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Un sensuale segreto: Harmony Destiny
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Un sensuale segreto: Harmony Destiny
E-book166 pagine2 ore

Un sensuale segreto: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

L'orologio ha già battuto i suoi dodici rintocchi, ma l'incanto di quella notte non è ancora svanito. Della Hannan, la donna misteriosa e dal passato denso di segreti che gli ha rubato il cuore, è ancora tra le sue braccia, pronta per abbandonarsi di nuovo all'amore. Marcus Fallon, milionario e playboy, sa che un solo incontro non basterà per soddisfare il reciproco desiderio, e propone a Della di partire con lui per un fine settimana all'insegna del piacere. Lei, però, non è intenzionata ad accettare, e Marcus, per la prima volta nella sua vita, si troverà costretto a usare ogni mezzo per conquistare una donna che non intende lasciarsi catturare.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2018
ISBN9788858982327
Un sensuale segreto: Harmony Destiny
Autore

Elizabeth Bevarly

Elizabeth Bevarly é nata e cresciuta a Louisville, nel Kentucky e si é laureata con lode in letteratura inglese all'università di Louisville nel 1983. Nonostante abbia sempre desiderato diventare una scrittrice, prima di riuscire a coronare il suo sogno, ha lavorato con contratti a termine in sale cinematografiche, ristoranti, boutiques e grandi magazzini.

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    Anteprima del libro

    Un sensuale segreto - Elizabeth Bevarly

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Caught in the Billionaire’s Embrace

    Harlequin Desire

    © 2011 Elizabeth Bevarly

    Traduzione di Fabio Pacini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-232-7

    1

    L’unica cosa che avrebbe potuto rendere il trentesimo compleanno di Della Hannan migliore di quanto non lo avesse immaginato era un evento del tutto imprevisto. Lei aveva iniziato a studiare i particolari della sua festa fin da ragazzina. Era cresciuta in un quartiere dove i compleanni erano occasioni che pochi potevano permettersi di festeggiare e, di conseguenza, venivano quasi sempre ignorati. Dove molte cose erano fuori portata e pertanto venivano ignorate. Cose come, be’... Della, per esempio. Il che spiegava perché si era ripromessa di onorare il suo trentesimo compleanno in grande stile. Aveva capito subito, fin da ragazza, che poteva fare affidamento solo su se stessa.

    Certo, gli ultimi undici mesi avevano messo seriamente in dubbio quella convinzione, poiché, da quando aveva incontrato Geoffrey, non aveva potuto fare altro che contare su di lui. Tuttavia, Geoffrey non sarebbe stato presente, quella sera, e lei non aveva alcuna intenzione di pensare a lui e al suo mondo. Quella era una sera speciale. Soltanto per lei. E avrebbe fatto tutto quello che una ragazzina svantaggiata di uno dei quartieri più duri di New York poteva concepire.

    All’epoca, Della aveva giurato a se stessa che sarebbe arrivata ai trent’anni con almeno un paio di milioni di dollari in banca e un bell’appartamento affacciato su uno dei parchi di Manhattan, mille miglia lontano dalle strade malfamate che erano state teatro dei suoi giochi infantili. Avrebbe celebrato quell’importante occasione senza badare a spese, come i ricchi e famosi fra le cui cerchia sarebbe ormai stata abituata a muoversi. Non poteva rinnegare quella promessa soltanto perché doveva festeggiare a Chicago invece che a New York. Avrebbe cominciato con una cena in un ristorante a cinque stelle, proseguito con un posto in un palco all’Opera e concluso con un bicchierino di brandy in un locale che permetteva l’ingresso solo alla crème della società. Avrebbe indossato un abito di un famoso stilista, e si era già fatta curare capelli e mani nel migliore salone di bellezza della città.

    La prima parte della serata si rivelò all’altezza delle aspettative. Palumbo su State Street era un ristorante i cui prezzi rivaleggiavano con i budget di alcune nazioni del terzo mondo e, ovviamente, lei aveva ordinato i piatti più cari del menu. Quattro portate, tutte indicate con nomi francesi che aveva imparato a pronunciare ripetendoli ad alta voce un’infinità di volte. Perché le persone ricche, sofisticate e chic festeggiavano sempre il loro compleanno scegliendo i piatti più costosi della lista, no?

    Quel pensiero la spinse a guardarsi attorno per accertarsi, con aria il più possibile disinvolta, che gli altri avventori tutti ricchi, sofisticati e chic avessero scelto le stesse pietanze. E anche, doveva ammetterlo, per essere sicura che in qualche modo Geoffrey non fosse riuscito a seguirla, nonostante fosse stata ancora più attenta del solito quando era sgattaiolata fuori di casa, e non fosse tenuta a sentirlo prima della nove del mattino successivo. Comunque, se per caso lui avesse scoperto che aveva tagliato la corda, non aveva modo di sapere dov’era andata. Lei aveva pianificato quella fuga ancora più meticolosamente della festa.

