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L amabile figlia del curato
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E-book255 pagine4 ore

L amabile figlia del curato

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Info su questo ebook

Londra, 1815.
Figlio di un conte e membro dell'aristocrazia inglese, lo scapestrato Fenton Foxworthy intende godere di tutti i benefici che la propria posizione gli concede: feste, donne, denaro... nulla sembra mancare a questo giovane baciato dalla sorte. Tuttavia le sue intemperanze non rimangono impunite a lungo e Fox si trova a dover subire l'ira dei mariti delle nobildonne che ha impunemente insidiato. Aggredito e ridotto in fin di vita, viene soccorso da Rebecca Whitelow, la figlia del curato, che lo crede il nuovo vicario. Fox approfitta dell'equivoco per attentare alla sua virtù ma, sorpreso da solo con lei, si trova costretto a chiarire la propria identità. Il matrimonio si farà comunque per salvare le apparenze, ma la bella Rebecca non intende perdonare Fox né tantomeno cedere alle sue lusinghe.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2018
ISBN9788858989340
L amabile figlia del curato

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    L amabile figlia del curato - Liz Tyner

    successivo.

    1

    Dei passi risuonarono sulle scale che portavano alla camera. La porta si spalancò e Foxworthy si rizzò a sedere, facendo scivolare via le coperte. Gettò una rapida occhiata alla mano dell'inatteso visitatore: nessun'arma in vista. Sollevato, alzò lo sguardo sul viso del cugino. Andrew, gli occhi ridotti a due sottili fessure, lo scrutava arcigno.

    «Non cominciare a imprecare» lo ammonì Foxworthy. «Non tollero certe parole.»

    «Se è davvero così, questa è la tua unica virtù ed è molto più di quanto avessi fino a sette giorni fa.»

    «Dunque sto migliorando.»

    «Ed era anche ora. Hai un aspetto orribile, sai? Come se non avessi dormito una notte intera in tutta la settimana.»

    «I segni di stanchezza sul viso spingono le signore a fare a gara per darmi consigli su come stare meglio. Non posso certo lamentarmi.»

    «Ho appena avuto notizia della tua ultima bravata.»

    Foxworthy annuì prontamente. «Un momento impagabile, che non dimenticherò mai.» Scrutando in faccia il cugino si convinse che nessuno se ne sarebbe dimenticato presto. Nondimeno, in quel momento lui non aveva molti ricordi di quanto accaduto. Rammentava di aver danzato a lungo durante la soirée, quello sì; aveva deciso di ballare con ogni invitata e, in un giro di danza, scoprire ciò che era più interessante sapere su ognuna. A un certo punto però Lady Havisham, esuberante come una ragazza da taverna, gli aveva dato di gomito, sfidandolo a una gara di bevute. Avendo cominciato a bere molto prima della signora, la scommessa risultò persa in partenza: la dama gli aveva concesso la sconfitta, aggiungendo prontamente che le sarebbe piaciuto avere un nipote così, magari solo più bello e intelligente. Lui, di rimando, le aveva schioccato un bacio sullo chignon di capelli grigi.

    Fox si portò una mano alla testa. «Deve per forza aver versato da bere nella borsetta, invece di mandarlo giù.»

    «Hai fatto l'ennesima proposta di matrimonio.»

    «Davvero?» replicò Fox, cercando conferma negli occhi del cugino. «A Lady Havisham? Non posso credere che sia stata così folle da accettare.»

    «Non ricordi?» sibilò Andrew, tirando un calcio al baldacchino, che non si mosse. «Nemmeno ti ricordi

    «In questo istante, no» ammise Fox, alzandosi dal letto. Un dolore lancinante gli attraversò il ginocchio. Zoppicando leggermente, si diresse verso lo specchio.

    «A Millicent Peabody. In ginocchio... e davanti a sei testimoni» continuò Andrew.

    Al ricordo, Fox sorrise. «Sì, è stato decisamente romantico. Mi dispiace solo di non averle offerto una rosa rossa, ma sai, non lo avevo pianificato.» Stava pagando caro l'essersi lasciato cadere in maniera così teatrale sul ginocchio: aveva di certo fatto scena, ma non era sicuro che il risultato fosse valso la pena.

    Quasi strozzandosi Andrew deglutì, distogliendo lo sguardo dal cugino. «Perché devi fare così?»

