L ultima conquista del milionario: Harmony Collezione
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Cathy Williams
Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.
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Anteprima del libro
L ultima conquista del milionario - Cathy Williams
successivo.
1
«C'è un problema» dichiarò senza preamboli l'uomo di mezza età seduto di fronte ad Arturo da Costa.
Art si appoggiò allo schienale della sedia, congiunse le mani sullo stomaco e guardò Harold Simpson, un uomo abitualmente calmo, misurato e così bravo nel proprio lavoro che Art non riusciva a pensare a un momento in cui qualcosa fosse stato un problema per lui. Dirigeva con impeccabile efficienza il grande ufficio legale del vasto impero di Art.
Così, corrugò la fronte e ripensò ai dettagli della riunione a cui doveva partecipare entro mezz'ora, prevedendo una conversazione che non avrebbe gradito, su una situazione che non aveva previsto e che sarebbe stata difficile da risolvere.
«Parlamene» ribatté con voce aspra, sapendo che Harold era un raro esemplare di uomo che non si lasciava intimidire dal capo intelligente e arrogante, spudorato e imprevedibile.
«È il complesso residenziale a Gloucester.»
«Che problema c'è? Ho tutti i permessi necessari. Il denaro è passato di mano e le firme sono state apposte sulle righe tratteggiate.»
«Se soltanto fosse così semplice...»
«Non vedo cosa possa esserci di complicato, Harold.»
«Immagino che complicato non sia la parola giusta, Art. Seccante è forse il termine più appropriato.»
«Non ti seguo.» Art si protese in avanti, accigliandosi. «Non ti pago forse per occuparti dei problemi seccanti?»
Harold deviò il colpo diretto con uno sguardo di rimprovero e Art sorrise.
«Non sei mai venuto da me con un problema seccante finora» disse. «Magari sono stato avventato nel presumere che li risolvessi prima che arrivassero sulla mia scrivania.»
«È un sit-in.»
«Come hai detto?»
Invece di rispondere, Harold aprì il computer portatile e lo girò verso il capo, poi si tirò indietro come se aspettasse la reazione prevista, una reazione che avrebbe mandato a nascondersi molti uomini.
Furore.
Art guardò l'articolo di giornale che aveva di fronte. Era di un quotidiano locale dalla scarsa tiratura, che nessuno d'importante leggeva e che copriva un'area in cui probabilmente le pecore erano più numerose degli esseri umani. Ma capì subito le ripercussioni.
Serrò le labbra e rilesse con calma l'articolo. Poi guardò la foto in bianco e nero che l'accompagnava. Un sit-in. Manifestanti. Cartelli. Slogan contro i malvagi e crudeli operatori immobiliari che progettavano di violentare e depredare la campagna. In altre parole, contro di lui.
«L'hai scoperto solo ora?» Si appoggiò allo schienale con aria pensierosa mentre la sua mente acuta cercava già il modo di evitare il grattacapo che aveva di fronte, rappresentato dai blocchi stradali.
«Sobbolliva» rispose Harold, chiudendo il computer. «Ho creduto di poter controllare la situazione. Purtroppo, l'avvocato che lavora per conto dei manifestanti morde il freno, per così dire, ed è deciso a frapporre tutti gli ostacoli possibili. Il guaio è che, in una piccola comunità come quella, anche se lei – è una donna – perdesse, e naturalmente perderà perché tutte le caselle giuste sono state spuntate, la ricaduta potrebbe ancora essere infelice.»
«Ammiro il tuo modo di minimizzare, Harold.»
«Lei può ancora radunare intorno a sé la comunità, e le costruzioni di lusso, che in circostanze normali si venderebbero in un attimo con il nuovo collegamento ferroviario a breve distanza, potrebbero restare sul mercato. È contro l'edificazione nelle aree verdi e lotterà, costi quel che costi. I ricchi che si trasferiscono in case costose amano immaginare di far parte della comunità, diventandone alla fine i pilastri. Non gradirebbero la prospettiva di sentir calare il silenzio ogni volta che entrano nel pub del villaggio, o l'idea che possano essere tirate delle uova contro le loro case nel cuore della notte.»
«Non immaginavo che fossi capace di voli di fantasia di tale effetto, Harold.» Art era divertito, ma c'era abbastanza verità nelle parole del suo legale da farlo riflettere. «Quando dici lei...?»
