Destinati ad amarsi: Harmony Destiny
Di Amy Fetzer
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Amy Fetzer
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Destinati ad amarsi - Amy Fetzer
successivo.
1
River Willow
Aiken, South Carolina
E quello cos'era, un pollo? Sì, un pollo di gomma, appeso allo specchietto retrovisore della macchina. Le zampe penzoloni, ballonzolava a ogni sussulto, come se lo avessero strangolato e cotto per la cena.
«Se non altro, la nostra amica ha il senso dell'umorismo» borbottò tra sé e sé Nash Rayburn, piegando le labbra in un sorrisino. Guardò le bambine, che ridevano apertamente. Buon segno, pensò, scostandosi il cappello all'indietro e appoggiandosi al palo della veranda.
L'auto impolverata si arrestò a una decina di metri di distanza e continuò a singhiozzare per almeno venti secondi anche dopo che la donna al volante ebbe spento il motore. La portiera si aprì e un paio di gambe ben tornite toccò terra.
Gran belle gambe, riconobbe Nash. Un punto a suo favore. Era carina. Anzi molto carina, si corresse subito, vedendola scendere e richiudere la portiera. Gli occhi erano nascosti sotto degli occhiali da sole, ma i capelli rosso scuro portati all'altezza delle spalle erano folti e lucenti, e il corpo aggraziato e curvilineo.
Due punti a suo favore.
Nash si era raccomandato con l'agenzia di non mandare nessuno che potesse distrarre i ragazzi. Ma la giovane donna che gli si faceva incontro aveva un fisico da modella e ancheggiava in un modo così vistoso che lui fu tentato di coprire gli occhi alle bambine. Maglietta rosso ciliegia, gonna di denim dai bordi sfilacciati e sabot a tacchi alti su cui si teneva in equilibrio con ammirevole disinvoltura.
«Non è vecchia!» esclamò Kim, come se fosse un reato avere più di dieci anni. «Può giocare con noi.»
Nash tornò a guardare le gemelle. «Anche la signora Winslow gioca con voi.»
Le bimbe storsero il naso. «Sì, alle belle statuine. Capirai. Si siede e ci guarda.» Kate guardò meglio la ragazza. «Non è carina, papà?»
Uno schianto, pensò Nash. «Sì, patatina.»
Giunta a tre metri da loro, la donna rallentò il passo fino a fermarsi, e solo allora Nash notò che aveva un'aria familiare.
«Nash?»
Lui raggelò e si raddrizzò lentamente. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. Brenda Albright. La sua Brenda. «Che ci fai tu qui?»
Lei si sistemò la borsa a tracolla. «Se è uno scherzo di Katherine, lo trovo di cattivo gusto.»
«Pessimo, direi» convenne Nash, che non si era ancora ripreso del tutto dalla sorpresa.
Sette anni prima aveva amato quella donna. Sette anni prima l'aveva lasciata, per sposare un'altra. Senza poterle dare una spiegazione. Ora gli bastò guardarla per sentirsi infiammare il sangue nelle vene. Era sempre stato così; non era cambiato niente. Brenda era ancora quel genere di ragazza che ti giri a guardare per strada, folgorato dalla sua bellezza e dalla sua personalità dirompente. Il genere di ragazza che ti fa venir voglia di sorridere.
Una ragazza da sposare.
Brenda si sentì sopraffare da tutti i ricordi di un passato che credeva ormai morto e sepolto. Cercò di scacciarli, per ostentare un certo autocontrollo; ma Nash la stava guardando come la guardava allora. Come se volesse mangiarsela in un sol boccone. Fu tentata di girarsi e rimettersi in macchina, per lasciare chiusa la porta di quel doloroso passato. Ma Nash si mosse e venne a fermarsi proprio di fronte a lei. Il desiderio di lanciarsi tra le sue braccia le fece salire le lacrime agli occhi. Credeva di averlo dimenticato, invece non era così. Lontano dagli occhi non sempre vuole dire lontano dal cuore e dalla mente.
Le conveniva andarsene e rifiutare il lavoro.
Nash le sfilò gli occhiali da sole. Lei se li riprese e sostenne il suo sguardo senza tentennamenti.