    Allo specchio, Fox si esaminò il viso. «Penso sia ora di un bicchierino.»

    «Perché ti sei proposto a Mrs. Peabody davanti a tutti?» insistette Andrew osservandolo severo. Si aspettava una risposta seria, a quanto pareva.

    «Perché il marito di Millicent Peabody è un individuo disgustoso» gli rispose Fox. «Nella sala da gioco ci ha intrattenuti tutti raccontando di quanto sua moglie si sia lasciata andare dall'arrivo dei figli. Mrs. Peabody è adorabile e il marito è troppo sciocco per riconoscere che tesoro sia, occupato com'è a inseguire ogni sgualdrina della città.»

    «Non prendiamoci in giro.» Andrew si incupì. «Lo fai perché i giornali parlino di te. Il tuo cervello zuppo d'alcol ti fa pensare di poter rivaleggiare per notorietà con Lord Byron.»

    «Superare. Superare Byron» lo corresse Fox sorridendo. «Questa proposta di matrimonio avrebbe commosso persino una debuttante.»

    «Fox» gli domandò Andrew con un filo di voce, tamburellandosi le labbra con un dito, «quante volte ti sei proposto a una donna sposata?»

    «Non è la quantità, ma la qualità delle proposte che conta.»

    «Quante volte ti sei proposto pubblicamente a una donna sposata?» ripeté Andrew, alzando sensibilmente il tono della voce.

    «Non posso certo propormi a una donna nubile. Potrebbe farla soffrire il non vedermi arrivare al matrimonio. Chiedere la mano di donne sposate denota una certa sensibilità.»

    «Per tutti, tranne che per il marito.»

    Fox indossò in fretta una camicia. «Sì, ci ho pensato, ma ho deciso di non badarci. Troppo poco importante per preoccuparmene.»

    «Ora capisco. Mr. Peabody si sente disonorato e sta progettando di ucciderti: se ci riuscirà sarai di nuovo sui giornali. È un ottimo piano, non c'è che dire. Avresti dovuto pensarci anni fa.»

    Foxworthy gettò un'occhiata alle proprie spalle. «Te lo assicuro, cugino, il mio trapasso sarebbe in prima pagina e non soltanto per un giorno o due. I giornali dedicherebbero ampio spazio alla mia dipartita.»

    «Potrei chiedere a mia moglie di disegnare una vignetta con te che muori e continui a fare proposte.»

    «Certo, presumendo che ci siano donne sposate nell'aldilà. Sarebbe un'incredibile prova di fede.» Fox versò dell'acqua nel lavabo e vi umettò una salvietta prima di passarsela sul viso. «Assicurati che Beatrice ritragga il mio sorriso alla perfezione. Voglio essere ricordato così come sono.»

    «Incluse le rughe?»

    Fox finì di lavarsi il viso e si mise a cercare il pettine, indugiando sulla propria immagine allo specchio. Nessun segno visibile. Nulla, nemmeno attorno agli occhi. Rimase perfettamente immobile mentre studiava il proprio riflesso. La caricatura di una persona. Lanciò il pettine contro il vetro, volgendo gli occhi altrove.

    «Hai frequentato il ton, radunando quante più donne possibili attorno a te» disse Andrew. «È come se dicessi a un marito che, se ti fossi proposto prima tu alla moglie, quella avrebbe scelto te.»

    Fox si girò di scatto, piantando gli occhi sul cugino. «Sarebbe andata così di sicuro. Non per amor mio, beninteso. È il vantaggio di avere un'eredità.» La sua voce si ridusse a un bisbiglio. «Il privilegio dell'erede. Tutto il resto non interessa né alle donne né ai loro mariti. E nemmeno a me.»

    «Non meno di tre uomini in questa città hanno pubblicamente minacciato di ucciderti: non credo riderai a lungo se uno di loro deciderà che valga la pena finire sulla forca pur di spedirti sottoterra.»

    «Mi sarei stupito se non l'avessero fatto. In realtà millantano vendetta, ma blaterano a vanvera. Nemmeno a quei due di ieri interessa davvero.» Chiuse gli occhi. Le donne erano volubili. I mariti dei codardi. Il ton era diventato noioso quasi quanto la campagna, con la sola differenza che si concepivano piani sempre più elaborati per annoiarsi.