«Rose Tremain.»
«Signorina... signora...?»
«Signorina.»
«Mi sono fatto l'idea. A proposito, hai una sua foto? Si trova su internet?»
«Disapprova i social media se la riguardano personalmente» rispose Harold con una traccia di ammirazione nella voce che fece inarcare le sopracciglia ad Art. «Non ha un account in nessun social. Lo so perché ho incaricato uno dei miei di trovare il modo di seguirla, per farsi un'idea più ampia, ma senza esito. Non ci sono informazioni personali. Sembra essere un tipo all'antica.»
«C'è anche un altro termine per questo» commentò Art con malcelato sarcasmo.
«Finora ho trattato con lei solo per telefono, e naturalmente per e-mail. Potrei darti le mie impressioni personali...»
«Sono tutto orecchie.»
«Non si lascia comprare» dichiarò Harold, stroncando subito la prima linea di azione di Art.
«Tutti hanno un prezzo. Non hai nessuna sua foto?»
«Solo qualcosa in uno degli articoli della settimana scorsa sull'argomento.»
«Vediamola.» Art aspettò, riflettendo, mentre Harold sfogliava i documenti nel mucchio di cartellette prima di mostrargli una foto insoddisfacente della donna in questione.
La fissò. Sembrava la tipica hippy femminista con la missione di salvare il mondo da se stesso. L'articolo mostrava l'immagine del sit-in: manifestanti sulla sua terra con cartelli e attrezzatura sufficienti a convincerlo che non se ne sarebbero andati tanto presto. Mancavano solo un ufficio postale e un negozio, ma l'estate era il periodo perfetto per un campeggio improvvisato. Dubitava che sarebbero stati altrettanto decisi se i campi fossero stati coperti di neve e i rami degli alberi si fossero piegati per il forte vento.
Qualunque cosa avesse detto quella bisbetica per alimentare la pubblica indignazione aveva avuto successo, perché le persone trasandate nella foto sembravano esaltate quanto lei.
La foto della signorina Rose Tremain mostrava una donna che puntava il dito contro qualcuno fuori campo, forse un povero diavolo abbastanza sventurato da farle domande che non gradiva. I capelli ribelli erano raccolti in modo disordinato, lasciando qualche ciocca intorno al viso. I vestiti erano trasandati. Art era abituato a uscire con donne che ornavano le passerelle della moda, donne che erano le migliori amiche di famosi stilisti e che, quando non sfilavano, passavano tutto il tempo in esclusivi saloni di bellezza.
Socchiuse gli occhi e cercò di scacciare l'immagine di qualcuna che, apparentemente, aveva acquistato in blocco i vestiti in un negozio di roba usata e non andava dal parrucchiere da decenni. No, non se ne sarebbe liberato con il denaro. Un'occhiata a quel dito puntato e al fiero cipiglio bastò a convincerlo che provarci sarebbe stata una mossa avventata.
Ma c'erano molti modi di scuoiare un gatto...
«Quindi non si può comprare» mormorò fra sé e sé. «Be', dovrò trovare un altro modo di convincerla a rinunciare alla sua causa contro di me e a portare via dalla mia terra quei manifestanti. Ogni giorno perso mi costa denaro.» Con gli occhi scuri ancora sulla foto, Art chiamò la sua assistente e le disse di cancellare ogni impegno per le due settimane successive.
«Cosa intendi fare?» domandò Harold, che sembrava allarmato come se non riuscisse a credere che il suo capo stacanovista si assentasse per due settimane.
«Mi prendo una breve vacanza.» Art abbozzò un sorriso risoluto. «Una vacanza di lavoro. Sarai il solo al corrente di questa informazione, quindi tienila per te, Harold. Se non posso convincere la signorina Tremain con un generoso contributo a qualunque strampalata causa persegua, dovrò trovare un altro modo.»
«Quale? Se parliamo di qualcosa d'illegale, Art...»
«Oh, per favore.» Art scoppiò in una risata. «Illegale!»
«Non volevo dire illegale. Un termine migliore potrebbe essere non etico.»
«Be', amico mio, è solo una questione di significato: tutto dipende esclusivamente da che cosa intendi con non etico...»
«C'è qualcuno che vuole vederti, Rose.»
