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Maschera Bianca
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E-book239 pagine3 ore

Maschera Bianca

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Info su questo ebook

Un misterioso individuo, dal volto coperto da una maschera bianca, getta il panico nei locali più alla moda di Londra. Gli uomini di Scotland Yard indagano nei desolati bassifondi della città, ostacolati da un muro di omertà e mistero dove verità e leggenda si mescolano in oscuri presagi. Poi, un giorno, in un malfamato quartiere vicino al Tamigi, un uomo viene assassinato con un metodo incomprensibile: la polizia si trova fra le mani un caso difficilissimo, mentre le vite dei vari personaggi si intrecciano fino all'incredibile finale.

Edgar Wallace

nacque nel 1875 a Greenwich (Londra). Cominciò a lavorare giovanissimo; a diciott’anni si arruolò nell’esercito ma nel 1899 riuscì a farsi congedare. Fu corrispondente di guerra per diversi giornali. Ottenne il suo primo successo come scrittore con I quattro giusti, nel 1905. Da allora scrisse, in ventisette anni, circa 150 opere narrative e teatrali di successo, nonché la sceneggiatura del celeberrimo King Kong. Definito “il re del giallo”, è morto nel 1932.
LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2013
ISBN9788854157361
Maschera Bianca

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    Anteprima del libro

    Maschera Bianca - AA. VV.

    Yard

    Maschera Bianca

    1.

    Michael Quigley poteva considerarsi un discreto esperto di umanità perversa, avendo dimestichezza con ladri, delatori, falsari, borsaioli e altre amenità del genere. Non conosceva Maschera Bianca perché nessuno lo conosceva ma si trattava solo di un piacere differito. Prima o poi l’operatore solitario avrebbe compiuto un passo falso e sarebbe finito tra le grinfie del giovane cronista della mala. Michael conosceva quasi tutti a Scotland Yard e aveva confidenza anche con i graduati. Aveva trascorso svariati fine settimana con Dumont, il boia, e lo aveva aiutato a superare un attacco di delirium tremens. In camera sua facevano bella mostra foto con dedica di personaggi della Casa Reale, pugili di grido e dame della buona società. Michael era in grado di prevenire il comportamento della gente normale o anormale in quasi ogni circostanza. Ma un bagaglio d’esperienza personale pur così nutrito gli veniva meno nel caso di Janice Harman, sebbene avesse già sentito di casi simili.

    Eppure riusciva a capire come mai una ragazza senza legami (Janice era orfana) e con una rendita annua di tremila sterline volesse fare qualcosa di utile nella vita e scegliere di lavorare come infermiera in un ambulatorio dell’East End; altre ragazze avevano abbracciato la medesima vocazione, trascinate dal loro entusiasmo per l’umanità e la signorina Harman era diversa dalle altre solo in quanto non si era subito stancata della sua attività filantropica.

    Era molto graziosa, sebbene Quigley non fosse in grado di stabilire quali fossero esattamente le componenti che portavano a tale risultato. Janice aveva dolci occhi da cerbiatta e una bocca rossa e sensuale... o forse il suo fascino maggiore consisteva nella luminosità dell’incarnato. Insomma, il nostro giornalista non aveva le idee ben chiare in proposito però di una cosa era certo: sarebbe rimasto a guardarsela per ore e ore e avrebbe voluto farlo per tutta la vita.

    L’unico neo in tanta perfezione era quel suo maledetto senso materno. Michael non sarebbe mai stato in grado di colmare il baratro che la separava dai suoi ventisette anni. Janice ne aveva ventitré e, come gli ripeteva spesso, una donna di ventitré anni era quantomeno di vent’anni più vecchia di un uomo della stessa età. Ma si può essere materni o crudeli. Una sera lei gli disse qualcosa che lo fece precipitare nel più profondo sconforto. Successe la volta in cui erano andati a cena all’Howdah Club... la sera in cui Michael aveva ricevuto lo stipendio.

