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Fuorigioco (eLit): eLit
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E-book203 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Brooke Winfield è la devota e irreprensibile figlia di una delle più rispettabili famiglie della Boston che conta. Che cosa ci fa allora nel cuore della notte sul sedile posteriore della moto di David Carrera, ragazzaccio piuttosto noto in città? Semplice, ha deciso di accettare una Sfida Martini. Una bella tosta, visto che c'entra uno spogliarello in pubblico e una notte bollente tra le braccia di David. Certo, quando il mattino dopo vede la sua folle scappatella sbattuta in prima pagina come lo scandalo del momento l'entusiasmo vacilla: possibile che stia per demolire il buon nome della famiglia e ogni certezza riguardo se stessa? Se il premio in palio è l'amore, forse ne vale la pena.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2017
ISBN9788858972960
Fuorigioco (eLit): eLit
Autore

Carrie Alexander

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Fuorigioco (eLit) - Carrie Alexander

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    My Front Page Scandal

    Harlequin Blaze

    © 2007 Carrie Antilla

    Traduzione di Elisabetta Frattini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-296-0

    1

    Uno strattone deciso fu sufficiente per spogliare il motociclista dei jeans firmati.

    Brooke Winfield abbassò lo sguardo sulla protuberanza senza forma che sporgeva tra le gambe del manichino e ripensò a quando, da piccole, le sue sorelle giocavano con le bambole. Joey aveva la mania di spogliare Ken e di presentarlo nudo alle Barbie che ballavano alle festicciole organizzate da Katie. Brooke non prendeva quasi mai parte al gioco, troppo impegnata a cucire abiti esclusivi per le bambole e a creare scenari elaborati per le loro avventure.

    «E a trent’anni sono ancora qui a vestire le bambole» commentò rivolta al manichino ripiegando i jeans. Con il torace da ragazzo e il naso aquilino era molto poco credibile come motociclista. La bandana e i tatuaggi che lei gli aveva dipinto sulle braccia erano un camuffamento di facciata.

    Sospirando, Brooke lanciò un’occhiata alla sua immagine riflessa nello specchio in fondo alla vetrina. La facciata era quello che la gente notava. La sua era per il novanta per cento quella di una giovane donna conservatrice appartenente alla Boston bene e per il dieci per cento quella di un’artista. Percentuale minima che quel giorno si traduceva negli orecchini a forma di pesciolino che aveva comperato l’anno prima a un mercato di artigianato punk-rock.

    Dieci per cento. Forse era arrivato il momento di ribaltare le cifre. Negli ultimi tempi era giunta alla conclusione che non ne poteva più di conformarsi alle regole e alle aspettative dei Winfield. Non voleva vivere come sua madre, nascondendo a tutti la verità riguardo alla sua vita prima del matrimonio unicamente per compiacere la famiglia conservatrice di suo marito.

    Scuotendo la testa riprese a smantellare la vetrina: la sua prima forma di ribellione, anche se illusoria.

    I grandi magazzini O.M. Worthington erano un’istituzione a Boston. Storici ed esclusivi, potevano contare su una clientela d’élite che si aspettava di trovare un servizio impeccabile e una sobrietà che era il fiore all’occhiello del punto vendita di Newbury Street, immutabile nel tempo.

    Alyce Simmons, la responsabile degli acquisti, aveva assunto Brooke con l’intento di portare una ventata di freschezza nel reparto dedicato ai giovani. La loro prima collaborazione, una vetrina dedicata alla pelle e al cuoio di Gaultier, aveva fatto arricciare più di un naso tra i dirigenti e anche tra la clientela. Se Brooke si trovava ancora al suo posto, lo doveva a O.M. Worthington in persona che aveva approvato i suoi sforzi. Persino un ottuagenario come lui riusciva a capire che per conquistare i giovani rampanti del ventunesimo secolo l’immagine dei grandi magazzini andava in qualche modo svecchiata.

