Il ladro di anime (eLit): eLit
Di P.C. Cast
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Info su questo ebook
Tutti all'agenzia di investigazioni After Moonrise hanno dei poteri soprannaturali, una fortuna se si devono catturare degli assassini, ma un problema quando si tratta di relazioni sentimentali. Lo sa bene Kent Raef, alle prese con lo spirito di una donna assassinata che si è impossessato del corpo della gemella. Lui è l'unico che potrebbe aiutarle... se solo riuscisse a capire quale delle due vuole salvare, e perché.
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Anteprima del libro
Il ladro di anime (eLit) - P.C. Cast
Immagine di copertina:
MDHayes / iStock / Getty Images Plus
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:
Possessed
HQN Books
© 2012 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Roberta Marasco
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-575-4
1
Era stato grazie al padre del bullo che Raef aveva scoperto di possedere il Dono. Era successo venticinque anni prima, ma il ricordo era forte come il caffè di quel mattino. La prima volta non si scordava mai. Come il primo orgasmo, la prima sbronza, il primo omicidio e, maledizione, la prima volta in cui aveva scoperto di poter tracciare le emozioni violente di una persona – cioè di poterle captare e seguire – si era impressa indelebilmente nella sua memoria.
Il bullo si chiamava Brandon. Era un tipo grande e grosso, che a tredici anni ne dimostrava trentacinque... portati male. Almeno così sembrava agli occhi di Raef, che di anni ne aveva nove. Brandon non aveva preso di mira lui. Non in particolare. A Brandon piaceva prendersela con le ragazze. Non è che le picchiasse. Peggio. Scopriva di che cosa avevano paura e poi le torturava terrorizzandole.
Raef capì perché lo faceva il giorno in cui se la prese con Christina Kambic, usando un uccello morto. Christina non era sexy. Non era neanche brutta. Era semplicemente una ragazzina come tante altre, per come la vedeva lui: aveva le tette e parlava un sacco, due cose che, già a nove anni, Raef aveva collegato al piacere e al tormento delle femmine.
Brandon però non aveva preso di mira Christina per le sue tette o la lingua lunga, bensì perché in qualche modo aveva scoperto che aveva il terrore degli uccelli.
La parte della giornata che era incisa a fuoco nella memoria di Raef cominciò dopo la scuola. Brandon tornava a casa sul marciapiede opposto rispetto a Raef e al suo migliore amico, Kevin. Davanti a lui c’era un gruppetto di ragazze, che ridacchiavano e parlavano come mitraglie. Brandon era solo, come al solito. Non aveva amici. Raef lo aveva notato di sfuggita e ricordava solo vagamente di averlo visto prendere a calci qualcosa lungo il bordo del marciapiede.
Raef e Kevin stavano parlando delle selezioni di baseball. Lui avrebbe voluto essere un interbase. Kev avrebbe voluto fare il lanciatore. «Già, hai un braccio migliore di Tommy» aveva osservato Raef. «L’allenatore non sceglierebbe mai...»
Fu allora che iniziarono le urla di Christina.
«No, per favore no, smettila!» supplicò singhiozzando. Due amiche gridarono e corsero via lungo la strada. Altre due rimasero con lei e urlarono a Brandon di smetterla.
Lui le ignorò. Aveva costretto Christina a indietreggiare fino a inchiodarla contro la staccionata del cortile del signor Fulton, facendole dondolare davanti al viso il corpo spiaccicato di quello che doveva essere un corvo investito da un’auto, ridendo e gracchiando come uno stupido.
«Per favore!» singhiozzò Christina, il viso fra le mani, schiacciata contro la staccionata di legno al punto che Raef pensò che l’avrebbe spaccata. «Non lo sopporto! Per favore, smettila!»
Raef pensò a quanto fosse grande Brandon – molto più di lui – e non si mosse. Poi Brandon spinse l’uccello morto fra i capelli di Christina e la ragazza iniziò a gridare come se la stessero assassinando.
«Ehi, non sono affari tuoi» disse Kevin, quando Raef sospirò profondamente e iniziò ad attraversare la strada.
«Non è necessario che siano affari miei. Basta che sia crudele» rispose Raef all’amico da sopra la spalla.
«Fare l’eroe ti farà finire nei guai, prima o poi» ribatté Kevin.
Raef pensò che aveva ragione Kev. Ma continuò ad attraversare la strada. Arrivò alle spalle di Brandon. Velocemente, come se afferrasse una palla per poi rilanciarla, tolse l’uccello dai capelli di Christina e lo buttò lungo la strada. Lontano da loro.
«Che cazzo di problema hai, stronzo?» gridò Brandon, che incombeva su Raef come una versione da due soldi dell’Incredibile Hulk.
«Nessuno. Penso solo che far piangere una ragazza sia stupido.» Raef guardò Christina, oltre il corpo muscoloso di Brandon. Doveva avere i piedi inchiodati a terra, perché non si era mossa, e continuava a gridare e tremare, stringendosi le braccia intorno al corpo come se cercasse di non cadere a pezzi. «Vai a casa, Christina» le disse. «Non ti darà più fastidio.»
Due secondi e mezzo dopo, il pugno di Brandon gli arrivò in faccia, spaccandogli il naso e mandandolo con il sedere per terra.