«Lavori per Katherine adesso?»
«Bisogna pur guadagnarsi da vivere.»
La bocca di lui divenne una lunga linea diritta. «Non sognavi di diventare medico?»
«Infatti. Ho appena finito l'anno di internato. Ho due settimane libere, dopo di che torno a prendere servizio al St. Anthony come tirocinante.»
«Sono contento per te.» Il sorriso di Nash era falso. Forzato. Il desiderio di Brenda di laurearsi ed esercitare la professione era stato il motivo principale per cui il loro rapporto si era incrinato; il motivo che poi l'aveva spinto tra le braccia di un'altra donna.
«Chissà perché, non penso che tu dica sul serio.»
«Non ho mai desiderato che non ce la facessi, Brenda.»
«No. Volevi solo che rinunciassi ai miei sogni, per dare la precedenza ai tuoi.»
Il viso di Nash si indurì. Quella conversazione era troppo personale, per continuarla in pubblico. Con le bambine presenti, non poteva dirle quello che avrebbe voluto. O fare quello che avrebbe voluto. Si riempì le narici del suo profumo al gelsomino, reprimendo l'impulso folle di abbracciarla. «Sono contento di rivederti.»
«Ah, sì?» replicò lei, scettica. E gli scrutò il viso per vedere fino a che punto fosse cambiato, in quei sette anni. Non molto, in effetti. Nash aveva qualche piccola ruga intorno agli occhi e alla bocca, che però gli davano un'aria più matura e distinta. Forse anche un po' più intransigente. A trentacinque anni, le parve ancora bello come quando lo aveva visto la prima volta, a una festa organizzata dagli studenti del college.
Lui era arrivato con un'amica, Katherine Davenport, che faceva parte della stessa associazione universitaria di Brenda e che poi aveva fondato l'agenzia Mogli in affitto. Nash l'aveva accompagnata a quella festa a titolo di favore, ma era andato via con Brenda.
Si era trattato di un colpo di fulmine, per tutti e due. Ora Brenda sospirò, scacciando anche quel ricordo. Aveva abboccato come una stupida all'amo di quell'uomo; un errore che non intendeva ripetere.
Non seppe trattenere la propria curiosità. «E Michelle?»
L'espressione di lui si fece impenetrabile. «È morta quattro anni fa. Un incidente d'auto.»
«Mi dispiace» mormorò Brenda, sinceramente addolorata. Per quanto serbasse un più che giustificato rancore per quella donna, non era mai arrivata al punto di desiderare la sua morte.
«La conosci, papà?» chiese una vocina.
Brenda allungò il collo per guardare in direzione della veranda. Sul foglio che le era stato consegnato all'agenzia, quando aveva accettato l'incarico, era indicato solo un indirizzo, e non il nome, sicuramente un'omissione voluta da parte di Kate; ma c'era scritto che avrebbe dovuto occuparsi di due bambine. Le salutò agitando una mano. «Oh, Nash, sono tali e quali a te!»
Nash non le aveva ancora staccato gli occhi di dosso. «Non so se è un complimento o...»
«Ma certo. Sono bellissime.»
Le due bambine trotterellarono giù dai gradini e affiancarono il padre. «Questi due capolavori sono Kim e Kate» le presentò Nash, arruffando i capelli scuri di una delle due testoline.
«Io sono Brenda.» Seguì una formale stretta di mano. «E sì, io e vostro padre ci conosciamo da un sacco di tempo.» Strizzò loro un occhio, facendole sorridere.
Nash sentì sciogliersi la tensione, mentre capiva che Brenda non intendeva riversare sulle gemelle l'animosità che provava nei suoi confronti.
Ma non era sicuro che fosse una buona idea dare il lavoro proprio a lei. Sì, insomma, averla in casa sua, sotto lo stesso tetto, vederla ogni giorno sapendo che Brenda lo odiava. Quanto avrebbe retto?
Brenda alzò gli occhi proprio in quell'istante e lo vide adombrarsi, come se fosse arrabbiato. Perché, poi? Era lei a essere stata scaricata, mentre Nash aveva avuto tutto quel che desiderava. Una bella moglie di buona famiglia, colta e raffinata. La giusta compagna per un ricco proprietario terriero come lui. «Ti vedo un po' perplesso. Se vuoi, chiamo Kate ed entro domani ti faccio mandare un'altra ragazza.»