    Smantellato il manichino motociclista, Brooke rivolse l’attenzione alla ragazza di celluloide che gli aveva tenuto compagnia fino a quella sera, sfilandole la parrucca di capelli corvini. Per un istante prese in considerazione l’idea di provarla sopra i suoi capelli che, da biondo scuro dai riflessi dorati, aveva recentemente riportato al castano naturale e che teneva perennemente raccolti in una piccola crocchia sulla nuca. Anche dopo dodici ore di lavoro erano in ordine. Brooke non era il tipo da chioma indomabile e nemmeno da riccioli ribelli.

    E non seguiva mai l’istinto.

    A parte la guardia notturna, nei grandi magazzini non c’era nessuno. La vetrina era coperta da tende pesanti che impedivano ai passanti di vedere che cosa succedeva all’interno. Brooke avrebbe potuto fare quello che voleva e nessuno l’avrebbe mai saputo.

    Di solito, quello che voleva era completare il lavoro nel modo più efficiente e veloce possibile per tornarsene a casa a bere una cioccolata calda e a guardarsi un episodio di Grey’s Anatomy in televisione. Se proprio si sentiva irrequieta ricorreva alla pittura, attività che riusciva sempre a rasserenarla.

    Forse proprio perché era un po’ noiosa.

    «E allora perché no?» si chiese accarezzando la parrucca. Per una volta nella vita, fai qualcosa di imprevedibile.

    Gli ultimi mesi erano stati difficili. Sua madre se ne era andata dopo un’intensa sofferenza e sua sorella Katie si era innamorata dell’uomo con cui lei era uscita per un periodo di tempo. Il giorno del suo trentesimo compleanno, Brooke aveva preso coscienza del fatto che la sua vita era tutt’altro che eccitante e molto poco divertente. Forse era arrivato il momento di provare nuove esperienze, magari incominciando a frequentare qualcuno che non sembrasse uscito dalle pagine di Young Bostonian. Comprarsi un acquario, declinare l’invito della prozia Josephine ad affiancarla nell’organizzazione dell’asta di beneficenza per la Lega delle Signore di Boston e diventare membro del Club Martini, un circolo esclusivo per sole donne, era stato un inizio.

    Katie era stata la prima a unirsi al gruppo, dopo che tutte e tre le sorelle avevano ricevuto un invito scritto. Entusiasta dell’ambizioso proponimento del club di incrementare l’autostima delle sue associate, sfidandole a mettersi alla prova in situazioni adatte a promuovere la loro crescita personale, Katie aveva convinto anche lei e Joey a partecipare alle riunioni.

    «È arrivato il momento, mia cara. Questa sera dimostrerai di essere degna di far parte del Club Martini.»

    Dopo essersi sistemata in testa la parrucca si guardò nello specchio rotto che faceva parte dell’allestimento urbano della vetrina. In effetti era diversa, ma il cambiamento era tutt’altro che radicale. L’armatura professionale che indossava era la solita: maglioncino di cachemire, pantaloni di alta sartoria e scarpe basse.

    Lo sguardo di Brooke si spostò sul manichino ancora vestito, che indossava un abitino di pelle molto corto, il cui corpetto a strisce lasciava ben poco all’immaginazione.

    «Non comprerei mai un vestito di quel genere» confessò alla sua immagine riflessa, «però non mi dispiacerebbe provarlo.»

    Nel giro di pochi secondi spogliò il manichino, poi si bloccò. Mostrarsi poco vestita la faceva sentire enormemente a disagio.

    Non essere codarda, si rimproverò, togliendosi le scarpe. Ce la puoi fare.

    Grazie alle Sfide Martini, Katie era riuscita a superare le sue inibizioni nel giro di pochissimo tempo e Brooke voleva imitarla.

    «Se non altro ci sto provando» mormorò spogliandosi. Certo, indossare un abito provocante dove nessuno poteva vederla non poteva essere considerato un risultato eclatante, ma era pur sempre un primo passo. Dopo la morte di sua madre, Brooke si era chiusa in casa per elaborare il lutto, la solitudine e la rivelazione scioccante della presenza di una quarta figlia che Daisy Winfield aveva avuto prima di sposarsi e che aveva ceduto in adozione.

