Ancora nel suo letto: Harmony Destiny
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Anteprima del libro
Ancora nel suo letto - Sarah M. Anderson
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Expecting a Bolton Baby
Harlequin Desire
© 2013 Sarah M. Anderson
Traduzione di Roberta Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-853-7
1
Che cosa stava facendo Stella?
Per la centesima volta, quella settimana, Bobby si ritrovò a porsi la stessa domanda. E la risposta era sempre la stessa: non ne aveva idea.
Ma avrebbe voluto saperlo.
Forse avrebbe dovuto insistere per avere il suo numero, dopo quella notte selvaggia al night. Già, avrebbe dovuto. Ma Bobby Bolton non correva dietro alle donne. Si godeva la loro compagnia – di solito per una sera, più raramente per un fine settimana – e la cosa finiva lì. Non gli interessava il lungo termine, la relazione. Si divertivano e si lasciavano da amici. Era quello il modo in cui aveva sempre interagito con l’altro sesso.
Fino a quella sera, due mesi prima, quando aveva conosciuto Stella.
L’ultima sera in cui gli era sembrato di avere il mondo in mano.
La FreeFall, la rete televisiva che aveva comprato il suo reality show, che nella versione definitiva era diventato The Bolton Bikers Boys, aveva organizzato un party per l’imminente inizio di stagione. Era il tipo di eventi per cui Bobby viveva: persone glamour in un ambiente glamour.
Ma persino mentre socializzava con quelli che avrebbero potuto tornargli utili, la donna seduta da sola al bar aveva colto la sua attenzione. Aveva uno stile che la differenziava da tutti gli altri: invece che troppo stretto o troppo corto, vestiva un abito con maniche lunghe ricoperto di cinghie di pelle e fibbie che lasciava la schiena completamente scoperta. L’indumento attirava l’attenzione, ma la donna che lo indossava era sola, lo sguardo che vagava sulla folla.
Quando le aveva offerto da bere non aveva idea di chi fosse. Lei gli aveva raccontato di essere una stilista, ma non aveva menzionato il proprio cognome. L’aveva stregato con il suo stile audace, l’accento britannico e la distanza che teneva dal resto dei presenti. Tranne che da lui: avevano chiacchierato come vecchi amici, scherzando con battute che solo loro trovavano divertenti. Bobby non aveva saputo resisterle.
E quello doveva essere stato il motivo per cui si erano ritrovati sui sedili posteriori di una limousine con una bottiglia di champagne e un paio di preservativi.
Solo dopo, quando lui le aveva chiesto il numero di telefono, lei aveva sganciato la bomba: era Stella Caine, unica figlia di David Caine, proprietario della FreeFall e investitore principale del nuovo progetto di Bobby, e notoriamente l’uomo più conservatore al mondo.
La terra gli era crollata sotto ai piedi. Come aveva potuto essere tanto stupido? Che cosa sarebbe successo una volta che lei avesse raccontato al padre cos’era accaduto?
David Caine l’avrebbe rovinato, ecco cosa sarebbe successo, mandando in frantumi tutto ciò per cui aveva lavorato sodo.
E comunque, neanche dopo aver rivelato la propria identità gli aveva dato il numero; solo un bacio sulla guancia e un: È meglio così, lasciando Bobby a chiedersi: Meglio per chi?
Dopodiché non l’aveva più vista né sentita. Né era stato convocato e strapazzato da Caine per avergli corrotto la figlia. Tutto ciò che gli restava di lei era una fotografia.
E i ricordi.
Proprio in quel momento Vicky, l’assistente di produzione, annunciò che le riprese erano concluse. «Serve altro?» gli domandò risvegliandolo da quei pensieri.
Giusto. Bobby non era più a New York; stava registrando gli episodi del reality in Sud Dakota. E Stella Caine gli aveva fato capire chiaramente di non voler avere più niente a che fare con lui. Doveva smettere di pensare a lei e concentrarsi sul lavoro.
«Per oggi abbiamo finito» informò Vicky mentre si guardava intorno nella piccola baracca di cantiere che gli faceva da ufficio e, sempre più spesso, da casa.
Erano le quattro di un venerdì pomeriggio di metà novembre, il sole al tramonto che stava cedendo il passo al grigiore invernale. Gli operai avevano già finito il turno in cantiere; la troupe televisiva si era fermata un po’ di più per riprendere Bobby alla scrivania, con un’aria occupata e preoccupata.
