Il matrimonio degli inganni
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Tradotto in 12 lingue
Il nuovo grande thriller dall’autore del bestseller 13 anni dopo
Charley Willis aveva solo tredici anni quando i suoi genitori vennero brutalmente assassinati in casa sua, a pochi metri da lei. La piccola Charlotte, infatti, era nascosta dentro un armadio e fu trovata molte ore dopo, traumatizzata. L’assassino non venne mai catturato. Quindici anni dopo, Charley è all’altare con suo marito, Seth Chambers. Sono innamorati e tra loro non ci sono ombre. Finalmente ha chiuso con il passato e può vivere la sua nuova vita. Ma, trascorsa solo un’ora dal fatidico sì, la sposa scompare nel nulla. Nessuno l’ha vista, nessuno sa dove sia. Solo una cosa è certa: Seth sta per scoprire cose che non avrebbe mai potuto immaginare sulla donna che ama. La loro vita insieme, apparentemente serena, nascondeva in realtà dei segreti che Charley si portava dietro da anni. L’incubo sta per cominciare.
Charley si è appena sposata
Ma è già scomparsa nel nulla
«Trame intricate, alto livello di tensione e una profonda caratterizzazione dei personaggi sono elementi distintivi dei suoi thriller.»
Lancashire Evening Post
«Una voce unica e una scrittura potente.»
Publishers Weekly
«Un maestro della suspense.»
The Sun
Kerry Wilkinson
È uno scrittore di thriller diventati bestseller in Inghilterra, America, Canada, Sud Africa, Singapore e Australia, con un milione di copie vendute nel mondo. È originario del Somerset, ma ha passato gran parte della sua vita nel nord dell’Inghilterra. Quando è a corto di idee per scrivere, va in bicicletta o inforna dolci. La Newton Compton ha pubblicato 13 anni dopo e Il matrimonio degli inganni.
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Anteprima del libro
Il matrimonio degli inganni - Kerry Wilkinson
2250
Copertina © Sebastiano Barcaroli
Titolo originale: The Wife’s Secret
Copyright © 2018 by Kerry Wilkinson
First published in Great Britain in 2018
by Storyfire Ltd trading as Bookouture.
Traduzione dall’inglese di Cristina Popple
Prima edizione ebook: maggio 2019
© 2019 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-3233-0
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Kerry Wilkinson
Il matrimonio degli inganni
Indice
PRIMA PARTE. ESODO
Capitolo 1. Seth, oggi
Capitolo 2
Capitolo 3. Sergente Mike Heyman, polizia di Langton, quindici anni fa
Capitolo 4. Seth, oggi
Capitolo 5
Capitolo 6. Charley Willis, tredici anni, quindici anni fa
Capitolo 7. Seth, oggi
Capitolo 8. Ian Hendy, corrispondente del «Langton Chronicle», quindici anni fa
Capitolo 9. Seth, oggi
Capitolo 10. Grant Westlake, avvocato specializzato in eredità e successioni, quindici anni fa
Capitolo 11. Seth, oggi
Capitolo 12. Charley Willis, quindici anni, tredici anni fa
Capitolo 13. Seth, oggi
Capitolo 14. Charley Willis, sedici anni, dodici anni fa
Capitolo 15. Seth, oggi
Capitolo 16. Charley Willis, diciassette anni, undici anni fa
Capitolo 17. Seth, oggi
Capitolo 18
Capitolo 19. Charley Willis, ventitré anni, cinque anni fa
Capitolo 20. Seth, oggi
Capitolo 21
Capitolo 22. Charley Willis, ventiquattro anni, quattro anni fa
Capitolo 23. Seth, oggi
Capitolo 24
La maledizione dei Willis
Capitolo 25. Seth, oggi
Capitolo 26
Capitolo 27. Charley Willis, venticinque anni, tre anni fa
Capitolo 28. Seth, oggi
Capitolo 29. Charley Willis, ventisei anni, due anni fa
Capitolo 30. Seth, oggi
Capitolo 31. Charley Willis, ventotto anni, sei settimane fa
SECONDA PARTE. GENESI
Capitolo 32. Seth, oggi
La rinascita della coppia più amata d’Inghilterra
Capitolo 33. Seth, oggi
Capitolo 34. Charley Willis, otto anni, vent’anni fa
Capitolo 35. Seth, oggi
Capitolo 36
Capitolo 37. Charley Willis, undici anni, diciassette anni fa
Capitolo 38. Seth, oggi
Capitolo 39
Dove c’è un Willis c’è speranza
Capitolo 40. Seth, oggi
Capitolo 41. Charley Willis, tredici anni, quindici anni fa
Capitolo 42. Seth, oggi
Capitolo 43. Charley Willis, tredici anni, quindici anni fa
Capitolo 44. Seth, oggi
Capitolo 45. Charley Willis, tredici anni, quindici anni fa
Un Paese in stato di shock
Capitolo 46. Seth, oggi
Capitolo 47. Charley Willis, ventotto anni, sei settimane fa
Capitolo 48. Seth, oggi
Capitolo 49. Martha Willis, trentatré anni, quattro anni fa
Capitolo 50. Seth, oggi
Capitolo 51
Capitolo 52
Nota dell’autore
Prima parte
Esodo
1
Seth, oggi
Dicono che non puoi sceglierti la famiglia. Può anche darsi, ma di certo puoi escluderla dalla lista degli invitati quando decidi di sposarti.