    Prendendo un respiro profondo si infilò l’abito succinto dalla testa, poi si guardò nello specchio.

    Era ridicola. L’abito di Gaultier non era stato disegnato per essere indossato con gambaletti, reggiseno e mutandine ascellari.

    Spinta dal desiderio di vedere come appariva vestita in uno stile totalmente diverso dal suo, si tolse tutto e, prima di tornare davanti allo specchio, calzò le scarpe nere dai tacchi a spillo sottratte al manichino.

    Il quadro era decisamente migliorato. L’abito di pelle metteva in evidenza il suo seno non proprio voluttuoso, spingendolo in alto e facendolo apparire più provocante, e i tacchi a spillo slanciavano le gambe già molto lunghe.

    «Sì, bambola, sei proprio sexy» dichiarò alla sua immagine riflessa, poi rise, togliendosi la parrucca.

    Il rombo di un motore e lo stridore prodotto da una brusca frenata la indussero a scostare la tenda, appena in tempo per vedere una moto rossa e nera effettuare un’inversione a U sulla Newbury. Fortunatamente la strada era quasi deserta.

    La moto sfrecciò oltre la vetrina, derapando fuori controllo e finendo sull’asfalto contro un lampione. Il motociclista colpì il marciapiede come un sacco di patate. Il casco volò via dalla sua testa e rimbalzò un paio di volte prima di finire in un canale di scolo.

    Brooke rimase immobile per un paio di secondi, troppo scioccata per muoversi. Quando si accorse che nemmeno il motociclista si muoveva, se non per una mano che si era alzata a stento da terra in una debole richiesta di aiuto, scese dalla vetrina rischiando di lussarsi le caviglie e corse a chiamare il guardiano notturno.

    «Gus! Ho bisogno di aiuto. C’è stato un incidente.»

    Le porte d’ingresso erano chiuse, naturalmente. Schiacciando il naso contro il vetro vide un taxi avvicinarsi e rallentare in prossimità del corpo disteso a terra.

    Nello stesso istante Gus scese dall’ascensore.

    «La prego, si sbrighi» lo esortò Brooke. «Un motociclista è andato a schiantarsi contro un lampione qui fuori. Apra le porte e poi chiami un’ambulanza.»

    «Subito, signorina Winfield.» Il vecchio Gus aveva un’espressione divertita mentre cercava nel mazzo la chiave per aprire la porta.

    Il vestito. Brooke si coprì con le braccia. Non c’era tempo per preoccuparsi delle apparenze. Fortunatamente Gus era una brava persona e non avrebbe fatto la spia.

    Non appena le porte furono aperte, Brooke si precipitò per strada facendo attenzione a non cadere dai tacchi alti. Il taxi si era fermato e l’autista era chino sull’uomo a terra che stava cercando di alzarsi.

    «Sto bene» bofonchiò, ricadendo all’indietro. «Lasciatemi stare.»

    Brooke si inginocchiò accanto a lui. «Sei disorientato» gli spiegò in tono suadente e, posandogli una mano sulla spalla, lo invitò a restare sdraiato. «Non cercare di alzarti, sei ferito.»

    Per tutta risposta, lui le spinse via la mano. I capelli scuri erano arruffati e aveva del sangue sul viso.

    «Ho cercato di chiamare un’ambulanza, ma il numero è sempre occupato» la informò Gus dall’interno del negozio. «Sono in attesa.»

    La vittima dell’incidente sgranò gli occhi, fissandoli su Brooke. «Portami via di qui» la supplicò.

    «Certo» lo rassicurò lei. Il poveretto sragionava. «L’ambulanza sarà qui tra qualche minuto.»

    Un paio di auto rallentarono per capire che cosa era successo. Ogni volta che si sentiva osservato, il motociclista alzava una mano per coprirsi il viso. «Aiutami ad alzarmi» la pregò.

    «Non credo che sia una buona i...»

    Il motociclista si appoggiò su di lei mentre si alzava, obbligandola a sorreggerlo. «Per favore, siediti, non sei lucido, devi farti visitare da un medico.»

    «E allora andiamo a cercare un medico» concesse lui indicando il taxi. «Aiutami a salire.»