Non aveva avuto bisogno di recitare, quel giorno.
Cosa diavolo gli era preso? Aveva tutto ciò che aveva sempre sognato: il reality show aveva debuttato con ascolti impressionanti, e il contratto firmato col produttore copriva la metà dei finanziamenti di cui aveva bisogno per iniziare la costruzione del Crazy Horse Resort, che veniva ripresa per il programma.
A dieci miglia da Sturgis, in Sud Dakota, il Crazy Horse Resort sarebbe diventato la destinazione must per i motociclisti del weekend – i medici, i giocatori di borsa, gli avvocati che facevano soldi a palate in settimana e il sabato e la domenica si scatenavano in sella vestiti di pelle. Si sarebbe trattato di una destinazione a cinque stelle completa di SPA, negozi, tre ristoranti, un nightclub e una boutique e un’officina Crazy Horse in modo che gli ospiti potessero acquistare accessori o nuovi mezzi. Era la sinergia perfetta tra forma e funzione e avrebbe trasformato il Crazy Horse in uno stile di vita.
Il reality show, che mostrava al mondo non solo la costruzione della struttura, ma anche la famiglia Bolton e la loro azienda, era anche stato una grossa spinta alle vendite delle moto customizzate realizzate dal fratello Billy: il Crazy Horse Choppers era ormai un marchio internazionale con un seguito fedele sia tra le celebrità, sia tra i motociclisti veri, e Bobby era il direttore marketing.
Aveva lavorato anni per arrivare a quel punto. Era ricco, famoso e potente. Tutti i suoi sogni si erano realizzati. Secondo qualunque standard, aveva una vita di successo.
Allora perché diavolo si sentiva così... insicuro?
Non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva dormito a casa; invece che passare le notti nel comodo e ampio letto matrimoniale con lenzuola di cotone egiziano, raccattava qualche scarsa ora di riposo sul divano della baracca; invece che prepararsi i pasti nella cucina perfettamente attrezzata dell’appartamento, si serviva di microonde e caffettiera; e invece che godersi la vasca idromassaggio, si accontentava del bagno microscopico in dotazione. I suoi giorni erano diventati un mix di caffè, costruzioni, telecamere. Per la miseria, non aveva nemmeno più fatto un viaggio d’affari da quando era tornato da New York – due mesi prima.
Datti una svegliata.
Come Ben e Billy, i suoi fratelli maggiori, non mancavano mai di ricordargli, se l’era cercata. E loro non si sarebbero fatti avanti per dargli una mano: pensavano che le sue idee fossero ridicole, e si aspettavano che fallisse, perciò Bobby avrebbe fatto tutto il possibile per dimostrare che si sbagliavano.
Compreso vivere in una baracca da cantiere e rivedere i conti il venerdì sera.
Presto avrebbe avuto per sé l’attico del resort, con tanto di ascensore privato, splendida vista sulle Black Hills e, soprattutto, non avrebbe più vissuto all’ombra di nessuno. Non di suo padre, Bruce, e del suo modo fuori dalla realtà di mandare avanti l’azienda; non di Billy, con la sua testardaggine di costruire le moto che voleva lui, e non quelle che chiedevano i clienti; e non di Ben e della sua schiavistica devozione al bilancio in positivo.
Sapeva che i fratelli lo consideravano uno sciocco fanfarone, ma si sarebbe fatto valere; nessuno gli avrebbe rovinato quell’accordo.
Per la prima volta in vita sua, Bobby avrebbe avuto qualcosa che era suo e soltanto suo: il proprio regno personale. Avrebbe avuto il controllo assoluto – avrebbe assunto i cuochi che preferiva, i progettisti che gli andavano maggiormente a genio. Era un grande sogno, ma sognare in grande era ciò che gli riusciva meglio.
Il rumore di una portiera che sbatteva lo riportò al presente.
Avevano avuto qualche problema con i ladri di rame di recente; per questo aveva ingaggiato una guardia privata, ma Larry ci impiegava circa venti minuti a fare il giro di tutto il sito.
Poi sentì fischiare. Un motivetto scherzoso, sembrava.
Quindi non solo ladri, ma anche sbruffoni. Bobby aprì il cassetto inferiore della scrivania e afferrò la Glock; l’aveva comprata qualche tempo prima, dopo aver sentito il racconto di imprenditori finiti in bancarotta per il furto di materiale grezzo dai cantieri; l’assicurazione di solito ripagava il danno, ma poi alzava il premio. Bobby si rifiutava di pagare due volte lo stesso materiale.
