Inaspettata passione
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Anteprima del libro
Inaspettata passione - Rochelle Alers
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Younger Man
Silhouette Desire
© 2002 Rochelle Alers
Traduzione di Rita Pierangeli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2004 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-659-4
Frontespizio. «Inaspettata passione» di Alers Rochelle1
«Ha bisogno di aiuto?»
Veronica Johnson-Hamlin guardò l’uomo atletico in sella alla motocicletta. Lui si tolse il casco e lo infilò sotto il braccio.
«No, grazie. Ho già chiamato il soccorso stradale» rispose lei, mostrandogli il cellulare.
«Da quanto tempo aspetta?»
«Da non molto.»
«Quant’è non molto?»
«Una ventina di minuti.»
Kumi scosse la testa. «È un sacco di tempo.» L’istinto protettivo era affiorato senza preavviso. Lei era una donna sola, con l’auto in panne in una strada poco trafficata.
Scese dalla moto, che sollevò sul cavalletto, appoggiò il casco sul sedile, quindi girò intorno alla lussuosa vettura e si portò sul lato del guidatore. «Ha un cric e una ruota di scorta?»
Una ruga si formò tra le sopracciglia di Veronica. «Le ho detto che ho già chiamato il soccorso stradale.»
Kumi si avvicinò e la guardò per la prima volta, e quello che vide lo lasciò senza respiro. Non aveva mai visto un volto dai lineamenti così delicati. Gli zigomi alti le conferivano un aspetto esotico, e gli occhi dal taglio obliquo, di un castano chiaro con pagliuzze dorate, risaltavano contro la carnagione scura. Il naso era piccolo e dritto, e il lieve fremito delle narici era dovuto al fatto che serrava le labbra dalla linea piena e generosa. Non riuscì a distinguere il colore dei capelli, nascosti da un foulard azzurro. Il suo sguardo si soffermò quindi su una camicia bianca di taglio maschile che portava infilata nei jeans.
«Ha qualcosa che si può deteriorare nel baule?» le chiese, indicandolo con il pollice.
Veronica sbatté le ciglia. Non c’erano dubbi che la sua scorta di cibi surgelati doveva avere iniziato a scongelarsi. Fece un sorriso forzato. «Niente che non possa resistere fino all’arrivo del meccanico.»
Kumi si appoggiò con una mano alla portiera. «Ascolti, signora, sto soltanto cercando di aiutarla. È bloccata qui, a bordo di un’auto di lusso. Non vorrei leggere sui giornali di domani che qualcuno l’ha derubata. E sarebbe una fortuna se si accontentassero dell’auto.»
Lei prese nota dell’avvertimento, mentre studiava il volto del suo interlocutore. I capelli neri erano tagliati cortissimi. I lineamenti erano marcati, con zigomi pronunciati, un naso che denotava carattere e una bocca sensuale. Non riusciva a vedere gli occhi, nascosti dagli occhiali da sole, ma avvertiva comunque l’intensità dello sguardo. Era alto, ben più di un metro e ottanta, e aveva la corporatura di un atleta. Calcolò che dovesse aver appena oltrepassato i trentacinque anni. Abbassando gli occhi sulle braccia muscolose, notò un piccolo tatuaggio sul bicipite sinistro, ma non riuscì a distinguerne il disegno.
«Cosa decide, signora? Vuole aspettare qui da sola oppure vuole che le cambi la ruota?»
Veronica diede un’occhiata all’orologio. Constatando che era ormai trascorsa mezz’ora da quando aveva chiamato il soccorso stradale, sfilò le chiavi dal cruscotto e gliele tese.
Kumi prese le chiavi e, mentre apriva il baule, lei scese e lo raggiunse. Lui ammirò in silenzio il modo in cui i jeans aderivano alla vita e ai fianchi. Non era alta, ma nemmeno bassa. L’aspetto florido del suo corpo ne poneva in risalto la femminilità. Il suo naso, molto sensibile, colse una traccia di profumo, e un muscolo gli guizzò nella mascella.
Spostando diversi sacchetti, trovò il cric e la ruota di scorta. Controllò che quest’ultima fosse gonfia, quindi la sostituì a quella a terra. I suoi bicipiti si gonfiavano sotto la pelle abbronzata, mentre stringeva i bulloni.
«Le suggerisco di far riparare questa gomma al più presto. Non è saggio andare in giro senza averne una di scorta.»
Annuendo, Veronica estrasse dalla tasca dei jeans una manciata di dollari. «Grazie per il suo aiuto.» Kumi fissò le monete come se fossero un rettile velenoso. «Non voglio denaro.»
«È il minimo che possa fare» ribatté lei.
Girando sui tacchi, Kumi andò alla sua moto e la inforcò. «Non l’ho aiutata per essere pagato.»
Veronica arrossì. «Se non vuole il denaro, come posso ripagarla?»
Dietro gli occhiali da sole, lo sguardo di lui la ispezionò senza fretta dalla testa ai piedi e, per la prima volta, sorrise, mettendo in mostra una dentatura forte e bianca. «Cosa ne dice di un pasto casalingo?»
Veronica rimase a bocca aperta. «Come?»
«Sono stato all’estero per quindici anni, e più di tutto mi è mancata la cucina del Sud.»
Lei inarcò le sopracciglia. «E se non sapessi cucinare?»
Kumi la guardò, divertito. «Per essere una che non sa cucinare ha comprato una notevole quantità di provviste.»
Veronica non poté fare a meno di sorridere. Non avrebbe saputo dire perché, ma c’era qualcosa di affascinante in quel giovanotto a cavallo della sua Harley.
