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Laguna blu (eLit): eLit
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E-book185 pagine2 ore

Laguna blu (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Stop the wedding 3

Gibb Martin, geniale imprenditore, sta costruendo in Costa Rica un paradiso per top manager che vogliono prendersi una pausa dallo stress. Il suo socio, però, decide all'improvviso di abbandonarlo in quell'impresa per sposarsi. Gibb ha solo tre giorni per raggiungere la Florida e farlo ragionare, perciò trova un aereo, pilotato da un sogno erotico che risponde al nome di Sophia Cruz, e parte. Ma un imprevisto li costringe a un atterraggio di fortuna su un'isola disabitata...
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2018
ISBN9788858989777
Laguna blu (eLit): eLit
Autore

Lori Wilde

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Laguna blu (eLit) - Lori Wilde

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Crash Landing

    Harlequin Blaze

    © 2013 Laurie Vanzura

    Traduzione di Anna De Figueiredo

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eeBook ISBN 978-88-5898-977-7

    1

    L’americano ancora in giacca e cravatta? Assurdo.

    Sophia Cruz si stava riposando su un’amaca fuori dall’esclusivo resort situato tra le montagne della Cordillera de Tilarán in Costa Rica.

    Bosque de Los Dioses, Foresta degli Dei, era accessibile solo per via aerea e si trovava a circa quaranta chilometri da Monteverde, la cittadina più vicina dove lei viveva. Il complesso turistico era un luogo superlusso dove la gente ricca, famosa e di potere cercava rifugio.

    Sophia non era né ricca né famosa né di potere e non fuggiva da nulla. Era nata e cresciuta in mezzo a quelle montagne. Erano la sua casa. Aveva visto tanti forestieri arrivare e ripartire, ma nessuno così stressato come l’uomo dai capelli biondi in completo di seta grigio fumo nonostante il caldo umido estivo.

    Due settimane. Erano due settimane che si trovava a Bosque de Los Dioses e non l’aveva mai visto in maniche corte, jeans, pantaloncini o sandali. Indossava sempre un abito dal taglio impeccabile, cravatta firmata e scarpe di pelle italiane come se si trovasse in una sala riunioni a New York invece che in un paradiso tropicale.

    Perché?

    La domanda l’affascinava. Lui l’affascinava.

    Si calzò meglio il cappello di paglia rosa, nella cui fascia aveva inserito un’orchidea rosso porpora, e si mise gli occhiali da sole dalla montatura a cuore.

    Caspita! Hombre guapo. Bello da mangiare.

    Camminava su e giù lungo l’ampia veranda del bungalow in legno, il cellulare premuto all’orecchio. I raggi del sole si riflettevano sullo spesso braccialetto di platino che aveva al polso sinistro. Un oggetto di pregio esattamente come lui. Raffinato, elegante ma decisamente maschio.

    Doveva essere un uomo d’affari molto ricco, arrogante, molto preso dal suo lavoro e in perenne movimento.

    Suo padre diceva spesso: Non importa da dove si viene, alla fine andiamo tutti in un cimitero. Per cui godiamoci il panorama prendendoci tutto il tempo necessario prima di arrivarci.

    Questo era il modo di prendere la vita in Costa Rica. Con calma, senza crearsi problemi e grati per quel che si aveva. Del resto nessuna nazione aveva panorami come quelli.

    Forse era più facile filosofare quando si era circondati da una tale bellezza.

    Parlando di bei panorami... Quello era proprio delizioso. Come el casado.

    Le sfuggì una risatina. El casado era un piatto tipico del luogo. Una sorta di matrimonio tra fagioli, riso, carne, insalata e banane fritte. Un piatto che tradizionalmente le mogli avvolgevano in buste di carta marrone in modo che i mariti potessero portarlo al lavoro. E l’uomo in questione tutto poteva sembrare tranne che un marito e men che meno un marito con il pranzo impacchettato in carta marrone.

    Il sole illuminava i capelli dorati dal taglio corto e accurato che metteva in evidenza i lineamenti. Mento volitivo, viso regolare. Se non fosse stato per il naso rotto sarebbe stato anche troppo carino. Lei aveva una predilezione per i biondi, doveva ammetterlo. Più che naturale, visto che era circondata da uomini bruni.

    Si passò la lingua sulle labbra.

    Secondo la carta di credito con cui aveva pagato il volo si chiamava Gibb Martin. Era piuttosto alto e si muoveva con la grazia di un giaguaro. Snello, atletico come se a stento la sua pelle riuscisse a contenere l’energia eccessiva.

    Anche se a quella distanza non poteva vederli, Sophia sapeva che aveva penetranti occhi grigi che, quando si fissavano su di lei, le davano la sensazione che le leggessero dentro l’anima.

