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Segreti compromettenti: Harmony Destiny
Segreti compromettenti: Harmony Destiny
Segreti compromettenti: Harmony Destiny
E-book144 pagine2 ore

Segreti compromettenti: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Nella famiglia Hightower scandali e amori volano sempre alto.



Gage Faulkner è il nemico, la spia del mio fratellastro. Lauren Lynch, pilota della Hightower Aviation, nonché membro illegittimo della prestigiosa famiglia, non fa che ripetersi queste parole. Nonostante l'attrazione scoccata tra loro, lei sa bene che l'improvviso interesse del brillante uomo d'affari ha un unico scopo: provare che Lauren non è altro che un'arrampicatrice sociale. Anche Gage ha i suoi problemi. Sebbene il suo proverbiale intuito gli suggerisca che Lauren nasconde un segreto, il suo corpo urla dalla voglia di possederla. Come potrà rimanere fedele alla missione affidatagli dagli Hightower e, allo stesso tempo, esplorare la passione che lo consuma, senza rimanerne scottato?
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2017
ISBN9788858970942
Segreti compromettenti: Harmony Destiny
Autore

Emilie Rose

Confessa che il suo amore per i romanzi rosa risale a quando aveva dodici anni e sorprendeva sua madre a nasconderli ogni volta che lei entrava nella stanza.

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    Anteprima del libro

    Segreti compromettenti - Emilie Rose

    Capitolo 1

    CI RISIAMO.

    Sbuffando seccata, Lauren pigiò il tasto dell’ultimo piano. Ricevere una convocazione nell’ufficio del suo fratellastro era un po’ come essere chiamata dal preside, a scuola, dopo aver combinato qualche guaio.

    Che Trent non la volesse fra i piedi era assodato. Glielo aveva fatto capire in tutti i modi nelle sei settimane trascorse da quando la loro madre aveva sfruttato il suo ruolo di presidente del consiglio di amministrazione, oltre che di maggiore azionista della compagnia, per costringere il figlio ad assumerla come pilota presso la Hightower Aviation.

    Non potendo licenziarla, le stava provando tutte per indurla ad andarsene. Non faceva che assegnarle incarichi che tutti gli altri rifiutavano, affibbiandole clienti rompiscatole, voli notturni e atterraggi su piste scadenti. Di sicuro l’aveva chiamata per rifilarle l’ennesimo scarto; ma lei gli avrebbe dimostrato, come al solito, che non era una che si tirava indietro di fronte a nulla.

    L’ascensore si fermò al terzo piano ed entrarono due donne in tailleur, il cui distintivo sul petto le qualificava come dipendenti della HAMC. La scrutarono da capo a piedi con sguardo critico e lei si pentì di non aver indossato l’uniforme da pilota, anche se difficilmente sarebbe riuscita a montare in sella alla sua Harley Davidson con la gonna. Ma se pensavano di metterla in crisi, si sbagliavano di grosso. Sebbene come tutti gli altri dipendenti della HAMC avessero probabilmente ricevuto l’ordine dal suo fratellastro di renderle la vita un inferno, lei era pronta a resistere a ogni provocazione e, ancor peggio, ai tentativi di emarginazione.

    Non era abituata ad avere qualcuno che la odiasse, ma ora, tutt’a un tratto, oltre alla freddezza con cui veniva trattata dai suoi colleghi, ben tre dei quattro fratelli che aveva scoperto recentemente di avere desideravano con tutto il cuore che sparisse dalla faccia della terra. E come poteva biasimarli? Lei era la prova vivente dell’infedeltà della loro madre, la figlia illegittima che Jacqueline Hightower aveva avuto dal suo amante pilota mentre era sposata con il loro padre. Un imbarazzante segreto, un’onta vergognosa che Jacqui era riuscita a custodire per ben venticinque anni.

    Le porte si aprirono al decimo piano e le due snob dallo sguardo sprezzante uscirono. Mentre l’ascensore si accingeva a riprendere la sua corsa, Lauren fu tentata di premere il bottone del pianterreno, tornarsene in Florida e infischiarsene della sua ritrovata famiglia. Al diavolo gli Hightower e tutti i loro soldi. Purtroppo erano i suoi unici parenti.

