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Mistero nel deserto: Harmony Collezione
Mistero nel deserto: Harmony Collezione
Mistero nel deserto: Harmony Collezione
E-book167 pagine3 ore

Mistero nel deserto: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Un principe ribelle.



Dov'è finito Tahir Al'Ramiz? Ormai i suoi familiari non sanno più cosa pensare: dopo essere stato visto in un casinò di Montecarlo, di lui si sono perse le tracce. Si sa che è partito alla volta del Qusay per assistere all'incoronazione del fratello, ma la carcassa del suo elicottero è stata ritrovata fra le dune senza alcuna traccia del suo occupante. Tahir, però, riappare all'improvviso: come abbia fatto a scampare al disastro è un vero mistero, e quando una bruna bellezza arriva alla reggia i pettegolezzi si sprecano.
LinguaItaliano
Data di uscita8 set 2017
ISBN9788858972335
Mistero nel deserto: Harmony Collezione
Autore

Annie West

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Mistero nel deserto - Annie West

    1

    «Fate le vostre scommesse, mesdames et messieurs.»

    Lo sceicco Tahir Al’Ramiz osservò il tavolo da gioco e tutte le persone che vi si erano raggruppate intorno in attesa, con il fiato sospeso, della sua mossa successiva. Infine il suo sguardo si spostò sul mucchio di fiche – indubbiamente notevole – che aveva accumulato durante l’ultima ora.

    Un cameriere si avvicinò con una bottiglia di champagne. Tahir annuì e si girò verso la donna seduta al suo fianco. Bella, bionda, disponibile. Lo sguardo di ogni uomo presente si era posato su di lei quando era entrata nella sala principale del casinò di Montecarlo.

    La donna si mosse, e i diamanti che le adornavano il collo scintillarono alla luce delle candele. Lo splendido vestito da sera che indossava era la testimonianza di cosa il denaro e un sarto di fama mondiale erano in grado di realizzare. Quindi sorrise, quel tipo di sorriso ammiccante che le donne gli avevano rivolto sin da quando era stato solo un ragazzo.

    Tahir le porse una coppa di champagne e si appoggiò allo schienale della sedia, dando finalmente un nome alla sensazione che aveva provato per la maggior parte della serata.

    Noia.

    L’ultima volta erano stati necessari due giorni per stancarsi di Montecarlo. Adesso, invece, erano bastate poche ore.

    «Le vostre ultime scommesse, mesdames et messieurs.»

    Reprimendo un sospiro, Tahir guardò il croupier. «Quatorze» disse, spostando tutte le fiche sul numero prescelto.

    I presenti trattennero il fiato. Numerosi giocatori seguirono il suo esempio piazzando scommesse dell’ultimo secondo.

    «Quattordici?» ripeté la bionda, il tono sorpreso. «Scommetti tutto su un solo numero?»

    Tahir scrollò le spalle e portò il calice alle labbra. Distrattamente notò che il lieve tremore della sua mano faceva oscillare la superficie dello champagne. Quanto tempo era passato da quando aveva dormito l’ultima volta? Due giorni? Tre? Era stato a New York, dove aveva finalmente concluso un affare che lo aveva impegnato per mesi e si era trattenuto per il party organizzato in suo onore. Dopo era andato in Tunisia per partecipare all’asta di alcuni terreni. Ancora Oslo e Mosca, sempre per lavoro, e infine Montecarlo, tappa di una crociera a bordo del suo lussuoso yacht.

    Era possibile che quella vita a ritmo serrato stesse iniziando a stancarlo?

    Cercò di risvegliare un minimo interesse, e fallì nell’impresa.

    Il croupier fece girare la roulette. Tahir sentì dita sottili artigliargli il ginocchio attraverso la pregiata stoffa dei pantaloni che indossava, poi risalire lungo la sua coscia.

    Il respiro della donna divenne più affannoso. Il gioco, per quanto non condotto in prima persona, la eccitava dunque a tal punto?

    Quasi la invidiava. Se ora la bionda si fosse spogliata per offrirsi a lui lì, sotto lo sguardo di tutti, l’avrebbe semplicemente ignorata, rifletté. Non provava nulla. Nessun desiderio, nessuna emozione. Nulla.

    La donna gli scoccò un brillante sorriso, ovviamente un invito sensuale, e si sporse per sfiorargli la spalla con il seno.

    Davvero, avrebbe dovuto ricordare il suo nome...

    Elsa? Erica? Forse, ma non poteva esserne sicuro. Perché non gli interessava abbastanza da ricordare almeno come si chiamasse? O forse la sua memoria, dopo una vita di eccessi, stava iniziando a vacillare?

    Un sorriso amaro gli incurvò le labbra. Sfortunatamente la sua memoria funzionava perfettamente.

    Alcune cose non le dimenticava mai.

    Non importava quanto si sforzasse di farlo.

    Elisabeth. Sì, giusto. Elisabeth Karolin Roswitha, contessa van Markburg.