    Chiunque, vedendola, avrebbe pensato che era una normale cliente, una dei pochi privilegiati che potevano concedersi il lusso di cenare in un posto come quello. A Geoffrey non sarebbe mai venuto in mente di cercarla lì.

    Mentre sorseggiava un calice di champagne in attesa dell’antipasto a base di frutti di mare, Della sperimentò un senso di appartenenza che le scaldò il cuore. Erano anni che frequentava locali di quel livello, pur non essendo nata in una famiglia benestante. Era uscita dal ghetto e, a costo di grandi sacrifici, si era arrampicata fino al mondo dorato dell’alta società, sia pure nelle vesti di dipendente stipendiata, osservando ed emulando i suoi membri al punto da poter tranquillamente passare per una di loro.

    Quella sera non faceva eccezione. Aveva sborsato una piccola fortuna per noleggiare quell’abito di velluto rosso di Carolina Herrera e le scarpe di Dolce & Gabbana, per non menzionare gli orecchini e il pendant di Bulgari e il pesante mantello da teatro di Valentino, necessario per sopportare le rigide temperature di una notte di dicembre. Il rosso faceva risaltare i suoi occhi grigi e il biondo caldo dei suoi capelli, ormai abbastanza lunghi da poter essere raccolti in un morbido chignon, bloccato da un pettinino nascosto.

    D’istinto, sollevò una mano per accertarsi che fosse ancora a posto, sorridendo quando ne sentì il peso. Aveva sempre portato i capelli corti e abbandonato il suo colore naturale in prima liceo, quando se li era tinti di nero durante la fase grunge, facendoseli piacere al punto da continuare a tenerli così anche dopo. Aveva deciso di farseli crescere all’inizio dell’anno ed era rimasta gradevolmente sorpresa nel constatare che si erano scuriti, assumendo delle sfumature che ricordavano il colore del miele di tiglio. Tra la tinta e la nuova lunghezza, per non menzionare il resto, nessuno del suo vecchio ambiente sarebbe stato in grado di riconoscerla.

    Ma quella sera non avrebbe pensato a nessuna di quelle cose, rammentò a se stessa. Tutto doveva essere perfetto, esattamente come lo aveva sognato da bambina.

    Fatta eccezione per l’uomo attraente ed elegantemente vestito che cinque minuti prima il maître di sala aveva fatto accomodare a un paio di tavoli dal suo, e al quale non riusciva a fare a meno di lanciare delle occhiatine di soppiatto. Da ragazza, non si era mai visualizzata lì, alla cena dei suoi trent’anni, con un accompagnatore. Non sapeva bene perché. Forse a causa della già citata consapevolezza di poter contare soltanto su se stessa. O forse perché, a quell’età, non era stata nemmeno in grado di concepire un tizio come quello. Nel suo quartiere, elegantemente vestito voleva dire uno con la camicia abbottonata. E attraente che aveva tutti i denti in bocca.

    Senza preavviso, l’uomo si girò e incrociò il suo sguardo. Qualcosa tra di loro... scattò. Lo sconosciuto inclinò la testa nella sua direzione, un angolo della bocca che si sollevava in quello che avrebbe potuto essere un principio di sorriso. Dopo una breve esitazione, lei ricambiò alzando il bicchiere in un accenno di brindisi. Fasciato da uno smoking che sembrava tagliato apposta per enfatizzare il suo fisico atletico, era circondato dalla luce soffusa che proveniva dalla finestra alle sue spalle. I suoi occhi castani riflettevano la calda fiamma della candela che aveva davanti e il suo mezzo sorriso le fece scivolare un brivido caldo lungo la schiena. Era il genere di sorriso che lasciava capire a una donna quando un uomo, oltre a spogliarla con lo sguardo, si divertiva a pensare ai modi in cui gli sarebbe piaciuto usare il suo corpo.

    La vampata di calore che le invase le guance la spinse a rivolgere altrove la sua attenzione. Portandosi il calice di champagne alle labbra, si impose di concentrarsi sulla trama della tovaglia di lino, sulla forma del piatto di porcellana, sulla decorazione del manico del coltello d’argento, salvo poi ritrovarsi a dare un’altra sbirciatina nella sua direzione.

    Solo per scoprire che lo sconosciuto continuava a fissarla con evidente interesse.

    «Che ne pensa?» le chiese all’improvviso, alzando la voce quel tanto che bastava per farsi sentire attraverso i quattro, cinque metri che li separavano.

    Della batté le ciglia, sconcertata. Comprendendo, per la prima volta in vita sua, cosa comportava essere in uno stato di sconcerto: provare confusione accompagnata a una sorta di piccolo rimescolamento, niente affatto sgradevole, nello stomaco. Mille risposte diverse si affollarono nel suo cervello. La prima, la più ovvia, era: Penso che tu sia l’uomo più affascinante che abbia mai visto, ma anche: Che fai l’ultimo dell’anno?, e persino un disinvolto e audace: Perché vuoi saperlo, tesoro?