    Per amore di suo padre, per amore della Falcon Air, ne aveva dovuti ingoiare di bocconi amari, finché non aveva saputo da sua madre che il papà era morto in circostanze non ancora chiare.

    Si era davvero suicidato o il suo aereo era precipitato per un incidente? Sua madre era stata l’ultima ad aver parlato con lui. Se davvero avesse avuto in mente di compiere un gesto così disperato, come era possibile che Jacqui non avesse intuito nulla? Ma sua madre non parlava. E finché la polizia federale e l’assicurazione non avessero terminato le loro indagini, Lauren aveva le mani legate.

    Non voleva credere che suo padre avesse deciso di togliersi la vita, ma l’alternativa era ancora più agghiacciante. Lo aveva aiutato lei a costruire il velivolo sperimentale con il quale si era schiantato. Se l’incidente fosse stato causato da un difetto di fabbricazione, allora era in parte responsabile della sua morte.

    Dolore e senso di colpa le comprimevano il petto. Ingoiò entrambi i sentimenti devastanti mentre le porte dell’ascensore si aprivano all’ultimo piano, quello dove era dislocata la direzione. Prese un bel respiro e si preparò per un’altra battaglia.

    Solo per te, papà.

    Infilando i guanti da moto dentro al casco agganciato a indice e medio, uscì dall’ascensore. Gli stivaloni da motociclista affondavano nella soffice moquette, un altro particolare che le rammentava di non essere più a Daytona. I lussuosi uffici della Hightower erano in netto contrasto con il cemento e il metallo degli hangar pieni di spifferi in cui era lei cresciuta.

    Distese le labbra nel massimo del sorriso che le riuscì di padroneggiare e abbassò la lampo del giubbotto di pelle mentre si avvicinava alla scrivania della Sfinge. Riuscire a strappare un sorriso, o una qualunque altra espressione, alla segretaria di suo fratello era diventata ormai una sfida. Non ci riuscì neppure stavolta. Quella donna sarebbe stata un perfetto baro al poker.

    «Salve, Becky. Il capo mi vuole vedere.»

    Becky... un nome così dolce per una donna così arcigna.

    La Sfinge consultò il suo orologio da polso. «Lo informo che è arrivata, finalmente.»

    Lauren si morse la lingua. Trent doveva ritenersi fortunato per il solo fatto che gli avesse risposto, una volta riconosciuto il numero del suo ufficio sul display del cellulare. Ma si stava sforzando di comportarsi in maniera educata.

    Posò lo sguardo sulla composizione floreale che era sul bancone, mentre Becky parlava all’interfono. Quei fiori dovevano essere costati quanto almeno un’ora di carburante. Un vero spreco, dal suo punto di vista.

    «Può entrare.» Le secche parole della segretaria la distolsero dai fiori che le ricordavano tanto il funerale di suo padre.

    «Grazie.» Spinse la massiccia porta a sei pannelli di quella che lei aveva finito con il chiamare la stanza del trono. Il suo fratellastro era seduto dietro la scrivania grande come un campo da calcio, sulla sua sontuosa poltrona di pelle, l’aria più arrogante e sprezzante che mai. «Mi hai fatta chiamare?»

    Certo che l’aveva fatta chiamare, maledizione. Per colpa sua aveva interrotto la corsa in moto per le strade di campagna alla periferia di Knoxville. Lui non poteva sapere quanto adorasse scaricare la tensione con una corsa in sella alla sua Harley Davidson per quelle vie tortuose che si inerpicavano su per la collina, dopo una vita trascorsa fra le strade dritte e pianeggianti di Daytona. Ma mai e poi mai gli avrebbe confessato che le aveva rovinato la giornata.

    Il labbro superiore di Trent si arricciò in una smorfia di disapprovazione mentre passava in rassegna la sua tenuta da centauro.

    Lauren si sentì rizzare i capelli dietro la nuca. Si voltò rapidamente alla sua destra. Un uomo sulla trentina, dai capelli color mogano, si levò dalla sedia di fronte alla scrivania. Un paio di occhi scuri, penetranti come raggi laser, incontrarono i suoi, prima di scorrere verso la giacca di pelle nera, i pantaloni aderenti, gli stivali e il casco appeso alle dita della mano sinistra. Emanava un potere e un carisma che in un’altra circostanza l’avrebbero di certo colpita positivamente.