«Allora?» insistette lui.
«Allora cosa?» replicò Veronica, con un’ombra di irritazione.
«Cucinerà quel pasto?»
«E se la invitassi al ristorante?»
Kumi agitò un dito in aria. «Non regge il confronto con la cucina casalinga.»
Lei finì per cedere all’ira. «Se crede che la inviterò... uno sconosciuto in casa mia... allora è un pazzo.»
Incrociando le braccia sul torace muscoloso, Kumi la fissò, accigliato. «Cosa pensa che farò? Che la violenterò? Se fosse stata quella la mia intenzione, l’avrei già fatto.»
Veronica arrossì intensamente. «Non mi metta le parole in bocca! Non ho assolutamente parlato di violenze.»
«A proposito di bocche... insisto per quel pasto casalingo.»
Mettendo le mani sui fianchi, Veronica lo fissò in cagnesco. «Ascolti, signor...»
«Walker. Mi chiamo Kumi Walker, signorina...?»
«Signora Johnson» disse Veronica, presentandosi con il suo nome da ragazza. «D’accordo» aggiunse, decidendo di cedere.
Kumi le scoccò un sorriso trionfale. «Le va bene domenica verso le quattro?»
«Domenica alle quattro» ripeté lei, tendendogli la mano. «Ho bisogno della mia chiave.»
Kumi estrasse la chiave dell’auto dalla tasca posteriore dei jeans e gliela fece dondolare davanti al naso. «Dove abita?» Veronica tentò di afferrare la chiave, ma lui fu lesto ad allontanarla. «Il suo indirizzo, signora Johnson.»
Inghiottendo l’imprecazione che voleva erompere dalle sue labbra, Veronica contò lentamente fino a tre. «Conosce Trace Road?» Kumi annuì. «Io abito in cima alla collina. Ora mi dia la chiave.»
Kumi gliela lasciò cadere nel palmo della mano e rimase a guardarla mentre, con un aggraziato ondeggiare dei fianchi, si dirigeva all’auto, si metteva al volante e partiva. Quando fu scomparsa, diede un’occhiata all’orologio. Avrebbe dovuto infrangere i limiti di velocità se voleva tornare al suo cottage, farsi una doccia e cambiarsi per tempo.
Venti minuti più tardi, sotto il getto di acqua fredda, rivisse il suo incontro con la signora Johnson. Non avrebbe saputo dire cos’era stato ad attrarlo in lei, ma intendeva scoprirlo.
Fu soltanto più tardi quella notte, mentre se ne stava sdraiato a letto, che gli venne il sospetto che potesse esistere un signor Johnson. Anche se non aveva notato anelli al suo anulare, sapeva per istinto che lei non avrebbe accennato a un marito... sempre che esistesse.
Chiudendo gli occhi, Kumi cercò di richiamare alla mente il suo volto e il suo corpo, e rimase deluso quando non ci riuscì.
Veronica lasciò il rifugio caldo del letto, uscì sulla veranda e si appoggiò alla ringhiera. L’aria fresca dell’alba la fece rabbrividire. La leggera camicia da notte era più adatta all’afosa Atlanta che non alle temperature più basse della regione montuosa del Nord Carolina. Malgrado il venticello che le modellava la seta sulle curve del corpo, avvertiva dita invisibili che le massaggiavano le tempie allentando la tensione, facendo sciogliere il groppo sotto il suo cuore e rilassandole i muscoli delle spalle e della schiena.
Riempiendosi i polmoni di aria frizzante, osservò il sole salire in alto, sopra la foschia che si levava da gole profonde. Era uno spettacolo che aveva un effetto più tranquillizzante di qualsiasi sedativo.
Perché aveva atteso tanto a tornare in quel rifugio montano? Perché non c’era tornata subito dopo aver sepolto il marito, il dottor Bramwell Hamlin? Perché era rimasta per un altro anno ad Atlanta, in Georgia, dopo aver difeso il suo diritto legale alla proprietà del marito?
Conosceva la risposta ancor prima di formulare la domanda. Era stata restia a lasciare Atlanta... a lasciare uno stile di vita che le era diventato necessario quanto respirare. Era la città in cui era nata e cresciuta, e dove aveva aperto un’affermata galleria d’arte; era anche la città dove si era sposata ed era rimasta vedova.
Non aveva avuto importanza che Bram fosse stato abbastanza vecchio da essere suo padre. Lei aveva finito per amarlo, non come una figura paterna, ma come un marito. Aveva sposato Bram a trentaquattro anni, era rimasta vedova a quaranta e ora, a quarantadue, doveva decidere se voleva davvero lasciare il mondo affascinante di Atlanta e trasferirsi in quel rifugio tra i monti che era stata la loro casa per le vacanze.
Tornò in camera da letto e chiuse la portafinestra. Era domenica e doveva decidere cosa cucinare per cena. Cucinare per Kumi Walker sarebbe stata un’esperienza unica e bizzarra. Dopo aver servito a quell’arrogante il suo pasto casalingo, l’avrebbe messo alla porta. E non sarebbe stato difficile perché, da quando era diventata una ricca vedova, ne aveva dovuti mettere parecchi, di uomini, alla porta.
In cucina faceva più fresco, ora che il sole si era spostato dietro la casa. Veronica aveva regolato il condizionatore d’aria in modo da bilanciare il calore del forno. Era ai fornelli da quasi quattro ore.
Diede un’occhiata all’orologio. Mancavano tre quarti d’ora alle quattro. Non doveva fare altro che apparecchiare la tavola nella zona pranzo