    Rabbrividì vistosamente al ricordo di quando l’aveva ringraziata per il viaggio, trattenendole la mano un momento di troppo e quasi ipnotizzandola con quello sguardo argentato.

    Scosse la testa. Smettila di fantasticare, Soph!

    In fin dei conti lui aveva una donna che lo accompagnava. Una bionda alta, flessuosa, labbra imbronciate, un taglio di capelli da fata e seni prosperosi. Esattamente l’opposto di come era lei. Piccola di statura, fianchi rotondi, capelli neri, lunghi sino alla vita e attributi piuttosto modesti. Quando era un’adolescente i fratelli la chiamavano affettuosamente tortita. Frittella. Per fortuna da allora era migliorata un po’.

    La bionda non aveva fatto altro che lamentarsi. L’aereo era troppo stretto, l’umidità insopportabile, i biscotti che Sophia teneva a bordo per i clienti non gluten free.

    Erano passate due settimane e la bionda continuava a non essere contenta. Comparve sulla veranda, le mani sui fianchi, con indosso un bikini rosso così minuscolo che si sarebbe potuto sostituire con un paio di lacci da scarpe.

    Al suo confronto tu sembri una sciattona, tutta scarmigliata, con un paio di calzoncini sfrangiati e un top bianco.

    «Gibby!» lo chiamò Blondie.

    Lui corrugò la fronte irritato, agitò il telefono e se lo rimise all’orecchio.

    Poverina, era troppo occupato per prestarle attenzione.

    «Se non la smetti con quel cellulare e non mi porti a divertirmi da qualche parte, me ne torno stasera stessa a Miami.»

    L’uomo si premette il telefonino contro il petto e si avvicinò a sussurrarle qualcosa. Poi la sculacciò delicatamente. Blondie ridacchiò e a Sophia salì uno spiacevole amaro in bocca.

    Gelosia?

    Perché avrebbe dovuto essere gelosa di una modella mozzafiato con gambe lunghe chilometri, che aveva accalappiato un bell’uomo? Un bell’uomo che la ignorava per la maggior parte del tempo, però. Lei non si sarebbe mai accontentata. Lei voleva e pretendeva attenzione totale e passione.

    Blondie tese il palmo, l’espressione docile.

    Lui mise la mano in tasca e dal portafoglio tolse una carta di credito, tenendola sospesa per un istante prima di lasciarla cadere tra le dita della donna che si chiusero come i petali di una pianta carnivora. A quel punto la bionda si chinò a sfiorargli una guancia con un bacio.

    Sophia fece una smorfia disgustata. Come poteva essere gelosa di un rapporto simile?

    Da quando era arrivato, Gibb Martin era stato o al telefono o in riunione con il gruppo di uomini di affari che lei aveva trasportato con il suo aereo. Mentre Blondie passava le giornate nella lussuosa SPA del Bosque de Los Dioses.

    Sua sorella maggiore Josephina lavorava nella SPA come terapista e gliel’aveva raccontato. E fu proprio Josie che qualche minuto più tardi uscì dall’entrata riservata ai dipendenti con una busta di carta marrone in mano. «Hola!»

    «Come va?»

    Sebbene fossero praticamente bilingui la sorella preferiva parlare spagnolo mentre a lei veniva più spontaneo esprimersi in inglese. Era vissuta per più di un anno in California con la zia, dopo la morte prematura della madre, ed essendo molto giovane non aveva avuto problemi a adattarsi a quella cultura.

    «Niente di nuovo» rispose Josie sedendosi su una panchina di cemento accanto alla fila di amache appese agli alberi rigogliosi. «E tu?»

    «Aspetto di partire per Libera alle due.»

    «Come si comporta El Diablo? Quell’aereo è vecchio quanto me.» La sorella aveva quarantun anni. Quattordici più di Sophia ed era sposata ormai da venti con il suo amato compagno di scuola Jorge. Avevano tre figli, tutti alle scuole superiori ormai.

    «Alla grande.»

    El Diablo era un minuscolo aereo che aveva ereditato dal padre quando questi era andato in pensione due anni prima. Era l’unica tra i fratelli e le sorelle, ben sei, che fosse interessata al volo.

    Nessuno si era lamentato di quel regalo. Per loro l’aereo era un peso, non una benedizione. E in effetti mantenerlo non era uno scherzo, ma così lei si guadagnava da vivere. Trasportando turisti in quelle zone boscose, tra le montagne, in cui soltanto piccoli aerei da turismo potevano spingersi. Sophia adorava volare e, tra l’altro, aveva appena finito di frequentare una scuola per la manutenzione di aeromobili con lo scopo di tenere El Diablo nelle migliori condizioni.