Rose guardò la ragazzina dai capelli a spazzola ferma accanto alla porta dell'ufficio che condivideva con il suo collega, Phil. Era poco più di una grande stanza al pianterreno dell'edificio vittoriano che era anche casa sua, ma era un accordo che funzionava. L'affitto che riceveva da Phil e dagli occupanti degli altri due locali ? che erano il club del giardinaggio due volte alla settimana, il club del bridge una volta alla settimana e il campo giochi per bambini due volte alla settimana ? copriva gli enormi costi di manutenzione della casa che aveva ereditato alla morte della madre, cinque anni prima. Be', insieme al grosso prestito che aveva dovuto chiedere per effettuare delle riparazioni urgenti.
Ogni tanto pensava che sarebbe stato bello separare la vita lavorativa da quella privata ma, d'altra parte, chi poteva lamentarsi di un lavoro che non la costringeva a fare la pendolare?
«Chi è, Angie?» Era un brutto momento. Metà pomeriggio e aveva ancora un sacco di lavoro da fare. Si erano presentati tre casi nello stesso momento e riguardavano tutti argomenti complessi sulla legislazione del lavoro, in cui era specializzata, e richiedevano parecchia attenzione.
«Qualcuno riguardo alla terra.»
«Ah. La terra.» Rose si appoggiò allo schienale e si stiracchiò, poi si alzò, rendendosi conto di quanto era intorpidita quando sentì scricchiolare una giuntura.
La terra.
Nessuno la chiamava in altro modo.
Fra la competenza in fatto di diritto immobiliare di Phil e la sua sulla legislazione del lavoro, la terra era diventata il punto d'incontro che li occupava entrambi, molto più di quanto si fossero aspettati quando un magnate senza volto aveva acquistato i loro campi verdi per costruire l'ennesimo quartiere residenziale.
Phil era relativamente nuovo della zona, ma lei aveva trascorso tutta la vita nel villaggio e aveva accettato con slancio la causa dei manifestanti, lasciando perfino che usassero come sede la sua enorme cucina.
Era faziosa e orgogliosa della propria presa di posizione. Niente le andava di traverso quanto il grande capitale e gli uomini d'affari miliardari convinti di poter fare i propri comodi e schiacciare la gente comune per guadagnare ancora più denaro.
«Vuoi che me ne occupi io?» domandò Phil, alzando gli occhi dalla scrivania, che era caotica quanto la sua.
«No.» Rose gli sorrise. Non avrebbe mai potuto sperare in un socio più affidabile di Phil. A trentatré anni, aveva l'aspetto di un gufo un po' sbigottito, con gli occhiali di metallo e il viso rotondo, ma era sveglio e aveva procurato a entrambi una straordinaria quantità di lavoro. «Se sono veramente arrivati al punto di mandare uno dei loro legali più importanti, allora sono pronta. È offensivo che finora abbiano ritenuto opportuno mandare dei subalterni. Dimostra quanto siano sicuri di poterci schiacciare.»
«Mi piace la tua fiducia nelle nostre capacità di mettere in ginocchio una potente multinazionale.» Phil abbozzò un sorriso sardonico. «La DC Logistics possiede quasi tutto il mondo.»
«Questo non significa che possano aggiungere al bottino questo piccolo pezzo di terra.»
Rose si raccolse i capelli ribelli nella specie di chignon con cui iniziava con ottimismo ogni giorno per rinunciare più tardi, perché i suoi capelli sembravano animati da una volontà propria. Poi lanciò un'occhiata al frammento di specchio fra gli scaffali che cigolavano sotto il peso dei volumi di legge e osservò distrattamente l'immagine che le rimandava quando si svegliava ogni mattina.
Nessuno l'aveva mai considerata graziosa, e aveva accettato da molto tempo l'idea di non corrispondere a quella definizione. Aveva un viso forte e intelligente con un mento volitivo e un naso abbastanza marcato. I grandi occhi, marroni e limpidi, erano la sua caratteristica migliore per quanto la riguardava.
Tutto il resto... be', tutto il resto non era niente di che. Era un po' troppo alta e allampanata e con poco seno, ma la cosa non le importava più di tanto.
«Bene! Andiamo a vedere chi ci hanno mandato questa volta!» Strizzò l'occhio a Phil,