E gli amici? Be’, chi sono gli amici? Raj è accasciato in un angolo contro il muro, un testimone soltanto sulla carta. Una scelta obbligata, suppongo, perché qualcuno doveva pur farlo. Non puoi pensare di sposarti senza un altro tizio al tuo fianco con un completo in pendant. Non è nemmeno questione di tradizione; è per avere qualcuno con cui fare due chiacchiere mentre stai in piedi davanti all’officiante, pregando che la tua futura moglie non abbia cambiato idea.
«Il giorno più felice della tua vita», ha borbottato un paio d’ore fa, mentre stavamo lì impalati insieme. Sciorinava cliché, ma era vero. Be’, in un certo senso. Come si fa a misurare certe cose? Il nostro matrimonio è stato migliore di quel giorno in cui tutti e quattro abbiamo marinato la scuola per andare ad Alton Towers? Dovrebbe, ovvio che dovrebbe, ma un momento che risale a più di dieci anni fa non può essere comparato a qualcosa di così completamente diverso. Rideremo di più di quella volta in cui Raj ha sfondato per sbaglio una finestra con il pallone?
Però ci siamo divertiti, io e Very Charley. Più come dei bengala in giardino che come i vistosi fuochi d’artificio che esplodono sopra il Big Ben. Piccoli. Concisi. Noi.
«Allora, bello, ti ha già mollato?».
La pacca sulla schiena mi fa barcollare in avanti, più per un capogiro alcolico che per la forza della spinta di Rafi. Se non puoi sbronzarti il giorno del tuo matrimonio, allora quando?
Rafi è il fratello di Raj. Non siamo particolarmente legati, ma loro due sono inscindibili: compra un amico indiano e ne ricevi uno gratis. Ci sono solamente undici mesi di differenza tra Rafi e Raj, perciò ho sempre compatito la povera madre: cinque figli in poco più di quattro anni? C’è chi ha avuto una medaglia per molto meno.
«Lo sapevo, avrei dovuto firmare un accordo prematrimoniale», rido. È la terza o quarta volta che lo dico oggi, battuta standard da matrimonio. La ragazza alla reception dell’albergo si è beccata la prima. Suscito una risata – o un sorriso forzato – tutte le volte, anche se non possiedo nulla di valore. Charley può prendersi la metà del debito della mia carta di credito e il mutuo, se vuole. Se questo è un matrimonio di interesse, allora abbiamo entrambi sbagliato clamorosamente i conti.
La risata di Rafi è nasale. Anche lui è sbronzo; non dorme ancora in piedi come il fratello, ma è sulla buona strada.
«Come sta Raj?», chiedo.
Entrambi guardiamo il mio testimone, all’angolo della stanza, tutt’altro che ligio al proprio compito. Sta usando una mano per sostenersi e nell’altra stringe un boccale da birra. Gli occhi sono chiusi, ma sghignazza tra sé e sé.
«È uscito diverse volte per prendere una boccata d’aria», dice Rafi.
«L’aria cura la sbronza?»
«Ah! L’ho trovato in un cespuglio cinque minuti fa, penso si fosse addormentato. L’ho dovuto trascinare di nuovo dentro. Per fortuna i discorsi sono finiti». Si umetta le labbra e abbraccia la stanza con lo sguardo. «Dov’è l’adorabile sposa?», chiede.