Lo stava sfidando. Nash non poté non ammirarla per questo, anche se avrebbe preferito che andasse via. Gli bastava guardarla per sentirsi assalire da inquietanti sensi di colpa.
«E ti stava simpatico papà?» si intromise una delle gemelle.
Pur vedendo che Nash si irrigidiva, Brenda parlò con la schiettezza di sempre. «Pensavo che fosse l'uomo più affascinante di tutto il pianeta.»
Le bambine scoppiarono in una risatina, che si smorzò appena Nash abbassò il viso verso di loro.
Doveva aspettarselo, dopo aver alzato la voce con loro per tutta la settimana. Ma la signora Winslow era a casa malata e lui aveva centinaia di bestie da accudire, tra cavalli, bovini, maiali, e galline; per non parlare di quelle due piccole pesti che gli stavano sempre tra i piedi. Quelle bambine erano la sua vita, voleva loro un bene dell'anima, ma seguirle era un lavoro a tempo pieno.
Guardò Brenda, chiedendosi se sarebbe stata in grado di tener testa a quei due terremoti.
«Ce la farai a occuparti di tutto?»
Stavolta era lui a sfidarla. «E cosa ci vuole?»
«Bene.» Nash si girò e tornò sui suoi passi, facendole strada.
Le gemelle attesero Brenda e le diedero la mano, parlottando con lei come se la conoscessero da sempre.
Fantastico!, pensò Nash. Era già in minoranza. Aprì la porta d'ingresso e le bambine lo superarono per correre in soggiorno ad accendere la televisione.
Gettò il cappello sull'appendiabiti. «Potete abbassare il volume?»
Le bambine lo accontentarono subito.
Nel frattempo, Brenda stava studiando la casa. Al di là dell'ingresso si apriva un ampio soggiorno; alla sua sinistra c'era una scala, che probabilmente conduceva alle camere da letto. Alla sua destra invece una sala da pranzo, collegata alla cucina da un mobile a giorno e da un lungo ripiano a penisola.
Il suo sguardo tornò a spostarsi su Nash. «Carino qui.»
«Grazie.»
«Allora, da dove comincio?»
Lui indicò la cucina. «Che cosa ti hanno detto all'agenzia?»
«Che ti serviva una via di mezzo tra una moglie e una governante per le bambine.»
Nash si rabbuiò. «Una moglie proprio no.»
«Intendevo in senso figurato.»
Lui la percorse da capo a piedi con una lunga occhiata, alla quale Brenda non si sottrasse. Senza lasciarsi intimidire, attese che lui continuasse.
«Qui abbiamo bisogno di qualcuno che si occupi della cucina e tenga compagnia alle bambine. La signora Winslow fa anche le pulizie, quindi dovrai occuparti anche di quelle. Le gemelle svolgono qualche piccola incombenza. La lista è sul frigo.» Si piantò i pugni sui fianchi. «È una cosa temporanea. Se ce la facessi da solo, non avrei chiamato l'agenzia. Chiaro?»
«Limpido.» Il messaggio, tradotto in parole povere, era che Nash aveva bisogno di una domestica tuttofare. Nient'altro.
«E con noi mangiano anche i cinque ragazzi che lavorano qui.»
Brenda fece spallucce. «Due, tre, dieci... Che differenza fa?»
«Non ti è mai piaciuto cucinare, se non ricordo male.»
«Sono cambiate tante cose in sette anni.»
Il sorriso misterioso che accompagnò quelle parole solleticò la curiosità di Nash. Avrebbe voluto chiederle che cosa avesse fatto in quegli anni, oltre a studiare. Dove fosse stata. Ma Brenda era lì per lavorare, e per nient'altro.
«Questo è da vedere.» La sua voce risuonò come uno scudiscio.
Brenda aggrottò la fronte. Quello non era il Nash che ricordava. Era un uomo indurito, dentro e fuori. Non aveva ancora accennato un sorriso e