    Michael era al corrente, come logico, del fatto che la ragazza avesse un romantico corrispondente, cosa che a volte lo faceva sorridere, a volte lo infastidiva, a volte lo mandava in bestia. Lo scambio epistolare ebbe inizio nella maniera più innocente. Un giorno, all’indirizzo di Janice in Bury Street, arrivò una lettera in cui le si chiedeva se sarebbe stata così gentile da mettere in contatto lo scrivente con la sua anziana governante, che stava attraversando un brutto periodo. Questo successe pochi mesi dopo che la ragazza aveva cominciato a lavorare presso l’ambulatorio del dottor Marford e uno dei settimanali più in voga aveva pubblicato un articolo strappalacrime su una ricca ereditiera che aveva deciso di dedicare la sua vita alle opere di bene. La lettera proveniva dal Sudafrica e a essa erano accluse cinque sterline che la signorina Harman avrebbe dovuto consegnare alla povera indigente qualora l’avesse trovata. In caso contrario, lo scrivente la pregava di devolverle in beneficenza.

    – Come sai che quel tizio non ha intenzione di giocarti un tiro barbino? – domandò Michael.

    – Non essere sciocco – si schermì Janice. – Solo perché sei un cronista insensibile pensi che tutto il mondo sia costituito da criminali incalliti.

    – E non mi sbaglio – sentenziò Michael.

    Solo dieci giorni dopo Michael venne a sapere che lo sconosciuto forestiero era arrivato a Londra. Fu proprio Janice a raccontarglielo prima di chiedergli di portarla fuori a cena: doveva dirgli qualcosa d’importante.

    – Sei uno dei miei più vecchi amici, Michael – esordì la ragazza in tono eccitato. – E sento che devo dirtelo.

    Michael stette ad ascoltare, sconcertato. La sua bella dirimpettaia avrebbe potuto accorgersi di quanto fosse impallidito, ma di proposito evitava di guardarlo, preferendo osservare le coppie che ballavano in pista.

    – Voglio fartelo conoscere... magari non lo troverai una bellezza, ma questo io l’ho sempre saputo... dalle sue lettere, voglio dire... quel poveretto ha trascorso un’esistenza terribile nel cuore dell’Africa; certo che mi dispiacerà molto lasciare il dottor Marford... ovviamente dovrò parlargli...

    Janice si esprimeva in maniera incoerente, quasi isterica.

    – Lasciami fare il punto della situazione, Janice. Cercherò di dimenticare che sono innamorato di te e che stavo aspettando solo un aumento di stipendio prima di chiederti in moglie. – La voce del giovanotto era così ferma, così priva di emozioni che la ragazza avrebbe anche potuto rischiare di alzare lo sguardo, ma prudentemente non lo fece.

    – Non è inusuale... ho già sentito parlare di simili casi. Una ragazza inizia uno scambio epistolare con un uomo che non ha mai visto. Tale rapporto si fa sempre più intimo e amichevole. Lei lo ammanta in un velo di romanticismo. Poi un bel giorno lo incontra e due sono le cose: o subisce una profonda delusione o se ne innamora alla follia. Ho sentito di matrimoni felici che sono cominciati a quel modo... ma è successo anche il contrario. A questo punto non saprei proprio cosa dire o fare.

    Fu allora che Quigley notò che sulla mano di Janice mancava qualcosa: un anello con un rubino di forma ovale che le aveva visto al dito sin dal giorno del loro primo incontro. Subito la ragazza si rese conto di quello che lui stava pensando e fece ricadere la mano lungo il fianco.

    – Dov’ò finito l’anello? – domandò Michael a bruciapelo.

    Janice arrossì: si trattava di una domanda oltremodo indiscreta.

    – L’ho... insomma, è una cosa che non ti riguarda.

    Il giornalista si concesse un lungo sospiro.

    – Lo so che non mi riguarda... ma sono curioso. Uno scambio di pegni d’amore?

    In effetti quella sera Quigley mancava completamente di tatto.

    – Era il mio anello e mi rifiuto di subire il sesto grado da parte di qualcuno che... che non ne ha nessun diritto. Ti stai comportando in maniera orribile.