«Probabilmente ha fatto un salto in bagno. Ci mette un’eternità a tirare su quel vestito. L’ultima volta, Alice ha dovuto darle una mano, penso ci vogliano due o tre persone».
Mentre parlo, vedo Alice vicino al buffet. Ha preparato lei gran parte del cibo, per cui ha decisamente il diritto di goderselo.
«Amico mio, sono donne», dice Rafi, ridendo ancora. «Ormai sei fregato: una donna sola per tutta la vita».
Un’altra battuta che fa la gente quando dici che ti stai per sposare, specie se non hai ancora trent’anni. Charley ne ha ventotto e io uno in meno. Una gomitata, l’occhiolino. Una donna sola, eh? Perché se non fosse per Charley, avrei orde di ragazze che si gettano ai miei piedi…
Rido comunque, è la cosa giusta da fare. Diventano tutti comici quando si parla di battesimi, matrimoni, funerali. Mettersi in ghingheri fa quest’effetto. I completi, gli abiti, gli slip contenitivi e tutto il resto dell’armamentario sono così scomodi che l’unico modo per allentare la tensione è ripetere le stesse battute che abbiamo sentito un milione di volte.
Rafi si allontana barcollando per verificare che suo fratello stia bene e io rimango solo con la mia pinta quasi vuota. La stanza si sta lentamente riempiendo, anche se non sfugge a nessuno che sono quasi tutti miei conoscenti. Alcuni colleghi di lavoro, qualche vecchio compagno dell’università, un paio di ragazzi del calcio. Ti dicono solo ricevimento
e tu capisci cibo gratis
, e ci sta che la coppia di sposini offra pure il primo giro di bevute. Bottiglie di vino sul tavolo. Incrociamo le dita e quant’altro. Ci siamo passati tutti.
Dal nulla, mi sento risucchiare nell’abisso. Per un attimo piombo nel panico: non mi ricordo quanto ho bevuto, è il pavimento che gira? Il soffitto? Sono io? Non ho bevuto così tanto.
Poi mi accorgo che qualcuno decisamente più piccolo di me mi sta strattonando.
È Daisy, la nipote di Charley. I suoi boccoli biondi stanno cominciando ad allentarsi, mentre il suo grande debutto come damigella d’onore volge alla fine. Ha solo cinque anni, quell’età in cui tutto è ancora una meravigliosa novità e il mondo è un posto enorme in cui può succedere qualunque cosa. L’età di Babbo Natale e degli unicorni, o di Babbo Natale che cavalca un unicorno.
È suo padre a rivolgermi la parola: «Hai idea di dove sia la Piccola C?».
Non ho idea del perché il cognato di Charley la chiami così. Mason Renton è occupato a impedire che l’altro figlio, Dillon, sette anni, si lanci in scivolata sulla pista da ballo. A me non frega molto. Dacci dentro, piccolo. Probabilmente è molto più divertente del primo ballo.
«Me lo stavo giusto chiedendo», gli rispondo.
Mason ha una mano sulla spalla del figlio e mi offre quello sguardo stanco che spesso i genitori propinano ai non genitori: Maledetti ragazzini, eh? Ringrazia che non è tuo
.
A dire il vero, Mason mi piace parecchio e avevo seriamente pensato di chiedergli di farmi da testimone, anche se non ci conosciamo poi così bene. Charley ne sarebbe stata felice, sono sempre stati molto legati. Ma, alla fine, mi sono detto che doveva essere un mio amico.
«Vado a portarli a letto», dice.
Accigliata, Daisy lascia la mia gamba. Mentre Mason si dirige verso la porta, i figli si coalizzano in un lamento contro l’ora della nanna. Sospetto che in realtà Mason voglia ritagliarsi un paio d’ore di pace nella propria stanza, mentre i ragazzi dormono. È stata una lunga giornata per tutti.
Quando si apre la porta, per un attimo irrompono le luci strobo e la musica roboante della sala vicina, poi cala di nuovo il silenzio. Siamo nella più piccola delle sale conferenze dell’albergo, più che sufficiente per noi. A me e a Charley piace tenere un basso profilo.
Dalla parte opposta del corridoio, si sta tenendo un altro ricevimento, uno di quelli in cui la sposa invita chiunque conosca finché diventa una specie di sport agonistico. Cinque fotografi e almeno dieci damigelle.
