nemmeno alzato lo sguardo. Era troppo impegnato a scribacchiare appunti su quella che sembrava la guida delle corse dei cavalli, con il telefono stretto all'orecchio.

    A stento, Andreas riuscì a trattenersi dall'attraversare la stanza e strapparlo di peso dalla sua sedia. Per quanto desiderasse farlo a pezzi come meritava, aveva altri modi di farsi giustizia.

    «Si sieda» borbottò l'uomo, scribacchiando e indicandogli un divano. «Sarò da lei tra un minuto.»

    Ancora un solo minuto quando ci erano voluti così tanti anni per scovarlo? Naturalmente avrebbe aspettato! Ma avrebbe scommesso tutto il suo denaro che non avrebbe dovuto farlo. «Kala ime orthios» replicò Andreas, «sto bene in piedi, se fa lo stesso.»

    La testa dell'uomo si sollevò di scatto, il sangue gli defluì dal viso e gli occhi arrossati rimasero l'unica nota di colore. Proferì una sola parola, più simile a un gracidio, prima che il ricevitore cadesse sul tavolo e il suo sguardo rimanesse fisso sul visitatore, mentre spostava indietro la sedia.

    Ma non c'era alcuna via di fuga nell'ufficio angusto e la sedia andò a sbattere contro il muro con un colpo sordo. Lui si irrigidì, ma non tentò di rimanere in piedi. Andreas si chiese se gli tremassero troppo le ginocchia.

    «Cosa ci fai qui?»

    Andreas attraversò lentamente la camera, finché non arrivò a incombere su di lui. Con noncuranza afferrò un tagliacarte e ne testò la lunghezza tra le dita, mentre Darius lo osservava nervoso. «È passato molto tempo Darius, o preferisci piuttosto Demetrius oppure, forse, Dominic? Non riesco davvero a starti dietro, tu usi i nomi come gli altri la carta igienica.»

    L'uomo più anziano si inumidì le labbra e da vicino Andreas fu quasi scioccato di vedere quanto l'amico di un tempo e socio di suo padre fosse invecchiato. Aveva poco più di cinquant'anni, eppure i suoi capelli si erano ingrigiti e diradati e il fisico, un tempo muscoloso, sembrava essersi ripiegato su se stesso. Le rughe sul suo viso erano più profonde che mai. Quindi il tempo non lo aveva trattato bene? Tuttavia la comprensione sparì nel momento in cui Darius rivolse lo sguardo su di lui e Andreas vide quel familiare barlume ferale, la scintilla che illuminava l'animo corrotto che c'era all'interno.

    Sembrava molto spaventato dall'improvvisa apparizione del figlio del suo ex socio, ma Andreas sapeva che da un minuto all'altro avrebbe potuto iniziare a sbraitare.

    «Come mi hai trovato?»

    «Questa è l'unica cosa che mi è sempre piaciuta di te, Darius. Non hai mai perso tempo in chiacchiere.»

    «Non credo tu sia venuto qui per conversare.»

    «Giusto» ammise lui, godendo di quello scambio molto più di quanto si fosse aspettato. «Devo ammettere che non è stato facile trovarti. Sei stato bravo a far perdere le tracce in Sudamerica. L'ultima volta che ho avuto tue notizie eri in Messico, avresti potuto startene là a goderti il sole. Nessuno pensava che saresti stato così stupido da farti vedere ancora in Europa.»

    Un luccichio di risentimento brillò negli occhi di Darius. «Forse mi sono venuti a noia i soldi.»

    «Da quello che so, li hai finiti i soldi! Ne hai persi la maggior parte in affari sbagliati.» Andreas si sporse ad afferrarlo per il bavero. «Il resto perso al gioco. Tutto quel denaro, Darius! Tutti quei milioni! E questo...» Fece un gesto con la mano. «È come sei ridotto.»

    Lui assunse un'aria truce. I suoi occhi non chiedevano scusa, mentre valutavano il cappotto di cashmere del suo accusatore e le scarpe fatte a mano. Una sfumatura livida gli comparve sui lineamenti. «Sembra che tu, invece, te la stia passando bene.»

    Non grazie a te! Le mani di Andreas si serrarono e si riaprirono lungo i fianchi, mentre cercava di ricordare che si era ripromesso di non fare a pezzi quel verme. Sospirò. «La cosa ti causa qualche problema?»

    «È per questo che sei venuto qui, per godere? Per vedermi ridotto in questo modo? D'accordo, mi hai visto. Contento, ora? Non si dice forse che la miglior vendetta è il successo?»

    «Ah, è qui che sbagliano.» Andreas si concesse il sorriso che gli era sorto spontaneo appena aveva messo piede in quella trappola per topi. «Il successo è insignificante, rispetto alla vendetta.»

    «Cosa vorresti dire?»

    Andreas estrasse dalla tasca del cappotto dei fogli piegati. «Questo» disse, mettendoglieli davanti. «Ecco la vendetta.»

    Osservò il sangue defluire dal viso di Darius, mentre riconosceva i documenti che aveva firmato meno di una settimana prima.