    Un applauso scrosciante lo sottrasse ai suoi pensieri. La contessa praticamente gli saltò in grembo, soffocandolo con il suo abbraccio. Morbide labbra si appoggiarono sulle sue.

    «Hai vinto di nuovo, Tahir!» Elisabeth tornò al suo posto, gli occhi che le scintillavano. «Non è meraviglioso?»

    Tahir annuì ed esibì la brutta imitazione di un sorriso. Sì, decisamente le invidiava quella capacità di gioire per così poco, pensò. Il gioco d’azzardo per lui aveva perso ogni interesse. Concludere un ottimo affare, anche. Gli sport estremi talvolta avevano ancora il potere di far circolare adrenalina nelle sue vene. Il sesso?

    Guardò un’altra donna avvicinarsi. Una sirena dai capelli neri, fasciata in un vestito che lasciava ben poco all’immaginazione, ai lobi delle orecchie pendenti di rubini così lunghi da sfiorarle le spalle nude.

    Non ebbe alcuna reazione. Assolutamente niente.

    La donna si fermò accanto a lui e si chinò, offrendogli un primo piano del seno generoso che traboccava dalla profonda scollatura. «Tahir, tesoro. Sarà passato un secolo» esordì, prima di incollare le labbra alle sue.

    Ancora nessuna reazione. Anzi no, qualcosa stava provando, si rese conto Tahir. Stanchezza, ma non fisica. Quell’insidiosa, grigia sensazione di vuoto che lo tormentava da così tanto tempo.

    Era stanco della vita.

    Si sottrasse bruscamente. Erano trascorsi solo pochi mesi da quando lui e quella donna erano stati insieme a Buenos Aires, ma gli sembravano un’eternità. «Elisabeth.» Si girò verso la bionda incollata al suo fianco. «Lascia che ti presenti Natasha Leung. Natasha, lei è Elisabeth van Markburg.»

    Fece un cenno al cameriere, che si affrettò a portare un’altra coppa.

    «Ah, il mio champagne preferito» mugolò Natasha. Raddrizzò la schiena, ma non arretrò di un passo. «Grazie.»

    «Fate le vostre scommesse» invitò il croupier.

    «Quattordici» mormorò Tahir.

    «Quatorze?» Il croupier non batté ciglio, solo una luce sorpresa illuminò i suoi occhi. «Oui, monsieur.»

    «Di nuovo quattordici?» La voce di Elisabeth era stridula. «Ma perderai tutto! Non esiste una sola possibilità che esca ancora lo stesso numero.»

    Tahir scrollò le spalle. Avvertito da un discreto trillo, prese il cellulare dalla tasca. «Allora perderò» commentò con noncuranza.

    L’espressione atterrita del volto di lei quasi gli strappò una risata. Sì, decisamente la vita era molto semplice per alcuni.

    Guardò il display del telefono. Una ruga gli solcò la fronte. Solo il suo avvocato e i suoi più fidati broker conoscevano il suo recapito privato, e quel numero non era di uno di loro.

    «Pronto?»

    «Tahir...»

    Anche dopo tanto tempo, era impossibile non riconoscere quella voce. Tahir si alzò, liberandosi dalle due donne avvinghiate a lui. «Kareef.»

    Solo una ragione davvero importante poteva aver indotto suo fratello maggiore a contattarlo all’improvviso. Fece cenno alle sue accompagnatrici di rimanere là dov’erano e si avviò svelto verso un angolo tranquillo.

    «Quale inaspettata sorpresa. A cosa devo l’onore?»

    Silenzio. Un silenzio così lungo da dargli i brividi.

    «Devi tornare a casa» replicò infine Kareef, il tono calmo e controllato di sempre.

    Ma le parole... Erano parole che non avrebbe mai immaginato di sentire. «Io non ho più una casa» sottolineò Tahir. «Ricordi?» aggiunse. Una piccola parte della sua coscienza da lungo assopita gli disse che non era giusto sfogare la propria amarezza su Kareef. Suo fratello non era responsabile per il disastro che era stato il suo passato.

    «Adesso ne hai una.»

    «Il nostro riverito padre avrebbe qualcosa da obiettare al riguardo.»

    «Nostro padre è morto.»

    Qualcosa esplose nel cervello di Tahir. Il bruto che aveva spadroneggiato sulla sua gente e sulla sua famiglia era scomparso per sempre. Il tiranno che aveva tradito la moglie con una schiera di prostitute e di amanti. Che aveva stabilito il dominio della paura. Che si era accanito contro di lui, e che infine, quando era diventato abbastanza grande da difendersi, gli aveva scagliato contro i suoi scagnozzi.

    L’uomo che aveva esiliato il figlio minore quando quest’ultimo aveva finalmente fatto ciò che il vecchio sceicco aveva segretamente sperato, cioè lo aveva sfidato apertamente.

    Non era stato mai capace di compiacere suo padre, non importava quanto ci avesse provato. Aveva trascorso l’adolescenza chiedendosi per quale motivo ispirasse nel genitore tanto odio.