Una cosa da è il mio giorno speciale
.
L’ho letto in faccia allo sposo quando ci siamo scambiati un cenno e un mezzo sorriso vicino ai bagni. Niente scherzi, niente battute. Aveva lo sguardo stralunato, ancora in stato di shock, come se avesse visto un autoarticolato piantarsi nella fiancata di una Mini. Cristo, mi aspetta tutta una vita così
, stava pensando.
Più tardi, l’ho raccontato a Charley. Lei ha sorriso con dolcezza, dandomi l’equivalente visivo di una pacca sulla testa. È stata silenziosa tutto il giorno.
«Dov’è la tua dolce metà?».
Una voce di donna. I matrimoni sono come quel programma
TV
, This Is Your Life, e infatti Emily si avvicina da dietro, comparendo nel mio campo visivo come se sbucasse dal nulla. Probabilmente è colpa dell’alcol. Ha i capelli appiccicati alla fronte e ansima leggermente. È tutto il giorno che corre da una parte all’altra impugnando la macchina fotografica. Cercare di ricordarsi i nomi di tutti e ripetere in continuazione alla gente di sorridere è un compito ingrato. Io non vorrei essere nei suoi panni. Certa gente si comporta come se chiedere di sorridere equivalesse a esigere un rene. Suppongo sia a questo che serve una sorella, specie una sorella maggiore.
Non puoi sceglierti la famiglia eccetera eccetera.
«Sono qui!», le dico.
Emily inclina la testa, una mano sul fianco. «Ho detto la dolce metà, non la metà ubriaca».
«Era qui…», rispondo. È piuttosto chiaro che Charley non sia nei paraggi. Ci sono poco più di trenta persone nella stanza, nessuna delle quali indossa un abito bianco. Non ci sono competizioni da questa parte del corridoio, nessuna gara per essere al centro dell’attenzione. Se Charley fosse presente, sarebbe facilmente individuabile.
«Vado a dare un’occhiata in bagno», dice Emily, scomparendo di nuovo. Attraversa frettolosamente la pista da ballo e infila la porta, permettendo per un attimo all’altra festa di intrufolarsi ancora nel nostro spazio.
Raj è sempre nello stesso angolo, ma non è più appoggiato al muro. Adesso utilizza suo fratello come sostegno. Gli altri sono tutti impegnati a farsi i fatti propri in gruppetti di due o tre persone; probabilmente puntano la torta a tre piani, chiedendosi quand’è che finalmente passeremo alle cose serie.
Alice si sta ancora affannando intorno al buffet, sistemando i canapè in modo che sia tutto in un ordine maniacale. Mentre mi avvicino, alza lo sguardo e lo riabbassa velocemente, borbottando qualcosa a quelle che sembrano focaccine arancioni. Non riesco neppure a pronunciare il nome di metà delle cose che ha cucinato.
I suoi capelli scuri sono raccolti da una miriade di mollette. È stata la prima damigella di Charlie, l’unica adulta.
«Fame?», mi chiede.
«Ho adocchiato quella specie di minipasticcini».
Mi schiaffeggia le dita quando cerco di afferrarne uno. «Aspetta il primo ballo».
«A proposito di primo ballo, hai visto Charley?».
Alice fa un passo indietro, alza lo sguardo e scruta la stanza. «Forse in bagno?»
«Non ci vogliono due persone per quello?».
Mormora tra sé e sé. «È vero… ora la chiamo».
Come per magia, fa apparire un telefono dal nulla. Non ho mai capito come le donne ci riescano. Gli uomini ficcano il portafogli nella tasca posteriore, il cellulare in quella davanti e questo è quanto. Gli abiti da donna non sono provvisti di tasche e trovano comunque miriadi di posti in cui nascondere le loro cose.
Il suo pollice saetta sullo schermo, poi si porta il telefono all’orecchio. Fa il broncio, inclina la testa, la scuote. «Non risponde».
Nello stesso istante, Emily rientra dalla porta e mi rivolge un’alzata di spalle. «Non è in bagno».
Stiamo lì impalati tutti e tre, scrutando in lungo e in largo la stanza come se Charley, come se mia moglie, potesse davvero nascondersi da qualche parte, con l’abito bianco e tutto.
«Forse è andata a riposarsi un attimo?», suggerisce Alice.
«Non ha detto nulla».
«Dammi la chiave della vostra camera, vado a dare un’occhiata. Controllo anche la mia».