    «Ma...»

    Un uomo con una macchina fotografica saltò giù da un’auto e si fece strada tra le persone che si erano assiepate tutt’intorno. Il motociclista si trascinò verso il taxi, portando Brooke con sé, poi si lasciò cadere sul sedile posteriore. Distesa in una posizione scomposta, praticamente sopra di lui, nel sentire l’aria fresca tra le gambe, Brooke si ricordò che sotto il vestito non indossava biancheria intima. Terrorizzata si affrettò a ricomporsi, coprendosi come meglio poteva, quindi spinse le gambe dell’uomo nel taxi.

    Con la testa penzoloni oltre il bordo del sedile, il viso pallido e imbrattato di sangue, il motociclista emise un leggero gemito e chiuse gli occhi.

    Il tassista si mise al volante e consegnò a Brooke il casco e le chiavi della moto. «Dove lo portiamo? Al Mass General

    Brooke esitò con la portiera aperta. Non si sarebbe dovuta allontanare dal negozio, non vestita in quel modo, ma quell’uomo aveva bisogno di aiuto. Un altro flash la indusse a prendere in fretta una decisione. «Al pronto soccorso» dispose chiudendo la portiera. «Più in fretta che può.»

    Luci e colori si alternavano all’oscurità dietro le palpebre chiuse di David Carrera. Fluttuava, come se fosse stato catapultato in uno stagno psichedelico che, permettendogli di viaggiare nel tempo, lo aveva riportato in Georgia. Aveva imparato a trattenere il respiro per restare sommerso in un mondo acquatico verde e fangoso, dove niente poteva fargli del male, se non le tartarughe che però si allontanavano evitando qualsiasi approccio. Quando riaffiorava, le fronde delle querce lo salutavano muovendosi contro il cielo limpido dalla luce accecante, distorto dalle gocce d’acqua impigliate tra le ciglia. A quel punto si lasciava cadere sulla schiena e continuava a fluttuare per quelle che a lui sembravano ore, fino a quando Maribeth, la moglie di suo padre, non si accorgeva della sua assenza e incominciava a urlare il suo nome con voce stridula.

    Jaden, torna a casa, subito!

    Improvvisamente gli sembrò di sentire in bocca il sapore della bile e, lottando per emergere dall’acqua fangosa, sputò il veleno che aveva ingerito rientrando in un mondo freddo e inospitale.

    «Maledizione» imprecò una voce in lontananza. «L’odore non andrà più via.»

    «Che cosa ne dice di una mancia di venti dollari?» chiese una seconda voce. Di donna. Molto vicina.

    «Dico che cinquanta andrebbero meglio.»

    «E cinquanta siano» concesse la donna senza troppa convinzione.

    David si passò la lingua sui denti per capire se c’erano ancora tutti o se ne mancava qualcuno.

    Il viso della donna apparve accanto al suo. «Sei rinvenuto.»

    «Mmh.»

    «Come ti chiami?»

    Jaden. Jaden David Jackson.

    La donna gli posò una mano sulla spalla. Aveva parlato? «Non importa» lo tranquillizzò con voce soave come la brezza primaverile. «Siamo quasi arrivati in ospedale dove si prenderanno cura di te.»

    «Ospedale?»

    La donna si chinò di nuovo su di lui. «Hai avuto un incidente con la moto in Newbury Street. Adesso sei in un taxi che ti sta portando al Mass General

    David si sforzò di ricordare che cosa fosse successo. «E tu chi sei?»

    «Brooke Winfield. Lavoro da Worthington. Ti ho visto schiantarti contro il lampione dalla vetrina del negozio.»

    David non conosceva Worthington, ma decise che l’abbigliamento della donna si associava bene al nome di una strada. Se si fosse chinata di nuovo su di lui, uno dei capezzoli sarebbe scivolato fuori dalle strisce di pelle che li coprivano appena.

    Con un gemito particolarmente sofferto cercò di indurla a chinarsi di nuovo, purtroppo senza fortuna.

    «Mi sento meglio» mentì.

    «Ce la fai a

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