    «Non penso tu abbia dimenticato la donna che ti ha condotto fin quasi all'altare, quando eri un ragazzo.» Andrew prese un panciotto lasciato appeso da un valletto su un appendiabiti laccato e lo tese a Fox, che lo afferrò con un sorriso.

    «Forse la miglior cosa che potesse capitarmi è stata proprio la sua perdita repentina di interesse.»

    «Forse, a quel tempo. Ma non ora.»

    «Ti assicuro, caro cugino, che non nutro alcun sentimento nei suoi riguardi. Le auguro solo il meglio che i soldi di suo marito possano comprarle. E se ci pensi bene, sono praticamente sposato con metà delle dame di Londra. Le vedo una volta ogni tanto e non vivo con loro. È ciò che hanno fatto i miei genitori e si può dire che siano felicemente sposati.»

    Andrew rimase a guardarlo per un momento in silenzio. «Ci sono anche donne perbene: il problema è che non ne meriti nemmeno una.»

    «Devo darti ragione, sprofonderei nella noia» ribatté Fox.

    Dei colpi alla porta li interruppero. Un valletto dai capelli corti ai lati del capo entrò reggendo un vassoio sul quale vi erano appoggiati due biglietti e lo allungò verso Fox.

    Il nobiluomo prese il primo biglietto, lo aprì con uno strappo e vide che era da parte di Lady Havisham. La dama lo metteva in guardia contro Peabody, furioso per l'offesa arrecatagli con la proposta di matrimonio.

    Il secondo biglietto recava la calligrafia di suo padre. Lo aprì: l'uomo annunciava una prossima visita, affermando di voler ammirare il suo nuovo cavallo.

    «Mi aspetta davvero un bel periodo» borbottò Fox leggendo la missiva. «Farò una visita a sorpresa nella villa di campagna di mio padre, dal momento che lui è a Bath alla ricerca di un nuovo vicario e sarà a Londra a breve. C'è una taverna vicino alla tenuta di cui sento la mancanza.» Gettò il biglietto sul vassoio. «Mettilo assieme agli altri» ordinò al domestico, congedandolo poi con un rapido cenno della mano.

    Era la cosa migliore da fare per tutti. Suo padre non trovava per nulla spiritose quelle proposte di matrimonio; in realtà, ben poche cose gli risultavano divertenti.

    Scosse la testa. «È un ben triste giorno quello in cui Lady Havisham regge una bevuta meglio di me. Quella birraccia da taverna mi irrobustirà lo stomaco.»

    Andrew annuì, alzandosi dalla sedia. «Dirò a tutti da White's che ti sei recato nella tua tenuta di campagna. Forse qualcun altro attirerà la loro attenzione prima del tuo rientro.»

    Fox liquidò quelle ultime parole con un vago gesto della mano, dandosi un'ultima controllata allo specchio. Occhi vuoti, inespressivi, disinteressati a tutto e a tutti. Suo cugino si sbagliava. Non provava una particolare avversione per il matrimonio. Provava avversione per quel mondo e, avendo viaggiato parecchio, sapeva non essercene uno migliore da nessun'altra parte.

    «Cerca di non farti uccidere avanzando proposte di matrimonio anche in campagna» lo derise Andrew.

    «Hai la mia parola» gli promise Fox. «Me ne vado da Londra proprio per stare lontano dalla vita pubblica per un po'. Non ho intenzione di avanzare altre proposte... a meno che non siano per Lady Havisham. Quella donna mi piace.» Ridacchiò fra sé e sé. «Dubito che prenderebbe seriamente un qualsiasi voto.»

    «E tu?»

    «Esiste qualcosa che prendo sul serio?»

    «Forse solo il sapore del brandy.»

    Andrew uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

    Fox rimase a osservarla come ipnotizzato per qualche momento.

    Non provava grande affetto per il cugino, in verità. Erano cresciuti insieme e avevano condiviso un buon numero di avventure. Ma erano uomini ora, e Andrew si era sposato e i suoi pensieri sembravano costantemente rivolti chissà dove. Non che non lo capisse. Anche lui passava da una festa all'altra senza quasi rendersene conto, e la sua ultima impresa non era stata nulla di così originale.

    Doveva andarsene da Londra. Si sentiva soffocare nell'ipocrisia, soprattutto la propria, quella del sorriso sempre pronto e del gioco di leggere il proprio nome sulle cronache.