Rovisto nelle tasche e le consegno la chiave elettronica. Charley e Alice hanno condiviso la stanza, ieri notte, ma ora la suite luna di miele tocca a noi. Non la suite luna di miele principale, è ovvio. Quella se l’è aggiudicata la sposa è il mio giorno speciale
di là dal corridoio. Noi abbiamo la suite della sera, qualunque cosa voglia dire. Ha un salottino e il letto a baldacchino, un lusso più che sufficiente per noi.
Alice si allontana, e io rimango vicino al cibo con mia sorella. Restiamo in imbarazzo per qualche secondo, nessuno dei due sa cosa dire all’altro. È così che dev’essere tra fratelli, almeno secondo me. Ho sempre trovato inquietanti i fratelli e le sorelle tutti abbracci e migliori amici.
«Hai controllato la mamma di recente?», chiede.
Ci voltiamo entrambi verso il piccolo tavolo vicino al dolce. Nostra madre siede lì da sola. Io ed Emily avevamo discusso di come l’avremmo tenuta d’occhio oggi, ma è stato tutto così caotico. Em era indaffarata con le foto e io, be’, io ero impegnato a sposarmi.
«Vado io», le rispondo. Percepisco il suo sospiro di sollievo.
La mamma si è procurata un piccolo bicchiere di sherry e sta sgranocchiando un pacchetto di Polo che ha tirato fuori dalla borsa. Osserva la stanza come un rapace, diffidando delle persone che non conosce. Le siedo di fronte e lei trasalisce, osservandomi con gli occhi socchiusi come se fossimo due sconosciuti. È tarchiata, ripiegata su sé stessa e indossa gli abiti della domenica: una gonna viola con la giacca coordinata. Le va così grande che sembra una bambina con i vecchi vestiti dismessi dalla sorella maggiore. Le maniche svolazzano attorno alle sue braccia magre e il bracciale d’oro le balla attorno al polso, sbatacchiando contro il tavolo.
Alza lo sguardo su di me e davvero, onestamente, per un attimo mi detesto sul serio.
È dura guardarla.
I genitori dovrebbero essere forti e saggi. Da bambino pensi che sappiano tutto, che siano una fonte di conoscenza attraverso cui accedere alle meraviglie del mondo. Solo quando diventi più grande ti rendi conto che è tutto un grande bluff. In realtà stanno improvvisando, e sono terrorizzati che tu possa picchiare la testa e roba del genere.
C’è stato un tempo in cui mia madre era forte e saggia, ma è tutto finito dopo la morte di papà.
«Seth?», gracida, come se fosse una domanda, come se non ne fosse del tutto certa.
«Ciao, mamma».
«Chi è tutta questa gente?», chiede.
«Soprattutto amici miei. Alcuni colleghi. Qualche vecchio compagno di scuola».
Annuisce, ma non penso che mi abbia ascoltato veramente.
«Dov’è tua sorella?».
Indico Emily, che si trova vicino al
DJ
. «È tutto il giorno che scatta fotografie, mamma, ricordi?».
I suoi occhi si spalancano, come se per lei fosse tutto una novità, e c’è una grossa parte di me che desidera allontanarsi. Quell’orribile voce che mi schernisce nel profondo. È così che finirò per ricordarmela? Non la donna robusta con i controcoglioni che entrava a scuola con passo marziale per difendere la figlia bullizzata. Non la madre che ci seppelliva nella sabbia quando andavamo al mare. Quella donna è sparita da tempo e qualcun altro ha preso possesso del suo corpo.
«Charley», dice in un magnifico attimo di chiarezza. «Hai sposato Charley». Il suo sguardo vitreo si fissa su di me per un istante solo, ma è sufficiente a riportare alla mente un’ondata di ricordi. A volte vorrei che non avesse questi attimi, è sempre e soltanto una crudele illusione che non dura mai più di un paio di secondi.
«L’hai vista?», le chiedo.
C’è una pausa. Una lunga pausa. Ti ci abitui, con la mamma. Può succedere a metà frase. Comincia a parlare, menziona un programma che ha visto in
TV
, qualcosa che hanno detto alla radio, oppure rievoca un incontro avvenuto tanti anni fa. Poi si interrompe, fissando il muro. A volte riprende da dove si è interrotta. Nella maggior parte dei casi, però, non ritrova più il filo.