Raef ricordava di essersi stretto il naso sanguinante fra le dita, di aver guardato il ragazzone fra le lacrime di dolore che gli avevano colmato gli occhi, e di aver pensato Perché accidenti sei così cattivo?
Fu allora che accadde. Nell’istante in cui Raef si pose quella domanda, un oggetto strano, simile a una corda, comparve attorno al bullo. Era scuro, sembrava fatto di fumo e Raef pensò che doveva puzzare. Usciva serpeggiando da Brandon, e saliva su nell’aria.
Raef ne era affascinato.
Fissò quella cosa e si dimenticò del naso. Si dimenticò di Christina e di Kevin e perfino di Brandon. L’unica cosa che voleva era scoprire che cosa fosse quella corda di fumo.
«Guardami quando ti parlo, cazzo! Fa schifo quanto è facile spaccarti il culo!» La rabbia e il disgusto di Brandon alimentavano la corda, che pulsava e si scuriva, finché non esplose con un sibilo addosso a Raef. E in quel momento, all’improvviso, lui percepì la rabbia di Brandon. Il suo disgusto.
Sconvolto, Raef chiuse gli occhi e gridò, non a Brandon, ma a quella corda inquietante: «Vattene!». Poi accadde una cosa assurda. La corda scomparve, ma in qualche modo la mente di Raef continuò a seguirla. Era come se quell’affare si fosse trasformato in un telescopio e all’improvviso Raef vide la casa di Brandon, all’interno. Brandon era lì. E c’erano anche suo padre e sua madre. Il padre, una versione più vecchia e grassa di Brandon, incombeva sulla madre, che piangeva e tremava, rannicchiandosi terrorizzata sul divano, proprio come aveva appena fatto Christina. Il padre di Brandon le urlava addosso, dandole della stupida stronza. Brandon guardava. Sembrava disgustato, ma non dal padre. Aveva lo sguardo fisso sulla madre. Ed era scocciato. Molto, molto scocciato.
A Raef venne voglia di vomitare. Nell’istante in cui ebbe la nausea, smise di provare quei sentimenti estranei, come se qualcuno avesse spento un interruttore. La corda svanì, insieme al telescopio e alla visione della casa di Brandon, lasciandolo in un presente molto doloroso e molto imbarazzante. Raef aprì gli occhi e disse la prima cosa che gli balzò in testa. «Come puoi dare la colpa a tua madre se tuo padre è così cattivo?»
Brandon si immobilizzò. Sembrava che avesse smesso di respirare. Poi il suo viso divenne rosso-barbabietola e gridò a Raef, sputacchiando saliva: «Che cosa hai appena detto di mia mamma?».
Raef si sarebbe chiesto spesso in seguito perché diavolo non avesse tenuto la bocca chiusa. Perché non si fosse alzato. E non fosse scappato via. Invece, come uno scemo, disse: «Tuo padre se la prende con tua madre come tu te la prendi con le ragazze. Lo so perché l’ho appena visto. Dentro la mia testa. Non so come». Fece una pausa, ci rifletté un secondo e poi aggiunse, cercando di capirci qualcosa ragionando ad alta voce: «Ieri sera tuo papà ha detto a tua mamma che era una stupida stronza. Tu lo guardavi».
Poi l’assurdo diventò assurdo al quadrato, perché Brandon reagì come se all’improvviso Raef fosse cresciuto di mezzo metro, avesse messo su cinquanta chili e l’avesse colpito allo stomaco. Il ragazzone aveva l’aria di stare male, di avere addirittura paura, e iniziò a indietreggiare, ma prima di voltarsi e correre giù per la strada, gridò le parole di cui Raef non si sarebbe più liberato per il resto della vita. «So che cosa sei! Sei peggio di un negro, peggio di un guardone. Sei un sensitivo, un cazzo di fenomeno da baraccone. Stai alla larga da me!»
Oh, merda. Era vero. Non era possibile... Non era possibile...
Raef era rimasto lì, insanguinato, confuso e – cosa quanto mai imbarazzante – a singhiozzare, mentre il suo migliore amico continuava a chiamarlo per nome e cercava di farlo tornare in sé. «Raef! Raef! Raef!»
«Signor Raef? Raef? Tutto bene, signore?»
Raef tornò al presente, si riscosse mentalmente e fisicamente e prese il telefono, spegnendo il pulsante dell’interfono. «Sì, Preston. Che c’è?»
«Signor Raef, il suo appuntamento delle nove e zero zero è arrivato. Con trenta minuti di anticipo.»
Raef si schiarì la voce. «Sai, Preston, è un vero peccato che il mio Dono non mi permetta anche di vedere il futuro, altrimenti l’avrei saputo e sarei stato pronto a riceverla.»
«Sì, signore, ma allora io probabilmente sarei senza lavoro» ribatté Preston con il suo solito umorismo sardonico.
Raef ridacchiò. «No, ci sarebbero sempre tutte quelle scartoffie di cui occuparsi.»
«La mia ragione di vita, signore.»
«Mi fa piacere sentirlo. Okay, dammi cinque minuti e falla entrare.»
«Certo, signor Raef. Poi tornerò alle mie scartoffie.»
Raef prese un respiro profondo, afferrò la tazza di caffè