    «Hai letto anche le postille? Non ti sei chiesto perché qualcuno avrebbe dovuto offrirti del denaro, a condizioni tanto convenienti, per questa topaia?» Darius sembrava sofferente, la sua pelle era diventata grigia. «Quella compagnia finanziaria è mia, sono io che ti ho prestato quel denaro e ora te ne sto chiedendo la restituzione. Subito.»

    «Non puoi farlo! Io non ho quei soldi.»

    «Eccome se posso. Se non sei in grado di restituirmeli oggi, sei inadempiente e sai cosa significa.»

    «No! Sai che non c'è modo...» Darius frugò tra le pagine, i suoi occhi scrutarono il documento e si indurirono quando arrivarono alla clausola che provava che Andreas aveva ragione. Si arrese davanti alla consapevolezza di essere stato battuto. «Non puoi, è un furto.»

    «Tu dovresti essere un esperto al riguardo, ma in ogni caso ora questo hotel è mio e chiude. Oggi.»

    Lo shock sul viso di Darius fu la sua ricompensa, sembrava annientato. La vendetta era dolce, specialmente quando arrivava dopo tanto tempo.

    2

    A pezzi.

    Cleo Taylor si sentiva così. Le doleva la testa. Tre settimane di quel lavoro l'avevano sfinita mentalmente e fisicamente. Erano solo le cinque del pomeriggio, ma tutto quello che avrebbe voluto fare era dormire. Lasciò cadere l'aspirapolvere e si buttò sulla brandina. Le molle, che di notte la svegliavano ogni volta che si girava, protestarono rumorosamente. Il destino, di questo doveva trattarsi. Quanta gente aveva cercato di avvertirla? Quanti le avevano ripetuto di stare attenta? E quante di quelle persone, lei aveva creduto parlassero solo per gelosia, perché lei aveva trovato l'amore su Internet, un amore dall'altra parte del mondo? Troppe. Se ci fosse stato un prezzo da pagare per la sua ingenuità, per essersi gettata a capofitto nel disastro, lo avrebbe sborsato ben volentieri. Forse si meritava tutto ciò che le stava accadendo, era stata una stupida a credere a Kurt e alle storie che le aveva raccontato, soprattutto a credere che lui l'amasse.

    Pateticamente stupida ad affidargli sia il proprio cuore, che il denaro di sua nonna. Tutto ciò che aveva ottenuto era stato dimostrare l'esattezza del titolo che le era stato affibbiato al liceo da quelle compagne che non le erano mai state amiche. Cleo Taylor, regina delle fallite.

    Non sarebbero forse state felici di vederla ora? Una raffica di nevischio rimbalzò contro la finestra sopra il suo letto e lei rabbrividì. Riluttante, pensò di trascinarsi fuori da quello che non poteva definirsi un letto, ma non voleva incontrare di nuovo l'uomo nell'ingresso. Rabbrividì, ricordando il modo gelido in cui i suoi occhi scuri in quel viso duro come la pietra l'avevano scrutata e subito lasciata perdere, prima di passare oltre, come se lei fosse una figura losca. D'istinto si era ritratta e il saluto le era morto sulle labbra. Era sembrato fuori posto in quel rudere, come se non ci fosse abbastanza spazio e ne avesse bisogno di più... Lui, con il suo elegante cappotto e quel profumo di pioggia misto a lieve traccia di colonia. Nessuno le aveva fatto sentire così tanto che stava sprecando la sua vita.

    Doveva alzarsi, non poteva permettersi di riaddormentarsi, anche se era dalle cinque che era in piedi a preparare le colazioni e aveva finito alle quattro di pulire l'ultima camera.

    Puzzava di birra stantia e la sua uniforme era sudicia Non c'era da stupirsi che lui l'avesse guardata come se fosse stata una specie di rifiuto della società. Dopo la giornata che aveva avuto, si sentiva proprio tale.

    Si trascinò giù dal letto e strappò l'asciugamano da un gancio e la bustina dove teneva i cosmetici, per scendere al bagno del primo piano. Cosa le importava del parere di uno sconosciuto che non avrebbe più rivisto? In dieci minuti si sarebbe fatta una doccia, infilata nel letto e addormentata. Questo era tutto ciò che contava. Il lato positivo, disse a se stessa, mentre saliva le scale e vedeva la pioggia sferzare i vetri, era che aveva un tetto sopra la testa e non era costretta a uscire con un tempo simile.

    C'è sempre un motivo di speranza, le aveva sempre detto sua nonna accarezzandola, quando era solo una bambina. Nonostante la sua famiglia fosse molto povera, Cleo era sempre riuscita ad aggrapparsi a una speranza, a qualcosa di piacevole per cui sentiva di dover essere grata. Quasi sempre.

    Sospirò, mentre l'acqua bollente nella doccia finalmente le scaldava le ossa stanche. Una doccia calda, un tetto sopra la testa e un letto con il suo nome scritto sopra. Poteva andare anche peggio. Sarebbe arrivata l'estate e le giornate si sarebbero allungate e lei avrebbe avuto anche il tempo di visitare Londra, se lo era ripromesso prima di tornare a casa. Non che ci fosse alcuna fretta, con il ritmo con cui era pagata, dedotto l'affitto, sarebbero occorsi secoli prima di riuscire a prenotare un volo di ritorno per l'Australia. Quanto

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