    Josie scartò il tamale che aveva preparato a casa. Carne trita con peperoncino e farina gialla avvolta in un cartoccio di granoturco. «Hai reso papà molto orgoglioso.»

    Lei lanciò un’occhiata al bungalow di Gibb Martin.

    Blondie era appoggiata alla ringhiera della veranda e le guardava. Poi agitò una mano in segno di saluto e sorrise.

    Josie rispose al saluto e al sorriso.

    «La conosci?»

    «Nelle ultime due settimane è il mio appuntamento delle due e lascia mance notevoli usando la carta di credito del suo compagno. Sono pronta a sorridere per l’intera giornata se è quello che desidera.»

    «Sembra un po’ superficiale.» Era una cattiveria.

    «È una ragazza copertina. Che ti aspettavi?»

    «Be’, qualcosa di meno scontato.»

    «La tua lingua acida è dovuta al fatto che è la ragazza dell’affascinante imprenditore milionario americano che continui a fissare.»

    «Non lo fisso.»

    «Come no!»

    «Forse un pochino, ma è raro vedere un uomo biondo da queste parti, lo sai. Non si tratta di lui in particolare. Ma dei suoi capelli.»

    «Come no!» La sorella le indicò con il capo un giovanotto tutto muscoli che insieme ad alcuni amici stava attraversando il ponte di corde che univa i bungalow all’edificio principale. «In sostanza se quel tipo fosse biondo, tu lo guarderesti.»

    «Certo» mentì lei.

    Josie sbuffò. «Comunque sia, anche l’americano ti fissa quando non guardi.»

    «Sul serio?» La voce le uscì acuta.

    «Ti fissa eccome, sorellina.»

    Sophia deglutì e chinò la testa per nascondere il rossore. Accidenti, che cosa le prendeva?

    Josie la scrutò seria. «Le cose con Emilio non vanno bene?»

    Lei fu colta di sorpresa. «No, no. Emilio è grande ma...»

    «Ma è a San José e Mister Biondo è qui.»

    «Non ho detto questo.»

    «Non ce n’era bisogno. Sophia, con me puoi parlare. Che c’è?»

    Lei scrollò le spalle. «Niente, ti assicuro.»

    La sorella scosse la testa. Lo sapeva, non era mai riuscita a nasconderle nulla.

    «Insomma, con Emilio stiamo scivolando sempre più verso una semplice amicizia. Non abbiamo nemmeno fatto l’amore.»

    «Sono due mesi che uscite insieme, no?»

    «Appunto. Cinque appuntamenti in due mesi. Se il nostro rapporto fosse importante, non dovremmo forse stare sempre appiccicati? Staremmo male lontani.»

    «Forse ti aspetti troppo. Emilio è un brav’uomo. E diventerebbe un buon marito e un buon padre.»

    «E dovrebbe bastare?»

    Josie masticò in silenzio per qualche momento. «Che altro vorresti?»

    «Passione, per prima cosa.»

    «La passione si spegne, prima o poi. E a quel punto è l’amicizia che conta.»

    «Fai sembrare noiosissimo il matrimonio.»

    «Sbagliato. Con il tempo si impara ad apprezzare altre cose oltre alla passione.»

    «Può andar bene per te» dichiarò lei. «Ma io voglio fuochi d’artificio. Fulmini e saette o niente.»

    Josie emise un borbottio di rimprovero.

    «Sei molto più simile alla mamma di quanto pensi. Hai preso il suo idealismo sognante.»

    «Non c’è niente di male a tenere alti i miei standard.»

    «Esistono standard alti e aspettative illusorie.»

    «Se la mamma non avesse creduto nell’amore appassionato, non sarebbe rimasta in Costa Rica e non avrebbe avuto sette figli» le fece notare lei.

    «Vero. Ma considera a quanto ha rinunciato.»

    «Per amore.»

    «Non dev’essere stato facile per lei. Ricominciare in un Paese straniero, adattarsi a una cultura diversa, imparare una nuova lingua.»

    «L’ha fatto perché amava tanto papà. È quello che voglio io. Qualcuno che affronti l’oceano più profondo per me.»

    «Non ti metterai a cantare adesso?»

    Sophia scoppiò a ridere, mettendosi una mano sul petto e iniziando a canticchiare in sordina la colonna sonora della Collina della felicità.

    «Figlia mia, non sarai giovane per sempre. Presto l’orologio biologico suonerà anche per te.»

    «Grazie tante.» Incrociò le gambe bruscamente e l’orchidea dalla falda del cappello le scivolò sul naso. «Avere bambini è l’ultimo pensiero che ho al momento» sbuffò irritata, rigirando il fiore tra le dita.

    «Lo so ma dovresti.»

    «Ma se non mi sono mai neanche divertita!»

    «I bambini sono un modo diverso di divertirsi.»

    «Se lo

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