«Era nel corridoio», dice mia madre.
«Charley?»
«Nel corridoio».
«Quando?»
«Stavo andando al bagno ed era vicino a quelle belle portefinestre sul retro, quelle coi gigli dall’altra parte».
Sbatto le palpebre. Di solito, non è così lucida. Le persone e i luoghi si confondono, quarant’anni fa sono adesso; pensa che io sia mio padre, si dimentica il nome di Emily.
«Quando?»
«Poco fa».
«Sei sicura?»
«Mi ricordo il suo vestito rosa».
La fisso, ma lei non ha occhi che per le sue Polo. Ne butta giù una e schiocca le labbra.
«Charley indossava un vestito bianco. Ci siamo sposati oggi, ricordi?», le dico.
C’è una pausa mentre lei continua a succhiare la caramella. «Certo che me lo ricordo!». Sbatte la mano sul tavolo. «Ho detto che l’ho vista col vestito bianco».
Questa aggressività è una cosa recente. A volte risponde male a Em o a me, ed è difficile sapere cosa fare. Non ha colpe se la sua mente le gioca dei brutti scherzi, se a volte ha bisogno di una presenza che la persuada e la lusinghi, mentre in altre circostanze è proprio una cosa del genere a farla infuriare. A Em toccano sempre le sfuriate peggiori, ma in fin dei conti sono sempre stato il suo preferito. Una volta, papà ha detto che mamma avrebbe continuato a fare figli finché non avesse avuto un maschio; si sono fermati a due solo perché sono arrivato io.
«Scusa, devo aver sentito male», rispondo, anche se potrei farne a meno, perché sta di nuovo fissando il muro. «Ti serve nulla?», le chiedo. «Un altro drink? Qualcosa da mangiare?»
«Non dire sciocchezze», mi rimbrotta, e questo è quanto. Come se qualcuno avesse premuto un pulsante per riavviare la sua mente. Non avrebbe senso chiederle nuovamente di Charley, ormai questa conversazione si è conclusa.
Mentre mi avvio verso la porta, Alice mi precede. Ci addentriamo nel corridoio, allontanandoci dal rimbombo sincopato della musica dei nostri dirimpettai. Il suo volto dice tutto.
«Non l’hai trovata?», chiedo.
«Non è da nessuna parte», replica Alice. «Ho controllato i bagni al piano di sopra e quaggiù, camera vostra, camera mia». Mi riconsegna la chiave elettronica. «Ho persino guardato nel parcheggio. Ho provato a chiamarla di nuovo, ma non ha risposto. Pensavo che qualcuno avrebbe notato una donna in abito da sposa».
«La mamma dice che l’ha vista vicino alle portefinestre».
Un po’ più avanti, lungo il corridoio, ci sono delle porte a tutta altezza che si aprono su un piccolo giardino sul retro dell’hotel. Alcune delle foto le abbiamo scattate lì.
Proseguiamo lungo il corridoio finché raggiungiamo il punto giusto. C’è un tappetino macchiato di terra sopra la moquette e, come ha detto mamma, ci sono i gigli di là dal vetro. Forse è vero che ha visto Charley?
«Qui?», chiede Alice.
È solo una parola, ma percepisco l’esitazione sottostante. Mia madre potrebbe aver visto Charley, ma è più probabile che se lo sia immaginato o che si sia confusa. Io e Alice fissiamo le porte, fianco a fianco. Sono chiuse e impronte di dita infantili imbrattano i pannelli più in basso.
«Forse Charley voleva prendere una boccata d’aria?», suggerisce Alice.
Usciamo nella fresca serata estiva. Il sole è calato dietro agli alberi in lontananza, ma la luce durerà ancora un po’. Le mattonelle sotto i nostri piedi sono ordinate in cerchi concentrici, con una meridiana al centro e l’erba tosata tutto intorno. Poco oltre, un sentiero conduce a un parcheggio.
«Char?».
La voce di Alice incrina il silenzio che ci circonda. Non vi è risposta, solo il rimbombo ovattato che proviene dall’interno.
Ci spingiamo ancora oltre e io mi dirigo verso il parcheggio. È un piccolo spiazzo di ghiaia, dove probabilmente il personale di servizio lascia le proprie auto. Gli ospiti parcheggiano sul davanti.
«Charley?», grido.
Niente.