    Le decrepite pareti della casa di suo padre gli sarebbero andate benissimo, soprattutto perché l'anziano genitore non sarebbe stato lì. Prima, però, doveva spedire una bella cassa di brandy. Meglio due, vista l'assenza paterna. O tre. Il conte non sarebbe stato certo contento di tornare a casa con il nuovo vicario e trovarvi tutti i servitori con sorrisetti da ubriachi.

    Il mattino seguente, Foxworthy mise da parte la giacca di seta fine che il valletto aveva preparato per il viaggio e scelse dallo spogliatoio un indumento abbastanza modesto, più atto alla campagna. Lui e il conte concordavano almeno su quello: se lui non era adatto alla campagna, a maggior ragione non lo erano i suoi abiti preferiti.

    Non aspettò la carrozza. Voleva poter disporre della potenza del proprio cavallo.

    Lasciò la casa, dando un morso alla mela che si era portato. Lo stalliere gli tese le redini di Rusty e lui le prese, avvicinando la mano al muso dell'animale, che afferrò avidamente il frutto e lo masticò. Lo stallone guardò il padrone e lui allungò il braccio per accarezzarlo. Un attimo dopo cavalcavano verso la campagna.

    Mentre galoppava, Fox osservò il paesaggio attorno a sé. I raggi del sole gli scaldavano il viso. Domestici con cestini carichi sulle braccia camminavano sul ciglio della strada. Qualche carro qua e là.

    Probabilmente era solo di cattivo umore, quando era a casa, forse per colpa di tutte quelle soirées e delle chiacchiere senza senso che gli venivano così facili. A volte persino il suono della sua stessa voce gli risultava tedioso.

    Cominciava a sentirsi stanco quando il cavallo imboccò la strada che lo avrebbe portato solo a una curva dalla tenuta paterna, lasciandosi Londra e tutto il resto alle spalle. Doveva essere grato che la carreggiata non fosse eccessivamente fangosa. Il cielo si era rannuvolato e lui sperava di non restare intrappolato in casa per tutto il soggiorno. Una raffica di aria fredda lo colpì sul volto.

    Notò i segni sulla carrozzabile. Decisamente trafficata, più del solito. Quando sollevò lo sguardo dal terreno si accorse di un uomo con un vecchio cappello a tesa larga calcato sugli occhi, in piedi sul ciglio della strada. Con una mano teneva le redini di un cavallo, con l'altra reggeva un randello.

    «Ehi» gridò l'uomo. Era chiaro che i suoi vestiti provenissero dalla bottega di un qualche abile sarto. Fox notò dei bottoni d'oro. Li aveva già visti prima.

    Un rumore di zoccoli scosse la boscaglia e, prima che lui potesse girare il cavallo, una mazza percosse la groppa dello stallone. Rusty si diede alla fuga. L'uomo dai bottoni dorati sollevò il randello. Il cavallo si impennò e l'aggressore si spostò di lato, roteando la mazza. Colpì quindi Fox sulla schiena, spezzando l'arma. Un altro bastone lo colpì, facendolo cadere da cavallo.

    Rovinando a terra, Fox poté vedere il volto dell'uomo che era rimasto dietro di lui e l'altro assalitore che avanzava minaccioso brandendo i pezzi del bastone frantumato.

    Non era certo un buon segno che non si fossero preoccupati di coprirsi il viso.

    Rebecca prese delicatamente una fronda di rovo, spostandola con attenzione per non pungersi le dita. Fece un passo avanti lungo il sentiero sterrato e poi lasciò il ramo, che tornando al suo posto la graffiò con le spine. Il manico del cestino le scivolò in avanti sul braccio e le uova al suo interno tremolarono un poco, ma senza danni, avvolte com'erano in uno straccio. Si controllò il braccio alla ricerca di una ferita, ma v'era solo un leggero segno bianco sulla pelle.

    Proseguì lungo il sentiero, ascoltando il cinguettio dei fringuelli e immaginando la gioia di Mrs. Berryfield nel vederla arrivare con quelle uova. Pensò ai figli della donna, pigolanti come pulcini affamati, tutti aggrappati al cestino con le piccole manine sporche, per vedere cosa avesse portato. Sarebbero rimasti delusi, ma era il meglio che potesse fare. Con quelle uova avrebbe ottenuto da Mrs. Berryfield la promessa di assistere alla funzione domenicale.