    Mentre la scrutava da capo a piedi, Lauren si soffermò sulle spalle larghe, la mascella quadrata. Dall’impeccabile completo di sartoria, immaginò fosse uno dei tanti ricchi clienti della HAMC. E se era lì per lei, di sicuro era un altro dei soliti rompiscatole che suo fratello si divertiva ad affibbiarle.

    Prendendo l’iniziativa, gli tese la mano. «Sono Lauren Lynch. Lei è...?»

    «Gage Faulkner.» La palma si chiuse poderosa attorno alla sua, serrandogliela in una stretta così forte che la lasciò quasi senza fiato. Incredibile.

    Tentò di sottrargli la mano, ma lui glielo impedì.

    Vide che lanciava uno sguardo perplesso a Trent, mentre diceva: «Mi sembra troppo giovane per essere una provetta pilota».

    «Credi che ti affiderei a un incompetente?» ribatté il fratellastro.

    Seccata che i due parlassero di lei come se non fosse presente, Lauren ruppe la stretta di mano con uno scatto energico. «Ho venticinque anni e piloto aerei da quando ne avevo sedici. Ho all’attivo più di diecimila ore di volo.»

    Lo sguardo freddo di Faulkner cercò di nuovo il suo e lei stavolta notò delle pagliuzze dorate nelle iridi scure. Un sorrisetto tirato gli incurvò le labbra. Belle labbra. Carnose. Da baciare.

    È un cliente!

    L’ammonimento gli balenò nella mente come le luci di una pista, scacciando l’ultima, inopportuna osservazione. Avere una storia con un cliente poteva essere la premessa per un licenziamento. Che Trent la stesse spingendo verso una trappola? Se era così, le stava davvero provando tutte…

    Indirizzò al fratello un’occhiata sospettosa. Davvero credeva che non riuscisse a resistere al fascino di un bell’uomo? Che stupido. Non sapeva, evidentemente, che si difendeva dagli uomini sin dalla pubertà. Gli hangar erano in prevalenza frequentati dal sesso maschile e non era inusuale trovarsi sguardi di uomini addosso. Vero era che c’erano sempre stati suo padre e zio Leo a farle da cani da guardia, ma in loro assenza aveva purtroppo dovuto imparare a sue spese il peggio sugli uomini, e non nella maniera meno indolore.

    Trent la colpì con il suo solito sguardo capace di freddare ogni moto di gioia. «Gage, ti prego di scusare Lauren per come è vestita. Ti assicuro che la HAMC ha un suo preciso codice di abbigliamento.»

    Lauren drizzò la schiena di scatto. «È il mio giorno libero. Non ero seduta in casa in divisa in attesa di una tua chiamata. Quando hai detto che era urgente, ho pensato di venire di corsa, senza perdere tempo a cambiarmi e rischiare di farti venire un attacco di nervi.»

    Faulkner represse un suono che assomigliava tanto a una risata. Lauren gli lanciò un’occhiataccia e lui si nascose la bocca con la mano. Ma gli occhi continuavano a brillare divertiti. E in un modo tale da innervosirla ancora di più. I loro bisticci familiari non lo riguardavano.

    «Siediti, Lauren.» Il tono di superiorità di Trent la infastidì oltremodo. Prima o poi qualcuno doveva dare una lezione a quel suo ego straripante. Sperava tanto di essere presente il giorno in cui avrebbe mangiato la polvere, cadendo dal suo piedistallo. Ma difficilmente avrebbe goduto di quel piacere, poiché era sua intenzione sgomberare da Knoxville e congedarsi per sempre dai suoi gelidi parenti non appena ottenuto da sua madre le informazioni che cercava.

    Si sedette sulla sedia accanto a Faulkner. Un sottile ma piacevole sentore della sua colonia le penetrò le narici. Focalizzò lo sguardo sull’arrogante fratellastro e disse: «Che cosa c’è di così urgente che non poteva aspettare domani?».

    «Gage ha bisogno di un pilota.»

    Era il suo lavoro alla HAMC pilotare aerei. Perché, allora, avvertì un brivido correrle lungo la nuca, come se non si trattasse di un incarico regolare?

    «Che tipo di velivolo dovrei pilotare e per dove?»

    Probabilmente un trabiccolo verso qualche pista

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