In fondo al parcheggio, ci sono un varco nella siepe e una tetra stradina che conduce chissà dove. A parte questo, solo il verde delle siepi, dei campi incolti e degli alberi. Fa molto fuga dalla città
ed è tutto molto inglese
.
Il nome Charley è fissato in alto nella mia rubrica ma, quando provo a chiamarla, il telefono non squilla neppure. Ci riprovo tre volte di seguito, aspettando il messaggio che dice la chiamata non può essere inoltrata, ci scusiamo per il disagio
prima di riagganciare.
Faccio un ultimo tentativo, sperando in un colpo di fortuna. Solo che la fortuna non esiste e lei non risponde.
È il giorno del mio matrimonio, del nostro matrimonio, e mia moglie è scomparsa.
2
Sono le cinque del mattino.
Non sono sicuro di quali fossero le mie aspettative per la prima notte di nozze, ma di sicuro non pensavo a due fratelli che dormono testa-piedi nel mio letto matrimoniale. Forse dovrei scattare una foto col telefono. Quando Charley sarà tornata e mi avrà spiegato tutto questo strano equivoco, ci faremo un sacco di risate.
Raj è ancora vestito di tutto punto: gilet, scarpe e pochette. L’orlo dei suoi pantaloni è incrostato di terra e c’è una striscia di sporco sul dietro della giacca. Non ho idea di come abbia fatto a insozzarsi a tal punto, dato che non è stato di nessun aiuto quando sono uscito nel bosco dietro l’albergo per cercare Charley. Non che lo ritenga davvero responsabile delle proprie condizioni; mi ha persino chiesto se mi seccava che si fosse bevuto un paio di drink
a inizio serata. Nessuno si aspettava che la sposa sparisse.
Rafi ha i piedi sui cuscini. È il più grosso dei due fratelli ed è tutta la notte che russa come un orso. Per quanto fastidioso, c’è un ipnotismo melodico nel modo in cui il suo petto si alza e si abbassa, accompagnato da rantoli che solitamente si associano allo strangolamento. Mentre osservo dai piedi del letto, grugnisce, trattiene il fiato e poi si strozza su qualcosa prima di rotolare su un fianco e cingere il fondoschiena di Raj con una mano.
Che pasticcio.
Ricontrollo il telefono. Niente chiamate perse, niente messaggi. Niente di niente. Il nome di Charley è in cima all’elenco delle chiamate in uscita, seguito da un bel 63
. Se non fosse mia moglie e non fosse scomparsa, sarebbe il comportamento tipico di uno stalker. Le sessantatré chiamate senza risposta diventano sessantaquattro e resto a fissare lo schermo desiderando ardentemente che succeda qualcosa. Non accade nulla, per cui le porto a sessantacinque prima di riporre il cellulare in tasca.
Mi trascino per i corridoi silenziosi dell’albergo e imbocco le scale invece dell’ascensore. L’altra festa è finita un paio d’ore fa e persino gli ultimi ritardatari sono tornati alle proprie stanze o alle proprie case.
Sul cartello, al piano terra, c’è scritto
PORTA TAGLIAFUOCO, NON APRIRE
, ma qualcuno è uscito di lì e poi l’ha bloccata perché non si richiudesse. Tre bottiglie di vino vuote giacciono sul pavimento vicino all’involucro di un preservativo. Perlomeno qualcuno ha trascorso una bella serata.
La ragazza alla reception è rimasta qui tutta la notte. Quando mi vede arrivare, si sfila un auricolare e mi rivolge un sorriso di scuse. Ha una ventina d’anni, probabilmente è quella che si becca i turni che nessun altro vuole.
«Non si è ancora vista?», chiede.
Non so se trova la situazione divertente o sconcertante. Se lavora qui da un po’, è probabile che abbia visto una buona dose di stranezze, ma dubito che l’albergo abbia mai smarrito una sposa prima d’ora.
Scuoto la testa. «Immagino che non ci siano notizie, vero?»
«Mi dispiace. La sposa dell’altro matrimonio è passata di qua un paio di ore fa, ma nient’altro».
Mi rivolge uno di quei sorrisi a labbra strette tipo non so davvero cosa dirti
, e non la posso biasimare. È tutta la notte che lavora e il minimo che io possa fare è lasciarla in pace per un paio di ore. Mariti e mogli si mollano di continuo, no? Certo, di solito non un paio d’ore dopo la cerimonia, ma probabilmente pensa che abbiamo avuto una lite