    Le uova non erano così abbondanti, non ora che le giornate stavano rinfrescando. Rebecca si spostò verso gli alberi allineati lungo la strada in modo da non esporsi al vento. Grosse nuvole scure si facevano avanti minacciose e la giovane sperava proprio di rientrare a casa in tempo per evitare la pioggia.

    Con l'idea di prendere una scorciatoia per raggiungere il fittavolo che abitava più distante sulle terre del vecchio conte, raggiunse in fretta la strada e la attraversò.

    Improvvisamente notò un mucchio di vestiti abbandonati a terra. Nessuno avrebbe gettato via del bucato in quel modo. Mosse qualche passo in avanti, fissando quegli indumenti.

    Capelli castani. Avevano l'aria di essere stati pettinati da poco. Tuttavia era impossibile, perché il resto di lui... il resto giaceva disteso scomposto sul sentiero, il viso riverso a terra. E sangue, marrone. Sangue secco.

    La ragazza rimase immobile.

    Suo padre avrebbe dovuto celebrare un altro funerale. Ci sarebbe stata un'altra vedova da supportare e consolare. Rebecca non se la sentì di avvicinarsi. Avrebbe dovuto indovinare se fosse Mr. Greaves o Mr. Able. Erano gli unici due uomini con una chioma di quel colore, con la differenza che sulle loro teste era sempre calcato un cappello. Doveva capire chi fosse. La famiglia ne avrebbe avuto bisogno.

    Il morto emise un lamento, poco più di un bisbiglio, e il cestino le cadde dalle braccia.

    «Mr. Greaves? Mr. Able?» domandò con una voce stridula persino alle proprie orecchie.

    L'uomo non si mosse.

    Rebecca si fece avanti. Nessuna risposta. Improvvisamente si ricordò di Mr. Renfro, e lui aveva otto bambini. «Mr. Renfro?» chiamò con voce esitante.

    Di nuovo nessuna risposta. Sarebbe stata costretta a girarlo a pancia in su e la disgustava il pensiero di doverlo toccare, anche da morto. Il suo odore di solito ricordava quello di un cavallo da tiro sudato e lei si domandava sempre come Mrs. Renfro potesse avvicinarglisi.

    Strinse i denti, prese coraggio e si fece avanti.

    Nei lunghi piedi scalzi era aggrovigliata dell'erba, qualcuno doveva avergli rubato gli stivali. Rabbrividendo, lei scoccò un'occhiata alla strada, spaventata all'idea che qualcuno la stesse osservando.

    Gli uccellini riempivano ancora l'aria con i loro cinguettii e una brezza soffiava dolce nell'aria.

    Si avvicinò ulteriormente, dando un colpetto al piede scalzo dell'uomo con la punta di uno stivale. «Perdonatemi.»

    Avrebbe dovuto toccarlo. Non era un bene che un uomo toccasse una donna, a meno che non fosse sua moglie, ma alle donne non era mai concesso tale privilegio quando si trattava di uomini.

    La giovane si inginocchiò, fece un respiro profondo e lo prese dalle spalle per girarlo, senza successo.

    L'uomo rimase immobile.

    Rebecca ci riprovò e solo allora fece caso a quanto fosse alto. Non era Mr. Greaves né Mr. Able. Avrebbe potuto essere Mr. Renfro, che superava in altezza lo stipite delle porte e doveva chinare la testa ogni volta che entrava in casa, ma lo sconosciuto pareva troppo elegante per essere lui.

    Lei si piegò in avanti. L'uomo non puzzava come Mr. Renfro. Persino così, coperto com'era di polvere e fango, non aveva nessun odore particolare. Toccò con un dito l'unico punto in cui la pelle era visibile, dietro al collo. Era freddo.

    Invece di spingere, si protese in avanti e allungò un braccio lungo la schiena del ferito. Con una mano prese il lembo di camicia che gli copriva la spalla e con l'altra gli afferrò la vita. Tirò.

    L'uomo ricadde di schianto sulla schiena e lei si ritrovò seduta. Alla vista del volto dello sconosciuto la giovane chiuse gli occhi. Prese due respiri profondi prima di poterli riaprire e guardarlo di nuovo. Il naso del poveretto

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