    – Davvero? – Il giornalista annuì. – Immagino di sì e so di non averne il diritto. Comunque non avevo intenzione di chiederti che cosa avevi ricevuto in cambio. Magari una collana di perle...

    Janice trasalì. Anche se per puro caso, il giornalista aveva colto nel segno. – Come l’hai saputo? Effettivamente si tratta di un oggetto molto prezioso.

    Quigley la fissò serio come non mai.

    – Intendo guardar in bocca a quel tale.

    Adesso Janice gli aveva visto la faccia ed era caduta in preda al panico, non per lui ma per sé.

    – Guardargli in bocca... cosa vuol dire?

    Con un sorriso Michael cercò di minimizzare il significato offensivo di quanto stava per dire.

    – Beh, vederci un po’ più a fondo. Come si fa prima di acquistare un cavallo...

    – Io non sto acquistando nessuno... so soltanto che Donald è molto ricco... possiede due tenute – ribadì la ragazza con voce gelida. – Son sicura che speri di scoprire che mi sono messa con un criminale; e se ciò non ti riuscisse, la tua mente fertile sarebbe subito pronta a inventare qualcosa di sensazionale! Forse il mio fidanzato è Maschera Bianca! D’altronde questa è una delle tue specialità, non è vero?

    Il giornalista se la cavò con una sorta di grugnito. Adesso non vedeva l’ora di dare una svolta a quella conversazione così spiacevole e forse quella era una buona occasione.

    – Maschera Bianca non è un’invenzione. È una realtà. Chiedilo a Gasso.

    Gasso, il dinoccolato maître del locale, si trovava a passare proprio lì accanto.

    Mike gli fece un cenno.

    – Ah, Maschera Bianca! Che il diavolo se lo porti. Cosa ci sta a fare la polizia? Il mio povero amico Bassini ha dovuto chiudere il locale per colpa di quel delinquente.

    Era nel ristorante di Bassini che pochi giorni prima Maschera Bianca aveva fatto irruzione e, fermandosi di fianco alla signorina Angela Hillingcote, l’aveva alleggerita di seimila sterline di gioielli prima che i ballerini, impegnati a piroettare sulla lucida pista, capissero che l’uomo con la maschera bianca, spuntato dal nulla, non era un ospite mascherato. La rapina durò più di un paio di minuti. Subito dopo il ladro si era eclissato. Un poliziotto all’angolo di Leicester Square vide un tale allontanarsi a velocità sostenuta su una motocicletta. La stessa era stata vista schizzare dalle parti dell’Embankment in direzione est. Quella fu la terza e più spettacolare apparizione di Maschera Bianca nel West End di Londra.

    – I miei clienti sono nervosi... ma chi non lo è di questi tempi? – Era palese che Gasso stesse condividendo tale nervosismo. – Per fortuna si tratta di persone estremamente raffinate... – Ammutolì di colpo fissando l’ingresso della scala. – Non doveva venire! – mugugnò schizzando per andare incontro a un’ospite indesiderata.

    Si trattava di una signora bionda che si faceva chiamare Dolly de Val, nome che le era stato appioppato da un fantasioso agente cinematografico il quale pensava, e a ragione, che suonasse molto meglio di Annie Gootch, nome che la bella platinata portava negli anni bui. Dolly non poteva proprio definirsi una brava soubrette in quanto dimenticava sempre quello che le diceva il regista e spesso era l’unica ballerina della prima fila a scalciare con la gamba destra quando avrebbe dovuto farlo con la sinistra. E neppure le capitava sovente di essere in prima fila.

    Ma c’erano un sacco di persone che la trovavano attraente e con il passare degli anni la disinvolta signora ebbe modo di diventare molto ricca. Il suo sfizio era quello di materializzare gran parte della sua fortuna in costosissime parure di platino e pietre preziose, ragion per cui in tutti i locali alla moda di Londra era conosciuta come Dolly dei diamanti.