    «Riguardo alla cena» aggiunse lui, sollevando il menu. «Cosa mi raccomanda?»

    Allora era questo che voleva sapere? La domanda era assai diversa da come l’aveva interpretata. Fortunatamente era stata troppo sconcertata per rispondere.

    «Uhm, non so che dirle» disse. «È la prima volta che vengo qui.» Per qualche motivo, aveva l’impressione che lo sconosciuto non sarebbe rimasto particolarmente impressionato se gli avesse consigliato di ordinare le pietanze più costose perché lo avrebbe fatto sembrare ricco, sofisticato e chic.

    La sua risposta parve sorprenderlo. «Com’è possibile che sia la prima volta? Palumbo è un’istituzione a Chicago da quasi un secolo! Devo dedurne che lei non è originaria di queste parti?»

    Della non poteva rispondere a quella domanda. Principalmente perché nessuno, oltre a Geoffrey, era al corrente della sua presenza in città e lui la sorvegliava da molto vicino. Certo, in quel preciso momento non aveva idea che si trovasse lì, ma questo costituiva un ulteriore motivo per non rivelare particolari che avrebbero rischiato di compromettere la sua scappatella.

    Assodato questo, non le restava che mentire... cosa che lei non faceva mai, sebbene la sua sincerità l’avesse messa nei guai più di una volta. Oppure poteva replicare in modo vago, rischiando però di aprire un varco al genere di chiacchiere che avrebbero potuto indurla a parlare del suo passato. O, peggio ancora, del suo presente. E lei voleva starsene il più lontano possibile da entrambi gli argomenti, non essere responsabile di nulla che non fosse l’abito da sera di Carolina Herrera, i gioielli di Bulgari e il posto in un palco per la La Bohème.

    Per tutte quelle ragioni, scelse di rispondere soltanto alla prima domanda che le aveva posto. «Io ho ordinato lo speciale. Adoro il pesce.»

    Lui rimase un attimo in silenzio, aggrottando la fronte come se attribuisse un grande peso alle sue parole. Poi disse: «Me lo ricorderò».

    Stranamente, Della ebbe l’impressione che a quell’uomo non interessasse avere dei consigli sul menu, quanto scoprire che cosa lei avesse scelto.

    L’uomo aprì la bocca per aggiungere qualcos’altro, ma venne interrotto dall’arrivo di un cameriere che gli portò un cocktail ambrato, posando poi un secondo bicchiere, contenente un liquido rosa e pieno di ghiaccio, nel posto di fronte.

    Aspettava compagnia, realizzò Della. Una donna, a giudicare dal colore della bevanda. Era raro, se non impossibile, che un uomo e una donna cenassero in un posto come Palumbo se tra di loro c’era un rapporto casuale... a meno che uno dei due non sperasse di portarlo allo stadio successivo. Quel tizio le lanciava occhiate ardenti, flirtava apertamente con lei, pur sapendo che di lì a qualche minuto sarebbe stato raggiunto dalla sua compagna. Il che significava che era un grandissimo bastardo.

    Okay, forse le celebrazioni per i suoi trent’anni non sarebbero state l’assoluta perfezione che aveva sognato, dal momento che era costretta a sedere vicino a un individuo di quella fatta. E perché il vestito e gli accessori venivano da una boutique di Michigan Avenue e non dal suo armadio. E perché in quel periodo la sua vita, oltre a non essere quella di una milionaria, non era nemmeno sua. Tutto quello che faceva e diceva, tutti i posti nei quali andava, dovevano essere prima vagliati e controllati da Geoffrey. Non aveva più un’esistenza normale e quella che avrebbe avuto in futuro sarebbe stata molto diversa da quella che si era costruita e che aveva sognato. La direzione che avrebbe preso non dipendeva da lei, ma da altri.

    Non appena quel pensiero prese forma nella sua mente, lo spinse nella periferia più remota e oscura della sua coscienza. Non voleva pensare a nessuna di quelle cose. Doveva dimenticarsi tutto. Quella sera lei non era Della Hannan, ma una specie di Cenerentola di città, regina del ballo per una notte. Nulla avrebbe guastato quella cullante illusione. Neppure il Principe Assai-Poco-Azzurro che continuava a farle gli occhi da letto mentre aspettava la ragazza che in teoria era chiamata a soddisfarlo.

    Nel frattempo, il maître fece sedere due coppie di amici al tavolo tra di loro, bloccandole completamente la visuale dell’uomo. Della se ne rallegrò, anche se una parte della sua mente, la più contorta, cercò di convincerla a provare un moto di delusione.

    Era molto probabile che fosse uno stronzo, però restava sempre l’uomo

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