Avrebbero imparato in fretta che nessuno ruba ai Bolton.
Aveva appena tolto la sicura alla pistola quando qualcuno bussò alla porta. Sussultò. I ladri di rame non bussano.
«Arrivo» rispose in mancanza di un piano migliore.
Si infilò la pistola nella cintura dietro la schiena. Poteva essere Cass, la receptionist del Crazy Horse; di tanto in tanto passava a controllarlo, magari era venuta a tormentarlo per qualche motivo.
Bobby aprì la porta. La luce della baracca si diffuse all’esterno nella sera, illuminando... un leprecauno? Sbatté le palpebre, ma l’immagine rimase la stessa: un tipo basso e rotondetto con un gilet verde sopra una camicia a quadri sotto un impermeabile, capelli rossastri che sbucavano da sotto uno di quei cappelli che portano i vecchi.
«Ah, eccoti qua» esordì il leprecauno con un inconfondibile accento irlandese, rivolgendo a Bobby un sogghigno arrogante. «Sei un osso duro da rintracciare, amico.»
«Mi scusi?» Bobby guardò alle spalle dell’ometto e vide una berlina nera, coi vetri così scuri da essere illegali in diversi Stati. E tutt’a un tratto Bobby si rese conto di aver visto quella macchina – una Jaguar – durante l’intera settimana. Passava accanto al cantiere alle ore più strane, la brillantezza della vettura che la faceva risaltare quanto una primula rossa.
Spostò una mano dietro la schiena, cercando di non farsi notare, e nel contempo di afferrare la Glock.
E senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò la canna mozza di un’altra pistola puntata sul naso. «Non penso che sia una grande idea, amico.» Il leprecauno tese l’altra mano. «Coraggio, dammi la pistola.»
«Chi sei?» Se doveva rinunciare alla propria arma, almeno meritava un nome.
«Mi chiamano Mickey.» Quando ebbe la Glock in mano, aggiunse: «Bravo ragazzo. L’ha detto che eri intelligente. Non mi piace dimostrarle che si sbaglia».
«Cosa? Chi?»
Questo gli guadagnò un altro sorrisetto arrogante. «C’è nessun altro qui dentro?» domandò l’uomo infilando la testa nella baracca per guardarsi intorno.
«No.» Anche se sapeva che avrebbe fatto meglio a tener d’occhio questo Mickey, Bobby si ritrovò a fissare la berlina nera. Dimostrarle?
«Non fare sciocchezze e andremo d’accordo» lo ammonì Mickey strizzando l’occhio. «Ora da bravo, mettiti seduto e ricordati» lo istruì sventolandogli ancora la pistola sotto il naso, «una mossa stupida e dovrò infrangere la promessa che le ho fatto.»
«Quale promessa?»
«Di non farti male – perlomeno finché non lo dice lei.»
Con quella spiegazione criptica, Mickey infilò in tasca entrambe le armi e tornò alla macchina. Sempre fischiettando, aprì la portiera posteriore e tese la mano al passeggero.
Dall’auto emerse una lunga gamba femminile, seguita da una seconda gamba altrettanto mozzafiato. Il battito di Bobby cominciò ad accelerare. Forse non stava per essere derubato, forse stava per accadere qualcosa di molto meglio. Per quale altro motivo un paio di gambe così si sarebbero trovate in quel posto a quell’ora?
Una mano guantata si posò in quella di Mickey, quindi comparve una donna vestita di nero. Persino da lontano avrebbe distinto quei ciuffi dritti neri e il severo carré più lungo di cinque centimetri da una parte rispetto all’altra. Il battito di Bobby passò da un ritmo indiavolato alla calma piatta in meno di un secondo.
Poteva trattarsi di una sola donna al mondo.
Stella Caine.
Bobby si sfregò gli occhi, ma la visione rimase la stessa.
Stella.
Com’era possibile?
Per un istante lei rimase immobile, gli occhi che si posavano sul cantiere. Mickey le offrì il gomito, e a braccetto si incamminarono verso la baracca.
Affascinante era tutto ciò che Bobby riuscì a pensare mentre i suoi fianchi ondeggiavano verso di lui. Una lunga pelliccia sintetica nera sembrava quasi ingoiarla per intero, eccezion fatta per il lampo di una gamba che attraversava la notte a ogni passo.