    Dopo quanto era successo alla signorina Hillingcote i proprietari di simili locali avevano quasi perso il sonno e quando Dolly prenotava un tavolo per la serata, avevano preso l’abitudine di avvertire Scotland Yard. Al che l’ispettore Mason, responsabile del settore C nonché titolare di una prestigiosa scrivania alla centrale operativa, inviava un paio di agenti in borghese, che però avevano l’aria di poliziotti lontano un chilometro, nel locale onorato dallo sfoggio di tanto ben di Dio. Fino a quel momento gli uomini di Scotland Yard non avevano avuto motivo d’intervenire e si limitavano a bighellonare davanti al guardaroba oppure si concedevano voluttuosi boccali di birra nell’ufficio del direttore.

    Ma talvolta Dolly si dimenticava di avvertire e faceva la sua scintillante apparizione all’improvviso, sempre attorniata da eleganti giovanotti. Succedeva allora che i camerieri si ritrovavano ad allestire un tavolo in tutta fretta e nella posizione più prestigiosa, anche se la sala era gremita fino all’inverosimile.

    Quella sera l’attrice capitò del tutto inattesa all’Howdah Club e Gasso, che era d’origine latina e pertanto completamente privo di autocontrollo, alzò le mani al soffitto ornato di Cupidi, e disse cose in italiano che sembrarono molto romantiche a persone che capivano soltanto l’inglese.

    – Cosa vuol dire non c’è posto... non fare lo sciocco, Gasso! Certo che c’è posto. Da qualsiasi parte andrà bene, non è vero, ragazzi?

    Così le approntarono in tutta fretta un tavolo vicino alla porta e dopo pochi minuti Dolly aveva già ordinato un consommé julienne e del pollo alla Maryland.

    – Non è molto prudente che rimanga qui a lungo, signora – le disse Gasso con palese imbarazzo – con quei gioielli così belli... la signorina Hillingcote... ah, che brutta storia... quel tale con la maschera bianca...

    – Oh, chiudi il becco, Gasso! – lo zittì Dolly. – Dopo il pollo, portaci gelato e caffè...

    I ballerini russi avevano appena lasciato la pista dopo il terzo bis quando... – Mani in alto!

    Dolly, che aveva visto il volto del suo cavaliere sbiancarsi all’improvviso, quasi fece rovesciare la sedia.

    L’uomo apparso sulla soglia indossava un lungo spolverino nero che gli arrivava ai calcagni mentre il volto era coperto da un telo bianco in cui erano stati ritagliati due buchi per gli occhi.

    Una mano guantata reggeva una piccola automatica mentre l’altra, senza guanto, era protesa in avanti.

    Si sentì uno scatto metallico e la pesante collana di brillanti che Dolly portava al collo si sganciò. Gli occhi sbarrati dal terrore, la bionda platinata vide il suo tesoro scomparire nella tasca del rapinatore.

    Gli uomini erano scattati in piedi, le donne si erano messe a gridare, quelli dell’orchestra si erano rintanati in un angolo.

    – Inseguiamolo! – gridò una voce.

    Ma l’uomo con la maschera bianca era già sparito e i guardaporte, che non ne avevano potuto impedire l’ingresso, uscirono guardinghi dall’angolo in cui si erano riparati.

    – Non muoverti... ti porterò via fra un attimo. – La voce di Mike era perentoria ma lei la sentiva come in un sogno. – Ti accompagnerò a casa. Devo mettermi subito in contatto con il mio giornale. Se svieni, userò le maniere forti!

    – Non sverrò – promise la ragazza.

    Michael l’aveva già portata fuori prima dell’arrivo della polizia. Una volta saliti su un taxi, lei domandò: – È stato terribile. Chi è?

    – Non lo so – fu la concisa risposta. Poi: – Come si chiama il tuo romantico innamorato? Non me l’hai ancora detto.

    La signorina Harman aveva i nervi a fior di pelle; le serviva uno stimolo di legittima ira per ritornare padrona di sé e quella era un’ottima scusa.

    Mike Quigley rimase a sentire senza batter ciglio le sue rimostranze.

    – Immagino sia un giovanotto di bell’aspetto. Non un povero disgraziato come me con la faccia emaciata e quattro peli sulla testa – sbottò poi senza ritegno. – Sei proprio uscita di senno, Janice! Comunque voglio incontrarlo quel tipo. Dove sta?