    Da tempo, ormai, aveva smesso di preoccuparsene.

    Tahir si girò verso la scintillante sala affollata di animatori della notte, ma con gli occhi della mente non vedeva la gente elegantemente vestita, o l’ovvio sfoggio di ricchezza. Era il viso di Yazan Al’Ramiz, suo padre, che si materializzava davanti a lui, gli occhi cattivi iniettati di sangue, le gocce di saliva che gli impregnavano la barba quando urlava e imprecava. I violenti colpi dei suoi pugni chiusi.

    Sicuramente doveva provare qualcosa, si chiese Tahir, una qualsiasi cosa, sapendo che il suo tiranno padre era morto? Anche dopo undici anni di assenza, quella notizia doveva evocare in lui una reazione?

    Ma dentro di sé, dove un tempo avevano albergato le emozioni, adesso c’era solo un grande vuoto.

    Avrebbe dovuto porre delle domande.

    Quando? Come? Un figlio non avrebbe voluto essere informato delle circostanze della morte del padre?

    «In ogni caso, non ho alcuna voglia di tornare in Qusay» replicò, la voce piatta come il suo stato d’animo. Non c’era più nulla per lui nella terra che gli aveva dato i natali.

    «Diavolo, Tahir. Smetti di recitare la parte dell’arrogante bastardo per un istante. Ho bisogno di te qui. La situazione è complicata.» Kareef fece una pausa. «Io voglio che tu venga qui.»

    «Cosa è successo?» domandò Tahir. Kareef era sempre stato il suo fratello preferito, quello a cui si era rivolto nel passato quando aveva cercato di imitare i più grandi, i migliori. «Qual è il problema?»

    «Non c’è un problema. Ma nostro cugino ha appena scoperto di non aver alcun diritto di salire al trono del Qusay. Ha abdicato e io sarò incoronato al suo posto» spiegò Kareef. «Dunque, voglio che tu sia al mio fianco durante la cerimonia.»

    Lentamente Tahir tornò al tavolo della roulette.

    Ciò che Kareef gli aveva appena comunicato era davvero inverosimile. Che il cugino Xavian fosse stato sul punto di diventare re per errore era assolutamente incredibile. Non aveva alcuna relazione di sangue con il re e sua moglie, defunti di recente, ma i due in gran segreto lo avevano sostituito al loro vero figlio, morto in età molto giovane. Se fosse stato qualcun altro a raccontargli quella storia, ragionò Tahir, non gli avrebbe mai creduto.

    Ma Kareef era affidabile, attento, responsabile. Sarebbe diventato un sovrano perfetto per il Qusay. Ambedue i suoi fratelli lo sarebbero stati.

    Per fortuna Yazan era morto, in caso contrario la corona sarebbe toccata a lui. Ma già come fratello del re e capo di un esteso clan era stato troppo potente, troppo pericoloso. Metterlo alla guida di un intero paese avrebbe avuto lo stesso effetto di liberare un lupo in un gregge di pecore.

    Un attacco cardiaco, così Kareef aveva detto.

    Nessuna sorpresa. Suo padre si era concesso ogni tipo di piacere, e non si era limitato a un solo vizio.

    Giunto accanto al tavolo, vide la sua coppa ancora piena di champagne e le due donne che lo aspettavano, entrambe più che disponibili ad allietare la sua nottata.

    Un sorriso gli incurvò le labbra. Forse, dopotutto, era più simile a suo padre di quanto se ne fosse mai reso conto.

    «Tahir!» squittì Elisabeth. «Non ci crederai mai! Hai vinto di nuovo!»

    Gli sguardi di tutti erano per lui, come se avesse appena operato un miracolo.

    E davanti a lui, sul tavolo, c’era la sua vincita. Un grosso mucchio di fiche. Prese quella di maggior valore e la porse al croupier. «Per lei» disse.

    «Merci, monsieur.» L’uomo sorrise e infilò in tasca alla svelta quell’inaspettata ricchezza.

    Tahir sollevò il suo calice e bevve un lungo sorso di champagne. Il vino frizzante gli corse giù per la gola. Era allegro, quasi felice. Per una volta il destino aveva giocato bene le sue carte. Kareef sarebbe stato il miglior sovrano che il Qusay avesse mai avuto.

    Appoggiò il bicchiere sul tavolo e si girò. «Buonanotte, Elisabeth. Buonanotte, Natasha. Temo di dovere andare.»

    Aveva mosso solo pochi passi quando un coro di voci concitate lo fermò.

    «Aspetti! La sua vincita! L’ha dimenticata.»

    Tahir si voltò verso un mare di facce attonite. «Tenetela voi. Dividetela» affermò e si avviò deciso verso l’ingresso della sala senza più guardarsi indietro.

    Un uomo in livrea aprì la pesante porta e Tahir si ritrovò nell’aria fresca della notte. Respirò a fondo, riempiendosi completamente i polmoni per la prima volta da quello che gli sembrava un secolo.

    Il sorriso continuò ad aleggiargli sulle labbra

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