    – Tu non incontrerai proprio nessuno. – La ragazza era sul punto di scoppiare a piangere. – E spero di non rivederti mai più!

    Con sussiego allontanò la mano che le era stata tesa per aiutarla a scendere dal taxi né rispose alla buonanotte.

    Con un diavolo per capello il signor Quigley tornò in Fleet Street e tutti gli epiteti con i quali bollò Maschera Bianca erano in verità indirizzati all’aitante e romantico forestiero piombato per la sua disperazione dal Sudafrica.

    2.

    Dovendo descrivere in maniera approssimativa Janice Harman, si potrebbe dire che era il prodotto della sua generazione. Aveva ereditato gli eterni pregi del gentil sesso pur godendo di una notevole emancipazione sconosciuta fino a pochi anni prima quando le giovani e belle ereditiere erano marcate a vista da arcigne istitutrici vestite di nero. Janice aveva acquisito la propria indipendenza quasi senza accorgersene. Già a sedici anni aveva un conto personale in banca e, una volta ultimati gli studi superiori, non aveva più dovuto soggiacere a tutele di sorta.

    L’unico suo parente era uno zio scapolo il quale s’interessava della nipote in modo saltuario e poco ingombrante, le passava un mensile più che generoso e le mandava stupendi quanto inutili regali in occasione del Natale e del compleanno di cui invariabilmente si ricordava un mese dopo.

    Quando rimase ucciso in un incidente automobilistico (le tre ballerine che erano in macchina con lui se la cavarono solo con un grosso spavento) la signorina Harman poteva considerarsi una giovane decisamente abbiente.

    Lo zio aveva delegato come suo curatore un amico di cui si fidava soltanto perché era il miglior esperto di cani da caccia di tutta l’Inghilterra ed era anche uno dei pochi conoscitori in grado di mandar giù una mezza dozzina di bicchierini di Porto con gli occhi bendati e di distinguere l’esatta annata di ognuno.

    Janice aveva lasciato la scuola portandosi dietro un esaltato codice di valori e certi ideali che manteneva religiosamente. Nella sua stanza da letto troneggiava la foto del Principe di Galles e faceva la comunione ogni anno in occasione del Santo Natale. All’età di diciotto anni, per lei tutti gli uomini o erano degli eroi o degli esseri abominevoli; a diciannove aveva scoperto una categoria intermedia i cui esponenti non erano né degli adoni né del tutto orripilanti. A venti i colori più vivi cedettero il posto a toni più spenti dando luogo a nuove forme e prospettive.

    Donald Bateman rientrava nella vitalità della prima giovinezza. In quel suo volto maschio, nella figura atletica Janice aveva ritrovato reminiscenze dell’entusiasmo studentesco. Rappresentava il Romanticismo e 1’Awentura, era il tabernacolo vivente in cui erano custodite tutte le virtù dell’uomo perfetto. La modestia... solo di rado gli capitava di accennare alle sue qualità fuori dal comune... la personalità decisa, l’umorismo innato, il rapporto quasi infantile con il denaro, la commovente ingenuità, tutto era adorabile. Inoltre Donald accettava qualsiasi suo giudizio su cose e persone, gratificandola di una sensazione di superiorità che mai aveva provato con nessun altro. La discrezione del signor Bateman era quasi fuori dal comune. Solo in un’occasione le causò un certo imbarazzo. Il tenebroso forestiero sembrava aver sempre presente che la loro conoscenza era di freschissima data e la parola amore non era mai stata pronunciata. La seconda volta che si erano incontrati lui l’aveva baciata e Janice si era sentita ridicolmente a disagio. Evidentemente Donald se ne accorse perché non ripetè più l’esperimento. Ma parlavano di matrimonio e della loro casa e delle meraviglie del Sudafrica; si era addirittura sfiorato il problema dell’educazione dei figli. Insomma, Donald Bateman era un uomo eccezionale, piacevolmente infantile.

    Quel pomeriggio, Janice era di turno all’ambulatorio. Per tutta la mattina

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